Copertina
Autore Joseph Michael Coetzee
Titolo Elizabeth Costello
EdizioneEinaudi, Torino, 2004, Supercoralli , pag. 196, cop.ril.sov., dim. 140x222x16 mm , Isbn 978-88-06-16875-9
OriginaleElizabeth Costello [2003]
TraduttoreMaria Baiocchi
LettoreAngela Razzini, 2004
Classe narrativa sudafricana
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Indice


  3 I.   Il realismo
 39 II.  Il romanzo in Africa
 65 III. Le discipline umanistiche in Africa
107 IV.  Il problema del male
137 V.   Eros
149 VI.  Davanti alla porta


    Poscritto
189 Lettera di Elizabeth, Lady Chandos,
    a Francis Bacon


 

 

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Pagina 3 [ inizio libro ]

Lezione uno
Il realismo



Prima di tutto c'è il problema dell'apertura, ovvero di come spostarci da dove siamo, che per ora è in nessun luogo, all'altra sponda, lontana. È un semplice problema di collegamento, il problema di mettere insieme un ponte. La gente risolve problemi di questo tipo tutti i giorni. Li risolvono, e dopo averli risolti vanno avanti.

Immaginiamo che, in un modo o nell'altro, sia stato fatto. Mettiamo che il ponte sia stato costruito e attraversato, che possiamo levarcelo dalla testa. Ci siamo lasciati alle spalle il territorio dove stavamo. Siamo nel territorio lontano, dove vogliamo stare.

Elizabeth Costello è una scrittrice, nata nel 1928, il che significa che ha 66 anni e va per i 67. Ha scritto nove romanzi, due raccolte di poesie, un libro sulla vita degli uccelli e un gran numero di articoli. È australiana, nata a Melbourne dove tuttora vive, anche se tra il 1951 e il 1963 ha vissuto all'estero, in Inghilterra e in Francia. E stata sposata due volte. Ha due figli, uno da ogni matrimonio.

Elizabeth Costello è diventata famosa con il quarto romanzo, The House on Eccles Street (1969), la cui protagonista è Marion Bloom, moglie di Leopold Bloom, protagonista di un altro romanzo, l' Ulisse (1922) di James Joyce.

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Pagina 7

Alle sei e mezzo lui bussa alla porta. Elizabeth è pronta, aspetta, piena di dubbi ma decisa ad affrontare il nemico. Indossa il completo blu con la giacca di seta, la sua uniforme da scrittrice, e le scarpe bianche, che vanno bene solo che chissà come la fanno somigliare a Paperina. Si è lavata i capelli e li ha pettinati all'indietro. Hanno ancora un'aria grassa, ma decorosamente grassa, come quelli di un marinaio o di un meccanico. Ha già sul volto quell'espressione passiva che su una faccia adolescente si definirebbe introversa. Un volto privo di personalità, su cui un fotografo dovrebbe lavorare per caratterizzarlo. Come Keats, pensa lui, il grande fautore della cieca ricettività.

Il completo blu, i capelli grassi, sono dettagli, segni di un moderato realismo. Forniscono i particolari, lasciano che i significati emergano da soli. Un metodo lanciato da Daniel Defoe. Robinson Crusoe, arenato su una spiaggia, si guarda intorno in cerca dei compagni. Ma non ci sono. «Non li vidi mai piu, né loro né le loro tracce, - dice, - tranne tre cappelli, un berretto, e due scarpe scompagnate». Due scarpe, scompagnate: non essendo compagne, le scarpe hanno smesso di essere calzature e sono diventate prove di morte, strappate dalla violenza del mare ai piedi degli uomini annegati, e buttate sulla riva. Niente parole eccelse, niente disperazione, solo cappelli e berretti e scarpe.

Da quando se la ricorda, sua madre ha sempre passato la mattina chiusa nel suo studio per dedicarsi alla scrittura. Nessuna intrusione per nessun motivo. Lui era convinto di essere un bambino sfortunato, solo e poco amato. Quando si sentivano particolarmente tristi, lui e sua sorella si accasciavano davanti alla porta chiusa emettendo flebili lamenti. Dopo un po' i lamenti si trasformavano in mormorio o cantilena, e si sentivano meglio, dimenticavano il loro stato di abbandono.

