Copertina
Autore Lewis Carroll
CoautoreJohn Tenniel [illustrazioni]
Titolo Alice nel paese delle meraviglie - Attraverso lo specchio
EdizioneGarzanti, Milano, 2008 [1975], I grandi libri 141 , pag. 318, ill., cop.fle., dim. 11x18x2 cm , Isbn 978-88-11-36141-1
OriginaleAlice's Adventures in Wonderland - Through the Looking-Glass [1865]
PrefazioneMilli Graffi
TraduttoreMilli Graffi
LettoreSara Allodi, 2008
Classe classici inglesi , bambini
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Indice


Lewis Carroll: la vita • profilo storico-critico
dell'autore e dell'opera • guida bibliografica              V


       ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE

I      Giù nella tana del Coniglio                          7
II     Il mare di lacrime                                  15
III    Una Gara Elettorale e la lunga coda di una storia   23
IV     Il Coniglio equivoca col Lucertolino                30
V      I consigli di un Bruco                              40
VI     Pepe e Porcello                                     50
VII    Il tè dei matti                                     61
VIII   Il campo da croquet della Regina                    70
IX     Storia del Vitello-Similtartaruga                   80
X      La quadriglia delle Aragoste                        90
XI     Chi ha rubato le frittelle?                         99
XII    La testimonianza di Alice                          107

Note                                                      116


       ATTRAVERSO LO SPECCHIO
       E QUEL CHE ALICE VI TROVÒ

Prefazione dell'autore                                    146

I      La Casa dello Specchio                             150
II     Il Giardino dei Fiori che Parlano                  165
III    Gli Insetti dello Specchio                         176
IV     Tuidoldàm e Tuidoldìi                              187
V      Lana e fiumana                                     201
VI     Humpty Dumpty                                      213
VII    Il Leone e l'Unicorno                              227
VIII   «E una delle mie invenzioni!»                      238
IX     Alice Regina                                       254
X      La scrollata                                       271
XI     Il risveglio                                       272
XII    Chi ha fatto il sogno?                             273

Appendice                                                 277

Note                                                      285


 

 

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Pagina 5

        Un pomeriggio' insieme tutto d'oro,
            Sull'acqua mollemente,
        Mentre delle piccole inesperte braccia
            La barca ne risente,
        E il destino è nelle piccole mani
            Riposto vanamente.

        Come potete, voi tre, Grazie crudeli,
            In quest'ora di languor
        Pretendere il racconto da un respiro
            Di tanto scarso vigor?
        Che può una voce sola contro tre?
            Si nega e si nega ancor?

        Che «si cominci». Prima esige subito,
            Col suo imperioso stile,
        «Il nonsenso non ci manchi» implora
            Secunda, ch'è gentile,
        Mentre poi Tertia fa mille domande
            Con ansietà febbrile.

        Silenzio! E calme, tutte quante ora,
            Inseguono il mistero
        Delle meraviglie nuove e i battibecchi,
            In quel paese fiero,
        Tra la bimba del sogno e gli animali:
            Oh, sembra quasi vero!'

        E se la fonte dell'ultima fantasia
            Gli si era prosciugata,
        Chiedeva di rimandare a domani
            Quella voce isolata,
        «Adesso! Adesso!» dal coro veniva
            Di nuovo pungolata.

        Così estorti furon gli strambi eventi,
            Meraviglie a confronto,
        Di ventura in ventura fu raggiunta
            La fine del racconto.
        Ciurma felice, ora si torna indietro;
            Il sole è al tramonto.

        Alice, bada alla semplice storia!
            Riponila pian piano
        Dove l'Infanzia dei sogni si infiltra
            Dentro il mistico arcano
        Della Memoria: è il fiore appassito
            Di un paese lontano.

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Pagina 7

CAPITOLO I
GIÙ NELLA TANA DEL CONIGLIO



Alice moriva di noia a starsene seduta con la sorella sulla proda, senza far niente; aveva sbirciato un paio di volte il libro che la sorella stava leggendo, ma non c'erano figure né dialoghi, «e a cosa serve un libro», pensava Alice, «senza figure né dialoghi?»

Stava dunque calcolando fra sé e sé (nei limiti concessi dal caldo di quella giornata che le dava un senso di sonnolenza e di istupidimento) se il piacere di farsi una collana di margherite fosse valsa la fatica di tirarsi in piedi per andare a raccogliere le margherite, quando d'improvviso le sfrecciò accanto un coniglio bianco dagli occhi rosa.

