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| << | < | > | >> |Indice7 Il gioco delle parti 10 Nulla & nonnulla 11 Non siamo liberi 14 Libertà civili 14 Nietzsche 15 Sartre 17 Agnosticismo 18 Cattivi maestri 19 La morte di Dio 20 Determinismo 21 Anima & corpo 23 Storia & biologia 24 Biologia del genio 25 Che fare? 27 La vita contro la morte 29 Felicità 32 Pessimismo 34 Vecchiaia 36 "Pensare positivo" 36 La morte, ovvero: il senso della vita 39 Noi vivi 41 L'Io 43 Gli Altri 47 Altrove, amore, aldilà 50 Equivalenze 51 Spigolature filosofiche 71 Pillolette morali (o umorali?) 73 Pazienza 74 Proverbi 75 Vizi & virtù 77 Trash 78 Conformismo 79 Destra & Sinistra 81 Espressività 81 Pervicace infantilismo 82 Inguaribile ottimismo 83 Va pensiero 84 Je ne regrette rien 84 Congedo 87 Appendice 89 Chiose su Leibniz 89 Libertà 90 Liberi & schiavi 91 Anima & corpo 91 Conscio & inconscio 92 Pieno & vuoto 92 Mondo morale & mondo naturale 95 Nota bibliografica |
| << | < | > | >> |Pagina 20Il determinismo non è necessariamente "rozzo determinismo", o "determinismo ingenuo", come recitano le rozze e ingenue formulette degli antideterministi a priori. Né il determinismo è incompatibile con la complessità, nemmeno con un'(ipotetica) infinita complessità. Si può concepire la realtà (ogni realtà) come ordine e/o caos, caso e/o necessità, oppure in qualsiasi altro modo: ma comunque la si concepisca, ogni realtà è sempre radicalmente condizionata, da parte a parte e da cima a fondo (metafore spaziali), o da prima a dopo e da dopo a prima (metafore temporali). Ogni realtà, e quindi anche la realtà d'ogni individuo vivente, animale o vegetale. Dunque anche la realtà d'ogni individuo umano. E il fatto che noi uomini, nell'odierno momento evolutivo, siamo in genere abbastanza riluttanti ad applicare alla nostra esimia specie animale quei presupposti deterministici che ci sembrano ovvi nel caso degli altri esseri viventi, è solo frutto di miope e ingenua prosopopea. | << | < | > | >> |Pagina 36Per la mentalità comune, nelle odierne società occidentali, la morte è tabù, anzi, il tabù per eccellenza. Spesso è disdicevole anche solo evocarla, perciò si tende a eluderla, a rimuoverla. Come se ciò giovasse alla vita, alla salute, e favorisse, per dirla volgarmente, il "pensiero positivo". Non sono d'accordo (e so di non essere il solo, naturalmente). La mia opinione è che si possa "pensare positivo" solo dopo aver guardato in faccia la realtà senza mistificarla. E la morte, come la vita, è inesorabilmente reale. Vita e morte sono la quintessenza della nostra realtà. | << | < | > | >> |Pagina 36Certuni muoiono perché sono profondamente stufi di vivere, e "si lasciano morire". Anche per questo, forse, non sono ancora morto: malgrado tutto, non sono ancora stufo di vivere. «Si muore come si può», scriveva Stendhal. È innegabile, o meglio: si vive come si può, e siccome la morte fa parte dell'arco della vita, è anche vero che "si muore come si può". In sei miliardi che siamo, con le ininterrotte folate di neonati e di neomorti, che importanza avrà mai morire un po' prima o un po' dopo, un giorno prima o un giorno dopo, un decennio prima o un decennio dopo? La differenza è davvero irrilevante. Nasciamo, comunque, per la morte. A maggior ragione, la scelta se prendere o meno un'iniziativa, se scrivere o non scrivere, significa forse qualcosa? Essere, non essere: questo, davvero, non è un problema. | << | < | > | >> |Pagina 38Pensieri di morte, di vanità, di non senso. Per me, essere vivente, il senso si compendia nella mia vita personale, che ineluttabilmente si spegne, come si spegnerà la vita della specie, e l'intera biosfera. Ma se anche il "mondo della vita", per ipotesi assurda, continuasse indefinitamente a perpetuarsi, ciò non mi riguarderebbe in alcun modo, ahimè. (Ahimè?).Ciò che deprime nella condizione umana, più ancora della sua estrema caducità, è la sua totale irrilevanza. Siamo trascurabili (e non sempre iridescenti) come bolle di sapone, è questa la nostra vera miseria, perché toglie ogni effettivo significato alla nostra esistenza. Persino la morte, nella sua inesorabilità, è meno morti-ficante. Se non fossimo tutti, provvidenzialmente, dei mitomani che si automitizzano in uno scenario mistificato (il cosiddetto "consorzio umano"), non reggeremmo neppure un attimo. | << | < | > | >> |Pagina 44Intendiamoci: è istintiva la speranza di consolarci con la rassicurante presenza altrui, in primo luogo delle persone care. Spesso ne ricaviamo un calore vero, di carattere biologico-emotivo. Il che non è poco, anzi, è moltissimo. Però non cancella le tante cose che sappiamo. E noi sappiamo bene quale sarà l'inesorabile destino di questi nostri compagni di sventura, inclusi quelli da noi generati e i loro discendenti (ma è vano recriminare di averli generati, tutto quel che accade è inevitabile, oltre che irreversibile): sarà non diverso dal nostro. Noi viventi, tutti quanti, naufraghiamo in un oceano di annullamento, di irrilevanza, di non senso, dove la filosofia non può offrire nessuna ciambella di salvataggio: pensare ci produce tanti più o meno effimeri pensieri, tante più o meno iridescenti bolle di sapone il cui