Copertina
Autore Enrico Camanni
Titolo La nuova vita delle Alpi
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2002, Temi 122 , pag. 226, dim. 113x195x14 mm , Isbn 978-88-339-1402-2
LettoreRenato di Stefano, 2003
Classe montagna , paesi: Italia , musei
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Indice

  9 Introduzione

    La nuova vita delle Alpi


 15 1. Affermazione e declino di una civiltà

    Persistenza nel mutamento, 16
    La nascita di un mondo, 18
    Le Alpi invase, 20
    Lo sguardo medievale, 22
    Un'isola in mezzo alle tempeste, 23
    Il purgatorio di ghiaccio, 25
    Le Alpi si chiudono, 26
    La pattumiera della Terra, 28
    A ogni Stato le acque che vi scorrono, 29
    Il paradosso della libertà, 31
    Il tramonto di un'economia, 33
    Le Alpi omologate, 36

 38 2. La città scopre le Alpi

    Un'invenzione borghese, 39
    The Alps, the Alps!, 41
    Va in scena la montagna, 42
    La strana coppia, 44
    L'assalto della borghesia, 46
    La guerra del popolo, 48
    L'oro bianco delle Alpi, 49
    Un cantiere a cielo aperto, 51

 53 3. L'alpe romantica e l'alpe ludica

    Le cattedrali violate, 54
    Un casinò all'aria aperta, 55
    In treno sul Cervino, 57
    La demagogia della montagna, 59
    Il dibattito alpinistico, 61
    Il mito delle Tre Cime, 63
    Gli architetti dello scandalo, 65

 67 4. La contesa insanata

    Nuovi scenari, vecchi sfondi, 67
    Il dolce inganno della montagna sintetica,
                                             69
    Il paradossale declino delle ferrovie
                                     alpine, 71
    Masse ed élites, 73
    Gli «spit» e la fine dell'alpinismo, 77
    La città mangia tutto, 79

 81 5. La terza via

    L'ossigeno della tradizione, 82
    Il paradosso dello sviluppo, 83
    Una ribellione esemplare, 84
    La crisi del modello consumistico, 86
    Esagerato crescere, 88
    Le resistenze a un progetto globale, 89
    L'obbligo di guardare lontano, 91
    Sviluppo locale e prospettiva europea, 92

 95 6. Un laboratorio per l'Europa

    La tentazione del rifugio, 98
    La ricchezza della diversità, 100
    Un mosaico di lingue e di popoli, 102
    I parchi: «male» necessario, 104

109 7. Tre snodi cruciali

    L'economia della terra, II4
    La spina dei trasporti, 11O
    Il turismo non è oro, 118

123 8. Il montanaro consapevole

    Di chi sono le montagne?, 126
    Non per nascita, ma per vocazione, 129

132 9. Il turista responsabile

    Più lento, più profondo, più dolce, 134
    Lasciare la città, 136
    L'inquinamento da sport, 138

140 1O. Dieci casi da meditare

    Luci e ombre in Val Maira, 141
    Le miniere della Val Germanasca, 143
    Un'isola pilota in alta Valle di Susa, 144
    Quale sviluppo per la Valle della Legna?,
                                            146
    Il progetto di Goschenen, 148
    L'incubatore d'impresa di Albaredo, 149
    Il Parco-comunità dell'Alto Garda
                                 bresciano, 151
    La Strada del formaggio del
                             Bregenzerwald, 153
    Le malghe modello delle Dolomiti
                                 bellunesi, 154
    L'utopia concreta di Sauris, 156

159 Documenti

161 Lo sviluppo sostenibile delle montagne
    secondo l'Agenda 21
165 Carta mondiale delle popolazioni di
    montagna
174 La Convenzione delle Alpi e i suoi
    Protocolli di attuazione
184 La montagna entra nella modernità
189 Le Alpi in rete
195 L'Unione europea e le Alpi
200 Le Tavole della montagna di Courmayeur
206 Le Tesi di Biella
211 Bibliografia scelta

 

 

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Pagina 15

1.

