Copertina
Autore Roberto Casati
CoautoreAchille C. Varzi
Titolo Buchi e altre superficialità
SottotitoloI buchi sono oggetti reali? Illusioni cognitive? Entità metafisiche?
EdizioneGarzanti, Milano, 1996 , pag. 333, dim. 140x210x28 mm , Isbn 978-88-11-59279-2
OriginaleHoles and Other Superficialities [1994]
TraduttoreLibero Sosio
LettoreRenato di Stefano, 1998
Classe matematica
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice

Prefazione all'edizione italiana         9
Prefazione all'edizione americana       11

1. Introduzione                         13


2. Particolari superficiali             21

Una macchiolina sulla parete            21
Le superfici pongono vari problemi
    filosofici                          22
Una nozione preanalitica di superficie  23
Qualche formalità                       24
I buchi come particolari superficiali   25
Superfici, superfici potenziali e parti 27
Le discontinuità e le perturbazioni
    possono muoversi o cambiare
    di dimensione                       29
I buchi sono sempre in (o attraverso)
    qualcosa                            29
Quando il buco prende il sopravvento    31
La dipendenza ontologica dei buchi      32
Concavità                               34
Curvature e configurazioni superficiali 35

3. Corpi immateriali                    39

Buchi lewisiani                         39
Ambiguità pericolose                    41
Un'alternativa radicale                 45
Due teorie, e altre ancora              46
Di che cosa sono fatti i buchi?         47
Materia e spazio                        48
I buchi come corpi immateriali          49
Realtà e potenzialità                   50
I buchi, i loro ospiti e gli spettri
    immateriali                         51
Una teoria minima dei corpi immateriali,
    e tutti i problemi sono risolti     52
Sommario                                54

4. Concavità, fori, cavità interne,
   e altro ancora                       55

Paradigmi                               55
Passare attraverso: sulla differenza
    fra concavità e fori                57
Occhio al nodo                          60
L'uso di lacci per contare i fori       61
Ancora sul conteggio dei fori           63
Buchi perforanti                        64
Tentiamo di contare i fori guardando
    il genere                           66
Fori parziali e fori sovrapposti        68
Le parti dei fori sono a loro volta
    dei fori?                           69
Il lato nascosto delle cose:
    una regola per contare le cavitá    70
Due modi di contare le superfici        71
Buchi esterni                           72

5. Tappi e gusci                        73

In difesa della morfologia              73
La varietà morfologica dei buchi        73
Un buco riempito è ancora un buco       74
Tappi parziali, completi e perfetti     76
Riempire un buco ed essere in un buco   77
Ancora su morfologia e topologia        78
Buchi BatMan e tappi reciproci          80
Muri, ponti e altri tappi-limite        82
Perché i tappi sono così importanti     83
Oggetti infiniti                        86
Come togliere il guscio ai tappi        90
La teoria dei gusci e la sua importanza 91
Ci sono buchi in Flatlandia?            93
I Paesi Piatti come mondi infiniti      95
Che cosa sono i buchi flatlandesi       96
Buchi e bordi: altri usi della
    morfologia                          97
Sommario: ragionando di tappi e
    di gusci                            98

6. Storia naturale delle discontinuità 100

Abbiamo una nozione chiara di che cosa
    sia una crepa interna?             100
Punti di rottura                       101
Crepe di Möbius                        103
Crepe interne chiuse e buchi interni   104
Altri casi limite                      106
Crepe interne e cavità senza volume    107

7. Le parti dei buchi                  109

La mereologia dei buchi                109
Un avvertimento sulla mereologia
    «canonica»                         111
Parti e tappi                          115
Buchi impilati                         117
Una confutazione del monismo bucologico121
Problemi di localizzazione             122
Essere in un buco                      123
Parti come buchi                       125
Bordi e parti riempibili               126
Fori a fisarmonica e buchi a manubrio  128
Una nota sulla dissettività            129
Parti, buchi e dipendenza ontologica   131
Riassunto                              134

8. Causalità, forme e solidità         136

Due incontri con l'uomo invisibile     136
Buchi e disposizioni                   137
Il dilemma è reale?                    139
Alcuni individui non sono portatori
    di disposizioni                    140
I buchi sono fatti di spazio:
    tutti i problemi risolti           140
I buchi devono trovarsi solo
    in oggetti materiali?              141
Le bolle sono dei buchi?               142
Bolle di un tipo speciale              143
Causalità e forme                      144
Buchi e oggetti ospitanti:
    interazioni causali                145
Il caso del buco che ruota             148
Ma i buchi, in quanto corpi
    immateriali, sono plastici         153
Un interludio sullo spazio vuoto e
    sulla causalità immanente          155
Aggregati connessi causalmente         155
Il caso della ciambella esplosa        158
Un quesito sulle fessure               159

9. Identità senza sostanza             161

Sul fatto di essere lo stesso buco     161
Il cuscino di Kant                     162
Identità e continuità spaziotemporale  163
La continuità spaziotemporale è a volte
    sufficiente per l'identità         164
Sopravvivenza di entità di un
    qualche genere                     165
La continuità spaziotemporale
    è necessaria?                      166
Buchi di Malebranche                   168
Un analogo modale                      169
L'ospite ambiguo                       171
I buchi non migrano                    172
Buchi "fi"                             173
I buchi dei cartoni animati            174

10. Fare un buco                       176

Come nascono i buchi?                  176
Ricette topologiche                    177
Fori istantanei                        178
Come si può creare una cavità?         179
La produzione di buchi pieni           181
Buchi prefabbricati e ready-made       183
Diaframmi                              184
Buchi, manufatti e quasi-buchi         185
La distruzione dei buchi               188
Annichilazione                         190
Osservazioni finali                    191

11. Riconoscere un buco                192

Il desiderio del realista              192
La percezione: l'obiezione causale     193
Condizioni figurali                    196
Figura e sfondo: macchie bianche?
    buchi neri?                        196
Figura e sfondo: sull'importanza
    di avere un bordo                  198
Lo strano caso del buco che gira e
    del bordo che slitta               200
Concavo e convesso                     201
Spazi vuoti e buchi                    204
Raffigurazioni di buchi                204
Gestalt dominanti                      207
Pensare in negativo                    208
Il ragionamento complementare          210
L'inversione dei buchi                 211
Bolle e cavità                         213
Un esame più ravvicinato:
    vista e tatto                      214
Buchi e ombre                          216
Udire i buchi, e altri scavi
    epistemici                         217

12. Parole nel vuoto                   218

Torniamo al linguaggio                 218
Una nozione generale                   219
Le parafrasi tornano d'attualità       220
Iscrizioni                             226
Il vuoto                               228
Il campo metaforico del vuoto          229
Il campo semantico del vuoto           230
Il campo sintattico del vuoto          231

Appendice.

