Copertina
Autore Remo Ceserani
Titolo Treni di carta
SottotitoloL'immaginario in ferrovia: l'irruzione del treno nella letteratura moderna
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2002 [1993], Saggi , pag. 312, dim. 147x220x22 mm , Isbn 978-88-339-1412-1
LettoreCorrado Leonardo, 2003
Classe critica letteraria , storia sociale , storia della tecnica , viaggi
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Indice


Indice
  7     Premessa
  9     Introduzione

        Treni di carta

 17  1. L'impatto del treno sulla società dell'
        Ottocento e sull'immaginario collettivo

 30  2. L'irruzione della vaporiera nelle
        letterature romantiche europee

 90  3. Thoreau e il fischio lacerante del
        mostro d'acciaio

 99  4. Messaggi perturbanti dell'arpa sonora:
        da Dickens a Pascoli

1O8  5. Il romanzo ferroviario di Zola

141  6. La cattedrale gotica e la stazione
        ferroviaria: da Ruskin a Hardy

162  7. La mediazione letteraria: l'esperienza
        al filtro della memoria, momenti
        lirici, grandi e piccoli romanzi

233  8. Processi di demonizzazione e
        familiarizzazione. Treni fantastici e
        trame delittuose. Trenini per gioco

266  9. L'esaltazione futurista: il treno come
        uno dei simboli della modernità

283 1O. I luoghi del viaggio e dell'attesa. Il
        fischio del treno nella città
        pirandelliana

293     Bibliografia
305     Indice dei nomi

 

 

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Pagina 9

Introduzione


1.

La presenza del treno nella letteratura moderna - poesia, romanzo, saggistica, libri di viaggio, diari - è talmente ampia che potrei facilmente invitare i lettori di queste pagine a partecipare a un gioco letterario, divertente anche se un po' salottiero: potrei iniziare il gioco annunciando il tema «Il treno in letteratura: sfondo ambientale», aggiungendo poi via via altre precisazioni: «Luogo di incontro casuale», «Descrizione della locomotiva», «Sala d'aspetto della stazione», «Suicidio tra i binari», «Metaforizzazione della macchina», «Segnaletica ferroviaria», «Orario ferroviario» e i miei lettori sarebbero chiamati, a turno, a estrarre dalla memoria un testo letterario in cui il tema compare in quella forma precisa. Credo che il gioco potrebbe andare avanti a lungo, senza che i lettori trovassero mai un vuoto nella memoria (anche i lettori italiani, poco addestrati dalla nostra tradizione critica a svolgere ricerche di tipo tematico).

Sicuramente in breve tempo produrremmo, tutti insieme, una grossa antologia di poesie imparate a memoria in anni giovanili o lette in anni maturi, di poesie rimaste oscuramente a giacere in riviste, strenne e raccolte dell'Ottocento, di romanzi letti in poltrona oppure in treno, di pagine autobiografiche o saggistiche, di quadri, di film, di copertine della «Domenica del Corriere». Sicuramente nella nostra antologia comparirebbero i nomi di Wordsworth, Eichendorff, Heine, Hugo, Carducci, Whitman, Dickens, Zola, Maupassant, Verne, Tolstoj, Verga, Joyce, Kipling, Svevo, Pirandello, Agatha Christie, Graham Greene, Pasternak, Calvino, le immagini di molti film western, gialli, di spionaggio o d'avventura, le parole di alcuni folksong di Pete Seeger e Georges Brassens e Francesco Guccini, alcuni quadri di Monet, Pissarro, Kandinskij, Boccioni, e chissà quanti altri testi ancora.

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Pagina 49

Ma c'è un altro nucleo di immagini e metafore e un'altra tradizione culturale e letteraria, che si è sviluppata in alternativa e contrapposizione (qualche volta, anche, in anticipo) rispetto a quella ostile alla ferrovia.