Ora la scena è cambiata. Lui è cresciuto. Non sta piú fuori dalla porta ma dentro, e osserva sua madre che siede, con le spalle alla finestra, a fissare, giorno dopo giorno, anno dopo anno, mentre i capelli da neri diventano lentamente grigi, la pagina bianca. Che tenacia! pensa. Davvero merita la medaglia, non c'è dubbio, questa e molte altre. La medaglia al valore, per essere andata al di là del dovere.

Per lui il cambiamento si verificò a trentatre anni. Fino a quel momento non aveva letto una parola di quello che lei aveva scritto. La sua risposta, la vendetta per essere stato chiuso fuori. Lei lo rifiutava e quindi lui rifiutava lei. O forse si era rifiutato di leggerla per difendersi. Forse era quello il motivo piú profondo: difendersi dal fulmine. Poi un giorno, senza dire una parola a nessuno, senza dire una parola neppure a se stesso, prese uno dei suoi libri in biblioteca. Dopo, lesse tutti gli altri, apertamente, in treno, a tavola. - Cosa leggi? - Uno dei libri di mia madre.

Lui è nei suoi libri, o almeno in alcuni dei suoi libri. E ci sono anche altre persone, che lui riconosce; e ce ne devono essere molte di piú che non riconosce. Sul sesso, sulla passione, la gelosia e l'invidia, lei scrive con una lucidità che lo sconvolge. È assolutamente indecente.

Lo scuote; con ogni probabilità è l'effetto che fa anche agli altri lettori. E forse è per questo che lei, nel quadro generale, esiste. Che strana ricompensa per una vita passata a scuotere la gente: essere portati in questa città della Pennsylvania e ricevere dei soldi! Perché lei tutto è tranne che una scrittrice consolatoria. È perfino crudele, una crudeltà di cui sono capaci le donne, ma raramente gli uomini. Che razza di creatura è, lei, in realtà? Non una foca: non è abbastanza simpatica per somigliare a una foca. Ma neppure uno squalo. Un felino. Uno di quei grandi felini che fanno una pausa mentre sventrano la vittima, e lanciano una fredda occhiata gialla da sopra la pancia squarciata.

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Pagina 34

I loro doveri a Williamstown sono finiti. La troupe televisiva sta andando via. Nel giro di mezz'ora un taxi li porterà all'aeroporto. Lei ha vinto, piú o meno. Anche in terra straniera. Una vittoria fuori casa. Potrà tornare in patria con la sua vera identità sana e salva, lasciando dietro di sé un'immagine falsa, come tutte le immagini.

Qual è la verità su sua madre? Lui non la conosce, e in fondo al cuore non la vuole conoscere. È qui solo per proteggerla, per sbarrare la strada ai cacciatori di reliquie, ai lanciatori di ingiurie, ai pellegrini sentimentali. Ha le sue idee, ma non le esprimerà. Questa donna, direbbe se fosse interrogato, questa donna di cui attendete le parole come fossero quelle della Sibilla, è la stessa donna che, quarant'anni fa, passava un giorno dopo l'altro chiusa nel suo monolocale ad Hampstead, a piangere tutta sola, trascinandosi per le strade buie la sera a comprare pesce fritto e patatine di cui si nutriva, per poi addormentarsi tutta vestita. È la stessa donna che in seguito avrebbe seminato il terrore a Melbourne, girando per la casa con i capelli svolazzanti in tutte le direzioni, gridando ai figli: «Voi mi uccidete! Mi state strappando la carne di dosso!» (Lui restava sdraiato al buio con la sorellina in preda ai singhiozzi e la consolava; aveva solo sette anni e quella era la sua prima esperienza di comportamento paterno). È questo il mondo segreto dell'oracolo. Come potete sperare di capirla prima di sapere davvero com'è?

Lui non odia sua madre. (Mentre pensa quelle parole, altre parole riecheggiano in fondo alla sua mente: le parole di uno dei personaggi di William Faulkner, che ripete con ossessiva insistenza di non odiare il Sud. Chi è quel personaggio?) Al contrario. Se la odiasse avrebbe provveduto da un pezzo a mettere la massima distanza tra loro due. Non la odia. Serve al suo altare, e lo mette in ordine dopo lo scompiglio dei giorni di festa, spazza via i petali, raccoglie le offerte, mette insieme gli oboli delle vedove per depositarli subito in banca. Forse non partecipa alla frenesia, ma anche lui è un devoto.

Un portavoce della divinità. Ma Sibilla non è la parola giusta per lei, e nemmeno oracolo. Troppo greco-romano. Sua madre non è di pasta greco-romana. Il Tibet o l'India le si addicono di piú: un dio incarnato in una bambina, portata da un villaggio all'altro, per essere applaudita, venerata.

