Copertina
Autore Arnaud Cathrine
Titolo Con gli occhi asciutti
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2005, Variantine , pag. 94, cop.fle., dim. 115x177x8 mm , Isbn 978-88-339-1575-3
OriginaleLes yeux secs
EdizioneVerticales, -, 1998
TraduttoreStefania Manzana, al.
LettoreAngela Razzini, 2005
Classe narrativa francese
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Pagina 13

La finestra del primo piano è socchiusa. Di tanto in tanto sbatte. Un soffio capriccioso si riversa nel vano, senza tuttavia riuscire ad allontanare l'odore che a poco a poco si è diffuso in tutte le stanze.

Alcune case vicino alla nostra sono state risparmiate. S'innalzano sparute in mezzo a sfasci di rovine.

Sulla sinistra, un edificio ha appena finito di bruciare. Qua e là se ne scorge l'ossatura metallica. Il respiro acre del fuoco l'ha straziato, annerito. Sarebbe stato meglio fosse stato completamente distrutto.

Blocchi di muratura calcinati sono sparsi sull'asfalto.

Più lontano, uno dei grandi viali della città sembra addormentato, relegato al silenzio e come ingombro di uno spazio di cui non comprende più l'utilità.

I passanti si fanno sempre più rari. Bisogna dire che il nostro quartiere è stato il primo a venir preso di mira.

Il vento dell'est ha portato con sé una polvere di sabbia grigia, venuta a depositarsi negli angoli dei marciapiedi deserti e dei balconi abbandonati. Ma forse non è altro che la cenere dei bombardamenti...

Dall'inizio dei combattimenti, la terra sconquassata dalle detonazioni rende il cielo simile a una volta minacciosa: si direbbe gonfio come un sacco di argilla sul punto di cedere.


I soldati della milizia pattugliano i viali a intervalli regolari. Attenti e inflessibili, sorvegliano ogni più piccolo movimento. Siamo consapevoli degli ordini che hanno ricevuto e ne teniamo conto, per paura di una nuova retata.

Di tanto in tanto arriva un convoglio militare a risvegliare il silenzio ombroso del quartiere. I veicoli anti-sommossa circolano lentamente. Hanno i vetri protetti da griglie metalliche. I miliziani dell'ovest vengono così a ricordarci il loro trionfo. Si riesce sempre a trionfare sulle rovine...


Le liste sono state stabilite da molto tempo. Le squadre incaricate delle esecuzioni si riconoscono dai galloni scarlatti. Ognuna di esse è composta da tre individui - un superiore, colui che possiede la lista, e due esecutori, per la maggior parte giovani. Questi ultimi vengono estratti a sorte. Lo Stato Maggiore impone loro questo compito ingrato per evitare che s'inteneriscano per la sorte dei civili. Alcuni casi di diserzione, puniti in modo sbrigativo, hanno convinto i più restii. Si vedono seguire passo passo il loro superiore, sforzandosi d'imitarne la durezza.

Le squadre non hanno tempo da perdere in scariche successive, la prima deve essere quella buona. Gli hanno detto di non guardare le vittime in faccia e di obbedire agli ordini di fuoco dei loro capi senza lasciarsi emozionare.


Nutrite dalla delazione, le liste si allungano con il passare dei giorni. Tuttavia, nessuno conosce i criteri di scelta. Il nuovo potere ha i propri, che modifica nel corso del tempo, ritrovando il ricordo delle guerre precedenti.

Le squadre di esecuzione, a volte, ritornano nel quartiere grazie a un nuovo nome aggiunto sulle liste. La milizia effettua le ronde ogni due ore.

Durante i pattugliamenti, si trama nel silenzio. Gli abitanti seguono il rumore dei passi sull'asfalto liquefatto dal caldo. Restano là, paralizzati da quel segnale di morte.

Vivendo sempre all'erta e nella diffidenza totale, si fa presto a confondere i suoni e ad allarmarsi per lo sbattere di una finestra. A ogni operazione della milizia, tutto sembra pronto a sorprendere a tradimento...


Č mezzogiorno, la squadra è in azione.

Dal villino sulla destra, echeggiano i primi spari.

I tre uomini escono dalla casa. Con tutta probabilità hanno lasciato i cadaveri al loro posto, perché la milizia li veda.

Il superiore indica la nostra casa.

Oltrepassano il cancello, attraversano il piccolo giardino che nessuno cura più da diverse settimane e dove l'erba invade il vialetto centrale. Entrano, dopo una breve sosta sulla scala d'ingresso.

L'odore nel vasto atrio li aggredisce immediatamente. Uno di loro borbotta qualcosa. Allora scoprono i quattro corpi aggrovigliati sul tappeto.

Fruscio di carta.

Il superiore controlla la lista.

L'atrio forma un'ampia stanza che si eleva sui due piani in un unico spazio. La scala di marmo gira intorno ai tre muri principali conducendo alle camere del piano superiore. La protegge una ringhiera in ferro battuto. L'atrio è buio. Le tende dell'unica finestra sono tirate. Ciononostante si distingue il color porpora della tappezzeria.

I due esecutori abbassano le armi in attesa dell'ordine di ritirata.