Affermazione e declino di una civiltà


Chi ha la fortuna di visitare il Museo archeologico dell'Alto Adige, a Bolzano, compie un viaggio senza pari nel segno di Ötzi, l'uomo del Similaun. Un viaggio nei tempi lenti, apparentemente imbalsamati, eppure continuamente mutevoli della civiltà alpina. Certo, colpisce quest'uomo scomparso sui ghiacciai più di cinquemila anni fa, che gli scienziati hanno rivelato così simile a noi con il suo berretto di pelliccia, i suoi reumatismi, il fumo nero nei polmoni e i denti consumati - pare un'ipotesi fondata - dallo sfregamento originato dallo stress. Ma più di tutto colpisce come, per migliaia di anni, i popoli delle Alpi abbiano saputo evolversi restando fedeli a se stessi e alle proprie specializzazioni: caccia, pastorizia e agricoltura. Muta la qualità delle risposte, ma le domande sembrano ripetersi millennio dopo millennio: sopravvivere all'inverno, monticare i pascoli disponibili, coltivare ogni fazzoletto di terra, economizzare le risorse, sfruttare la legna del bosco, l'erba dei prati e il calore degli animali, amoreggiare attorno al focolare, ingraziarsi gli spiriti delle cime e dar loro un nome domestico per scacciare la paura. Al visitatore del Museo l'evoluzione alpina può apparire una storia senza fratture: utensili e attrezzi sempre più sofisticati, eppure coerenti ai bisogni originali; abitazioni sempre meno spartane, eppure riconducibili alle due sole variabili possibili: la pietra e il legno; oggetti mutevoli nelle forme e nelle soluzioni estetiche, ma capaci di conservare e trasmettere il segno di chi li ha pensati e costruiti per primo. Tutto questo salta all'occhio se si viaggia nel tempo insieme all'uomo del Similaun, e quando il viaggio finisce sulle note di un canto gregoriano e sullo sfondo di un'abitazione rustica medievale sembra già di essere in una baita della nostra infanzia, allo sbiadire di quel lungo tramonto della civiltà alpina che si è prolungato fino alla seconda metà del Novecento, dunque fino a noi.

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Pagina 32

Da pattumiera del mondo fisico, in pochi decenni le Alpi vengono promosse a oggetto delle indagini illuministiche e a rifugio della spiritualità romantica. Da un lato gli scienziati iniziano una capillare opera di esplorazione del territorio alpino per fare luce sull'origine dei fossili, sulla nascita dei fiumi e sulle teorie leggendarie dei ghiacciai, risolvendo contemporaneamente molti problemi cartografici; dall'altro lato gli uomini d'arte e di lettere influenzati da Haller e da Rousseau cominciano a rovesciare la visione seicentesca delle Alpi, scoprendo nei luoghi malfamati del passato il segno del bello e del sublime. Le cascate e i ghiacciai alpestri diventano ricercate mete di escursioni, destando la meraviglia dei viaggiatori e impreziosendo con i loro «deliziosi orrori» i taccuini dei borghesi e degli artisti che hanno la ventura di addentrarsi nelle vallate. All'inizio dell'Ottocento l'interesse per l'ambiente alpino si è già spinto fino al punto da identificarsi con l'invenzione letteraria, come nel capolavoro romantico di Mary Shelley, Frankenstein, che si avventura tra i crepacci della Mer de Glace:

Il silenzio solenne di questo magnifico salone delle udienze di Sua Maestà la Natura era rotto solo dal rumoreggiare delle acque, dalla caduta di qualche blocco di ghiaccio, dal tuono della valanga o dallo schiantarsi, riecheggiato da tutte le montagne, degli ammassi di ghiaccio che per l'opera silenziosa di leggi immutabili, di tanto in tanto si crepavano e si spaccavano come fossero stati giocattoli nelle loro mani. Queste scene sublimi e magnifiche mi donarono tutto il conforto che potevo ricevere [...]