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Pagina 61

L'oceano australe. Poe non l'aveva mai visto, Edgar Allan, ma lo attraversava in lungo e in largo con la mente. Barche a remi piene di isolani dalla pelle scura gli andavano incontro. Sembravano persone normali, proprio come noi, salvo che quando sorridevano mostrando i denti, i denti non erano bianchi ma neri. Gli fecero correre un brivido per la schiena, e giustamente. I mari sono pieni di cose che sembrano come noi ma non lo sono. Fiori marini che aprono la bocca e divorano. Anguille, con le fauci piene di denti acuminati da cui pende l'intestino. Denti fatti per lacerare, lingua fatta per agitare la brodaglia: questa è la verità dell'oralità. Qualcuno dovrebbe dirlo a Emmanuel. Solo grazie a un'ingegnosa economia, a un incidente dell'evoluzione, l'organo dell'ingestione viene talvolta usato per il canto.

Resteranno al largo di Macquarie fino a mezzogiorno, abbastanza per permettere ai passeggeri che lo desiderano di visitare l'isola. Lei si è prenotata per la visita.

La prima barca parte dopo colazione. L'avvicinamento all'approdo è difficile, tra fitti banchi di cenere d'alghe e scogli digradanti. Alla fine uno dei marinai deve aiutarla a scendere a terra, quasi prendendola in braccio, come se fosse molto, molto vecchia. Il marinaio ha gli occhi azzurri e i capelli biondi. Attraverso la tuta impermeabile, Elizabeth sente la giovane forza dell'uomo. Tra le sue braccia, è tranquilla come un bambino. - Grazie! - dice riconoscente quando la mette giú; ma per lui non è niente, solo un servizio per cui è pagato in dollari, non piú personale del servizio di un'infermiera in un ospedale.

Elizabeth ha letto qualcosa su Macquarie Island. Nel XIX secolo era il centro dell'industria dei pinguini. Centinaia di migliaia di pinguini venivano bastonati a morte e buttati dentro calderoni di ghisa dove venivano decomposti in utili oli e inutili scarti. Oppure non bastonati a morte, solo pungolati con un bastone perché avanzassero sulla passerella fin dentro il calderone fumante.

Eppure i loro discendenti del XX secolo sembrano non aver imparato niente. Nuotano ancora ignari incontro ai visitatori per accoglierli; lanciano ancora saluti a chi si avvicina alle loro colonie (Ho! Ho! gridano, proprio come piccoli gnomi rauchi), e permettono alla gente di avvicinarsi, si lasciano toccare, accarezzare il petto lucido.

Alle undici le barche li riporteranno sulla nave. Fino a quel momento sono liberi di esplorare l'isola. C'è una colonia di albatri sulla collina; possono fotografarli, ma non devono avvicinarsi troppo, per non spaventarli. E la stagione della riproduzione.

Elizabeth si allontana dal resto della compagnia, e dopo un po' su un altopiano lungo la linea costiera si trova ad attraversare una grande distesa erbosa.

Improvvisamente, inaspettatamente, vede qualcosa davanti a sé. In principio pensa che sia una roccia, liscia e bianca, screziata di grigio. Poi si rende conto che è un uccello, piú grande di quanti ne abbia mai visti. E riconosce il becco lungo, ricurvo, lo sterno enorme. Un albatro.

L'albatro la guarda fisso e, cosi le pare, divertito. Sotto di lui fa capolino una versione piú piccola dello stesso becco. L'implume è piú ostile. Spalanca il becco e lancia un lungo, muto grido di allarme.

Cosi rimangono la donna e i due uccelli, a ispezionarsi reciprocamente.

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Pagina 77

- Quando ero studentessa, - dice, rivolgendosi di nuovo ai Godwin, - cioè intorno al 1950, leggevamo molto D. H. Lawrence. Ovviamente leggevamo anche i classici, ma non era su di loro che si concentravano le nostre vere energie. D. H. Lawrence, T. S. Eliot, quelli erano gli scrittori che studiavamo attentamente. Forse Blake per il XVIII secolo, e Shakespeare, perché come tutti sappiamo Shakespeare trascende il suo tempo. Lawrence ci affascinava perché prometteva una forma di salvezza. Se avessimo venerato gli dèi oscuri, ci diceva, osservato i loro riti, ci saremmo salvati. E noi gli credevamo. E cosi veneravamo gli dèi oscuri come meglio sapevamo, raccogliendo i suggerimenti che ci venivano da Lawrence. Ebbene, la nostra venerazione non ci salvò. Oggi, guardandomi indietro, lo definirei un falso profeta.