Del fatto in sé non c'era troppo da meravigliarsi, né Alice trovò poi troppo stravagante sentire che il Coniglio mormorava, «Ohimè! Ohimè! Farò tardi, troppo tardi!» (ripensandoci, dopo, capì che in effetti ci sarebbe stato di che stupirsi; al momento però tutto le parve perfettamente naturale); ma quando vide il Coniglio fare il gesto di estrarre un orologio dal taschino del panciotto, guardarlo e riprendere di gran lena il passo, Alice balzò in piedi, perché le era balenato nella mente che non aveva mai visto prima un coniglio con un panciotto né tanto meno con un orologio dentro al taschino, e, bruciata dalla febbre della curiosità, lo inseguì di corsa attraverso il campo dove fece appena in tempo a vederlo sparire dentro una grossa tana sotto la siepe.

Un attimo dopo, anche Alice ci si infilava dentro, senza riflettere per un attimo come avrebbe fatto a uscirne fuori. Per un pezzo la tana correva dritta come una galleria e poi all'improvviso sprofondava, così all'improvviso che Alice non ebbe nemmeno il tempo di pensare a fermarsi e si ritrovò a capitombolare giù per un pozzo che sembrava molto profondo.

O il pozzo era assai profondo, oppure il capitombolo era assai lento, perché Alice ebbe tutto l'agio, mentre cadeva, di guardarsi attorno e di cercare di capire cosa le stesse accadendo. Prima di tutto guardò di sotto per vedere dove andava a finire, ma era troppo buio e non si vedeva niente; poi esaminò le pareti del pozzo e vide che erano piene di credenze e di scaffali: notò che qua e là c'erano mappe e quadri appesi ai chiodi. Tirò giù un vasetto da uno dei ripiani mentre gli passava davanti; portava la scritta MARMELLATA DI ARANCE, ma con sua grande delusione era vuoto. Non voleva lasciarlo cadere per paura di ammazzare chiunque si trovasse sotto, e fece in modo di appoggiarlo su un altro scaffale che si trovava a portata di mano lungo la caduta.

«Be'» rimuginava fra sé, «dopo una caduta come questa, ruzzolare giù per le scale mi sembrerà uno scherzo! Com'è coraggiosa la nostra Alice, penseranno i miei! Ah, certo da me non sentirebbero un solo lamento, nemmeno se dovessi cadere dal tetto!» (e non c'è dubbio che su questo punto avesse proprio ragione).

Giù, giù, sempre più giù. Ci sarebbe mai stata una fine a quella caduta? «Quanti chilometri avrò fatto cadendo, finora?» si domandò a voce alta. «Devo essere quasi arrivata al centro della terra. Vediamo: dovrebbero essere circa cinquemila chilometri, mi pare —» (Perché dovete sapere che Alice aveva imparato tante cose di questo genere a scuola, e, per quanto non fosse l'occasione migliore per esibire le sue conoscenze, dal momento che non c'era nessuno ad ascoltarla, tuttavia poteva sempre servire ripeterle per fare esercizio) «sì, più o meno la distanza è questa — ma chissà a che Latitudine o Longitudine sono arrivata?» (Alice non aveva la più pallida idea di cosa fosse la Latitudine, per non parlare della Longitudine, ma le sembravano delle belle parole importanti da dire).

Ripigliò subito. «E se passassi attraverso tutta quanta la terra intera! Chissà come sono buffe quelle persone che camminano a testa in giù! Gli Antipotici, mi pare —» (era molto contenta che non ci fosse nessuno ad ascoltarla, stavolta, perché la parola suonava decisamente sbagliata) «— ma dovrò domandare a qualcuno in che paese mi trovo, si capisce. Mi scusi, signora, qui siamo in Nuova Zelanda o in Australia?» (e si mise a fare un inchino mentre parlava — ve l'immaginate, fare un inchino mentre si sta cadendo nel vuoto? Ci riuscireste, voi?) «Che brutta figura farei, da bambina ignorante! No, meglio non chiedere niente; sarà pur scritto da qualche parte».

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Pagina 61

CAPITOLO VII
IL TÈ DEI MATTI



Apparecchiato sotto un albero davanti alla casa, c'era un tavolo dove il Leprotto Marzolino e il Cappellaio prendevano il tè; seduto in mezzo a loro, c'era un Ghiro che dormiva della grossa, mentre quei due lo usavano come cuscino per appoggiarci sopra i gomiti e conversavano al di sopra della sua testa. «Il Ghiro non sta certo comodo» pensò Alice, «ma dal momento che dorme, forse non gliene importa niente».

