Copertina
Autore Vanni Codeluppi
Titolo Il potere del consumo
SottotitoloViaggio nei processi di mercificazione della società
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2003, Variantine , pag. 150, cop.fle., dim. 115x175x10 mm , Isbn 978-88-339-1488-6
LettorePiergiorgio Siena, 2004
Classe sociologia
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Indice

  7 Premessa
    La legge del consumo

    Il potere del consumo

 17 1.  Coca-Scuola
 29 2.  Mediaconsumo
 36 3.  Music TeleVision
 43 4.  Business Art
 53 5.  Pubblipolitica
 61 6.  American Logo
 71 7.  Supersport
 91 8.  Malascienza
100 9.  Sesso globale
115 10. Corpo flusso

129 Riferimenti bibliografici

 

 

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Pagina 8

[...] Ciò che caratterizza le società occidentali odierne non è infatti la produzione dei beni, e tantomeno dei produttori necessari per la loro creazione. È la produzione dei consumatori. Se la società industriale aveva bisogno di formare una massa di persone docili, adatte a costituire la manodopera delle fabbriche, oggi i progressi dell'automazione e soprattutto l'esportazione della produzione in paesi a basso costo del lavoro hanno determinato il superamento di questo problema. E il compito è pertanto diventato quello di educare al consumo.

L'educazione al consumo è particolarmente efficace perché non soltanto i media ma tutte le istituzioni sociali sono sempre più interessati da una logica di tipo consumistico. Prosegue infatti quel processo tipico delle società capitalistiche che già Marx aveva individuato come «mercificazione» della società. La cultura del consumo non si accontenta più di aumentare di intensità nel suo ambito specifico - quello dell'acquisto dei beni -, ma si estende anche a quegli spazi della società in cui in precedenza non era presente. Così moltiplica le dimensioni e il numero dei luoghi dove acquistare i prodotti (supermercati, ipermercati, centri commerciali, discount, negozi specializzati ecc.), e, come ho cercato di mostrare nello Spettacolo della merce (2000), allo stesso tempo tende progressivamente a occupare molti luoghi che erano tradizionalmente estranei ad essa (alberghi, ristoranti, aeroporti, cinema ecc.).

Ma soprattutto - è questo il tema del presente libro - la cultura del consumo invade in maniera crescente anche ambiti - naturalmente con i relativi luoghi fisici - che nelle società capitalistiche occidentali in passato non avevano a che fare col mercato: educazione, arte, politica, sport, salute ecc. Jeremy Rifkin (2000) ha efficacemente definito "capitalismo culturale" questo tipo di società contaminata dal consumo.

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Pagina 12

Inoltre non si può trascurare che «il sogno di un progresso condiviso lascia il posto a un crescente sottosviluppo, alla marginalizzazione, alla distruzione tramite la miseria di una parte sempre più ampia dell'umanità. [...] E che dire dell'equa distribuzione dei beni su questo pianeta? È solo un'illusione... La mano invisibile del mercato decide giorno dopo giorno chi può vivere e chi deve morire. I predatori trionfano e impongono la privatizzazione del mondo» ( Ziegler 2003, p. 227). Ciò non fa che rendere ancora più evidente quanto Jean Baudrillard ha sostenuto oltre trent'anni fa, e cioè che la società dei consumi di massa sembra in apparenza dare vita a un processo di omologazione, mentre in realtà produce nuove forme di differenziazione e gerarchizzazione tra gli individui. Lungi dall'eliminare come promette le barriere culturali, le differenze religiose e i conflitti di classe, il consumo esercita oggi principalmente il suo potere attraverso un incremento delle discriminazioni sociali.

L'ideologia liberista ha però sostenuto il contrario e cioè che il consumo è in grado di migliorare lo stato di benessere di tutti. Questo le ha garantito un enorme successo; è diventato infatti quasi di moda essere «liberali». Tutte le forze politiche, di destra o di sinistra, concordano sulla necessità di spingere i governi a privatizzare, deregolamentare e liberalizzare sempre più gli scambi commerciali, mosse da una visione del consumo come strumento magico in grado di risolvere ogni problema economico della società. Ma per poter funzionare al meglio il consumo ha bisogno di essere lasciato libero di agire. Solo in tal modo si può esprimere quella spinta al miglioramento della condizione individuale che costituisce il vero fattore di successo del capitalismo, ciò che ha consentito a quest'ultimo di essere vincente nei confronti degli altri sistemi economici e delle sue stesse crisi. Ma, lasciato assolutamente libero nel suo operare, il consumo produce anche forti disparità sociali e tutte quelle conseguenze negative che George Ritzer (1997) ha racchiuso all'interno dell'etichetta «irrazionalità della razionalità», ovvero sfruttamento della manodopera, danni alla salute individuale, inquinamento dell'ambiente, colonialismo ecc. La sua potente spinta al miglioramento individuale, lasciata priva di vincoli, è cioè controproducente. Alle società del futuro spetterà il compito di conciliare questo paradosso che caratterizza la natura odierna del consumo; un compito difficilissimo, ma indispensabile per migliorare la qualità della vita di tutti gli abitanti della terra.