Lineamenti di una teoria               237

1. Ontologia                           239
2. Mereologia                          240
3. Topologia                           245
4. Morfologia                          251

Rompicapo ed esercizi                  259

Altre letture                          271
Indice analitico                       313

 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 13

1. Introduzione


Noi tutti parliamo di buchi, li contiamo, li descriviamo e li misuriamo. Spieghiamo certi comportamenti delle persone e degli animali attribuendo loro intenzioni e altri atteggiamenti il cui contenuto comporta un riferimento a dei buchi, o una loro rappresentazione. Si fanno certe cose perché si crede di essersi imbattuti in un buco, perché si vuole scavare un buco, passare attraverso un buco, balzare al di là di un buco, uscire da un buco, o nascondervisi dentro. I buchi sono qualcosa su cui ragioniamo comunemente e - come tanti altri oggetti, fra cui per esempio i tavoli, le pietre, le gocce d'olio - sembrano indispensabili nella spiegazione di certe interazioni causali. Un buco in un secchio ne lascia uscire l'acqua; una galleria in una montagna permette al treno di attraversarla. E' la forma del buco che fa sì che il dado si avviti sul bullone. In effetti i buchi sembrano essere essenziali per certi oggetti: una ciambella, un salvadanaio, o un pezzo di vero Emmenthal. Un colabrodo, un ago, una serratura o un flauto non sarebbero quel che sono - e non potrebbero funzionare come funzionano - se non avessero dei buchi. Persino la distinzione di senso comune fra dentro e fuori, fra interno ed esterno, è legata in qualche misura alla nozione di buco.

Tutto questo sembra suggerire che si debbano accogliere i buchi - e altre entità affini, come cavità, rientranze, crepe, fessure e fenditure - nel nostro inventario ontologico di base, assieme ai tavoli, alle pietre e alle gocce d'olio. Ma i buchi sono più scomodi da sistemare, ed è più difficile convivere con loro. Forse soltanto un filosofo austero si azzarderebbe a mettere in discussione la realtà dei tavoli e delle pietre. Basta chiedere però a una persona qualunque che cosa siano i buchi - i buchi «veri», della realtà quotidiana, non i buchi astratti della geometria - ed ecco che comincerà probabilmente a parlarci di assenze, di non entità, del nulla, di cose che non esistono. Ma esistono queste cose?

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 17

Che cosa sono dunque i buchi: i buchi veri, come abbiamo detto? Man mano che si amplia la gamma degli esempi e della casistica, l'interrogativo apre una finestra su una grande varietà di problemi filosofici.

Un sistema per dare forma alla nostra ricerca è quello di studiare il modo in cui percepiamo i buchi e la complessità delle convinzioni che attribuiamo alle persone o agli animali quando ragionano (o sembrano ragionare) sui buchi. Questo compito implica una varietà di prospettive, non solo diverse ma a volte complementari fra loro. Ragionare sui buchi significa ragionare sulle forme di certi oggetti, ma anche sulle loro disposizioni o capacità a interagire con altri oggetti; sul modo in cui un buco è o può essere generato, modificato, usato, distrutto; e, ancora, sul modo in cui è o può essere percepito, identificato, reidentificato. Seguiremo tutti questi indizi. Finirà gradualmente per emergerne un quadro, complesso e forse anche un po' curioso, ma tutto sommato abbastanza regolare e unitario: una teoria dei buchi, insomma, piuttosto che una definizione esplicita di che cos'è un buco.

Prendiamo la forma, tanto per cominciare. Se pensiamo a un buco, spesso pensiamo alla forma di qualcosa. A volte si pensa alla forma del corpo o oggetto in cui il buco è ospitato (e i cui cambiamenti di forma possono evidentemente incidere sul buco); altre volte, più spesso, si pensa alla fonna del corpo o oggetto ospitato nel buco: si descrive la forma di un buco attraverso la forma del suo «tappo» ideale, di quell'oggetto immaginario che potrebbe essere usato per riempire perfettamente il buco. Al tempo stesso, c'è un senso chiaro in cui possiamo dire che i buchi hanno una forma tutta loro che noi possiamo riconoscere, misurare, comparare e modificare.

Consideriamo, in secondo luogo, quanto siano importanti per la nostra ricerca i concetti disposizionali. Possedere il concetto di buco significa possedere un concetto intrinsecamente disposizionale. Questo bicchiere è vuoto, ma potrebbe essere pieno. I buchi connettono all'ambiente, in modo controfattuale, l'oggetto che li ospita: essi danno origine a una serie di connessioni relazionali fra l'oggetto e ciò che può circondarlo. Se si può pensare a un buco, si deve anche poter pensare che il buco può o no essere riempito, che certe cose si muoverebbero in modi diversi solo perché il buco è presente o meno, che una cosa sarebbe inutile se non fosse per il suo buco, o addirittura che una cosa non sarebbe ciò che è senza il suo buco. In ognuna di queste speculazioni controfattuali, la causalità svolge un ruolo importante, poiché la spiegazione di questi tratti disposizionali è tipicamente una spiegazione causale.

In terzo luogo, consideriamo l'ipotesi che ragionare sui buchi significhi ragionare sul modo in cui si creano o si possono creare i buchi, su come li si può maneggiare e su come li si può distruggere. A volte si progettano e si eseguono intere serie di azioni i cui oggetti sono buchi o implicano buchi; i buchi sono il risultato di processi di cui noi siamo gli attori primari (anche se non necessariamente volontari). Scavare, trapanare, trivellare, punzonare, perforare, allargare, riempire, oltrepassare, cadere in, guardare attraverso, nascondersi dentro: tutte queste, e tante altre, sono cose che facciamo con i buchi, o comunque in loro presenza. E queste operazioni possono essere stilizzate in modo da ottenere operazioni ideali, astratte, che possono fomirci raffinati strumenti tassonomici. Così, una frattura può diffondersi e dividere un cubo in un pezzo cilindrico circondato dal suo complemento; si può rimuovere il cilindro e infilare uno spago nel buco risultante, usandolo poi per trasportare il pezzo che è rimasto. E via dicendo.

Infine, in presenza di certe configurazioni, si ha spesso l'impressione di percepire un buco, e si reagisce di conseguenza (anche se in realtà non c'è alcun buco). Come ha origine quest' impressione? Quali configurazioni vengono tipicamente considerate indicative della presenza di un buco nel nostro ambiente? Di nuovo, in certi contesti alcune persone sono indotte a pensare che il buco che vedono o a cui pensano sia quello che hanno visto o a cui hanno pensato in altre occasioni. E sono pronte a fornire delle ragioni: il buco ha esattamente la stessa grandezza, si trova nello stesso posto, o nello stesso oggetto. Queste ragioni non possono essere ignorate se vogliamo ottenere una metafisica adeguata (e criteri di identità appropriati) per i buchi.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 32

La dipendenza ontologica dei buchi

Il fatto che i buchi siano sempre in qualcosa - e che possano essere creati solo operando su qualcosa - ne fa delle entità ontologicamente dipendenti: un buco non può venir separato dall'oggetto che lo ospita (proprio come le superfici). Come abbiamo già menzionato, non intendiamo negare con ciò che i buchi abbiano una vita propria. Essi hanno infatti una data di nascita e una carriera e possono mutare forma, grandezza, profondità e larghezza: insomma, anche i buchi possono avere un curriculum vitae di tutto rispetto. Ma un buco non può fare nulla - e nulla può accadergli - senza la mediazione di un qualche oggetto che lo «ospiti». Il fondamento dell'essere stesso di un buco risiede nell'oggetto che lo ospita, o meglio nella superficie dell'oggetto che lo ospita: un buco ha bisogno di un oggetto sulla cui superficie «crescere» e trovare un luogo in cui starsene.

