Copertina
Autore Pier Giovanni Castagnoli
Titolo Dieci anni di acquisizioni per la GAM di Torino 1998-2008
EdizioneAllemandi, Torino, 2008 , pag. 554, ill., cop.ril.sov., dim. 22x29x4 cm , Isbn 978-88-422-1635-3
CuratorePier Giovanni Castagnoli, Elena Volpato
LettoreGiovanna Bacci, 2009
Classe arte , citta': Torino , musei
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Indice


    PIER GIOVANNI CASTAGNOLI
 15 Giustificazione


 57 OPERE

 59   Ottocento - Novecento

 69   Secondo dopoguerra

301   Muovendo da un ciclo di mostre monografiche

337   Dalla collezione di film e video d'artista

371   Dalla collezione di fotografia

457   Un saggio di esposizione


485 Schede

552 Indice degli artisti
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Pagina 15

Giustificazione

PIER GIOVANNI CASTAGNOLI


Questo volume raccoglie e archivia le riproduzioni della maggior parte delle opere acquisite da o per la Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino (GAM) nel corso dell'ultimo decennio: un tempo che ha coinciso interamente con la stagione della mia direzione del museo.

Delle scelte operate e qui rappresentate porto dunque intera e consapevole responsabilità, per averle o direttamente compiute o comunque condivise e approvate, quando da altri sia scaturita la proposta di inserirle e di accoglierle nel corpo delle collezioni del museo. Per questa ragione, nella doppia veste di attore e testimone, provo a vergare qualche riga che possa servire di memoria e, magari, di qualche utilità, a restituire ragioni forme e agenti della storia compiuta e a gettare un po' di luce sui pensieri che ne hanno orientato il cammino. Muovendo da una dichiarazione, preliminarmente necessaria per valutare l'opportunità di assunzione di un impegno, che ha prodotto un arricchimento delle raccolte di così imponenti proporzioni - come le illustrazioni proveranno mentre, per contro, si andava contemporaneamente prosciugando di moltissimi titoli, nelle sezioni «permanenti», l'esposizione configurata nel preesistente allestimento. Nel 1998, quando giunsi alla GAM, il museo si presentava, a cinque anni dalla sua riapertura dopo il lungo periodo di restauri che aveva dovuto subire con la fisionomia che gli avevano attribuito gli arredi espositivi, progettati dallo studio BBPR di Milano e, ancora più incisivamente, l'ordinamento delle raccolte che Rosanna Maggio Serra, a cui era affidata la direzione del museo, aveva composto con encomiabile dedizione ed innegabile sapienza, riuscendo a disporre e a far convivere sui tre piani dell'edificio circa 1.100 opere. Nell'affrontare quel compito, estremamente delicato e impegnativo, Rosanna Maggio Serra, incalzata dall'intendimento di restituire al pubblico, con la maggiore ampiezza possibile, memoria e consapevolezza della ricchezza di un patrimonio, il cui godimento gli era stato sottratto per dieci lunghi anni, si era mossa procedendo lungo tre direttrici, tutte e tre concorrenti a realizzare, nel risultato espositivo, altrettanti fondanti principi ispiratori: rappresentare, da un lato, la storia dell'istituzione e del pensiero museografico che in essa si era espresso e sedimentato; dare voce, dall'altro, agli orientamenti del gusto e del collezionismo, che avevano maggiormente inciso sulla configurazione del patrimonio del museo; disegnare, infine, ma ovviamente non da ultimo, gli svolgimenti dell'esperienza artistica nelle sue varie stagioni e nei diversi ambiti territoriali in cui è fiorita: in breve, il corso della storia e i suoi profili.

Ne era derivato un itinerario espositivo ricco di chiavi di lettura e provvido di informazioni; ma al tempo stesso obbligato, per l'inevitabile addensamento delle opere, a scontare la difficoltà ad offrire le condizioni adeguate per esercitare una lettura distesa e intrattenere un colloquio intimo con la singolarità dei testi figurativi: ad assicurare la condizione, vale a dire, che più favorevolmente dispone all'interpretazione dell'opera e al suo apprezzamento. Era un limite che, pur riconoscendo la generosità dello sforzo che lo aveva prodotto e la bontà del risultato conquistato nell'allestimento del 1993, dopo cinque anni, sembrava ormai possibile alla direzione che subentrava tentare progressivamente di rimuovere. Si è messo così mano ad un riordino graduale dell'allestimento del museo, rinunciando innanzitutto all'utilizzo delle strutture progettate dallo studio BBPR: troppo invasive e soverchianti per gli spazi delle sale espositive; poi rialzando dove possibile le altezze dei controsoffitti, troppo incombenti e oppressivi; infine alleggerendo, attraverso passaggi successivi, il panorama delle opere esposte, in modo da poterne riformulare la distribuzione spaziale e le cesure (figg. 2-11). Nell'arco di due anni i numeri dei pezzi in esposizione sono risultati quasi dimezzati, attraverso una contrazione drastica del catalogo, preoccupata di assicurare alle singole opere e alle loro relazioni la conchiglia di spazio e di luce necessaria a rivelarle e a farle risaltare nella pienezza dei loro attributi linguistici e nella densità del loro senso.

Vi è allora conflitto tra la scelta praticata, riducendo energicamente il numero delle opere esposte, e l'impegno contestuale di ampliare sempre più la consistenza delle raccolte, col ricorso ad ampie campagne di nuove acquisizioni? Penso si possa rispondere senza esitazione di no, per molte fondate ragioni, che potranno ricavarsi, proseguendo nella lettura, da vari passaggi del testo; essendo sufficiente al momento affacciare una prima essenziale considerazione su cui brevemente indugiare.