Una descrizione romanzesca che sembra il racconto autobiografico di una vacanza sulle Alpi, inesauribile fonte di emozioni scaturite dalla solitudine, dalla verticalità e dal mistero delle vette. Le cupe bellezze che fino a pochi decenni prima mettevano in fuga i montanari e tenevano lontani i cittadini, si sono trasformate in rimedi dell' anima.

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Pagina 36

Le Alpi omologate

Dietro le complesse dinamiche politiche ed economiche che, negli ultimi due secoli dello scorso millennio, hanno determinato la crisi dell'economia alpina e la fine di una civiltà sopravvissuta - almeno nei suoi caratteri fondanti per circa cinquemila anni, c'è un nemico ben più forte di ogni potere e di ogni congiuntura: il modello consumistico urbano.

È l'imperativo del «tutto e subito» che si sostituisce alla millenaria prudenza dei montanari, all'atavica diffidenza verso le scorciatoie, alla religione dell'alpe lenta e austera che verso la fine dell'Ottocento faceva scrivere all'abbé Amé Gorret, prete ribelle della Valle d'Aosta:

Il vero viaggiatore si distingue dalla sobrietà delle sue parole, dalle ridotte dimensioni dello zaino, dalla regolarità del passo e dal calcolo riflessivo e coraggioso dei rischi di un'escursione o di una scalata. Il turista novellino, invece, si fa notare per il numero e il volume dei suoi bauli, per il clamore dei suoi programmi e dei preparativi per la partenza, per le osservazioni scientifiche fuori misura, per il panico o la vanitosa imprudenza davanti al pericolo.

Se da un lato Gorret sovrapponeva la saggezza montanara a quella del viaggiatore, facendone comune virtù, dall'altro anticipava uno dei temi, anzi il tema, del Novecento alpino: la propagazione della nuova cultura consumistica, smaniosa e imprevidente, in grado di erodere in pochi decenni il tessuto della civiltà preesistente. Quel che non era riuscito in cinque mila anni alle valanghe, alle frane, agli inverni, alle alluvioni, alle epidemie, agli eserciti, ai tiranni e agli invasori, riesce nell'ultimo minuto dell'orologio alpino a un modello così forte e persuasivo da stravolgere il territorio e soffocare le voci dissenzienti. Il crogiolo di popoli ed esperienze che, immigrazione dopo immigrazione, si è sedimentato nelle Alpi apportando nuove tecniche e nuove idee, e costruendo una singolare identità della diversità, viene sradicato da un invasore che dispone di un potere subdolo e micidiale: il potere di omologare anche le montagne.

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Pagina 81

5.

La terza via


Dai due capitoli precedenti risulta evidente quanto l'ideologia «tradizionalista» e la spinta «modernista» si siano trovate entrambe disarmate di fronte alla crisi culturale delle Alpi.

La prima visione è sfociata in tentativi di «museificazione» dell'ambiente alpino e della sua civiltà tradizionale, a scopo conservativo e a beneficio turistico. Ne sono prova i reiterati sforzi per far resuscitare i riti e i costumi del passato anche là dove tali recuperi appaiono evidenti forzature favorite dalle pro loco e dalle aziende di soggiorno per ricostruire una parvenza di identità storica. Quale località non esibisce il suo animale selvatico o il suo essere mitologico risalente a un non ben identificato patrimonio leggendario alpino? Ma sono simboli cosìa ddomesticati da fungere tutt'al più da mascotte per le insegne delle tavole calde o per il marchio dello ski pass. Quale paese non nasconde in qualche atelier del centro il suo scultore locale? Poi nel paese a fianco si vendono le stesse sculture, e nell'altra valle pure, perché il disegno è il medesimo e il pantografo ha sostituito l'artista. Quale villaggio, infine, non riesuma con orgoglio i colori dei costumi tradizionali, le danze dei propri avi, i canti e le mascherate «alla moda di una volta»? Come a dire: qui non è arrivato nessuno a inquinare le antiche usanze, qui siamo rimasti quelli che eravamo. Ma si tratta di un'altra mistificazione, perché nessuno può congelare la tradizione.