Il tavolo era piuttosto grande, ma i tre se ne stavano tutti addossati in un angolo. «Non c'è posto! Non c'è posto!» gridarono appena videro Alice farsi avanti. «Ci sono un sacco di posti!» replicò Alice indignata, e si accomodò su un'ampia poltrona a capotavola.

«Vuoi un po' di vino?» le disse il Leprotto Marzolino con tono suasivo.

Alice diede uno sguardo al tavolo, ma c'era solo tè. «Non vedo il vino» disse.

«Non ce n'è» rispose il Leprotto Marzolino.

«E allora non mi sembra tanto educato offrirlo» replicò Alice con stizza.

«Non mi sembra tanto educato sedersi senza essere invitati» ribatté il Leprotto Marzolino.

«Non sapevo che fosse íl vostro tavolo» spiegò Alice. «È apparecchiato per molto più di tre persone.»

«Dovresti farti tagliare i capelli» disse il Cappellaio. Era da un po' che stava osservando Alice con grande curiosità, e quelle furono le prime parole che pronunciò.

«E tu dovresti imparare che non si fanno osservazioni sulle questioni personali» replicò Alice piuttosto severamente. «È molto sgarbato».

A queste parole il Cappellaio sgranò tanto d'occhi; ma non disse altro che «Sai dirmi perché un corvo assomiglia a una scrivania?»

«Ah, ora sì che ci divertiamo!» pensò Alice. «Sono contenta che si siano messi a giocare agli indovinelli — Lo so, credo», aggiunse a voce alta.

«Intendi dire che credi di aver trovato la soluzione?» le domandò il Leprotto Marzolino.

«Precisamente» disse Alice.

«Allora, quando parli, dovresti dire ciò che intendi dire», soggiunse il Leprotto Marzolino.

«Certo» replicò prontamente Alice; «perlomeno — perlomeno io intendo dire proprio ciò che dico — che è poi la stessa cosa, no?»

«No che non è la stessa cosa!» esclamò il Cappellaio. «A questa stregua, potresti sostenere che "Vedo ciò che mangio" sia la stessa cosa di "Mangio ciò che vedo"!»

«A questa stregua» aggiunse il Leprotto Marzolino, «potresti sostenere che "Mi piace quello che prendo" sia la stessa cosa di "Prendo quello che mi piace!"»

«A questa stregua, potresti sostenere» aggiunse il Ghiro, il quale sembrava parlasse nel sonno, «che "quando dormo, respiro" sia la stessa cosa di "quando respiro, dormo"!»

«Che per te è proprio quello che vale» concluse il Cappellaio, e qui cadde la conversazione e il gruppetto restò in silenzio per un minuto, mentre Alice cercava di ricordarsi tutto quello che sapeva sui corvi e sulle scrivanie, non molto per la verità.

Il Cappellaio fu il primo a rompere il silenzio. «Che giorno è oggi, del mese?» chiese, rivolto ad Alice; si era tolto l'orologio di tasca e lo contemplava perplesso, dandogli una scrollatina di tanto in tanto per poi portarselo all'orecchio.

Alice ci pensò un attimo, e poi rispose: «Il quattro».

«È indietro di due giorni!» sospirò il Cappellaio. «Te l'avevo detto che il burro non fa bene agli ingranaggi!» aggiunse, guardando in malo modo il Leprotto Marzolino.

«Era un burro eccellente!» rispose mite il Leprotto Marzolino.

«Sì, ma ci sono entrate anche delle briciole» brontolò il Cappellaio; «non avresti dovuto usare il coltello del pane per spalmare il burro sull'orologio».

Il Leprotto Marzolino prese in mano l'orologio e lo guardò mogio: poi lo tuffò nella tazza del tè e tornò a guardarlo; ma non poté che confermare quanto aveva detto prima: «Era un burro eccellente».

Alice aveva sbirciato da sopra la spalla del Leprotto Marzolino con una certa curiosità. «Che buffo orologio!» osservò. «Dice qual è il giorno del mese, ma non dice l'ora!»

«Perché dovrebbe?» brontolò il Cappellaio. «Forse che il tuo orologio ti dice in che anno siamo?»

«No, naturalmente» rispose Alice con prontezza; «ma è perché ci sta tanto a lungo dentro lo stesso anno».

«E questo è esattamente il caso del mio orologio» disse il Cappellaio.

