Copertina
Autore Lorenzo Capellini
Titolo Il fascino dei cavalli
EdizioneAllemandi, Torino, 2008 , pag. 200, ill., cop.ril.sov., dim. 24,5x34x1,7 cm , Isbn 978-88-422-1604-9
LettoreFlo Bertelli, 2008
Classe sport , animali domestici , natura , fotografia
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Pagina 5

Cavallo e cavaliere


I cavalli non hanno progetti in comune con gli uomini. La relazione con il cavallo è fondata essenzialmente sull'unico obiettivo di «metterlo al nostro servizio». Saltare gli ostacoli, girare alla corda, cambiare di galoppo al volo o restare nel box e farsi pulire e lucidare, sono tutte situazioni inventate dall'uomo. A noi piace credere che ai cavalli tutto questo faccia piacere o che comunque trovino un certo interesse a servire il destino degli uomini.

All'inizio i cavalli sono stati addomesticati per servire da mezzi di trasporto. Poi questo utilizzo è scomparso ma il legame che unisce l'uomo al cavallo si è mantenuto nel tempo. L'equitazione, quindi, non è uno sport come gli altri. Unisce infatti due esseri completamente diversi, che per loro stessa natura non hanno niente a che fare l'uno con l'altro.

Il cavallo è il nostro specchio. Chi vuole progredire deve guardare se stesso dentro al proprio cavallo. Dobbiamo essere consapevoli di ciò che siamo e accettare di cambiare. Accettare di rimetterci in discussione quando le cose non vanno. Accettare l'idea che le reazioni del cavallo sono le risposte al nostro atteggiamento fisico e mentale. Accettare di cambiare è il punto di partenza. Essere capaci di comprendere i messaggi che il cavallo ci invia, fargli capire ciò che vogliamo da lui e capire a nostra volta ciò che lui ci vuole dire. Cerchiamo quindi un punto d'incontro e un approccio con il cavallo attraverso lo studio e la comprensione della sua natura.

L'etologia non è, come si potrebbe pensare, una moda messa in pratica da chi preferisce stare a piedi piuttosto che in sella, ma molto di più. Ci permette di migliorare la comprensione e la connessione tra uomo e cavallo, qualunque sia la disciplina praticata. Non si può saltare, fare dressage o galoppare in pista senza la collaborazione del cavallo, cioè la sua complicità, che può essere ottenuta solo se il cavaliere fa lo sforzo di entrare nel modo di pensare del suo cavallo.

I fondamenti della comunicazione tra uomo e cavallo si riferiscono a tre principali aspetti: la fiducia, il rispetto, la connessione. Tutte le risposte si trovano dentro a questi tre concetti. Quando i tre aspetti si congiungono si raggiunge la massima intesa uomo-cavallo.

Quaalunque sia il nostro obiettivo, il nostro cavallo deve avere la convinzione che tutto ciò che gli chiediamo sia realizzabile e che niente di brutto gli possa capitare, anche se si trovasse di fronte a una situazione nuova e imprevista. È il concetto della «desensibilizzazione»: far scomparire la paura di fronte alle situazioni che causano stress.

Per prima cosa è importante analizzare le reazioni del cavallo tenendo conto della sua natura profonda. In natura il cavallo è una preda programmata per fuggire da un pericolo. Il suo istinto gli suggerisce di non fidarsi dei luoghi chiusi, nei quali può facilmente essere braccato da un predatore senza avere via di fuga. Il cavallo, quindi, teme per natura gli spazi stretti e chiusi, che minano la sua sopravvivenza. Per alcuni di essi, il semplice fatto di superare una barriera messa tra due pilieri è segno di pericolo e la reazione è quella di tentare la fuga. Di fronte a un tale comportamento la reazione istintiva del cavaliere è quella di pensare che il cavallo sia stupido. In realtà il cavallo reagisce semplicemente secondo la sua natura, che è diversa dalla nostra. Se la risposta del cavaliere è duella di punirlo, allora il cavallo penserà di avere ragione ad avere paura. Seguendo questo principio, siamo noi gli stupidi se puniamo un cavallo semplicemente perché si comporta come un cavallo. Per certi cavalli l'ostacolo rappresenta un pericolo, un avvenimento doloroso, al punto da essere incapace di saltare serenamente per paura della reazione del cavaliere. È come se noi ricevessimo una scarica elettrica ogni volta che passassimo da una porta: stiamo pur certi che da quella porta ci rifiuteremmo di passare. Se puniamo il cavallo perché ha paura del salto o perché salta male (secondo il nostro punto di vista), applichiamo la stessa logica, quella del rinforzo negativo. I migliori cavalieri sono quelli che sanno controllare le loro reazioni di fronte a quelle dei loro cavalli.

