Copertina
Autore Carlo Castellaneta
Titolo il Dizionario di Milano
SottotitoloTutta Milano dalla A alla Z - Dalle origini al Duemila
EdizioneLe Lettere, Firenze, 2000, Dizionari delle regioni e delle città , pag. 480, dim. 175x270x30 mm , Isbn 978-88-7166-533-7
LettoreAngela Razzini, 2000
Classe storia , citta': Milano
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Pagina 48

bellezza di Milano. A meno di attribuire al dinamismo una sua particolare bellezza, come pensavano i Futuristi nel 1910, non è facile affermare che Milano sia una città "bella". Bisogna riconoscere invece che, tanto questa città sa accendersi di colori nelle giornate di sole invernale, quanto nei giorni plumbei inclina alla tetraggine, e dunque un po' di colore non guasterebbe. Ma forse vi si oppone l'austerità dei nostri architetti, alieni per tradizione "controriformista" dall'introdurre tinte artificiali nel timore di snaturare il carattere della città, che è alquanto penitenziale. Il risultato è che nei giorni cupi Milano appare ancora più cupa, e un poco la redime la pioggia che almeno fa luccicare la rotaia del tram, e le insegne dei negozi che riflettono il neon nelle pozzanghere. Oppure la neve che, quando cade, la trasforma in una vera capitale del nord. Non credo che i milanesi abbiano perso il senso del bello. Ma allora perché Milano è così anonima? Oppure è l'anonimato il suo specifico? Credo che la causa principale risieda nella natura dei suoi attuali abitanti, privi di una vera identità culturale, ai quali poco importa se una facciata somiglia a un carcere (vedi La Rinascente) o ad un Grand Hotel. Perciò non servirebbe molto dipingere le case a colori vivaci se i milanesi, che non alzano mai la testa verso le nuvole, non smetteranno di arrovellarsi intorno ai loro quattrini.

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«Corriere della Sera». Nel 1876 si apre in via Verri la prima sede di un nuovo giornale: il «Corriere della Sera» diretto da Eugenio Torelli-Viollier, con una tiratura di poche migliaia di copie. Ma quando nel 1885 tra gli azionisti entra a far parte Benigno Crespi, industriale cotoniere, il giornale diventa il concorrente più temibile de «Il Secolo» e del foglio ultraconservatore «La Perseveranza» arrivando a toccare le centomila copie all'inizio del nuovo secolo. Il prestigio dei giornalisti, la serietà delle notizie e l'interesse con cui venivano accolte dal pubblico portarono il "Corrierone" (come lo chiamavano i lettori) ad essere il più autorevole quotidiano della borghesia, diffuso in tutta l'Italia. Trasferita la sede in via Solferino in un palazzo progettato da Luca Beltrami (v.) dove tuttora si trova, il «Corriere» vide progressivamente crescere il numero dei suoi lettori, mentre aumentava anche la popolarità dei suoi supplementi illustrati come «La Domenica del Corriere» (1899) e il «Corriere dei Piccoli» (1908). Le crescenti ingerenze del fascismo portarono poi nel 1925 alle dimissioni di Luigi Albertini (v.), direttore e comproprietario dal 1900, e al completo allineamento al Regime. Nel dopoguerra, con le direzioni di Guglielmo Emanuel (1946-52), Mario Missiroli (1952-61) e Alfio Russo (1961-68), il «Corriere» riprese rapidamente la sua originaria autorevolezza e, dotato di mezzi sempre più moderni e rafforzato nelle sue redazioni grazie ai guadagni ottenuti con le inserzioni pubblicitarie, continuò a detenere il primato delle vendite.