Non pochi sono i testi che rappresentano il treno come simbolo del progresso, del cammino ormai diritto e accelerato delle società umane, con l'aiuto della tecnologia, verso le nuove frontiere e conquiste della modernità. Di qui una tradizione culturale e letteraria, anch'essa consistente, di connotazioni positive del treno, della ferrovia, della velocità dei viaggi, dell'arditezza delle linee che attraversano le pianure e i monti d'Europa e poi di quelle transcontinentali e transiberiane, del lusso e dell'avventurosità esotica dell'Orient Express, dell'eroica operosità dei macchinisti, dei fuochisti, dei costruttori di massicciate e posatori di binari, dei segnalatori, delle squadre di spalatori antineve. Poesie entusiastiche di scrittori di chiara adesione democratica e progressista, storie e canzoni del West, mitologia futurista, musei della scienza e della tecnica, collezionismo, canzoni sovietiche della rivoluzione intitolate Locomotiva nostra non ti fermar: e tutto un patrimonio culturale e testuale che rientra in questa tradizione.

Si può osservare, naturalmente, che coloro che danno espressione alla reazione entusiastica per l'arrivo del nuovo mezzo di comunicazione, si riallacciano di solito alla fede illuministica nel progresso, nell'universale unione fra gli uomini, oppure sono solidamente impegnati nelle faccende economiche e quindi legati agli interessi e alle concezioni del mondo della nuova borghesia industriale e commerciale; mentre coloro che danno espressione alla reazione più scioccata e preoccupata per la potenza del nuovo mezzo, che distrugge paesaggi idilliaci e modelli di vita tradizionali, si riallacciano più facilmente agli ambienti intellettuali romantici e tradizionali.

Fra i primi, occuparono un posto importante, in Francia, i saintsimoniani. I nuovi e potenti mezzi di comunicazione, essi sostenevano già nel corso degli anni venti e trenta del secolo, avrebbero spinto le masse popolari a un nuovo comune interesse nel lavoro e a un nuovo senso estetico. Nel 1826, per esempio, l'organo dei saintsimoniani «Le Producteur» scriveva:

Una potenza di locomozione simile a quella del treno non può essere introdotta fra gli uomini senza operare una vasta rivoluzione dello stato della società. Con una così grande facilità e celerità di comunicazione le città provinciali di un impero diventeranno altrettanti sobborghi della sua capitale. [Citato in Baroli, 1964, p. 13]

E nel 1831 un altro saintsimoniano, in una delle sue prediche, esclamava, mescolando all'esaltazione dell'industria moderna la rievocazione di antichi sogni alchemici:

A quali trasformazioni l'industria ha assoggettato la materia [...] mettendo al proprio servizio l'acqua, l'aria, il fuoco [...] e questi, più fedeli del vento, più pronti del rame, spingono una nave attraverso i flutti agitati e le macchine su una via di ferro, più rapide di cavalli da corsa, con attaccati vagoni molto pesanti! [Citato in Baroli, 1964, p. IS]

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Pagina 74

È possibile, partendo da una buona campionatura dei testi, tentare la costruzione di un sistema delle strutture semantiche e metaforiche dell'immaginario ferroviario dell'Ottocento. Esse si presentano, almeno inizialmente, sotto forma di campi semantici nettamente polarizzati e riconducibili a nuclei di significato contrapposti, che vengono di volta in volta attivati nei testi. Fra le polarizzazioni principali di questo sistema semantico ci sono:

a) La contrapposizione, nelle descrizioni della locomotiva, fra organismo naturale dotato di forza animale, bello e armonioso, e macchina metallica, dotata di forza artificiale, perturbante e mostruosa, nata nelle profondità della terra, nelle miniere, che utilizza per i suoi movimenti una via metallica e che spesso dentro la terra ritorna con i suoi tunnel. Da una parte il cavallo, dall'altra la vaporiera: di qui tutta una serie di contrapposizioni, ma anche di immagini metaforiche che si trovano in quasi tutti i testi, sia in positivo che in negativo, e che attribuiscono alla locomotiva le caratteristiche e gli attributi di un cavallo artificiale e mostruoso (il calore e il fuoco interiore, le narici sbuffanti, gli occhi spalancati, la criniera di fumo ecc.) o di un animale favoloso come il drago o persino di uno esotico come l'elefante.