Questo tipo di dipendenza ontologica - che etichettiamo dipendenza superficiale per sottolineare ancora una volta che i buchi vanno di pari passo con le superfici - è un fatto di necessità de re. Esso va distinto dalla relazione di dipendenza che è espressa implicitamente da una frase come «Ogni madre ha un figlio», che è un caso di dipendenza concettuale (o de dicto). E' vero che, stando al significato solitamente attribuito alle parole «madre» e «figlio», non può esistere una madre senza un figlio; ma non è vero di nessuna madre che lei - quella donna - non potrebbe esistere se non avesse partorito alcun figlio. Per contrasto, quando diciamo che ogni buco ha un oggetto in cui è ospitato, in cui esiste, intendiamo proprio questo: nessun buco può esistere da solo, senza l'oggetto nel quale esso è un buco.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 46

Due teorie, e altre ancora

Abbiamo visto che ci sono almeno due modi diversi di intendere i buchi. Innanzitutto si può accettare in blocco il suggerimento che i buchi siano parti superficiali, ossia parti della superficie di un oggetto: le proprietà di un buco sono tutte le proprietà di una certa parte della superficie di un oggetto (teoria 1; possiamo chiamarla la «Teoria Superficiale»). Altrimenti c'è l'idea dei Lewis per cui i buchi sarebbero parti di oggetti materiali, ovvero gli intorni dei buchi (teoria 2, o Teoria Lewisiana).

Ovviamente queste due teorie non esauriscono lo spazio delle possibilità. Per esempio le si può combinare. Secondo la variante che ne risulta (che chiamiamo teoria 2-), i buchi sono intorni di buchi superficiali. Equivalgono quindi alla superficie di un qualsiasi buco nel senso della teoria 2; ma equivalgono anche a una qualsiasi parte di una superficie che comprenda quello che, nella teoria 1, è un buco. Vi sono in effetti interessanti relazioni tra queste teorie. Per esempio, i buchi nel senso della teoria 1 sono buchi minimi sia nel senso della teoria 2- sia nel senso della teoria 2.

Si potrebbe considerare anche il punto di vista radicale secondo cui il buco coincide con la totalità dell'oggetto che lo ospita. Quest'ipotesi - chiamiamola teoria 2+ - non va confusa con la posizione filosofica del reismo, secondo la quale i buchi non esisterebbero affatto dato che esistono solo oggetti materiali. Secondo la teoria 2+, invece, i buchi esistono: essi sono intorni di buchi massimali e coincidono spazialmente con l'intero oggetto bucato. (Problema per i lettori: come distinguere, nella teoria 2+, un oggetto bucato dal suo buco?).

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 49

I buchi come corpi immateriali

Ecco dunque la nuova teoria: i buchi sono spaziosi; sono fatti di spazio; constano di «mera» materia non qualificata. Essi sono - diremo - corpi immateriali, e «crescono» da parassiti, come funghi negativi, sulla superficie dei corpi materiali.

Questa «Teoria Immateriale», o semplicemente teoria 3, condivide con le teorie 1 e 2- l'idea che i buchi siano particolari superficiali (sono situati alla superficie di oggetti materiali). La Teoria Immateriale offre però anche un modo di render ragione della nostra intuizione preanalitica stando alla quale i buchi sono in qualche modo complementari agli oggetti materiali (vedi la figura 3.8). La Teoria Immateriale non stacca i buchi dagli oggetti che li ospitano (il legame ontologico rimane), ma fornisce un mezzo per sganciarli concettualmente dalle cose in cui si trovano, e richiama la nostra attenzione non sull'oggetto materiale che contiene il buco ma su ciò che è o potrebbe essere contenuto nel buco.

Ovviamente bisognerà scrutinare le conseguenze di questa teoria. I nostri presunti «corpi immateriali» rischiano di risultare una sorta di flogisto filosofico, un nuovo tipo di etere (per rimanere più vicini alla loro vera natura). Sono così eterei da svanire completamente? Consideriamo qualche obiezione e qualche rompicapo.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 53

L'espressione corretta della Teoria Immateriale sembra essere quindi la seguente: i buchi sono o corpi immateriali veri e propri (cavità) o parti di corpi immateriali (concavità e fori). In quest'ultimo caso, quando un buco è riempito perfettamente viene a essere separato dal corpo immateriale di cui faceva parte, diventando un corpo immateriale vero e proprio. I buchi possono essere fatti di solo spazio, senza dover essere identici ad alcuna regione di spazio, e hanno una vita intrinsecamente parassitica.

Sommario

La nostra indagine ci ha condotti a discutere diverse teorie dei buchi, diversi modi di interpretarli: come parti superficiali (teoria 1); come parti materiali, ovvero come intorni di buchi (teoria 2); o come corpi immateriali localizzati sulla superficie dei corpi materiali (teoria 3). (Guardate di nuovo le figure 3.7 e 3.8.) Abbiamo suggerito che la prima teoria è troppo riduttiva, e abbiamo argomentato contro la seconda (e contro certe sue possibili variazioni) in quanto controintuitiva. Di contro, la teoria 3 (la Teoria Immateriale) sembra fornirci un modello naturale della nostra intuizione preanalitica secondo cui i buchi sono in qualche modo complementari agli oggetti materiali, e lo fa distogliendo la nostra attenzione dall'oggetto che ospita un buco per indirizzarla su ciò che potrebbe essere ospitato dal buco.

Nella parte restante del libro esamineremo questi argomenti in modo più analitico. Cercheremo di mostrare che la Teoria Immateriale dà dei buoni risultati, ma ci occuperemo anche di alcuni sviluppi indipendenti dalla teoria. Cominceremo così esaminando in modo più attento le differenze geometriche fra i vari tipi di buchi: differenze che abbiamo già menzionato più di una volta e che ora stanno cominciando a svolgere un ruolo importante nelle nostre discussioni. Affronteremo poi alcune importantissime questioni: che cosa significhi riempire un buco, e quali tipi di connessioni si possano istituire fra un buco e i suoi tappi (potenziali o reali, parziali o completi). Diventerà allora chiaro perché e come i buchi siano dei parassiti ontologici.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 55

4. Concavità, fori, cavità interne,
e altro ancora

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 70

Il lato nascosto delle cose: una regola per contare le cavità

I fori sono solo un tipo di buchi. In quanto attraversano un oggetto, sono concettualmente a metà strada fra le concavità, che si installano al suo esterno, e le cavità, che si celano nel suo interno. L'assenza di contatto di queste ultime con l'esterno rende impossibile usare lacci o anelli non separanti per caratterizzare le cavità, poiché un anello può essere ridotto a un punto sulla superficie di una cavità, esattamente come può essere ridotto a un punto sulla superficie di un oggetto senza fori. (Rappresentano un'eccezione le cavità a forma di ciambella, ed è questo il motivo per cui esse si comportano anche come fori.) C'è tuttavia un modo semplice per smascherare la struttura nascosta dell'Emmenthal.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 71

Due modi di contare le superfici

Eccoci dunque tornati alle superfici. Il nostro problema, questa volta, è il loro numero. Quante superfici ha un cubo? Sei, secondo un'intuizione; solo una secondo un'altra.