Alice era terribilmente perplessa. Non c'era alcun dubbio che il Cappellaio parlasse la sua stessa lingua, eppure quel discorso non aveva per lei alcun senso. «Non ti capisco proprio» disse con tutta la gentilezza possibile.

«Il Ghiro si è riaddormentato» annunciò il Cappellaio, e gli versò sul naso un po' di tè bollente.

Il Ghiro scosse il capo seccato, e disse, senza aprire gli occhi: «Naturalmente, naturalmente: stavo per dirlo anch'io».

«Hai trovato la soluzione dell'indovinello, allora?» chiese il Cappellaio, rivolgendosi di nuovo ad Alice.

«No, ci rinuncio» rispose Alice. «Qual è?»

«Non ne ho la più pallida idea» disse il Cappellaio.

«E nemmeno io» disse il Leprotto Marzolino.

Alice ebbe un sospiro di sconforto. «Dovreste imparare a usare un po' meglio il vostro tempo» disse, «invece di sprecarlo con degli indovinelli senza soluzione».

«Se tu conoscessi il Tempo come lo conosco io» replicò il Cappellaio, «non oseresti parlarne con tanta disinvoltura; lui è un Signor Tempo».

«Non capisco cosa intendi dire» disse Alice.

«Certo che non capisci!» esclamò il Cappellaio, con un cenno sprezzante del capo. «Ci scommetto che non hai mai provato a parlarci assieme, col Tempo!»

«Forse no» rispose Alice cautamente, «ma so che quando facciamo musica, dobbiamo battere il tempo.»

«Ah, ecco! Ora tutto si spiega!» esclamò il Cappellaio. «Lui non tollera di essere battuto. Vedi, se te lo tieni amico, lui fa quasi tutto quello che vuoi con l'orologio. Per esempio, mettiamo che siano le nove del mattino, stanno per cominciare le lezioni: tu prendi il Tempo e gli sussurri una parolina, e via che le lancette girano in un baleno! L'una e mezza, è l'ora del pranzo!»

(«Magari fosse l'ora del pranzo!» sussurrò fra sé e sé il Leprotto Marzolino).

«Sarebbe magnifico, non c'è dubbio» rispose Alice con aria pensosa; «però — forse non avrei ancora fame, non ti pare?»

«Non subito, forse» replicò il Cappellaio, «ma potresti tenerlo fermo all'una e mezza finché non ti viene fame».

«E tu fai così?» domandò Alice.

Il Cappellaio scosse il capo tristemente. «No, io no!» rispose. «Ci siamo litigati il marzo scorso — poco prima che lui facesse il matto —» (col cucchiaino indicò il Leprotto Marzolino) «— Fu al gran concerto dato dalla Regina di Cuori, e io dovevo cantare

        O pipistrello baluginante
        Cosa pensi in questo istante?

Forse la conosci questa canzone?»

«Ho sentito qualcosa del genere» rispose Alice.

«Poi va avanti» proseguì il Cappellaio, «e dice:

        Voli sul mondo, voli nel vento
        Come un vassoio nel firmamento.
           O pipistrello baluginante —»

A questo punto il Ghiro sussultò e si mise a cantare nel sonno «O pipistrello baluginante, o pipistrello baluginante —» e siccome non la finiva più, dovettero dargli dei pizzicotti per farlo smettere.

«Ebbene, avevo quasi finito la prima strofa» disse il cappellaio, «quando la Regina si mise a urlare "È fuori Tempo! Tagliategli la testa!"»

«Che razza di crudele e sanguinaria!» esclamò Alice.

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CAPITOLO IX
STORIA DEL VITELLO-SIMILTARTARUGA



«Non ti puoi immaginare quanto sia contenta di rivederti, piccola cara!» esclamò la Duchessa, prendendo affettuosamente Alice sottobraccio e incamminandosi con lei.

Alice fu assai contenta di trovarla di così buon umore, e dentro di sé pensò che probabilmente era solo colpa del pepe se si era dimostrata tanto selvatica durante il loro primo incontro nella cucina.

«Quando io sarò Duchessa» disse fra sé e sé (con un tono non troppo speranzoso, a dire il vero), «non voglio avere nemmeno un granello di pepe nella mia cucina. La zuppa è buonissima anche senza — Magari è proprio il pepe che fa sempre venire il cattivo umore alla gente» continuò, tutta compiaciuta per aver trovato un nuovo tipo di regola, «e l'aceto rende una persona acida — e la camomilla la rende amara — mentre le caramelle d'orzo e tutti gli altri pasticcini danno ai bambini un carattere dolce. La gente dovrebbe saperla quest'ultima cosa: non sarebbero più così avari coi dolci —».