Spostatosi dalla tradizionale linea liberal-conservatrice su posizioni più progressiste, soprattutto con la direzione di Piero Ottone (1972-77) succeduto a Giovanni Spadolini (1968-72), subì nel 1974 la scissione di una parte del corpo redazionale che, guidato da Indro Montanelli (v.), dette vita al «Giornale nuovo». Sempre nel 1974 la proprietà passò da Giulia Maria Crespi, erede della famiglia, che sin dalla fondazione aveva detenuto la maggioranza azionaria del giornale, alla Rizzoli, sotto la quale conobbe però una forte crisi, sia finanziaria che di immagine, per il coinvolgimento dei suoi vertici nella loggia massonica P2. Dopo l'acquisizione da parte della Gemina e la costituzione dei gruppo RCS (Rizzoli-Corriere della Sera), sotto la guida di Piero Ostellino (1984-87), Ugo Stille (1987-92), Paolo Mieli (1992-97) e Ferruccio de Bortoli (v.) il quotidiano ha progressivamente riconquistato le posizioni perdute, riprendendo la leadership nelle vendite.

Bibliog. "Corriere" primo amore, di Gaetano Afeltra, Bompiani, 1984.

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Pagina 126

cucina milanese. Sarà stato per combattere il freddo che regnava nelle case fino agli inizi del Novecento. Sarà stato per osservanza della tradizione o per scarsa fantasia culinaria, certo è che la cucina meneghina non è mai stata tanto raffinata, ma piuttosto incline ai sapori forti che provenivano dalla campagna, come il minestrone alle verze ("milanes mangiaverz", ci schernivano gli altri lombardi) o la "cazzoeula" (costine di maiale con cavolo bollito nell'aceto) o la "luganega" (salsiccia alla brianzola). Altre specialità sono le rane in guazzetto, l'osso buco, il "pancott" (zuppa di pane raffermo), i nervetti, i "mondeghili" (polpette di carne tritata), la polenta "concia" con burro e formaggio, il riso e latte, la "busecca" che darà il soprannome di "busecconi" ai milanesi mangiatori di trippa. Insomma sapori di origine mitteleuropea dove spesso convivono l'agro e il dolce, con poco rispetto per la digestione, e piatti di estrazione contadina a base di zucca o lenticchie. Si può dire che il piatto più rappresentativo sia rimasto ancora oggi il risotto (v.) "giallo" allo zafferano, che si mangia anche "al salto", cioè scottato in padella, persino nei ristoranti più chic. Tra i dessert un formaggio tipico è lo stracchino, di cui era ghiotto il maresciallo Radetzky (v.) e come dolce i "peladei" (castagne sbucciate e lessate) oppure la "rossumada" (uovo sbattuto con lo zucchero e marsala servito caldo). Sulla cotoletta, vanto dei cuochi milanesi, vi sono due scuole di pensiero: chi la pretende come originale, e chi la fa derivare dalla "wiener-schnitzel", cioè di scuola viennese. Per concludere questa breve rassegna, una curiosità linguistica. Le uova al burro che si cucinano in mancanza di tempo si chiamano a Milano "oeuf in cereghin" (uova alla chierichetto) poiché il rosso al centro del bianco ricorda il collare rosso portato dai chierichetti di rito ambrosiano sopra la cotta bianca, durante la Messa.