Possiamo qui istituire una distinzione fra le facce di un oggetto e la sua superficie (o superfici). Una faccia è una parte della superficie che è isolata da altre parti di tale superficie, pur non essendo sconnessa da esse. Così, se un oggetto ha una faccia isolata, deve avere in realtà almeno due facce: essere una faccia isolata è una proprietà relazionale. (In questo senso le sfere sono oggetti senza faccia, contrariamente ai prismi.) Ovviamente non si può dire lo stesso per le superfici. Si possono avere oggetti con due o più superfici, ma la superficie di una cavità interna non è isolata nel senso appena discusso. Essa è piuttosto separata, ossia sconnessa topologicamente dalla superficie esterna. Più precisamente, diciamo che un oggetto x ha una superficie separata se ci sono almeno due parti superficiali di x che non sono connesse superficialmente (cosi, come nel caso delle facce isolate, un oggetto con una superficie separata ne avrà di certo almeno due). Il nostro criterio per il conteggio delle cavità si basa allora non sul numero di superfici isolate, ma sul numero di superfici separate.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 73

5. Tappi e gusci


In difesa della morfologia

I concetti topologici offrono la possibilità di distinguere un oggetto con un foro da un oggetto non forato, e possiamo contare il numero delle superfici per discernere un oggetto provvisto di cavità da un oggetto senza cavità. Ma come si può caratterizzare un oggetto con un buco che non sia né un foro né una cavità? Abbiamo visto, per esempio, che da un punto di vista puramente topologico non c'è alcun modo per distinguere fra una sfera e un cubo che ha una concavità. Un dado di plastilina con una piccola rientranza sulla superficie può subire una lieve defonnazione elastica che sopprimerà il buco e renderà il dado simile a una sfera, senza che la superficie del dado venga tagliata in alcun punto.

Questa è probabilmente la motivazione più semplice a favore dell'introduzione di concetti morfologici nella nostra ricerca. Tanto una concavità che un foro sono buchi. Occorrono quindi altri concetti, oltre a quelli topologici, per poter intrappolare concavità, rientranze e sporgenze, insomma tutto ciò che è caratteristico di un oggetto bucato ma non perforato. E abbiamo bisogno di questi concetti per giustificare la sensazione che cavità, concavità e fori facciano parte di una singola famiglia. La rete di tali concetti potrebbe essere denominata morfologia. Quali sono i suoi tratti portanti?

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 83

Perché i tappi sono così importanti

Siamo ora in grado di riprendere la domanda iniziale su come possiamo acquisire informazioni sui buchi studiando i modi in cui essi possono essere riempiti.

Consideriamo un buco h con un tappo perfetto p. Chiamiamo libere quelle parti superficiali del tappo che non sono in contatto con qualche parte superficiale dell'oggetto che ospita il buco. E chiamiamo faccia libera del tappo ogni parte superficiale massimale libera di p, cioè ogni parte superficiale libera di p che non sia una parte propria di qualsiasi altra parte superficiale libera dello stesso p. Si può verificare che p è un tappo perfetto di h se e solo se è un tappo completo di h le cui facce libere (se ce ne sono) siano tutte minime (ossia tali che non ci sia una superficie minore che abbia lo stesso confine). Da questo fatto si possono trarre alcuni corollari interessanti.

Per cominciare, ora siamo in grado di vedere che la distinzione fondamentale fra concavità, fori e cavità, che nel capitolo 4 è stata formulata in termini topologici, può venire formulata esclusivamente in termini di tappi e di facce libere, almeno per i casi tipici. Una cavità interna ha un tappo perfetto con .cors zero facce libere; una concavità ha tipicamente una sola faccia libera; e un tipico foro da parte a parte ha un tappo perfetto con .cors almeno due facce libere (vedi la figura 5.10). Tutto questo è in accordo con il criterio presentato nel capitolo 4, secondo il quale in un oggetto ci sono cavità se e solo se l'oggetto ha almeno due superfici separate. Ciò suggerisce anche che, nel caso del foro-cavità a forma di ciambella, l'elemento dominante sia la cavità, mentre il foro perde importanza (non avendo facce libere).


  superfici separate dell'oggetto:
             quante?
             /    \
            /      \
           /        \
         <2         >=2
          |        cavità
          |
          |
          |
 facce libere del tappo:
       quante?
       /    \
      /      \
     /        \
   <2         >=2
concavità    foro

Figura 5.10. Come distinguere i buchi contando le superfici (o le facce): un albero classificatorio.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 90

Come togliere il guscio ai tappi

Torniamo ora al nostro tema principale. Abbiamo visto che i tappi ci permettono di trattare gli oggetti bucati in modo complementare: una fonna di ragionamento duale che può essere molto illuminante. L'importanza dei tappi non consiste però solo nel loro ripieno, per così dire, ma anche nel loro «guscio», ossia nelle loro superfici non libere. La figura 5.16 illustra come si comporta nei casi più semplici la funzione guscio ("sigma"), una funzione che associa ogni buco al guscio del suo tappo perfetto.

Com'è ovvio, il risultato di "sigma" non è topologicamente equivalente all'oggetto bucato su cui a opera. Piuttosto, la funzione fornisce la topologia della parte della superficie del tappo che è in contatto con la superficie dell'oggetto ospitante (o, cosa equivalente, della parte della superficie dell'oggetto ospitante che è in contatto con la superficie del tappo perfetto). Di fatto, si apprezza più facilmente il ruolo intuitivo svolto da "sigma" se si parla del guscio di un tappo come del guscio del buco, intendendo il guscio associato a un buco.

...

C'è dell'altro. Notiamo innanzitutto che le depressioni si conformano al nostro schema. Potrebbe essere difficile stabilire qual è il guscio esatto di una depressione ma, una volta che lo si sia deciso convenientemente, è facile vedere che si comporta come il guscio di una concavità. Notiamo, in secondo luogo, che il fatto di parlare di gusci non ci vincola ad alcuna ipotesi sulla natura dei buchi. Si potrebbe dire: «Voi suggerite che molte proprietà dei buchi vengano spiegate dalle proprietà dei loro gusci; perché quindi insistete sulla tesi che i buchi siano corpi immateriali? Perché non aderite alla tesi della loro natura superficiale?». Questa è un'osservazione importante, ma la risposta è semplice. Anche quando ci occupiamo delle proprietà topologiche dei corpi solidi abbiamo in fondo bisogno di parlare solo delle superfici di tali corpi. Ciò non ci costringe però a ridurre - in alcun senso - i corpi solidi alle loro superfici. Analogamente, usiamo i gusci per ordinare e classificare buchi, ma ciò non comporta che si debba riconoscere ai gusci alcun ruolo ontologicamente significante. I buchi non si riducono ai loro gusci.

La teoria dei gusci e la sua importanza

I gusci ci forniscono uno strumento così efficace e trasparente per una morfologia dei buchi che si potrebbe ottenere l'intera teoria dando uno sguardo alle figure riprodotte sopra. La complessità morfologica di un buco è la complessità topologica del suo guscio.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 93

Ci sono buchi in Flatlandia?

Abbiamo visto che i gusci possono essere di grande aiuto, e che fanno ciò che fanno a causa dei bordi che hanno. Ora possiamo approfondire quello che sembra un modo piuttosto naturale di trattare anche i bordi (o almeno alcuni di essi) come buchi, e precisamente come buchi in superfici. Uno sguardo alla figura 5.16 sarà sufficiente a illustrare questo punto. I gusci diventano oggetti indipendenti, e la loro bidimensionalità intrinseca dà origine immediatamente a una nuova serie di interrogativi: la nostra teoria dei buchi può essere applicata anche alle varietà bidimensionali? Ci sono buchi in Flatlandia? E in tal caso, che tipi di buco ci sono?