A questo punto aveva del tutto dimenticato la Duchessa, ed ebbe un lieve trasalimento quando sentì che le sussurrava in un orecchio: «Ti sei messa a pensare, cara bambina, e non ti ricordi di parlare. Non so dirti, così sui due piedi, che morale ci sia in tutto ciò, ma me lo ricorderò tra poco».

«Forse non c'è una morale» si arrischiò a dire Alice.

«Piano, piano, piccina!» replicò la Duchessa. «C'è sempre una morale, basta saperla trovare.» E mentre diceva queste cose, le si strinse ancora più dappresso. Ad Alice garbava poco di averla così a ridosso: innanzi tutto, perché la Duchessa era molto brutta, e in secondo luogo perché le arrivava col mento giusto giusto all'altezza della spalla e ce lo teneva appoggiato sopra: un mento terribilmente aguzzo. Comunque, non volendo sembrare scortese, Alice si sforzò di sopportarla: «La partita va un po' meglio, ora» disse, tanto per sostenere la conversazione.

«Proprio così» confermò la Duchessa: «e la morale è — "L'amore, è l'amore che fa girare il mondo!"»

«Qualcuno ha detto» sussurrò Alice, «che il mondo gira se ognuno pensa agli affari suoi».

«Ah sì ! Ma il senso è lo stesso» obiettò la Duchessa, mentre conficcava ancora più a fondo il suo piccolo mento puntuto nella spalla di Alice, «e in questo caso la morale è: "Tu bada al senso, che i suoni sapranno badare a se stessi"».

«Che mania ha di trovare la morale in tutte le cose!» pensò Alice fra sé.

«Scommetto che vorresti sapere perché non ti cingo la vita col braccio» disse la Duchessa, dopo una pausa; «la ragione è che non mi fido dell'umore del tuo fenicottero. Che dici, la facciamo questa prova?»

«Le potrebbe dare una pizzicata col becco» rispose cautamente Alice, che non era affatto entusiasta di tentare quella prova.

«Verissimo» assentì la Duchessa: «i fenicotteri pizzicano, come la senape. E la morale è — "Chi si rassembra, s'assembra"».

«Solo che la senape non sembra un uccello» obiettò Alice.

«Giusto, come al solito» disse la Duchessa: «che modo chiaro hai di esporre le cose!»

«È un minerale, credo» aggiunse Alice.

«Certo che è un minerale» assentì la Duchessa, che sembrava pronta a dar ragione ad Alice in tutto: «abbiamo una grande miniera di senape, qua vicino. E la morale è — "La miniera è la maniera di gabbar la gente intiera"».

«Ah, lo so!» esclamò Alice, che non era stata a sentire quest'ultima frase, «è un vegetale. Non sembra, ma è un vegetale».

«Hai perfettamente ragione» convenne la Duchessa, «e la morale è — "Sii ciò che vorresti sembrare di essere" — ovvero, se vuoi che te lo dica più semplicemente — "Non immaginarti mai di non essere altro da quello che potrebbe sembrare agli altri che ciò che eri o potevi essere stata non fosse altro da ciò che eri stata e che avrebbe potuto loro sembrare essere altrimenti"».

«Credo che capirei meglio» disse Alice con molto garbo, «se lo vedessi scritto su un foglio: non riesco bene a tenerle dietro quando lei parla».

«Questo è niente! Non hai idea di quello che potrei fare, se volessi» rispose la Duchessa, molto compiaciuta.

«La prego, non si incomodi a inventare una frase ancora più lunga per me» disse Alice.

«Oh, ma non mi incomodo affatto!» esclamò la Duchessa. «Tutto quello che ho detto fino a qui, te lo regalo».

«Un regalo a buon mercato!» pensò Alice. «Per fortuna che non ci fanno mai regali di questo genere, per il compleanno!» Ma non si arrischiò a dirlo a voce alta.

«Sempre lì a pensare?» domandò la Duchessa, con un altro affondo del suo piccolo mento puntuto.

«Ho il diritto di pensare» replicò secca Alice, che cominciava a essere un po' preoccupata.

«Lo stesso diritto» disse la Duchessa, «che hanno i maiali di volare: e la mo —».

Ma qui, con grande sorpresa di Alice, la voce della Duchessa venne meno, nel bel mezzo della sua parola preferita «morale», e Alice sentì che il braccio infilato sotto il suo aveva preso a tremare. Alzò gli occhi, e vide la Regina, piantata davanti a loro, a braccia conserte e aggrondata come un temporale.