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Mondadori, Arnoldo (1889-1971). Quando nel salotto di casa in piazza Duse si intratteneva con qualcuno dei suoi autori, Arnoldo aveva la civetteria di citare le umili origini contadine (era nato a Poggio Rusco nel Mantovano) giustificando così l'istruzione scolastica che per lui si era fermata alla quinta elementare. Era la verità, e forse per questo gli si era sviluppato uno straordinario intuito nel valutare un libro anche senza averlo letto. Aveva cominciato a lavorare da piccolo facendo esperienza in una tipografia, dove si era rivelata la sua passione per la carta stampata, concretizzata nel 1912 con la fondazione di una sua casa editrice e il trasferimento a Verona dei primi macchinari coi quali nel 1918 viene stampata «La tradotta» e altri giornalini di guerra. Un anno dopo Mondadori va all'assalto di Milano, allora dominata da Emilio Treves, e riesce a strappare alla propria casa editrice gli autori di maggior prestigio, tra cui D'Annunzio. Il suo fiuto di editore è infallibile. Negli anni Trenta è il primo a lanciare i polizieschi degli scrittori americani, che dalla copertina gialla saranno chiamati fino al Duemila "libri gialli". E contemporaneamente rafforza la diffusione dei periodici con testate quali «Tempo» (diretta dal figlio Alberto) «Grazia» ed «Epoca», mentre nel campo letterario diverrà famosa la collezione della Medusa dalla copertina verde, dove Mondadori pubblica i grandi scrittori stranieri del nostro tempo. Ed è ancora lui, dopo un viaggio compiuto in Giappone, a lanciare col nome di "Oscar" i primi "paperback" italiani. Ogni volta che dalle officine grafiche di Verona usciva un nuovo volume (e questo si verificava ogni giorno) Arnoldo lo esaminava e lo lisciava con amore quasi fosse una creatura viva. Nessun altro editore ha saputo come lui conciliare il rispetto per la cultura con l'esigenza del fatturato. È morto a Milano nel 1971, tre anni prima cne fosse ultimata la nuova sede a Segrate che, appoggiandosi all'inseparabile bastone, aveva sognato di veder crescere.

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quotidiani. Si calcola che fossero diciassette milioni gli analfabeti dell'Italia umbertina. Dunque soltanto la borghesia disponeva di acquirenti di giornali in grado di condizionare la forza di una testata. E fu a Milano, in pieno decollo dell'industria, che iniziò la competizione tra i vari quotidiani che potevano vantare una certa tiratura. Il primo fu «Il Secolo» lanciato da Edoardo Sonzogno (v.) che uscì il 5 maggio 1866 e divenne in pochi anni il più venduto della città, raggiungendo nel 1891 le 130.000 copie. Concepito sull'esempio dei giornali parigini, che puntavano sulle notizie e sui romanzi d'appendice più che sull'adesione politica dei lettori, «Il Secolo» sbaragliò presto i suoi concorrenti, che erano «Il Pungolo» (giornale dei moderati) la «Gazzetta di Milano» (antica testata milanese che usciva già sotto gli Austriaci) e «La Perseveranza» che era letta dalla borghesia più conservatrice. Sarà solo nel marzo 1876 che apparirà nelle edicole il «Corriere della Sera» (v.) il quale nel giro di un decennio comincerà a contendere al «Secolo» il primato delle vendite e della pubblicità fino alla sua definitiva affermazione. Nel 1896 esce a Milano la «Gazzetta dello Sport», destinata a diventare quotidiano grazie alla crescente popolarità del ciclismo e del calcio. Nel novembre 1914 appare «Il Popolo d'Italia» fondato da Mussolini (v.) come "quotidiano socialista" che nel 1918 si trasforma in "organo dei combattenti e dei produttori", tiratura centomila copie.

È il 1922 quando, due mesi dopo la Marcia su Roma, gli strilloni annunciano l'apparizione de «L'Ambrosiano», di tendenza filofascista. Aboliti i giornali di sinistra dopo l'emanazione delle leggi speciali, si dovrà attendere la Liberazione (v.) perché tornino a uscire i quotidiani degli altri partiti, oltre a tre nuove testate: il «Corriere Lombardo» (che inaugura uno stile di cronaca spregiudicato, fatto di molti neologismi), il «Corriere d'informazione» del pomeriggio e «Milano Sera», fiancheggiatore della sinistra, più aperto ai giovani lettori.

Nel '52 esce «La Notte» diretta da Nino Nutrizio, con la novità della pagina degli spettacoli segnalati da speciali asterischi. Ma un giornale veramente diverso sarà «Il Giorno» nel 1956 diretto da Gaetano Baldacci e di proprietà dell'Eni, che rinnova il linguaggio della cronaca cittadina e abolisce la tradizionale "terza pagina" letteraria. Un altro quotidiano vede la luce nel '74: «Il Giornale", nato per iniziativa di Indro Montanelli (v.) successivamente acquisito da Berlusconi (v.), destinato a un pubblico conservatore. Nel 1976 invece l'edizione milanese de «La Repubblica» di Scalfari. Breve vita ha avuto negli anni Settanta «L'Occhio», giornale popolare del pomeriggio diretto da Maurizio Costanzo e stampato da Rizzoli, così come negli anni Novanta «L'Indipendente».