Il fine del museo non è il sapere già acquisito, ma l'insaziabile bisogno di acquisirne di nuovo. Per questo motivo esso ha necessità di sempre fresche addizioni di sapere; imponendo ogni volta, ciascuna di esse, che gli assetti già definiti vengano rivisti e ripensati, che l'insieme sia ogni volta di nuovo ricomposto, amplificando la trama delle relazioni che arricchiscono il senso dell'esperienza, esaltandone il valore. È al perseguimento di tale fine che si sono dedicate senza sosta, nel corso di un decennio di lavoro, le più generose e convinte energie della Galleria: nella persuasione, per non dir la certezza, che nella fecondità delle raccolte sia condensata la forza più vitale del museo, il suo potere di seduzione, la sua capacità di trovare o produrre espressioni sempre originali, tramite le quali parlare al pubblico della vita e del mondo e incatenarlo a sé in un rapporto di sicura fedeltà. Le opere d'arte hanno infatti la qualità ineguagliabile di parlare nel tempo con voci e accenti che incessantemente si rinnovano, poiché diverse sono le domande che gli uomini rivolgono loro, senza nulla perdere della propria identità. Per questa loro virtù: di essere radicate nella stagione della loro origine e di trascenderla, i musei le raccolgono e le tramandano, così che aggiungendo al corpo delle collezioni nuovi titoli, progressivamente si amplifichi la trama delle relazioni che arricchiscono il senso delle esperienze e se ne esalti il valore.

Quando questo volume uscirà dai torchi, un mannello sceltissimo di opere in esso riprodotte, di ultimissima, recente acquisizione, avrà già trovato collocazione nelle sale del museo, accanto ad altre che stavano ad attenderle, pronte a rivelare di sé qualità sottaciute, valori prima non concessi, senso e bellezza non ancora interamente dispensati. Su quelle attese è innestato il processo di agnizione che consente allo sguardo di riconoscere con sicurezza la necessità del rapporto, l'utilità delle relazioni: nella consapevolezza che il significato di una singola opera è determinato dal posto che le viene assegnato tra le altre. Da quelle attese, con l'aggiunta necessaria di una piccola dote di sapere, è estratta la mappa che ha orientato il cammino percorso nell'arricchimento del museo e ha configurato, come si può leggere a fianco, i suoi fini: a) colmare le lacune più vistose della collezione storica con il reperimento degli adeguati tasselli integrativi; b) sviluppare la sua estensione con l'addizione di una misurata selezione dei frutti delle esperienze più recenti, fino all'attualità; c) non trascurare di assolvere al dovere, proprio di un civico museo, di documentare gli svolgimenti dell'esperienza artistica nella città; d) trascegliere, nell'orizzonte dell'arte internazionale, le testimonianze e le prove delle intersezioni più incisive con gli orientamenti coevi dell'arte italiana; e) sedimentare, infine, la memoria delle scelte compiute sul terreno dell'arte più attuale nella definizione dei vari programmi espositivi, estraendo, quando possibile, dalle mostre e consegnandole alle raccolte del museo, opere rappresentative della produzione degli artisti esposti.

Allorché la si è presa in cura, la collezione della GAM rispecchiava il risultato di una cultura e di una storia che la rendevano armoniosamente iscritta in quelle della città che l'aveva creata e fatta crescere nel tempo. Era, oltre che un ritratto dell'arte moderna e contemporanea, un ritratto della cultura di Torino: del suo gusto, della sua aspirazione alla modernità, delle sue resistenze ad abbracciarla per intero. In buona parte fedele, il secondo, alle sembianze del volto che ritraeva, era per contro insufficiente, parziale, pieno di lacune il primo. Lì si doveva pertanto e si poteva agire e così si è fatto, con il proposito innanzitutto di scrivere una storia dell'arte più ricca di quella che era stata delineata in precedenza nel profilo delle raccolte e più articolata, più veritiera nella capacità di ritrarre la complessità dell'esperienza, rifiutando le semplificazioni e i cedimenti alle troppo sbrigative categorizzazioni. Era una raccolta di arte italiana e piemontese estesa lungo l'arco di due secoli: dalla fine del Settecento al tramonto del passato millennio, che aveva slarghi e affacci, rari ma pur significativi, sull'esperienza dell'arte internazionale. Aveva conosciuto e goduto i frutti, come accade in quasi tutti i musei, di momenti di slancio premuroso e di fervido incremento patrimoniale e altri di più pigra o avara disponibilità; ma aveva ricevuto, negli ultimi quindici anni di vita, in una stagione riluttante a riconoscere, in Italia, il primato del ruolo delle collezioni nelle politiche museali, addizioni assai ricche e raffinate integrazioni, grazie all'iniziativa incalzante di acquisizione svolta dalla Fondazione De Fornaris, sorta con questo scopo nel 1982, per volontà di un illuminato mecenate: Ettore De Fornaris. La Fondazione aveva agito a largo raggio, procurando di acquisire da principio una preziosa collezione torinese, ricca di dipinti di maestri del nostro Novecento, quali: Casorati, De Pisis, Morandi, Sironi, Mafai e, in seguito, accumulando passo a passo una preziosa galleria di opere: da Morbelli a Balla, a Boccioni, a De Chirico, Casorati, De Pisis, Prampolini; per giungere, più avanti, a Burri e Capogrossi e agli artisti delle generazioni seguenti: da Pascali, a Pistoletto, a Merz, ad Anselmo, a Penone. Aveva, col suo ingresso, contribuito in poco tempo a riconfigurare in modo profondo il volto delle collezioni, imponendosi come un motore insostituibile per la vita del museo e una assicurazione altrettanto preziosa per la sua futura crescita.

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