«Bella giornata, vostra Maestà!» iniziò la Duchessa con una vocetta esile esile.

«Stai attenta, questo non è solo un avvertimento» urlò la Regina, e mentre parlava, batteva il piede per terra: «O sparisci tu o sparisce la tua testa, e tutto questo in metà del tempo che ci impieghi ad aprir bocca! Scegli tu!»

La Duchessa fece la sua scelta, e un attimo dopo era sparita.

«Noi riprendiamo la nostra partita» disse la Regina ad Alice, la quale era troppo spaventata per aprire bocca e la seguì lentamente verso il campo da croquet.

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Pagina 143

ATTRAVERSO LO SPECCHIO
E QUEL CHE ALICE VI TROVÒ




[...]



CAPITOLO I
LA CASA DELLO SPECCHIO



Una cosa era certa: la gattina bianca non c'entrava per niente; la colpa era tutta della gattina nera. Infatti, la gattina bianca nell'ultimo quarto d'ora si era lasciata lavare il musino dalla vecchia gatta (con una discreta dose di pazienza, tutto sommato); e questo vi dimostra che lei non ci aveva messo mano nel misfatto.

Dinah usava questo sistema per lavare il muso alle sue gattine: prima bloccava la poverina afferrandola per le orecchie con una zampa, e poi con l'altra le strofinava tutto il muso, in contropelo, cominciando dal naso: e proprio in quel momento, come vi dicevo, stava strigliando di brutto la gattina bianca, che se ne stava lunga distesa tranquilla tranquilla, cercando di fare le fusa — evidentemente convinta che tutto era fatto per il suo bene.

La gattina nera, invece, era stata pulita a dovere nel primo pomeriggio, e così, mentre Alice se ne stava rannicchiata in un angolo della poltrona grande, un po' parlando da sola e un po' sonnecchiando, la gattina se l'era spassata allegramente con la matassa di lana che Alice aveva cercato di avvolgere, facendola rotolare qua e là per il pavimento, finché non l'aveva completamente sdipanata; e adesso eccola là, la lana, parsa per il tappeto davanti al camino, piena di nodi e arbugli, con la gattina in mezzo che giocava a prendersi la coda.

«Oh! Cattiva, cattiva piccola peste!» esclamò Alice, prendendo in braccio la gattina e dandole un bacetto per farle capire che era arrabbiata con lei. «È questa la buona educazione che Dinah ti ha dato? E tu, Dinah, è così che si allevano i figli?» aggiunse, lanciando un'occhiata di riprovazione alla vecchia gatta e facendo la voce grossa — poi si arrampicò di nuovo sulla poltrona, portando con sé la gattina e la lana, e si mise a rifare il gomitolo. Il lavoro non procedeva troppo veloce, dato che Alice parlava tutto il tempo, a volte con la gattina, a volte fra sé e sé. Kitty le stava seduta in grembo tutta compunta, facendo finta di controllare come procedeva il lavoro, e solo di tanto in tanto allungava una zampina per toccare delicatamente il gomitolo, come per dire che l'avrebbe aiutata volentieri, se avesse potuto.

«Sai che giorno è domani, Kitty?» cominciò Alice. «Non lo sai perché non sei venuta alla finestra con me — ma Dinah ti stava lavando il muso, e non hai potuto. Ho visto i ragazzi che raccoglievano legna per il falò... e quanta ce ne vuole, Kitty! Ma poi faceva troppo freddo e aveva nevicato così tanto che hanno dovuto smettere. Non fa niente, Kitty, domani andremo a vedere íl falò.» Qui Alice avvolse due o tre volte il filo attorno al collo della gattina, giusto per vedere come le stava: il tafferuglio che ne nacque ebbe come conseguenza che il gomitolo finì per terra e metri e metri di filo si sdipanarono di nuovo.

«Sapessi come mi sono arrabbiata, Kitty» riprese Alice, appena si furono rimesse quiete, «quando ho visto il disastro che avevi combinato! C'è mancato poco che aprissi la finestra per buttarti fuori sulla neve! E te lo saresti meritato, mia cara cattivella! Che hai da dire in tua discolpa? Zitta, non interrompermi!» aggiunse, col dito levato. «Ora ti faccio l'elenco di tutte le tue malefatte. Numero uno, hai strillato due volte mentre Dinah ti lavava la faccia stamattina. Non cercare di negarlo, Kitty: ti ho sentito! Che cosa hai detto?» (facendo finta che la gattina avesse parlato). «Ti ha messo la zampa in un occhio? Be', è solo colpa tua, perché hai tenuto gli occhi aperti — se li avessi tenuti ben chiusi, stretti stretti, non sarebbe successo. E adesso non tirar fuori altre scuse, ma ascoltami! Numero due: hai tirato indietro Bucaneve per la coda proprio mentre le stavo mettendo davanti il piattino del latte! Come, avevi sete? E non hai pensato che potesse aver sete anche lei? E arriviamo al numero tre: hai disfatto tutto il mio gomitolo di lana, mentre non guardavo!