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Pagina 83

Il paradosso dello sviluppo

Progresso, turismo, sviluppo illimitato: l'altra idea forte novecentesca, scaturita dal «terreno di gioco» di Leslie Stephen ed evolutasi attraverso la moda della villeggiatura alpina, gli entusiasmi modernisti di inizio secolo, le ferrovie, le strade, le funivie, l'invenzione dello sci di massa, ha mostrato tutti i suoi limiti dopo gli anni settanta, quando è parso chiaro che la montagna stava diventando un surrogato della città. Nient'altro che un surrogato.

Nell'euforia del progresso, abbagliati dalla panacea del turismo guaritore di tutti i mali, si era semplicemente perso di vista il punto di partenza: «Un viaggiatore che parta per la montagna lo fa perché cerca la montagna, e credo che rimarrebbe assai contrariato se vi ritrovasse la città che ha appena lasciato».

Sono parole di fine Ottocento, eppure chi ci ha fatto caso nell'ubriacatura di investimenti e speculazioni del secondo dopoguerra? Chi ha pensato ai devastanti effetti collaterali?

Come hanno osservato gli studiosi dei flussi turistici diretti verso i paradisi esotici del pianeta, il turismo «mangia» se stesso: «La vacanza turistica è un'attività che si alimenta del mito della verginità da svelare e dell'incontaminato da contaminare. Più il turismo sale, più il valore edenico di un luogo scende».

Nessun luogo può rappresentare meglio delle Alpi questo paradosso, perché nessun luogo si è nutrito più a lungo e più in profondità di orizzonti puri, ideali assoluti, altezze liberatorie, natura rigeneratrice. Eppure che cosa ha fatto la città per sviluppare quei valori e godere quegli ambienti? Li ha aggrediti, rosicchiati e addomesticati, ne ha cancellato l'alterità e la bellezza, li ha ridotti a banali copie senz'anima.

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Pagina 95

6.

Un laboratorio per l'Europa


Le Alpi rappresentano uno straordinario laboratorio per l'Europa e il mondo intero in virtù di due qualità sempre più rare e preziose: la specificità e la complessità.

Non c'è dubbio che le Alpi siano un territorio dotato di una spiccata specificità: un arco di milleduecento chilometri di montagne (dati Guichonnet) che sfiorano la soglia dei cinquemila metri (Monte Bianco); un nastro di valli, creste e altipiani inseriti nel cuore del vecchio continente; un serbatoio di foreste, prati, acque e ghiacciai a poche centinaia (talvolta decine) di chilometri dalle grandi metropoli; una sorta di «cintura verde» europea fittamente popolata e fortemente trasformata dalla mano dell'uomo, ma anche caratterizzata da vastissimi spazi naturali e da residue isole di wilderness.

Un territorio già di per sé così diverso dal resto dell'Europa presenta a sua volta una straordinaria articolazione interna. Storicamente le Alpi sono sempre state un crogiolo di popoli e di culture: ogni nuova immigrazione ha portato con sé specifiche forme di produzione e diverse tecniche di adattamento alla natura alpina. Queste differenze sono ben visibili ancora oggi, in particolare nella distinzione economica e culturale tra la regione alpina di tradizione romana e quella di lingua tedesca. Ma anche in ambiti assai più ristretti, e nonostante la spinta omologatrice del turismo, si continuano a ravvisare storie, atteggiamenti e fortune tipiche di ogni valle.

Prendiamo ad esempio l'arco alpino italiano, il solo che abbracci l'intera catena, e riferiamoci specificamente all'industria «del forestiero».