istantaneo svanire non è che un aspetto dell'immane vacuità del nostro scoramento.Quanto sopra non vieta di formulare considerazioni più superficiali. Anzitutto, c'è un luogo comune con il quale concordo: coltivare i rapporti con gli altri, mantenere con il nostro prossimo una partecipe, costante consuetudine, giova alla salute, al senso di benessere individuale (proprio come giova alla salute seguire una corretta dieta alimentare o praticare con regolarità un sano esercizio fisico). Inoltre offre anche un altro vantaggio, da non sottovalutare: ci serve a ridimensionare i nostri personali problemi. Il che rafforza una mia radicata convinzione: l'altruismo "conviene" per motivi puramente egoistici. Più precisamente, conviene perché è in linea con la sopravvivenza biologica (dell'individuo "altruista", e della specie a cui appartiene), ed è in antitesi con l'autodistruttività. Infine, da un punto di vista conoscitivo, è molto più facile osservare gli altri che se stessi. | << | < | > | >> |Pagina 47Non so se succeda solo a me. Ma quando un libro ha tutti i requisiti per piacermi, tanto più mi piace quanto meno conosco l'autore. Se poi dell'autore non so davvero nulla, è il massimo. Perché, come nessuno è un grand'uomo per il proprio maggiordomo, così mi riesce impossibile mitizzare un autore, qualunque autore, quando lo conosco davvero. Certo, leggendo le pagine scritte da una persona che non mi è del tutto estranea, posso essere stuzzicato dalla curiosità, dall'interesse pettegolo, e mi può anche succedere di apprezzarle molto, o di divertirmi. Ma il piacere della lettura non è mai così intenso come quando il libro mi giunge da un Altrove di cui non conosco (ancora) un bel nulla. | << | < | > | >> |Pagina 59Tzvetan Todorov, saggista franco-bulgaro ben noto nei circoli letterari parigini ed europei, ha espresso, in tema di libertà, una posizione su cui ancor oggi il consenso mi pare sia pressoché unanime.Todorov concede, bontà sua, che la nostra umana libertà è condizionata dal patrimonio genetico, dalla società e dalla cultura in cui si nasce, dalla lingua, dall'ambiente familiare e dall'educazione che se ne riceve, dal periodo storico e dalla classe sociale a cui si appartiene ecc. ecc. Tuttavia, afferma, «nessuno di questi condizionamenti è insormontabile: l'individuo può anche sottrarsi al suo paese, alla sua lingua, al suo ambiente, ai traumi della sua infanzia, può modificare il suo aspetto fisico, se non addirittura il suo sesso. La specie umana possiede questa capacità a un livello più alto rispetto a tutte le altre specie, proprio perché dispone di una coscienza - che le permette anche di dire io. Avere una coscienza significa sdoppiarsi - accanto all'essere appare la sua rappresentazione - e avere la possibilità di modificare se stessi. Gli uomini obbediscono alla necessità, ma possono anche fare uso della volontà ed esercitare così la loro libertà; essi possono sempre, diceva Rousseau, "accondiscendere o resistere". È per questo motivo che sono l'unica specie a conoscere il giudizio morale: in ogni situazione essi possono, fino a un certo punto, scegliere la direzione della loro azione, e quindi agire bene o male». In sostanza, Todorov condivide l'opinione generale che l'uomo sia libero, sia pure entro certi limiti; e il brano che ho citato per esteso contiene tutti (o quasi) i luoghi comuni più ripetuti in tema di libertà individuale. Naturalmente non sono per nulla d'accordo con Todorov (né, temo, con quasi nessuno), per ragioni che ho già abbondantemente esposto. Mi limiterò, qui, a un solo rilievo. Todorov si sofferma su una delle molteplici accezioni del termine "libertà", quella contrapposta al termine "tirannia": nei confronti della tirannia, dice, l'uomo può scegliere fra subire e ribellarsi. Ma non si rende conto che si tratta di una "scelta" illusoria, in quanto dettata da ciò che quell' uomo è diventato in base a tutti i condizionamenti da lui subiti. Del resto, non solo l'uomo, ma anche ogni altro animale può "scegliere" se subire o ribellarsi. Essendo l'uomo un animale" culturale", le sue possibili "scelte" saranno senza dubbio molto più variegate e sofisticate di quelle del topolino, ma saranno pur sempre delle "scelte" solo apparenti: il topolino tenderà unicamente a optare in base a criteri di sopravvivenza molto elementari rispetto agli impulsi che muovono l'individuo umano (nel quale agiranno anche motivazioni sociali, civili, umanitarie, eroiche, snobistiche, conformistiche, provocatorie, sacrileghe, nichilistiche). Ma in entrambi i casi l'assenza di ogni traccia di "libero arbitrio" è assoluta.
Invece, a ben guardare, Todorov (e chissà quanti come lui) non solo
riconosce una fiammella di libertà agli esseri umani, ma tende addirittura a
estenderla agli altri animali: facendo evidentemente confusione fra ben diversi
significati del termine "libertà". Lo si desume, ad esempio, da una sua battuta,
scherzosa ma rivelatrice: «Se la volpe è libera nel pollaio, le galline non
resteranno libere a lungo». Caro professor Todorov, se è libertà quella delle
volpi e delle galline, allora non ho più obiezioni: anche l'uomo è libero.
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