Quello che voglio dire è che nelle nostre piú fedeli letture, da studenti, cercavamo la pagina che ci avrebbe guidato, cercavamo una guida nell'incertezza. La trovavamo in Lawrence, o in Eliot, il primo Eliot: un tipo diverso di guida, forse, ma pur sempre una guida su come vivere la nostra vita. Le altre nostre letture, in confronto, erano superficiali, veloci, fatte per passare gli esami.

Se le discipline umanistiche vogliono sopravvivere, dovranno sicuramente rispondere a quelle energie e a quel desiderio di guida: un desiderio che, alla fine, è ricerca di salvezza.

Ha parlato tanto, piú di quanto non intendesse fare. E ora, nel silenzio improvviso, si rende conto che anche gli altri commensali la stavano ascoltando. Perfino sua sorella si è girata verso di lei.

- Non ci eravamo resi conto, - dice il preside a voce alta, da capotavola, - quando sorella Bridget ci ha chiesto di invitarla a questo lieto evento, che avremmo avuto tra noi la famosa Elizabeth Costello. Benvenuta. Siamo felici che lei sia qui.

- Grazie.

- Non ho potuto fare a meno di cogliere qualcosa di quello che diceva, - continua il preside. - Lei è d'accordo con sua sorella a proposito del quadro cupo che si prospetta per le discipline umanistiche?

Adesso deve stare attenta a dove mette i piedi. - Stavo solo affermando - dice - che i nostri lettori, in particolare i nostri giovani lettori, vengono da noi con una sorta di fame, e che se non siamo in grado di soddisfarla o non vogliamo farlo, non dobbiamo poi stupirci se ci abbandonano. Ma io e mia sorella lavoriamo in campi diversi. Lei vi ha detto cosa pensa. Per quello che mi riguarda, direi che è sufficiente che i libri ci insegnino qualcosa su noi stessi. Tutti i lettori dovrebbero accontentarsi di una cosa del genere. O quasi tutti i lettori.

Gli altri guardano sua sorella per vedere come reagisce. Insegnarci qualcosa su noi stessi: che cos'altro è se non studium humanitatis?

- Questa è una conversazione conviviale, - dice sorella Bridget, - o stiamo parlando sul serio?

- Stiamo parlando sul serio, - dice il preside. - Noi siamo seri.

Forse dovrebbe rivedere il suo giudizio su di lui. Forse non è solo l'ennesimo burocrate accademico che segue il programma di cerimoniere, ma un'anima con i dubbi e i desideri di un'anima. Bisogna riconoscergli quella possibilità. E forse è proprio questo che sono, nel loro profondo, tutti i convenuti alla tavola: anime affamate. Non dovrebbe dare giudizi impulsivi. Se non altro non sono stupidi. E ormai devono aver capito che sorella Bridget, gradevole o meno, è una persona fuori dal comune.

- Non ho bisogno di consultare i romanzi, - dice sua sorella, - per sapere di quale meschinità, di quale bassezza, di quale crudeltà siano capaci gli esseri umani. È da li che partiamo, tutti. Siamo creature cadute. Se lo studio dell'umanità consiste semplicemente nel rappresentarci le nostre piú oscure potenzialità, allora ho di meglio da fare. Se d'altra parte lo studio dell'umanità è lo studio di cosa può essere l'uomo rinato, allora è un'altra storia. Ma ne avrete già abbastanza di conferenze, per oggi.

- Eppure, - dice il giovane seduto accanto alla signora Godwin, - di certo è per questo che si batteva l'umanesimo, e anche il Rinascimento: per l'umanità, per le sue qualità potenziali. Per l'ascesa dell'uomo. Gli umanisti non erano cripto-atei. Non erano neppure luterani mascherati. Erano cristiani cattolici come lei, sorella. Pensiamo a Lorenzo Valla. Valla non aveva niente contro la Chiesa, solo che conosceva il greco meglio di san Girolamo, e sottolineò alcuni degli errori fatti da san Girolamo nel tradurre il Nuovo Testamento. Se la Chiesa avesse accettato il principio secondo cui la Vulgata di san Girolamo era un prodotto umano, e dunque in quanto tale perfettibile, piuttosto che la parola di Dio stesso, forse l'intera storia del mondo occidentale sarebbe stata diversa.