b) La contrapposizione fra alcuni strumenti naturali (le ugole degli uccelli, il vento che stormisce fra gli alberi) che emettono un suono bello da ascoltare e funzionale alla comunicazione fra la natura e gli esseri che la popolano, oppure fra alcuni strumenti musicali che emettono suoni assai dolci per l'orecchio (l'arpa, il corno del boscaiolo, quello del postiglione) e lo strumento che viene utilizzato dalle locomotive, stridulo, disumano, minaccioso, che può ricordare (come ha ricordato ad Andersen) l'ultimo grido del maiale ammazzato e il rumore sferragliante dei treni stessi, così nuovo e impressionante che induce alcuni a tentare, come per scommessa, la sua resa onomatopeica, quasi a gara con quelle poesie e musiche che han sempre tentato di rendere, onomatopeicamente, i rumori della natura. Ricordo l'importanza, e la forte connessione romantica del corno del postiglione in alcuni testi celebri di Eichendorff.

c) La contrapposizione fra il movimento naturale, lento, avventuroso e magari anche tortuoso dell'uomo nel mondo (e in particolare di quella specie di incarnazione dell'uomo romantico che fu il Wanderer) o anche il movimento agile e veloce degli uccelli, delle nuvole, del vento e per contro il movimento diritto, determinato, obbligato del treno sui binari e del tracciato del treno, fra una stazione e l'altra, attraverso le più varie scene di natura, senza fermarsi davanti a nessun tipo di ostacoli, e quindi anche dei viaggiatori, spettatori immobili, che si vedono passare davanti agli occhi, inquadrati dai finestrini, i paesaggi della natura, con un movimento veloce e un montaggio quasi cinematografico.

Questa contrapposizione, che tocca uno degli elementi centrali della mitologia letteraria romantica, mi pare una di quelle più profonde strutturalmente e più importanti nella ricognizione dei nuclei centrali e fondamentali dei due mondi culturali contrapposti.

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Pagina 91

Walden, come è noto, pur derivando dal diario dell'esperienza compiuta da Thoreau, quando si costrui una capanna sul Walden Pond e andò a viverci da solo per due anni, dal 4 luglio 1845 al 6 settembre 1847, non ha una organizzazione diaristica, ma invece tematica, e rievoca quell'esperienza per blocchi di argomenti e attraverso una fitta rete di connessioni, di rinvii, di corrispondenze sottintese nel testo. La descrizione della ferrovia di Fitchburg e del passaggio dei treni a poca distanza dalla capanna di Thoreau trova luogo, significativamente, in un capitolo intitolato Suoni e dedicato a un'ampia rassegna dei suoni e rumori percepiti dall'autore nel corso delle sue giornate, a contatto con la natura.

Punto di partenza, e nucleo organizzatore del sistema di significati e di valori enunciati nel capitolo è, come spesso in Thoreau, un testo letterario, non esplicitamente citato, ma continuamente riecheggiato nelle pagine: l'annotazione appena citata, dal diario di Emerson, sul fischio della locomotiva e sulla sua musica minacciosa, che annuncia l'arrivo della civiltà moderna, dell'inurbamento, della speculazione edilizia.

Il paragrafo che ci interessa, nel gran libro di Thoreau, viene dopo alcune riflessioni sulla speciale lingua che parlano le cose, «senza metafora» (in contrapposizione con le lingue parlate da uomini e libri) e dopo una descrizione, che sarebbe piaciuta a Van Gogh, della capanna di Thoreau e dei suoi pochi mobili (in particolare del momento in cui, per pulire l'impiantito, egli portava fuori il tavolo a tre gambe, con su libri, penna e calamaio, il letto e le sedie e li lasciava per un po' nel bosco, e poi restava a osservare queste cose improvvisamente spiazzate, ma collocate in mezzo agli alberi da cui un tempo le loro forme di legno erano derivate).