Milano è anche l'indiscussa capitale della stampa economica e finanziaria. Nato dalla fusione nel 1963 di due testate milanesi, «Il Sole» (1865) e «24 Ore» (1946), «Il Sole 24 Ore», di proprietà della Confindustria, è non solo il giornale economico italiano più autorevole e diffuso, ma anche uno dei quotidiani italiani a più alta tiratura. Più specificamente finanziarie sono le testate del gruppo Class editori: «Milano Finanza» e «Italia Oggi».

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Resistenza. L'8 settembre 1943 il maresciallo Badoglio proclama alla radio che l'Italia "ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower". Ai pochi milanesi rimasti, in città, dopo i bombardamenti dell'agosto, la notizia fa credere che la guerra sia finita. Invece i mezzi corazzati tedeschi stanno già calando dalle frontiere verso le città del Nord. Il 10 settembre il comandante della piazza militare di Milano, generale Ruggero riceve i delegati dei Partiti: Gasparotto, Li Causi, e altri. Si abbozza un piano di resistenza, un comizio antifascista viene tenuto in piazza del Duomo, un gruppo di cittadini disarma persino dei militari tedeschi scesi da un treno alla stazione. Ma Milano è indifendibile, e due giorni dopo è occupata dai nazisti, che pongono all'albergo Diana il loro primo comando. Non è ancora passato un secolo dalla fine della dominazione austriaca, e di nuovo la città deve subire nelle sue strade l'oltraggio di ordini teutonici, il passo cadenzato delle ronde, i proclami minacciosi sui muri delle case. In novembre sul Lago di Garda nasce il nuovo Stato ricostituito da Mussolini, la Repubblica di Salò che Radio Londra chiamerà, per la sua ridotta estensione, "repubblichina". Ma la vera capitale di questa piccola repubblica è Milano, ormai teatro di scontri e di lotta clandestina, di violenze e di vendette. Un sergente milanese, Francesco Colombo, si autonomina "colonnello" di un battaglione autonomo intitolato a Ettore Muti, con caserma in via Rovello. Nella "Muti" si riuniscono giovani sbandati e picchiatori, arruolatisi per il gusto della sopraffazione. Mentre sulle montagne si formano i primi nuclei partigiani, in città nascono i GAP (Gruppi di azione patriottica) con compiti di sabotaggio e di terrorismo. La loro prima azione è un attentato al deposito munizioni dell'aeroporto di Taliedo. Li comanda Egisto Rubini, un ex combattente della guerra di Spagna che, arrestato, si suiciderà in carcere a Monza. Il 5 novembre salta in aria un ristorante di via Lecco abitualmente frequentato dai nazisti. Due giorni dopo tocca al comando delle SS alla Stazione Centrale. Il 18 dicembre tre gappisti in tuta da operaio tendono un agguato in via Bronzetti al federale di Milano, Aldo Resega. Sparano, poi si dileguano in bicicletta. È l'inizio di una guerra civile che insanguinerà le strade della città. I fascisti rispondono fucilando all'Arena otto ostaggi. Ogni rappresaglia ne suscita un'altra. Quando il funerale di Resega sfila in via Orefici da una finestra cadono sul corteo alcune bombe a mano gettate dai gappisti, e nel fuggi fuggi il feretro rimane abbandonato in mezzo alla strada.