Il superiore osserva i cadaveri: un uomo e una donna di una cinquantina d'anni e due adolescenti. I volti si distinguono appena. Sono nascosti, coperti dai loro gomiti inanimati, come in un ultimo spasmo di terrore.

La posizione di quei corpi non sembra naturale. La squadra che si è occupata dell'esecuzione deve averli sorpresi separatamente, prima di raggrupparli nell'atrio in un ammasso casuale.

Il superiore s'impossessa di alcune buste appoggiate accanto al telefono in fondo alla scala. Pronuncia il nostro nome.

Dopo aver consultato la lista, si fa strada fino alla porta d'ingresso, getta un ultimo sguardo sui cadaveri ed esce dalla casa, seguito dai due esecutori.

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Pagina 30

Ripenso a quella giornata di febbraio in cui tutto era crollato ed è come se avessi bisogno di invocare qualche fatalità. Come se la sentenza fosse stata emessa. Come se avessimo pagato anche noi.

Una sera, mentre rincasavamo dopo una cena a casa dei Tökson, notai che mio padre aveva l'aria preoccupata. Erano i primi giorni di combattimento. Non riuscì a trattenere mia madre e mia sorella in salotto, ma noi due ci sedemmo davanti al fuoco appesantito dalla cenere e già quasi spento. Mentre aggiungevo alcuni ceppi, mio padre mi annunciò, con voce incerta, che Gaone Tökson aveva lasciato il Comitato degli Affari sociali, dove lui stesso lavorava da diversi anni. Tökson sosteneva che alcune fazioni si stessero preparando a intensificare la guerra e che ci si dovessero aspettare rappresaglie contro coloro che esitavano a schierarsi.

Tornai a sedermi di fronte a lui. Mi fissava con gravità, come se volesse scorgere sul mio volto i segni di un consenso a conforto della sua delusione.

- Ma guarda come crediamo di conoscere quelli con cui viviamo - disse lentamente. - A volte basta un solo gesto per disilluderci...

Sospirò con impazienza: - Ho forse chiesto io che bruciassero i miei libri?

- Allora hai deciso che resteremo? - azzardai timidamente. - Dieci anni fa anche i tuoi genitori sono voluti restare... Per poi morire sotto i bombardamenti.

Mio padre non rispose. Non valutai la durezza della mia constatazione, preoccupato com'ero per la nostra improbabile partenza.

- Si ricomincia. La stessa cosa, lo stesso paese. Era inevitabile che tutto ricominciasse? E forse Tökson ha ragione...

- Le dimissioni di Tökson mostrano senza mezzi termini ciò che egli è in realtà e che io non ho mai voluto riconoscere.

Prostrato in un attonito silenzio, mio padre gettò la sigaretta nel fuoco. Il suo sguardo si perse nel torpore delle fiamme. Da quelle dure parole capivo che adesso mi considerava abbastanza grande per poter sapere. Da alcune settimane, gli capitava di parlarmi della guerra in termini severi, come se non fosse più tempo di proteggermi o come se mi dovessi preparare a vivere senza di lui. A quel punto produsse una breve risata, cercando improvvisamente di dare un piglio più leggero ai suoi pensieri cupi: - Che donna odiosa quella Kwira Tökson, non è vero?

Sorrisi a mia volta, condividendo il disprezzo di mio padre. Kwira era una borghese affabile e generosa, prodiga nel dispensare pareri fuori luogo e avvezza a tagliar corto nel modo più sfacciato le discussioni che la spiazzavano. Nutrendo una confusa ammirazione per mio padre, le piaceva farlo parlare dei suoi libri, fornendosi così l'occasione di strombazzare le sue strampalate opinioni; poiché le capitava spesso di affermare che mancassero di buon gusto (la rivincita delle donne mortificate...).

Ritornando da quelle serate, durante le quali aveva potuto constatare che i libri non formano il giudizio più di quanto non faccia la vita stessa, mio padre valutava infastidito la vanità che Kwira riusciva a trarre dalla sua presunzione. Gaone Tökson rimaneva interdetto in quelle occasioni, lasciando scoraggiato la moglie alle sue meschine banalità. In fondo, mio padre gli era grato per quel silenzio; perché è sempre una gran prova di coraggio, per alcuni, riuscire a tacere quando non si ha niente da dire...

- Che cosa avremmo fatto senza la benevolenza di Juhazni? - riprese mio padre.

- Perché Juhazni viene ancora alle cene di Kwira? - chiesi.

- Per la pigrizia di non rifiutare - disse ridendo mio padre. - Credo che, nonostante tutto, ci trovi ancora di che divertirsi...

- In effetti, ci ha salvato la serata.

- Purtroppo le calunnie non sanno che cosa farsene della tua opinione, mio piccolo Odell...

Non capii di quali calunnie stesse parlando. Ritornò alla sua scrivania, tutto preso da pensieri che sapevo riguardare la guerra. Attraversando l'ingresso per salire in camera mia, mi sembrò di vederlo scrivere. Teneva davanti a sé una lettera della quale ignoravo ancora il contenuto. Salii le scale, preoccupato del fatto che avesse passato una così pessima serata. Mio padre sapeva che il nostro nome sarebbe apparso sulle liste. Non ne parlò in nessuna occasione.

Č a quel silenzio che penso oggi.

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