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Pagina 99

In altre parole le Alpi sono il più qualificato laboratorio in cui sperimentare uno sviluppo alternativo, non perché rappresentino un'isola incontaminata, conservando quell'alterità del puro sull'impuro e dell'alto sul basso cara alla tradizione romantica, ma, al contrario, perché si trovano a diretto contatto con i problemi e le contraddizioni del capitalismo di pianura e si sono «sporcate le mani» con i miti e i riti del consumismo. Avrebbe poco senso parlare di laboratorio se le Alpi, come molte altre catene montuose del mondo, non avessero conosciuto l'industria, l'inquinamento, il turismo, l'urbanizzazione, il degrado ambientale, l'omologazione culturale, cioè tutte quelle situazioni potenzialmente degenerative dentro il cui dominio, e non al di fuori di esso, bisogna lavorare per costruire l'alternativa.

In questo senso la «diversità» non va considerata come una presa di distanza elettiva dal mondo viziato della pianura (salvo poi imitarne gli stessi vizi), bensì come la dimostrazione che si può vivere, lavorare ed essere felici in quello stesso mondo (occidentale ed europeo), ma con uno stile diverso.

È fuorviante considerare le Alpi il rifugio dei cittadini in fuga, perché si ricade nell'idealizzazione e nella sudditanza. Infatti il rifugio è un luogo mitico che offre conforto passeggero; sempre legato a un «centro» originario, non risolve il disagio alla radice: «La ricerca di un rifugio spirituale, come quella di un rifugio materiale, se condotta in modo coerente e radicale porta necessariamente a constatare che ogni rifugio raggiunto è provvisorio».

Se diversamente si riesce a immaginare per le Alpi una vita autonoma e duratura, e addirittura una qualità di vita potenzialmente superiore all' alter ego di pianura, allora la diversità si trasforma in ricchezza, la sudditanza decade e i due mondi si completano.

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Pagina 132

9.

Il turista responsabile


Cosa si può chiedere al turista diretto verso le Alpi? Innanzi tutto di fare il proprio interesse.

Noi crediamo di liberarci dai doveri e dall'omologazione quando arriva l'agognato giorno delle ferie, ma in realtà non facciamo altro che sottometterci ad altri doveri e ad altri rituali sulle strade delle vacanze. Ci imbarchiamo per luoghi meravigliosi rigorosamente corrispondenti alle finte immagini dei dépliant (le agenzie dicono che il turista cerca quel preciso paesaggio che ha visto sul programma: se non lo trova aderente alla carta patinata, è pronto a chiedere i danni), ci mettiamo in coda per una funivia o una via ferrata, assaggiamo la plastica dei panini confezionati alla tavola calda della seggiovia, vestiamo da sciatori firmati sulle autostrade di neve artificiale o da escursionisti alla Tartarino sui sentieri alla moda. Quel che conta è che le emozioni siano programmate in anticipo, che i villaggi turistici si assomiglino ovunque per non creare sensazioni di smarrimento, che il menù offra stranezze ma poi si mangi come a casa, che l'esotismo non sconfini mai nell'imprevisto.

Dietro questa curiosa antropologia della vacanza si nascondono molti rischi. Il primo, ovvio, è che vacanza non sia, che cioè in realtà si tratti di un altro lavoro. Quanti viaggiatori tornano sfiniti rivalutando la routine di tutti i giorni! Il secondo, meno ovvio, è che in un mondo sovrabbondante e spersonalizzante la vera vacanza dovrebbe consistere in un'esperienza di assenza, di vuoto, di riappropriazione, per non sostituire le abitudini quotidiane con inutili surrogati. Il terzo rischio è che luoghi preziosi come le Alpi, o gli altri paradisi venduti dalle agenzie di viaggio, diventino banali copie di un modello unico, cancellando per sempre ogni alterità, ogni pregio, ogni bellezza.

Un turismo saggio e responsabile è l'opposto del modello unico. Consiste nel valorizzare le differenze e le peculiarità di ogni località, dal dialetto alla cucina, dai colori agli odori, consiste nello scambio di culture esogene ed endogene, consiste nel graduale e morbido inserimento del visitatore nella realtà locale, rispettandone i tempi, i riti, gli usi, perfino le imperfezioni.