Alla fine dell'anno i senza tetto e i "sinistrati" sono duecentomila. Milano offre al crepuscolo uno scenario agghiacciante. Si cammina con la pila, tra i fondali delle case diroccate, sui muri il grottesco appello dei manifesti che inneggiano alla vittoria. Il coprifuoco comincia alle nove di sera e dura fino alle sei del mattino. Nel teatro di rivista ha un momento di popolarità Nuto Navarrini con la sua soubrette Vera Roll, un po' di sesso e un po' di propaganda "repubblichina". La vigilia del Natale '43 porta altro sangue: dieci detenuti politici vengono prelevati a San Vittore e fucilati all'Arena. A Erba hanno fucilato Giancarto Puecher, giovanissimo figlio di un notaio di Milano. La notte di Capodanno altri tre giovani cadono sotto le pallottole fasciste al poligono della Cagnola. Il 3 febbraio in piazzale Dateo subisce un attentato il questore. Spesso nei cortili dei caseggiati popolari di via Aselli, di via Mompiani, di viale Sabotino, nei lavatoi della Milano proletaria fanno irruzione armi alla mano le Brigate Nere, in caccia di qualche inafferrabile primula rossa. E ancora oggi molte lapidi sulle facciate delle case ricordano quei fatti. Ai primi di marzo del '44 scioperano in massa i tramvieri. Dalla Borletti esce un corteo di operai in sciopero, ma i nazisti (che hanno all'Hotel Regina il loro quartier generale) fanno rientrare gli operai in fabbrica sotto la minaccia delle armi. Nessuno invece sospetta che le fabbriche milanesi nascondano arsenali clandestini.

Il gesto più clamoroso è del 9 agosto in viale Abruzzi: una bomba fa saltare in aria un automezzo tedesco. La ritorsione è immediata: quindici prigionieri politici vengono portati in piazzale Loreto, vicino al luogo dell'attentato, fucilati come monito davanti ai passanti, e lasciati tutto il giorno esposti al sole. Saranno poi quasi mille, alla fine della guerra, le vittime delle rappresaglie nazifasciste. In dicembre, commando di gappisti disarmano su alcuni tram i fascisti e i tedeschi in divisa. Il giorno 16 Mussolini parla al Lirico applaudito dagli ultimi fanatici camerati. La notte di Capodanno partigiani irrompono in quattro cinema, lanciano manifestini e arringano la platea. Il 2 gennaio viene arrestato Ferruccio Parri, capo della Resistenza. Il 24 febbraio il giovane Eugenio Curiel, riconosciuto dai poliziotti fascisti su un tram, viene inseguito e ucciso in piazzale Baracca. Il 19 aprile insorge Bologna. Ormai il fascismo ha le ore contate.

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risotto alla milanese. Secondo la leggenda il risotto allo zafferano fu inventato nel 1574 per il pranzo di nozze della figlia di un maestro vetraio del Duomo, tale Valerio di Fiandra. La sua diffusione risale però all'Ottocento, quando oltre al risotto "giallo" i milanesi cominciarono a cucinare vari tipi di risotto. Così descrisse nel 1843 il Cherubini (v.) la corretta esecuzione di questo piatto: "Soffritto che tu abbia nel burro alquanto midollo di manzo e una cipollina tritata, vi metti il riso, un po' abbrostito che sia, tu lo inondi di buon brodo, indi lo regali di cervellata e di cacio lodigiano grattato; lo lasci così cuocere e beversi tutto il brodo, dopo di che lo ingialli con una preserella di zafferano e lo servi". Custode di questa tradizionale ricetta è ancora oggi il ristorante Savini (v.) in Galleria, dove si cucina alla perfezione questo piatto in due modi: "all'onda" e "al salto", facendo riscaldare in padella del risotto appositamente avanzato, considerato da molti esperti la vera specialità del locale. Oltre che allo zafferano (in milanese "safràn", dallo spagnolo "azafràn") in primavera era molto diffuso il risotto alle rane, il riso in cagnone, il riso con i gamberi di fiume, il riso alle erbette, il risotto di zucca di origine mantovana. E poiché ogni cuciniera si sbizzarriva nel proporre i suoi accostamenti è nato il detto "Ho faa un risott" per dire "ho fatto un pasticcio, una confusione".

Bibliog. Vecchia Milano in cucina, di Ottorina Perna Bozzi, Milano, 1969.

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