Flatlandia è il mondo immaginario descritto da Edwin A. Abbott nel suo romanzo multidimensionale del 1882. E' un mondo piatto, abitato da personaggi piatti a forma di triangoli, esagoni e cerchi. Possiamo immaginare Flatlandia come un mondo bidimensionale costituito o da una singola superficie o da varie superfici disposte in una regione piatta ideale (un mondo che non ha alcuna estensione nella terza dimensione, pur potendo essere intrinsecamente curvo e pur potendo ammettere modelli tridimensionali: i flatlandesi potrebbero mettersi in viaggio per cercare di scoprire, per esempio, se il loro mondo ha la forma di una sfera, o di una ciambella). Ci sono buchi in (o forse su) un tale mondo? Le nozioni di foro e di cavità che noi ereditiamo da un mondo tridimensionale possono essere corrette in modo da avere un senso in un ambito bidimensionale?

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 109

7. Le parti dei buchi


Un vecchio indovinello racconta di un tale che scava due grandi buche in quattro ore di duro lavoro. Quante buche scava in un'ora? «Se rispondi mezza buca ti sbagli», dice la soluzione, «poiché non esistono mezze buche. Il nostro amico ha scavato una buca: una buca più piccola di quella che avrebbe scavato a lavoro finito, ma una buca intera».

Che cosa avreste risposto? Senza dubbio la chiave alla soluzione non è se esistano o no dei mezzi buchi, ma il fatto che è impossibile scavare mezzo buco: si può scavare solo un buco intero, non una sua parte. In ogni caso la storia è istruttiva, in quanto segnala un problema più generale che ha una certa incidenza sul nostro studio. I buchi hanno parti? E se ne hanno, quali sono le relazioni fra essi e le loro parti? Per esempio, si può togliere una parte da un buco? E se si può, che cosa ne rimane? Queste sono domande legittime, nelle quali ci siamo già imbattuti in varie fasi del nostro studio (per esempio nella discussione dei fori parziali e dei fori sovrapposti nel capitolo 4). Ce ne occuperemo ora più direttamente, se non per darne una spiegazione completa almeno per mettere un po' d'ordine in questo problema. La mereologia (dalla parola greca ..., «parte») è la teoria del rapporto parte-tutto. Quello che vogliamo capire è come alcuni fondamentali fatti e principi mereologici interagiscano con le teorie dei buchi che stiamo esaminando.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 121

Una confutazione del monismo bucologico

Le osservazioni appena svolte sui buchi contenuti in altri buchi e sul fatto che i buchi possono far parte di altri buchi suggeriscono, pur nella loro incompletezza, un'argomentazione contro la posizione etichettabile come «monismo bucologico». Questa posizione può essere descritta succintamente come la teoria secondo cui esiste un solo grande buco universale. Secondo questa teoria ci sono oggetti in abbondanza, e molti di essi sembrano avere uno o più buchi, ma in realtà c'è un solo, grande buco; ogni altra cosa (noi, i pianeti del sistema solare, la totalità di tutti gli oggetti materiali) non è altro che un vasto assortimento di tappi parziali di quell'unico buco; o, se si preferisce, tutti gli oggetti materiali si sommano a formare un tappo parziale discontinuo di quel buco. (Ricordiamo che abbiamo parlato di tappi discontinuo, cioè non tutti d'un pezzo, in relazione alla figura 5.2.)

Ora, quello che non va in questa teoria è semplicemente che considerare ogni oggetto un tappo parziale (o una parte di un tappo parziale discontinuo di un grande buco non fa di quest'ultimo il solo buco. Abbiamo visto che non c'è niente di male a trattare come buchi veri e propri dei buchi che sono localizzati completamente all'interno di un altro buco (più grosso). A prescindere dal fatto che li si consideri o no parti del grande buco o buchi indipendenti che coincidono nel tempo e nello spazio con parti del grande buco, essi continuano a esistere come buchi. Perciò la teoria secondo cui esiste un unico buco è falsa.

Un esempio intuitivo illustrerà ulteriomente questo punto. Un «modello» della teoria del monismo bucologico è fornito da una caverna abitata da un gruppo di cavernicoli. Per loro la caverna è il Buco, e ogni cosa al suo interno serve in un certo senso da riempitivo di questo buco. Le cose potrebbero stare benissimo in questi termini. Ma supponiamo che una signora cavernicola abbia un buco nella borsetta: si tratta di un altro buco? Senza dubbio quel piccolo «buco» è una parte, o coincide con una parte, del grande Buco. Ma è anch'esso un buco? Certo che sì. E la verità verrà alla luce il giorno in cui la nostra signora troverà, platonicamente, il modo di uscire dalla caverna: uscendo dal grande Buco, non perderà ipso facto il buco nella borsetta.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 134

Riassunto

La mereologia dei buchi ha certo altri sviluppi possibili; senza dubbio ci sono molti aspetti che abbiamo appena sfiorato. Il lettore troverà ulteriori materiali nell'appendice, dove alcuni fatti fondamentali concernenti questi argomenti sono specificati more geometrico. La nostra discussione ci fornisce però un paio di temi per alcune conclusioni preliminari.

La teoria delle relazioni fra i buchi e le loro parti è un argomento complesso, e molti rompicapo rimangono insoluti. La cosa non è però così complicata se, come abbiamo sostenuto, la teoria corretta dei buchi è che essi siano corpi immateriali. In questo caso la peculiarità che distingue i buchi dagli altri oggetti, come i tavoli o le gocce d'olio - il fatto che essi siano immateriali - non ha alcuna conseguenza drastica relativamente ai problemi mereologici. Il problema risiede semmai nella difficoltà di ragionare con forme bizzarre. In effetti, i buchi risultano per certi aspetti ancora più normali, mereologicamente, dei corpi materiali, essendo molto simili a porzioni di spazio.

A conti fatti, quindi, non sembrano molti i problemi di mereologia dei buchi che non si presentino già nel caso dei corpi materiali. Come abbiamo visto, si tratta per lo più di problemi che riguardano le proprietà della relazione parte-tutto in situazioni dinamiche (buchi che si muovono), e il loro trattamento sembra dipendere in grande misura da considerazioni causali. E questo è il soggetto del prossimo capitolo.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 144

Causalità e forme

La maggior parte della nostra discussione sui tappi ha richiesto una nozione che potrebbe essere caratterizzata in termini puramente geometrici. In breve, un oggetto z è un tappo di un buco x se, e solo se, si trova in x e se ogni parte superficiale di z che conta è in contatto con una parte superficiale dell'oggetto che ospita x. Ma c'è dell'altro. Un tappo vero è, tipicamente, un oggetto materiale solido (in certi casi speciali potrebbe anche essere una porzione di un liquido o di un gas, come abbiamo appena visto nella nostra discussione sulle onde e le bolle), e una volta che esso occupa la sua posizione nel buco, la sua possibilità di movimento è molto più ristretta. Chiodi e chiavi sfruttano in modo essenziale questa limitazione: il corpo riempitore è tenuto fermo nell'oggetto dal buco.

Un altro tipo importante di interazione avviene quando la superficie di un oggetto si riduce allorché i suoi buchi vengono riempiti. (Per comodità stiamo considerando l'aggregato composto dall'oggetto e dai suoi riempitori o tappi come una unità causale.) Se si deve far rotolare una palla sulla superficie di un oggetto, è nel proprio interesse eliminare qualsiasi buco fastidioso dalla superficie, tappandolo alla perfezione.