Se il cavallo in natura è predisposto alla fuga, è portato anche a prevedere le azioni del suo predatore e ad anticiparle. È guardingo, attento a tutto ciò che gli accade intorno. Perciò ci studia, sta sempre molto attento ai nostro gesti, al nostro comportamento e alle emozioni che trasmettiamo, come la paura, l'agitazione, la rabbia o la gioia. Questa sua sensibilità e capacità di percepire devono essere ben gestite per insegnare al cavallo a riflettere prima di agire, a cercare la soluzione invece di avere paura e fuggire. Tutto il lavoro di educazione consiste quindi nel dare al cavallo un puzzle di soluzioni che gli permetta di trovare quella ideale e di sentirsi quindi bene e a suo agio sia mentalmente che fisicamente. Questo concetto è molto importante, perché se il cavallo sa di avere sempre una soluzione, una via d'uscita positiva, non si sente «braccato» ma riesce ad analizzare la situazione prima di agire d'istinto e fuggire via e trova infine la soluzione.

Il cavaliere deve sempre tenere conto, però, che il problema evidenziato non è che la punta di un iceberg, è la manifestazione di un malessere più profondo. Se il cavallo si ferma davanti a un muretto, c'è a monte una mancanza di fiducia. Dobbiamo fargli capire che non ha nulla da temere e dargli, appunto, fiducia. Spesso è utile cambiare il contesto in cui ci troviamo per risolvere il problema e offrirgli un ambiente a lui più familiare e amichevole. Dobbiamo lavorare sulla mentalità del cavallo e comprendere la sua natura. Per poter fare bene il suo lavoro, deve prima di tutto avere una vita felice, proprio come noi. Se la vita quotidiana del nostro cavallo è un continuo stress, come può fare bene il suo lavoro? Quando siamo stanchi e stressati, come lavoriamo?

Il cavallo è comunque ben diverso da noi essere umani. Le cattive intenzioni, il fare del male, non fanno parte della sua natura. Questa è una prerogativa solo degli uomini. Bisogna togliersi dalla testa che il cavallo voglia farci del male intenzionalmente e premeditatamente. Spesso sentiamo dire che questo o quel cavallo ha un brutto carattere, è ombroso: ma non è affatto vero! Semplicemente cerca di fuggire da una situazione negativa ma non ce l'ha con noi. Siamo noi che dobbiamo capire perché scappa.

Dobbiamo sempre pensare che il cavallo è il nostro specchio. Specchiamoci in lui e quello che vedremo sarà un cavaliere collerico, ignorante, presuntuoso. Dobbiamo accettare il fatto che la reazione del cavallo non è che la sua risposta a un nostro atteggiamento. Sfortunatamente, la violenza è troppo spesso la manifestazione dell'ignoranza.

L'unica via per progredire è quindi quella della conoscenza. Conoscere noi stessi e ammettere che non stiamo facendo tutto quello che dovremmo fare per il bene del nostro cavallo. Quando fa una sgroppata, invece di punirlo, proviamo a pensare che magari siamo rigidi oppure usiamo troppo gli speroni o, ancora, abbiamo lasciato il cavallo nel box il giorno prima perché avevamo altro da fare. Abbiamo solo da guadagnarci rimettendoci in discussione. Prima di giudicare il cavallo, facciamo un esame di coscienza. Accettiamo l'idea che le reazioni del nostro cavallo dipendono solo dalle nostre azioni. Il giorno in cui accetteremo questo, saremo sulla via del progresso.

È difficile da accettare, ma i cavalli sono capaci di leggerci nel pensiero.

L'uomo e il cavallo in natura non hanno progetti in comune. Siamo noi gli stupidi se puniamo un cavallo solo perchè si comporta da cavallo.

Il cavallo deve avere la convinzione che tutto ciò che gli chiediamo di fare sia realizzabile. Il lavoro di educazione consiste nell'offrirgli sempre soluzioni positive.