A questo punto il poeta si pone alla finestra, in un pomeriggio d'estate. C'è pace tutt'attorno e solo si scorgono, in alto, con una presenza forse carica di elementi simbolici (fierezza, sospensione, minaccia, malaugurio) alcuni falchi che compiono ampi giri nel cielo. Segue l'elenco di alcuni suoni che giungono dal mondo circostante. L'elenco, che si chiude sorprendentemente con il suono innaturale del treno, è attentamente dosato, e ha connotazioni non univoche. Prima i piccioni selvatici che si muovono veloci in coppie o terzetti, o si posano inquieti sui rami attorno alla casa e danno voce all'aria, e fanno allegramente parlare la natura; poi un falco pescatore che piomba di colpo sulla superficie del lago e cattura un pesce; poi una martora che, con altrettanto decisa crudeltà, scivola fuori dalla palude e acchiappa una rana; poi il ramo di una carice che si piega sotto il peso dei doliconici svolazzanti qua e là. Ultimo viene il treno, legato agli altri elementi dell'elenco da una semplice congiunzione, assimilato a essi da un preciso paragone, fra il suo rumore che ora cresce ora svanisce - e che peraltro è definito un rattle, come quello dei tamburi, o dei sonagli di un serpente, o della grandine su un tetto - e che fa pensare al verso tambureggiante del maschio della pernice americana (grouse), quando corteggia la femmina:

[...] e nell'ultima mezz'ora ho udito il ra-ta-ta-ra-ta-ta dei vagoni ferroviari che portavano i viaggiatori di Boston in campagna, ora morente e ora più forte, come il richiamo d'una pernice. [[vi, pp. 104, 179]

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Pagina 118

Ma La bestia umana non è solo questo: è anche un «romanzo ferroviario» che, con la solita esattezza documentaria di Zola, ricostruisce minutamente ambienti, tecniche, strutture e gerarchie di treni, stazioni, locomotive, vagoni, intrico dei binari, scambi, segnali, tunnel, passaggi a livello e case cantoniere. È anche, infine, un «romanzo sociale» che rappresenta i mali e le corruzioni del mondo economico-politico nella Francia di Napoleone III e gli inutili massacri della guerra franco-prussiana del 1870.

La struttura organizzativa della narrazione è offerta dal mondo delle stazioni, dei binari, degli scambi, dei treni, del macchinario ferroviario con le sue caratteristiche costitutive, e in particolare dalla linea ferroviaria Parigi - Le Havre, con le due stazioni di testa nelle quali abitano e operano - e fra le quali si muovono - due nuclei di personaggi, e con due punti intermedi nei quali si svolgono gli episodi cruciali: alla Croix-de-Maufras i delitti, a Rouen l'inchiesta e il processo. Questi luoghi (la Gare Saint-Lazare a Parigi, la stazione di Le Havre, la casa cantoniera, il passaggio a livello, la casa abbandonata della Croix-de-Maufras, il tunnel, il palazzo di giustizia a Rouen) sono descritti attentamente nel romanzo e più volte viene descritto anche l'intero percorso del treno da Parigi a Le Havre e viceversa, nelle più varie situazioni (di giorno, di notte, con il bel tempo, con la neve ecc.).

La divisione dei capitoli è stabilita proprio sul ritmo dei viaggi e fa perno sulle due stazioni terminali e sui due luoghi intermedi, secondo una precisa legge di alternanza. Alla Croix-de-Maufras, che è il nodo centrale attorno al quale si articolano gli episodi principali del romanzo (i due delitti, le morti, le antiche violenze, gli incidenti), lo sfondo è offerto dai binari che attraversano la campagna, su cui passano i treni (fra cui quello del delitto), che escono da una galleria per poi entrare in un' altra; al di qua e al di là dei binari ci sono la casa del cantoniere, che ospita la zia Phasie morente, e la vuota dimora dei Grandmorin, con la camera rossa, luogo delle antiche violenze e poi del secondo delitto. Tutto attorno è un paesaggio desolato, accidentato, selvaggio.