Si direbbe dunque che questi siano i due tipi di interazione più importanti nel caso dei buchi: tenere fermi al loro posto determinati oggetti (riempitori e tappabuchi) e ostacolare il movimento di altri oggetti sulla superficie di una cosa bucata. La presenza di una struttura caratteristica d'interazione con il mondo inanimato è un fatto importante perché è un contrassegno primario dell'oggettività (dell'esisienza indipendente dalla mente). Forse questa struttura non è di per sé sufficiente a garantire l'oggettività dei buchi, essendo chiaro che le strutture di interazione qui descritte devono essere attribuite in prima istanza a certe forme. Al tempo stesso, le forme non dispiegano un'attività causale efficiente in sé e per sé, ma solo in quanto sono forme di qualche oggetto materiale.

Questa conclusione vale in un senso banale anche per i buchi, non essendoci buchi an sich ma solo buchi in oggetti materiali. (I buchi dipendono de re dagli oggetti che li ospitano.) La causalità è in effetti spesso connessa alla materialità, ma non è questo il punto in discussione. Il punto è che il peso della spiegazione del perché certe interazioni causali abbiano luogo lungo certe linee dovrebbe essere assegnato al possesso di certe forme da parte di certi oggetti materiali. Ciò vale in modo particolare per quelle interazioni causali locali che riguardano solo una parte propria dell'oggetto. Così, la forma della parte di una chiave che teniamo tra le dita mentre infiliamo la chiave nella serratura non ha alcuna responsabilità nell'interazione fra la chiave e la serratura: questa parte avrebbe potuto avere una quantità di forme del tutto diverse (per esempio rappresentare un drago), senza che ciò avesse alcuna incidenza sulla funzionalità della chiave.

La forma di un buco è la forma di una parte superficiale propria dell'oggetto che lo ospita. La responsabilità del buco in un'interazione causale è quindi legata in qualche modo alla causalità esercitata da quella parte superficiale. (Le forme non sono però tutto. Un tappo di forma quadrata sarà trattenuto al suo posto dal suo buco quadrato: non ruoterà. Un tappo circolare in un buco circolare invece ruoterà. Qui occorrerebbe investigare le proprietà d'attrito della sostanza sia del riempitore del buco sia dell'oggetto che ospita il buco.)

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 161

9. Identità senza sostanza


Sul fatto di essere lo stesso buco

Prendiamo un pezzo di Emmenthal con un buco tondo h nel mezzo. Supponiamo poi di spostarlo e di mettere al suo posto un altro pezzo di Emmenthal, anch'esso con un buco tondo nel mezzo. Supponiamo che questo nuovo buco, h', si trovi esattamente nello stesso posto in cui era localizzato in precedenza h. Ora, h' e h potrebbero benissimo avere la stessa grandezza e la stessa forma. Eppure non sono lo stesso buco - d'accordo?

Da quest'esempio si ricava che i buchi non sono fatti di materia ordinaria. Da un lato possiamo certamente immaginare che l'aria che occupava h sia rimasta immobile e sia quindi la stessa aria che ora occupa h'; dall'altro possiamo immaginare che lo stesso buco sia riempito di materie diverse in momenti diversi (l'aria che si trova ora in h è diversa dall'aria che vi si trovava inizialmente). Non c'è quindi modo di fondare le condizioni di identità del buco su quelle della materia in esso contenuta; in caso contrario avremmo infatti la conseguenza assurda che i buchi non possono essere riempiti o svuotati.

Inoltre, come abbiamo visto nel capitolo 3, i buchi non sono regioni di spazio. Si può per esempio spostare un buco, mentre non si può spostare una regione di spazio. Non possiamo quindi fornire condizioni di identità per le regioni di spazio.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 170

Tutto questo è connesso alla questione basilare di che cosa significhi dire che un buco è in un oggetto, che un oggetto «possiede» o «ha» un buco. Nella teoria dei Lewis, per cui i buchi sono gli intorni dei buchi, la relazione fra un buco e il suo oggetto ospitante sarebbe una relazione mereologica: un buco è solo una parte (potenziale) dell'oggetto materiale che lo ospita. Perciò chiedersi se un buco potrebbe o no essere in un oggetto diverso equivale a chiedersi se un oggetto potrebbe avere parti diverse in mondi possibili diversi: un problema di per sé piuttosto controverso. Per esempio, Roderick Chisholm ha proposto una forma di essenzialismo mereologico stando al quale, se x è una parte di y, allora è una parte di y in ogni mondo in cui y esiste. Se si sottoscrive quest'opinione, e se si identificano i buchi con gli intorni dei buchi, allora è chiaro che nessun oggetto bucato potrebbe non avere i buchi che ha. Lo stesso varrà, in modo banale, se consideriamo i buchi come parti delle superfici dei loro ospiti. Se invece è vera la teoria per cui i buchi sono corpi immateriali, allora essi non sono parti dei loro oggetti ospitanti, come abbiamo sottolineato nel capitolo 7. Ciò significa forse che un oggetto potrebbe avere buchi diversi da quelli che di fatto ha?

Nelle sue conferenze edite col titolo Naming and Necessity, Saul Kripke afferma che se questo tavolo è fatto di questa materia, allora è fatto così in ogni mondo possibile. Se Kripke ha ragione, la relazione di che vale fra l'oggetto e la materia (come in «tavolo di legno») ha la forza modale di una relazione d'identità. La nostra domanda diventa allora la seguente: La relazione di che vale fra un oggetto e il «suo» buco ha la forza modale dell'identità? Ancora una volta, la risposta è ovviamente affermativa se concepiamo i buchi come intorni di buchi. Se invece i buchi sono corpi immateriali, la risposta sembra essere «no». Se si cambia l'oggetto ospitante e si lascia intatto il buco - come suggerisce l'esperimento delle macchine infernali - non c'è alcuna ragione di supporre che un buco debba essere ospitato dallo stesso oggetto in ogni mondo possibile. Ancora una volta, i buchi sono sì ontologicamente dipendenti dai loro oggetti ospitanti, ma non dipendenti in modo rigido.

L'ospite ambiguo

Abbiamo visto che i buchi non dipendono necessariamente dai loro ospiti. Essi dipendono però necessariamente dal fatto di essere ospitati da oggetti reali. Non si può prendere una qualsiasi regione di spazio vuota e dire che li c'è un buco, adducendo come giustificazione che si può comunque immaginarla ospitata in un oggetto potenziale. Né si può prendere una qualsiasi regione di spazio piena e chiamarla «un buco riempito», adducendo come ragione che si tratta di un tappo anche se non c'è nessun oggetto che viene effettivamente tappato. Il ragionamento controfattuale non dovrebbe permetterci di vedere un buco dove non c'è. I buchi hanno bisogno di superfici, e le superfici devono essere reali.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 192

11. Riconoscere un buco


Il desiderio del realista

Un realista riguardo ai buchi, uno convinto che i buchi esistono, sarebbe ben contento di scoprire che c'è una certa armonia tra le proprietà fondamentali che attribuiamo ai buchi e quello che ci sembra di percepire quando diamo un'occhiata a quelle regioni dello spazio in cui c'è o ci attendiamo di trovare un buco. Per esempio, un realista dovrebbe apprezzare il fatto che alcuni caratteri morfologici dei buchi siano rappresentati in modo soddisfacente nella percezione: si pensi anche solo allo stretto rapporto che i buchi hanno con certi tipi di ombre (ossia, in ultima analisi, con la luce). Troviamo qui due piccole difficoltà e un problema filosofico corposo.