L'apprendimento del rispetto consiste nel ridurre il riflesso di opposizione nel cavallo. Nella natura, questo riflesso è indispensabile alla sua sopravvivenza. Non è negativo, è solo una reazione di difesa. Per esempio, se esercitiamo una pressione verso il basso, il cavallo tira verso l'alto. Proviamo a tirare la lunghina verso il basso: il cavallo alzerà la testa tirando più forte di noi. Lo scopo dell'educazione consiste nel sostituire questi riflesso di opposizione con una risposta positiva: quando esercitiamo una pressione, il cavallo deve cedere invece di opporsi. Per esempio, quando tiriamo la lunghina verso il basso deve abbassare la testa e seguirci. Deve capire che se cede ne ha un giovamento, se resiste invece un disagio. Si parla molto di «equitazione naturale», ma bisogna comprenderne il vero significato. Per il cavallo tirare o spingere contro una pressione è naturale. Ecco perché più noi tiriamo la lunghina e più forte lui tirerà. Ma saltare un ostacolo non è veramente naturale.

Noi cerchiamo di comprendere la natura del cavallo perché lui sia con noi e non contro di noi. Ottenere il rispetto del cavallo significa, quindi, avere una risposta positiva da parte sua quando gli facciamo una richiesta attraverso i nostri aiuti. Perciò, ottenere che il cavallo sia leggero nella mano, e disponibile ad avanzare, fermarsi, girare e affrontare il salto serenamente significa ottenere il suo rispetto. Se uniamo fiducia e rispetto otteniamo la connessione.

Il significato di «connessione» si riferisce al concetto di coppia cavallo-cavaliere. È uno stato fisico e mentale che permette a ciascuno dei due di avere coscienza dell'altro e di pensare e agire in sintonia e accordo. Il cavaliere diventa una guida per il cavallo e il cavallo condivide e interpreta i suoi desideri.

È l'assenza di connessione che genera i problemi. Se, per esempio, alla ricezione da un salto in percorso il cavallo decide di scappare, significa che si è persa la connessione e senza di essa ci si ritrova in balia di cinquecento chili di muscoli e quindi senza alcuna possibilità di controllo! Non è raro vedere scene di questo tipo anche in campo ostacoli. Molti cavalieri si soffermano solo sull'aspetto fisico del cavallo e trascurano quello mentale, che è invece altrettanto importante e deve andare di pari passo.

La connessione inizia a terra, quando si entra nel box. Se il cavallo guarda altrove e si disinteressa di noi, non c'è connessione tra noi. Quando è in libertà, se sceglie di avvicinarsi a noi piuttosto che andarsene via, significa che la connessione è stabilita. In concorso la connessione è evidente appena il binomio entra in campo: si capisce subito se c'è o non c'è. Basta guardare l'atteggiamento e la concentrazione di cavallo e cavaliere per capirlo.

Per ottenere la connessione dobbiamo fare in modo che il cavallo si trovi sempre a suo agio con noi. Quindi, quando fa una cosa bene, premiamolo e smettiamo di chiedergliela. Il cavallo deve sempre associare una sensazione positiva alle nostre richieste. Per esempio, se un cavallo giovane fa bene un esercizio di salto, premiamolo e smettiamo di farlo, altrimenti si stancherà e la sensazione da positiva diventerà negativa. Il cavallo deve sempre fare ogni cosa con piacere e con serenità. Dobbiamo essere in grado di capire quando è il momento di smettere di chiedere. Seguendo questo principio, ogni azione coercitiva e violenta da parte del cavaliere causa sempre e solo dispiaceri!

È vero che il cavallo ha una grande capacità di adattamento e di sopportazione e questo rappresenta un grosso vantaggio per il cavaliere. Proviamo a immaginare se non ce l'avesse...

Se la tolleranza del cavallo ci viene in aiuto, al tempo stesso può trasformarsi in un limite perché è grazie alla sua tolleranza che ci permettiamo certe azioni sbagliate e dannose, al punto da portare il cavallo a non poterne più con l'unico risultato di averlo contro di noi. Il cavallo per natura è gregario, ha bisogno di una guida che gli indichi la via. Dobbiamo essere all'altezza di fargli da guida, altrimenti alla fine sceglie da solo. E generalmente sceglie di scappare. È vero che certi cavalli sono più difficili di altri, ma nessun cavallo è cattivo, mai! È semplicemente un cavallo!

Dobbiamo prima di tutto capirlo e conoscere la sua natura. Per diventare cavalieri non si deve cominciare dalla pratica dall'equitazione, ma dalla comprensione. Solo la comprensione e la connessione tra cavallo e cavaliere sono alla base del successo in equitazione. Con la sola tecnica possiamo vincere una gara, ma non possiamo costruire una carriera duratura.

MICHEL ROBERT

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