Saper individuare la bellezza del mondo, saperla leggere e interpretare non serve solo a diventare più intelligenti, serve a goderne meglio e di più. Perché non ci sono solo bellezze evidenti, ma anche bellezze difficili, difficili come certi quadri che diventano incantevoli solo quando li si è studiati un po'.

Il primo esercizio degno di un visitatore sensibile dovrebbe consistere nel decifrare il luogo delle sue vacanze, nel cogliere scampoli di verità e bellezza (ma anche di contraddizione) dietro il sipario asettico dell'apparato turistico. Per ottenere qualche risultato bisogna imparare a guardare oltre la rustica consolle dell'immancabile Bar delle Alpi, le tovagliette ricamate del Ristorante Belvedere, i campi da tennis seminascosti dai cedri del Libano, la pizzeria camuffata da rascard o il rascard trasformato in discoteca. Bisogna cominciare a parlare con la gente del posto, sgretolare con pazienza il muro della diffidenza e dell'omertà, per scoprire - ad esempio - che il «formaggio di malga» viene dalla Brianza ma esiste una toma senza etichetta, un formaggio locale, che scende con il pastore due volte al mese dall'alpeggio e vale cento di quei latticini senz'anima. E poi magari, dopo qualche giorno di sguardi di traverso e mezze parole, il lattaio ti confida dove si trova la baita del pastore, così che invece di salire sulla solita seggiovia del Rifugio Stella Alpina, ti incammini su per un sentiero vero, senza la vista delle cartoline illustrate ma con i rumori e gli odori dell'alpeggio, comprese le mosche, il letame e il cane che spaventa i bambini ma non fa male.

Se il turista e l'allevatore, o il turista e l'agricoltore, o il turista e il produttore di miele mostrano un reciproco atteggiamento di attenzione e rispetto, allora può nascere l'esperienza dell'agriturismo, sintesi ottimale di indigeno e forestiero, di elargizione della terra e appagamento dello spirito, di natura e cultura.

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Pagina 134

Più lento, più profondo, più dolce

Sinora si è agito all'insegna del motto olimpico citius, altius, fortius (più veloce, più alto, più forte), che meglio di ogni altra sintesi rappresenta la quintessenza dello spirito della nostra civiltà, dove l'agonismo e la competizione non sono la nobilitazione sportiva di occasioni di festa, bensì la norma quotidiana e onnipervadente. Se non si radica una concezione alternativa, che potremmo forse sintetizzare, al contrario, in lentius, profundius, suavius (più lento, più profondo, più dolce), e se non si cerca in quella prospettiva il nuovo benessere, nessun singolo provvedimento, per quanto razionale, sarà al riparo dall'essere ostinatamente osteggiato, eluso e semplicemente disatteso. Ecco perché una politica ecologica potrà aversi solo sulla base di nuove (forse antiche) convinzioni culturali e civili, elaborate - com'è ovvio - in larga misura al di fuori della politica, fondate piuttosto su basi religiose, etiche, sociali, estetiche, tradizionali, forse persino etniche. [A. Langer]

Alexander Langer, cittadino delle Alpi e cittadino d'Europa, ha colto meglio di ogni altro i requisiti necessari per il passaggio verso una civiltà più umana. Le sue parole sembrano pensate e scritte per le Alpi liberate di domani, sulla base della nuova (e antichissima) consapevolezza del limite, che presuppone e giustifica i ritmi lenti della montagna.

La lentezza può diventare una preziosa provocazione per il turista. Come l'alpinista e il montanaro «cambiano passo» quando il pendio si fa più ripido, così il villeggiante può approfittare della vacanza sulle Alpi per cambiare velocità e liberare lo spirito dalle catene quotidiane del tempo, provando a seguire più il corso del sole che i giri del suo orologio. In una civiltà ormai quasi completamente condizionata da ritmi artificiali, la percezione del tempo «biologico» può essere un'esperienza straordinaria. Quasi rivoluzionaria, nella sua radicale semplicità.

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