In primo luogo, le proprietà basilari di una regione nella quale ci si attende di trovare un buco sono, in qualche misura, la discontinuità e la concavità, ma non è chiaro quante e quali varietà di discontinuità e di concavità siano necessarie perché si possa percepire un buco. Questo fatto non è di per sé un problema, o meglio non è un problema radicalmente nuovo. Esso si pone ogni volta che analizziamo dei concetti un po' vaghi, e non c'è niente in esso di peculiare ai buchi.

In secondo luogo, vi sono dei buchi «inaccessibili» che danno origine a una situazione un po' complicata quando si cerca di osservarli. Pensiamo qui a buchi come le cavità interne, che vengono alla luce solo nel caso che si proceda alla dissezione dell'oggetto (durante la quale perdono però il loro status di cavità); fori con qualche imboccatura nascosta, che vengono quindi presi per semplici concavità; concavità i cui margini degradano lentamente e che sono quindi difficili da distinguere dal loro ambiente; e altri buchi che sono il risultato di incroci di concavità, fori, depressioni e cavità. Tuttavia, questi casi non presentano difficoltà filosofiche, anche se presentano difficoltà, diciamo, di ordine tecnico.

Il problema filosofico corposo cui accennavamo deriva dal fatto che i buchi non vanno granché d'accordo con una teoria della percezione molto intuitiva e ragionevole. Il problema si deve a Locke ( Saggio sull'intelletto umano, II, VIII, 6): se la causalità ha a che fare con la materialità, e se i buchi sono immateriali, una teoria causale della percezione non ha senso per i buchi. C'è un qualche modo di riconciliare i buchi con una teoria causale della percezione? Questo sarà il tema di cui ci occuperemo nella prima parte di questo capitolo. Nella seconda parte studieremo invece le condizioni percettive nelle quali abbiamo l'impressione di percepire un buco. Ci concentreremo principalmente sulla visione, anche se non ignoreremo altri sensi (come il tatto e l'udito).

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 214

Un esame più ravvicinato: vista e tatto

Si direbbe che per capire che cos'è un buco si debba avere una qualche nozione di certe operazioni, come riempire, scavare, ingrandire e passare o vedere attraverso. E ciò presuppone inoltre il possesso di una discriminazione tattile e di una sensibilità cinestetica (il sentire la posizione e i movimenti del proprio corpo). Paradigmaticamente, noi percepiamo i buchi al tatto sentendo come essi circondino parti del nostro corpo e limitino i nostri movimenti. Se infiliamo una mano in un bicchiere, sentiremo il bicchiere tutt'attorno alla mano, che non può aprirsi. Ci rendiamo conto, inoltre, di stare scavando una buca sentendo come una superficie ceda in modo diseguale sotto la pressione della nostra mano. E un altro caso semplice è quello della percezione di un bordo netto chiuso in una superficie: un bordo che si può seguire con un dito.

Quest'ultimo caso assomiglia alla discriminazione gestaltica di un buco nel piano. Vediamo e sentiamo come potrebbe essere ricostruito il piano dove c'è il buco, e ipotizziamo la presenza di uno sfondo che esiste al di là del piano anche senza essere percepito. La regione visiva corrispondente al buco è indifferentemente bianca o nera (anche se una piccola preferenza viene accordata al nero, il colore che recede); la regione tattile viene avvertita come vuota. Il vuoto è correlato qui alla possibilità di muoversi liberamente laddove ci si aspettava un ostacolo. Ma nel caso di buchi (diversamente che in quello degli spigoli o dei bordi) la conquista di spazio libero per nuovi movimenti viene subito limitata, poiché ci si trova ben presto all'interno del buco.

La storia cinestetica sul riconoscimento di buchi è quindi molto semplice. I buchi implicano sempre una deviazione; in altri termini, un cammino che connette due punti su una superficie situati ai lati opposti del margine del buco è sempre più lungo del percorso che li unisce in linea retta. I buchi, come gli spigoli o le onde, introducono delle discontinuità nelle nostre possibilità di movimento; diversamente da onde e spigoli, però, danno meno di quel che promettono: una volta che ci si trova in un buco, l'aumento nella quantità di spazio raggiungibile viene pagato con una diminuzione nelle possibilità di movimento. Nel capitolo 2 abbiamo suggerito che alcune configurazioni siano organizzate attorno a delle singolarità. A volte si trascura la convessità complessiva di una forma a causa della forza e peculiarità di una singolarità. E' da lì che prende avvio la percezione, visiva o tattile. Come la mano, anche l'occhio va alla ricerca di caratteri salienti per organizzare il mondo percepito, e le singolarità ne forniscono di importanti.

I concetti delle qualità primarie, come la forma o la grandezza, fanno tutt'uno con la nostra padronanza delle operazioni spaziali e delle azioni corporee. Sono concetti che si sviluppano come astrazioni da classi di funzioni che gli oggetti possono svolgere quando li si considera dal punto di vista di un agente in grado solo di muoversi, localizzare cose, andarle a vedere, spingerle, tagliarle e simili. Quelle funzioni sono descritte tipicamente nel modo disposizionale (si parla quindi di mobilità o spingibilità), e devono pertanto venire descritte in relazione a qualche altro oggetto con cui potrebbero interagire).

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 218

12. Parole nel vuoto


Torniamo al linguaggio

Al termine della nostra indagine molti problemi rimangono ancora aperti, e tra questi ne scegliamo alcuni ai confini con il linguaggio. In che modo si parla dei buchi, o attraverso i buchi?

Tanto per cominciare c'è un interrogativo generale circa il modo in cui i buchi vengono rappresentati nel linguaggio, ossia il modo in cui si insinuano nella nostra descrizione del mondo e della percezione della realtà. E' un interrogativo in cui ci siamo imbattuti sin dall'inizio e che non possiamo lasciare senza risposta. Abbiamo davvero bisogno di parlare di buchi? Oppure potremmo farne a meno, parafrasando in modo adeguato gli enunciati che presuppongono l'esistenza dei buchi per mezzo di enunciati che rimangono neutri? Anche se la parafrasabilità non implica di per sé l'eliminazione (così come l'asseribilità di enunciati che riguardano certe entità non introduce di per sé tali entità nel mondo), è chiaro che, se la parafrasi riuscisse, il nostro atteggiamento realistico verso i buchi ne verrebbe indebolito. E' perciò nostro compito affrontare il problema in modo abbastanza dettagliato. A questo scopo ci sarà di grande aiuto l'apparato concettuale che siamo venuti sviluppando nei capitoli precedenti.

In secondo luogo, ci chiederemo se una teoria adeguata dei buchi possa farci vedere sotto una luce nuova alcuni problemi di filosofia del linguaggio. In particolare, ci concentreremo sul problema classico della natura delle iscrizioni.

In terzo luogo, daremo almeno un rapido sguardo alla varietà dei modi - sintattici, semantici e metaforici - in cui i buchi si manifestano nel linguaggio. Dopo tutto, è solo così che possiamo farci un'idea di quello che, con le dovute cautele, possiamo concepire come il «campo del vuoto».