«Sono tre malefatte, Kitty, e non sei stata punita per nessuna delle tre. Sto accumulando tutte le tue punizioni per il mercoledì della settimana prossima, tra otto giorni — pensa se che i miei si mettessero ad accumulare tutte le mie punizio» aggiunse, parlando più a se stessa che alla gattina. «Che cosa potrebbero fare alla fine dell'anno? Finirei dritta in prigione, immagino, al momento del calcolo finale. Oppure — fammici pensare — mettiamo che i castighi siano tutti di andare a letto senza cena: allora, quando arriva la resa dei conti, dovrei saltare cinquanta cene tutte in una volta! Be', non sarebbe un gran male, dopo tutto! Preferisco di gran lunga saltare la cena che doverla mangiare!

«La senti la neve contro i vetri delle finestre, Kitty? Che suono dolce e morbido ha! È come se qualcuno fuori desse tanti bacini su tutto il vetro! Chissà, forse la neve è innamorata degli alberi e dei campi, perché li bacia tutti con tanta delicatezza! E poi li copre tutti, ben rincalzati, con una coperta bianca, e magari dice, "Statevene lì a dormire, tesori miei, fino a che non torna l'estate". E quando d'estate si risvegliano, Kitty, si vestono tutti quanti di verde e si mettono a ballare — quando soffia il vento — oh, com'è bello!» esclamò Alice, lasciando cadere il gomitolo di lana per battere le mani. «Come vorrei che fosse vero! Sono sicura che in autunno ai boschi viene un gran sonno con quel colore bruno che prendono le foglie. Kitty, sai giocare a scacchi? Via, non ridere, sciocchina. Te lo chiedo seriamente. Quando stavamo giocando poco fa, tu ci stavi a guardare come se capissi tutto: e quando ho detto "Scacco!" hai fatto ron ron! Eh, Kitty, che scacco era quello! Avrei vinto, se non fosse stato per quell'orrendo Cavaliere che si è calato serpeggiando tra i miei pezzi. Mia cara Kitty, facciamo finta —» E quanto mi piacerebbe, a questo punto, essere in grado di raccontarvi almeno la metà delle cose che Alice diceva quando pronunciava la sua frase preferita "Facciamo finta"! Proprio il giorno prima aveva avuto una lunghissima discussione con la sorella — e tutto perché Alice aveva cominciato con un "Facciamo finta di essere dei re e delle regine": e la sorella, che amava la precisione, le aveva risposto che era impossibile, perché erano soltanto in due a giocare, e alla fine Alice era arrivata al punto di dire: «Allora, tu farai una parte sola, e io farò tutte le altre». E una volta aveva davvero terrorizzato la vecchia governante, perché le aveva gridato all'improvviso in un orecchio: «Tata! Facciamo finta che tu sia un osso e io una jena affamata!»

Ma questo ci porta troppo lontano dal discorso che Alice stava facendo alla gattina. «Facciamo finta che tu sia la Regina Rossa, Kitty! Guarda, se ti metti seduta a braccia conserte, le assomigli come una goccia d'acqua. Su, avanti, prova, fai la brava!» E Alice prese la Regina Rossa dal tavolino e la porse alla gattina, mettendogliela davanti come modello da imitare; ma la cosa non funzionò, soprattutto perché, disse Alice, la gattina non voleva saperne di tenere le braccia conserte come si deve. Allora, per punirla, la sollevò per metterla davanti allo Specchio e farle vedere com'era brutta così imbronciata, «— e se non fai subito la brava» aggiunse, «ti metto dall'altra parte, nella Casa dello Specchio. E adesso, che mi dici?