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Pagina 43

4. Business Art


Il noto artista italiano Maurizio Cattelan, autore di un'opera celebre in tutto il mondo come La nona ora che raffigura con molto realismo e in dimensioni naturali papa Wojtyla a terra colpito da un pesante meteorite, è un chiaro esempio di come si stia modificando il ruolo sociale dell'arte. Cattelan, infatti, non ha bisogno di un atelier come gli artisti del passato. Quando non è in giro per il mondo, passa le sue giornate negli uffici dell'agenzia McCann Erkkson di Milano guardando il materiale pubblicitario che vi viene prodotto e sfogliando riviste (Mammì 2002). Insomma, per aggiornarsi si nutre del linguaggio della pubblicità e del consumo, esattamente come gli artisti dei secoli scorsi andavano ad abbeverarsi alle fonti della classicità.

Cattelan ha ragione; l'arte è un perfetto oggetto di consumo e per produrla al meglio è necessario trovarsi proprio dove l'ideologia del consumo nasce. Anche perché il consumo sta diventando uno dei temi più praticati dagli artisti (Parmesani 1993; Senaldi 2003). D'altronde, ciò appariva evidente già diversi anni fa ad Andy Warhol, il quale parlava esplicitamente di «Business Art» e sosteneva addirittura che «essere bravi negli affari è la forma d'arte più affascinante» (1983, p.78).

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Pagina 94

Oggi le case farmaceutiche arrivano addirittura al punto di lanciare costose campagne pubblicitarie per focalizzare l'attenzione su alcune malattie marginali e renderle preoccupanti, per convincere il pubblico a ricorrere ai loro farmaci. Come ha raccontato Marco D'Eramo (2002), negli Stati Uniti, nella primavera del 2001 le Tv locali hanno incominciato a riferire che dieci milioni di americani, mentre in realtà sono soltanto tre, «soffrono di una malattia sconosciuta. "Si avvertivano i telespettatori di badare a questi sintomi: irrequietezza, stanchezza, irritabilità, tensione muscolare, nausea, diarrea, sudorazione. In molti di questi programmi interveniva il dottor Jack Gorman, stimato psichiatra della Columbia University. I testimonial erano alternati con scene serene di una donna che giocava con un passerotto e un'altra che ingeriva pillole. La malattia in questione era il 'disordine di ansietà generalizzata' (GAD), una condizione che secondo i rapporti lascia chi ne soffre paralizzato da paure irrazionali". I programmi non citavano nessuna medicina particolare per questa nuova sindrome. Ma, guarda caso, proprio il 16 aprile 2001 l'ente che sovrintende all'introduzione di nuovi farmaci, la US Food and Drug Administration (FDA), aveva certificato l'antidepressivo Paxil, prodotto dal gigante farmaceutico inglese GlaxoSmithKline (GSK), per il trattamento anche dell'ansietà generalizzata. Allora non ci stupisce più che lo stimato psichiatra Jack Gorman sia stato per anni sui libri paga della GSK come consulente.

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Pagina 107

C'è poi il ruolo amplificatore esercitato da gran parte delle nuove tecnologie comunicative che si sono via via presentate sulla scena sociale, per le quali il consumo di pornografia è sempre stato un potente motore di sviluppo. È successo così per la fotografia, il cinema, il Vhs, il Cd-Rom, la videocamera, la pay Tv e la Tv satellitare. La ragione di ciò, come ha sostenuto Luigi Benfante (1999, p.35), è semplice: «per sviluppare le sue potenzialità, la tecnologia deve trovare applicazioni, cioè mercato; e uno dei modi più semplici e veloci per creare un mercato è ricorrere a un istinto primordiale come quello sessuale».

Ma Benfante individua un altro elemento determinante per lo sviluppo del consumo di pornografia nella maggiore familiarità con le tecnologie posseduta dal pubblico maschile, che tradizionalmente è stato un consumatore di materiale pornografico decisamente più attivo di quello femminile.

Importanti sono anche il miglioramento del livello di qualità formale dei prodotti pornografici, e soprattutto la nascita del cosiddetto «porno-chic» (O'Toole 1997), un porno sofisticato e patinato, che utilizza principalmente toni soft e glamour e che rappresenta «un ulteriore stadio nella mercificazione del sesso e l'estensione del consumismo sessuale a una fascia di popolazione più ampia di quella che in precedenza aveva avuto accesso ad esso» (McNair 2002, p.87).

Infine, va considerata anche l'esigenza da parte di molti uomini di rispondere con il recupero di elementi della loro identità più tradizionale a quel processo di messa in crisi determinato dalla grande ondata dell'emancipazione femminile, cioè dall'accresciuto potere della donna nella società.

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