A Parigi il luogo centrale è la Gare Saint-Lazare, che si presenta agli occhi dei personaggi secondo punti di vista diversi: da una parte e dall'altra del ponte de l'Europe. Luogo del desiderio erotico, della confessione, del turbamento e del desiderio di uccidere è la stanza di mamma Victoire (con al piano di sopra le stanze dei Dauvergne, luogo della serena vita familiare). Ci sono poi la stanza di Jacques, i giardini, le strade, le trattorie e l'abitazione di Camy-Lamotte, luogo dei segreti di Stato, dei grandi affari e della grande corruzione, delle manovre politiche.

A Le Havre i luoghi centrali sono la stazione, i depositi ferroviari neri di fumo e di carbone, gli alloggi degli impiegati ferroviari popolati da litigi, adulteri, pettegolezzi, l'alloggio dei Roubaud con nascosta in un buco sotto l'impiantito la refurtiva del delitto; al lontano orizzonte, il mare, con la vaga impossibile speranza della fuga verso l'America.

A Rouen il luogo principale è costituito dal Palazzo del tribunale e dalle stanze del giudice inquisitore Denizet; fuori dal tribunale, nelle viuzze scure, alcune figure si accoppiano, si seguono e si spiano.

I personaggi del romanzo si muovono fra questi luoghi con un ritmo continuo, a volte frenetico. Séverine compie il viaggio di andata e ritorno Le Havre-Parigi all'inizio del romanzo, insieme con il marito Roubaud, e da un certo punto in avanti lo compie regolarmente, ogni venerdì, per incontrarsi con l'amante. Jacques e Pecqueux, con la loro locomotiva, lo compiono seguendo un orario preciso, uguale ogni settimana, secondo gli ordini di servizio. Anche tutti gli altri treni che compaiono nel romanzo si muovono secondo orari precisi (a parte qualche piccola disattenzione dell'autore).

E tutti i personaggi che vivono dentro questo mondo hanno l'obbligo, quando lavorano, di misurare i loro movimenti e i loro gesti sul ritmo dei fischi dei treni, dei campanelli delle stazioni, dell'accensione dei dischi rossi e dischi verdi, ma misurano ormai anche la vita privata, nelle loro case, con gli orologi che l'azienda fornisce ai suoi impiegati. Essi sono - come è detto esplicitamente all'inizio del capitolo 6 [1981, p. 160] - «sottomessi a un'esistenza cronometrata dalle esigenze dell'orario».

Il romanzo si apre, significativamente, con una scena di paesaggio ferroviario. È la descrizione della stazione ferroviaria di Saint-Lazare a Parigi - l'intrico dei binari, il movimento dei treni e delle locomotive, i ferrovieri al lavoro - colta con gli occhi del sottocapostazione Roubaud, affacciato a una finestra. È la prima descrizione, nel romanzo, dell'universo ferroviario. Il sistema dei binari che spuntano dal tunnel delle Batignolles, passano sotto il grande ponte di ferro de l'Europe, si aprono a ventaglio prima di entrare sotto le pensiline e le grandi vetrate della Gare Saint-Lazare è visto dall'alto, con gli occhi di Roubaud, dalla finestra della camera di Madame Victoire, che vive in uno degli alloggi riservati ai ferrovieri. Prima dell'ampia scena vista dalla finestra c'è, come a stabilire un primo piano, nella stanza, il tavolo con su poggiati alcuni semplici, concretissimi oggetti (che avranno un posto importante nel dramma che si svolgerà nella stanza: il pane da una libbra, il pasticcio e la bottiglia di vino bianco).