«Ora, Kitty, se te ne stai buona un attimo senza parlare sempre, ti dico quali sono le mie idee sulla Casa dello Specchio. Prima di tutto, c'è la stanza che vedi attraverso lo specchio — che è perfettamente identica al nostro salotto, solo che le cose vanno nell'altra direzione. Io riesco a vederla tutta quanta quando salgo in piedi su una sedia — tutta, meno il pezzettino che c'è dietro il camino. Oh! Muoio dalla voglia di vedere quel pezzettino! Come mi piacerebbe sapere se accendono il fuoco d'inverno: non si può saperlo con certezza, capisci, a meno che il nostro fuoco non faccia fumo, e allora si vede il fumo anche di là — ma potrebbero anche farlo solo per finta, per far sembrare che hanno il fuoco acceso anche loro. Poi, guarda, i libri assomigliano ai nostri, solo che sono scritti alla rovescia. Questo lo so bene, perché ho messo un nostro libro davanti allo specchio, e ne hanno messo uno dei loro, dall'altra parte.

«Ti piacerebbe vivere nella Casa dello Specchio, Kitty? Chissà se te lo darebbero il latte? Magari il latte della Casa dello Specchio non è buono da bere — oh, la mia Kitty! Adesso passiamo al corridoio. Puoi vedere uno scorcio del corridoio della Casa dello specchio, se spalanchi bene la porta del nostro salotto: ed è proprio tutto uguale al nostro corridoio fin dove lo si riesce a vedere, solo che dove non si vede, al di là, potrebbe essere del tutto diverso. Oh, Kitty, come sarebbe bello se potessimo passare attraverso lo specchio ed entrare nella Casa dello Specchio! Sono sicura che ci sono delle cose bellissime là dentro! Facciamo finta che ci sia un modo per passarci attraverso, Kitty. Facciamo finta che lo specchio sia diventato tutto come un leggero velo di nebbia, e che lo possiamo attraversare. Ma guarda, si trasforma, adesso è come se fosse una specie di brina, te lo giuro! Sarà facile paassarci —».

Mentre diceva queste cose, era già salita sulla mensola del camino, quasi senza sapere come avesse fatto ad arrampicarsi fin lassù. E lo specchio stava davvero sciogliendosi e andava svanendo, proprio come una luminosa nebbia d'argento.

Un attimo dopo, Alice era passata attraverso il vetro ed era saltata agilmente giù, nella Casa dello Specchio. La prima cosa che fece fu di guardare se c'era il fuoco nel camino, ed ebbe la soddisfazione di vedere che c'era per davvero: scoppiettava allegramente, proprio come quello che aveva lasciato dall'altra parte. «Così qui starò al caldo, come nella stanza vecchia» pensò Alice, «e anche di più, in realtà, perché qui non c'è nessuno che mi rimprovera se sto vicino al fuoco. Ah, che spasso sarà, quando dallo specchio mi vedranno qua dentro e non potranno venire a prendermi!»

Poi cominciò a guardarsi in giro e si accorse che tutto quello che già conosceva perché lo vedeva stando dall'altra parte dello specchio, nella stanza vecchia, erano cose comuni e poco interessanti, mentre il resto era quanto di più diverso si potesse immaginare. Per esempio, i quadri appesi alla parete accanto al camino sembravano tutti vivi, e perfino l'orologio sulla mensola del caminetto (come sapete, nello Specchio non potete vederne che il retro) aveva la faccia di un vecchietto che le sorrideva.

«Non la tengono in ordine come l'altra, questa stanza» pensò Alice tra sé, notando nel camino, sparsi fra le ceneri, parecchi pezzi degli scacchi, ma subito dopo, con un piccolo «Oh!» di sorpresa, si buttò a terra sulle mani e sulle ginocchia, per guardarli da vicino. Si stavano muovendo, camminavano a due a due!

«Ecco il Re e la Regina Rossi» disse Alice (in un sussurro, per paura di spaventarli), «e quei due seduti sull'orlo della paletta sono il Re e la Regina Bianchi — ed ecco le due Torri che se ne vanno a spasso tenendosi a braccetto — credo che non mi sentano» soggiunse abbassandosi un po' di più con la testa, «e sono quasi sicura che non mi vedano. Mi sento come se fossi diventata invisibile —».

A questo punto, uno squittìo proveniente dal tavolo dietro ad Alice le fece volgere il capo appena in tempo per vedere una Pedina Bianca rotolare giù e cominciare a tirar calci: restò a guardarla estremamente incuriosita per vedere cosa sarebbe successo.

«La voce della mia bambina!» gridò la Regina Bianca, alzandosi di scatto con tanta furia da far rotolare il Re in mezzo alla cenere. «O mia preziosa Lily! Mia imperiale gattina!» e prese ad arrampicarsi freneticamente su per il parafuoco.

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