Una nozione generale

La caratteristica principale della funzione guscio introdotta nel capiioìo 5 è di fornirci uno strumento generale per catalogare i buchi. In altri termini, il guscio di ogni buco è una sfera con un certo numero di manici e di bordi. Cosi, benché i fori siano, da un certo punto di vista, geneticamente dipendenti da concavità e cavità (ogni perforazione comincia con una concavità, e ogni foro interno è una cavità), i gusci ci permettono di vedere anche le concavità e le cavità interne come casi degenerati di fori (rispettivamente a un solo bordo o senza bordo). Questa è la storia naturale delle discontinuità, e ci fornisce una nozione generale di buco, nonostante il fatto che i buchi si presentino in mille forme e tipi diversi.

Per essere più precisi, stabiliamo che l' ordine di un buco sia il numero di bordi del suo guscio, e che il grado di un buco sia il suo genere topologico, cioè il numero massimo di tagli simultanei (cammini da un bordo all'altro, o anelli chiusi) che si possono eseguire sul guscio di un buco senza separarlo in due pezzi non connessi tra loro. La nozione generale di cui stiamo parlando è quindi quella di un buco con un certo ordine e un certo grado. In altri termini, possiamo dire che ogni buco è un esempio del concetto generale di buco di j bordi e di ordine k - in breve un (j,k)-buco -, dove j,k>=2. (Vedi figura 12.l.) Così una cavità interna sferica sarebbe uno (0,0)-buco, una concavità sarebbe un (1,0)-buco, un foro diritto un (2,1)-buco, un foro in forma di Y un (3,2)-buco, un foro-cavità toroidale interno uno (0,1)-buco e via dicendo.

            (j , k) - buco
             |   |
             |   |
             |   |

       ordine:   grado:

     numero di   numero di
  bordi chiusi   tagli effettuati
    del guscio   sul guscio del
      del buco   buco senza separarlo

Figura 12.1. Una nozione generale di buco.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 226

Iscrizioni

Passiamo ora a considerare un aspetto diverso della pertinenza linguistica dei buchi. Abbiamo visto che è difficile spazzar via i buchi dal linguaggio. Il nostro prossimo punto sarà che, in alcuni casi, i buchi possono addirittura svolgere un ruolo importante nel linguaggio, nel senso che una teoria adeguata dei buchi può aiutare a risolvere alcuni problemi (anche se molto limitati e specifici) della filosofia del linguaggio. Uno di questi è il problema classico della natura di certe iscrizioni.

L'iscrizionalismo, proposto da filosofi come Quine o Scheffler, è una teoria riduzionistica degli stati mentali. Secondo questa concezione, quando diciamo che Maria crede che la neve sia bianca, dovremmo dire invece che Maria sta in una certa relazione con l'iscrizione «LA NEVE E' BIANCA»; l'iscrizione non è un tipo astratto di frase, ma l'oggetto concreto formato da macchie d'inchiostro che sta scritto alla fine del periodo precedente, prima del punto e virgola. Il grande problema che l'iscrizionalista deve fronteggiare è: Che cos'è esattamente quella relazione? La si può specificare in termini non mentali? Ma ci sono altri problemi. Per esempio: che cos'è veramente un'iscrízíone?

Secondo l'iscrizionalismo, le parole sono entità spazio-temporali concrete. Ciò non sembra creare difficoltà nel caso di sequenze di suoni o nel caso di segni d'inchiostro sulla carta. Qualche difficoltà insorge però quando si passa a considerare le scalfitture su una superficie (per esempio le incisioni su una lapide). Anche queste ultime sono spazio-temporali, ma sono immateriali. Se i buchi non esistono, come potrebbero esistere le iscrizioni? Di contro, se si crede che le iscrizioni siano (o siano iatte di) buchi, e che i buchi esistano, il problema si dissolve: le iscrizioni sulle lapidi non sono altro che una varietà di corpi immateriali.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 233

Rimane da dire una cosa sulla sintassi del vuoto in genere. Il vuoto, l'assenza, e la privazione vengono caratterizzati da prefissi negativi, fra cui «a-» (come in «asimmetrico»), «dis-» (come in «discontinuo»), «in-» (come in «incompleto»), «non-» (come in «nonconformista»), «s-» (come in «sproporzionato»), che di solito si applicano a un nome o un predicato e danno un predicato. Quest'ultimo può essere a sua volta trasformato in nome (come in «asimmetria», «discontinuità», «incompletezza», «nonconformismo», «sproporzione»). Ora, i prefissi negativi sono soggetti ad alcune regole elementari. Si può dire ragionevolmente che una cosa è non-A solo se può essere A. Se la teoria che abbiamo proposto sopra sulla pertinenza della classe grammaticale chiusa è corretta, il fatto che esistano prefissi negativi è allora un indizio della loro significatività cognitiva: una riprova, vorremmo ribadire, questa volta nell'ambito linguistico, del principio fondamentale del pensiero sui buchi: Pensa in negativo.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 235

Appendice


Lineamenti di una teoria


Nei capitoli precedenti abbiamo presentato il nostro punto di vista in una cornice piuttosto informale, sforzandoci di mostrare l'importanza e le conseguenze sul piano filosofico di un atteggiamento realistico verso i buchi, anziché formulare dettagliatamente una teoria compiuta dei buchi.

In quest'appendice tenteremo di affrontare più direttamente questo compito, dando una sinossi sistematica (anche se non completa) di alcuni punti fondamentali della nostra esposizione. Per comodità, divideremo la presentazione in quattro sezioni principali:

1) una parte preliminare ontologica, in cui introduciamo la relazione binaria fondamentale «è un buco in (o attraverso)»;

2) una parte mereologica, in cui diamo una prima sistematizzazione dei principi che governano l'interazione fra la relazione buco-ospite e la relazione parte-tutto;

3) una parte topologica, in cui procediamo a considerare alcuni fatti fondamentali concernenti le superfici e la tassonomia dei buchi; e

4) una parte morfologica, in cui ci concentriamo sul fatto che gli oggetti bucati costituiscono la varietà morfologica delle cose riempibili.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 239

1. Ontologia
La tesi principale è che un buco è un corpo immateriale situato sulla superficie (o su qualche superficie) di un oggetto materiale. Poiché la nozione di una superficie è essenzialmente una nozione topologica, e poiché la proprietà di essere immateriale si riflette nella proprietà morfologica di essere riempibile, la base ontologica si occupa innanzitutto della dipendenza generale di un buco dall'oggetto materiale in cui risiede.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 240

2. Mereologia


In quanto corpi immateriali, i buchi hanno parti e possono avere relazioni parte-tutto fra loro (anche se non con gli oggetti che li ospitano). I princìpi più importanti attinenti a queste relazioni possono essere formulati nel quadro di una mereologia estensionale classica integrata da alcuni assiomi specifici sul comportamento della relazione ontologica B.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 245

3. Topologia


La topologia costituisce sotto molti aspetti un passo naturale dopo la mereologia, anche se varie nozioni mereologiche potrebbero essere definite formalmente nei termini di nozioni topologiche. Particolarmente in una teoria dei buchi, le nozioni topologiche sono importanti per spiegare il fatto che ogni buco è localizzato in qualche superficie dell'oggetto che lo ospita, oltre che per fini tassonomici.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 251

4. Morfologia


I concetti topologici ci permettono di distinguere e classificare oggetti con tipi diversi di buchi, ma c'è bisogno della morfologia per render conto dell'intuizione che concavità, fori e cavità interne facciano parte tutti di una singola famiglia. La nozione chiave qui è quella di riempimento: le cose con buchi - o meglio i buchi nelle cose - costituiscono la varietà morfologica delle entità riempibili.

| << |  <  |