La scena dalla finestra - i movimenti, i rumori, il fumo, i bagliori dei vetri e dei metalli - ritornerà continuamente nel capitolo I e si alternerà alle scene drammatiche che si svolgeranno all'interno della stanza; con essa, anche se vista da una prospettiva diversa, il capitolo circolarmente si chiuderà. La stessa scena, poi, ricomparirà più avanti nel romanzo, con angolature prospettiche ancora diverse, e comparirà significativamente nel capitolo 5, quando rivedremo la Gare Saint-Lazare, il fascio dei binari, la finestra della camera di Madame Victoire con gli occhi, questa volta, di Séverine, e da una prospettiva più bassa, proprio dal ponte de l'Europe, tra nuvole di vapore e colonne di fumo.

Nella prima scena noi lettori ci affacciamo insieme con Roubaud alla finestra e vediamo tutto quel mondo con i suoi occhi. Sono occhi esperti; che confrontano la stazione parigina con quella di Le Havre, nella quale Roubaud ha fra i suoi compiti proprio quello di dirigere e manovrare i movimenti dei treni. Fra notazioni abbastanza cariche di colore, fra una generale dominanza di sensazioni emananti dal ferro, dal vapore e dal fumo, si coglie, nella descrizione condotta secondo il punto di vista di Roubaud, la tendenza, tipica di chi lavora con le macchine della ferrovia, ad animarle e personificarle: c'è la locomotiva di manovra pronta e diligente, c'è l'altra grossa macchina potente, che staziona isolata con due grandi ruote divoratrici; c'è la locomotiva del treno di Caen che chiede via libera con fischi leggeri, insistenti, come chi non ne può più dall'impazienza.

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Pagina 132

Il romanzo, come risulta dai materiali preparatori e dalla struttura stessa del testo, è costruito attorno a due grandi temi: 1) quello della ferrovia e dei treni, come componenti di un mondo che si sta riorganizzando economicamente e socialmente e lanciando verso il progresso e la modernità, ma anche di un mondo in cui la presenza nuova della macchina trasforma profondamente la vita umana, il sentimento del tempo, il sentimento dello spazio, il rapporto con la natura; e 2) quello della persistenza, nella struttura fisica e mentale della soggettività uomo, di forze istintive arcaiche, tare ereditarie, istinti di perversione, di morte e di follia, che toccano specificamente la sfera del sesso, della passione amorosa, della famiglia. È a questi temi centrali che rinvia, sostanzialmente, il titolo stesso di La bestia umana.

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Pagina 186

Proviamo a riprendere in considerazione alcuni degli elementi costitutivi dell'esperienza ferroviaria e quindi delle loro trascrizioni letterarie. La stazione, sappiamo, fu un elemento fondamentale della nuova sistemazione urbanistica della città dell'Ottocento: da una parte c'era il polo d'attrazione della città tradizionale, con il vecchio centro, la piazza, la cattedrale; dall'altra parte, spesso al termine di un nuovo lungo viale oltre la cinta muraria abbattuta, con attorno le nuove costruzioni della città moderna, c'era il polo d'attrazione della stazione ferroviaria. Non pochi sono stati gli esaltatori della stazione, e molti quelli che hanno, in positivo o in negativo, insistito sulla sua qualità di nuova cattedrale, luogo di celebrazione dei nuovi riti industriali. Abbiamo ricordato come nel 1846, Gautier avesse paragonato la stazione alla cattedrale gotica. Egli stesso, in altre occasioni, la definì «palazzo dell'industria moderna, in cui si dispiega la religione del nostro secolo: la religione delle ferrovie», aggiungendo:

[...] queste cattedrali della nuova umanità sono il punto d'incontro delle nazioni, il centro in cui tutto si riunisce, il nocciolo di una stella gigantesca, con raggi di acciaio, che si allungano fino ai confini del mondo.

Per tutto il secolo e anche oltre continuarono le celebrazioni delle stazioni come luoghi di culto della modernità, fino a Malevic, che le definì «vulcani della vita» e a Blaise Cendrars che le paragonò alle «più belle chiese del mondo».

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