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Pagina 84

È sabato, l'ultima giornata piena in Africa. La passa a Marianhill, la missione che sua sorella ha eletto come casa e lavoro di una vita. Domani andrà a Durban. Da Durban prenderà un volo per Bombay e poi per Melbourne. E sarà finita cosi. Non ci rivedremo piú io e Blanche, pensa, non in questa vita.

È venuta per il conferimento della laurea ad honorem, ma quello che Blanche voleva che lei vedesse, quello che c'era dietro l'invito, era l'ospedale. Questo lo sa, ma in qualche modo resiste. È uno spettacolo che non vuole vedere, che non riesce a tollerare. L'ha visto in televisione fin troppo spesso, tanto che non lo sopporta piú: gli arti ridotti a stecchi, le pance gonfie, i grandi occhi impassibili dei bambini morenti, al di là di ogni cura, di ogni pietà. Allontana da me questo calice! scongiura dentro di sé. Sono troppo vecchia per sopportare quelle scene, troppo vecchia e debole. Mi metterei a piangere.

Ma in questo caso non può rifiutarsi, non quando è sua sorella a chiederglielo. E in realtà l'esperienza non è poi cosi terribile, non tanto da farla crollare. Il personale infermieristico è lindo e pinto, le attrezzature sono nuove - grazie all'abilità di sorella Bridget nel procacciare fondi - e l'atmosfera è rilassata, addirittura allegra. Nei reparti, mescolate al personale, ci sono donne con i vestiti tradizionali. Immagina che siano mamme o nonne, finché Blanche non le spiega: sono guaritrici, le dice, guaritrici. Allora si ricorda: ecco perché Marianhill è famosa, è questa la grande innovazione di Blanche, aprire l'ospedale alla gente, far lavorare i medici locali fianco a fianco con i medici occidentali.

Quanto ai bambini, forse Blanche ha nascosto i casi peggiori, perché non si vedessero, ma è sorpresa da quanto possano essere allegri perfino i piccoli moribondi. È come Blanche ha detto nel suo libro: con l'amore, con le attenzioni e con le giuste terapie questi innocenti possono essere accompagnati fino ai cancelli della morte senza paura.

Blanche la porta anche a visitare la cappella. Entrando nel semplice edificio di ferro e mattoni, viene subito colpita dal crocifisso di legno intagliato dietro l'altare: un Cristo emaciato, il volto come una maschera, coronato di vere spine di acacia, le mani e i piedi trafitti non da chiodi ma da bulloni d'acciaio. La statua è quasi a grandezza naturale; la croce sfiora le travi nude; nell'insieme la scultura domina la cappella, la sovrasta.

Il Cristo è stato scolpito da un artigiano locale, le spiega Blanche. Anni fa la missione lo ha adottato e gli ha fornito un laboratorio e un salario mensile. Le piacerebbe conoscerlo?

Per questo ora il vecchio con i denti macchiati, in tuta, che parla un inglese stentato, presentato solo come Joseph, sta aprendo per lei la porta di un capanno in un angolo esterno della missione. L'erba intorno alla porta è fitta: nessuno deve essere entrato lí da molto tempo.

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Pagina 110

Il libro che stava leggendo quel giorno era di Paul West, un inglese, ma un inglese che sembrava essersi liberato dal le piú meschine tematiche del romanzo inglese. Il libro era su Hitler e sui partecipanti alla congiura contro Hitler nella Wehrmacht, e lei l'aveva letto con interesse fino a quando non era arrivata ai capitoli che descrivevano l'esecuzione dei congiurati. Dove aveva pescato quelle informazioni, West? Possibile che ci fossero stati davvero dei testimoni che, quella sera, tornati a casa, prima di dimenticare, prima che la memoria, per salvarsi, si cancellasse, avessero scritto, con parole che dovevano aver bruciato la pagina, il resoconto di quello che avevano visto, fino alle parole dette dal carnefice alle anime consegnate nelle sue mani, vecchi annaspanti, spogliati dell'uniforme, rivestiti per l'evento finale con indumenti smessi dai carcerati, calzoni di tela grezza incrostati di sudiciume, maglie tarlate, senza scarpe, senza cintura, privati degli occhiali e della dentiera, esausti, tremanti, con le mani in tasca per tener su i calzoni, gementi di paura, strozzati dalle lacrime, costretti a subire le chiacchiere di quel bruto, di quel macellaio col sangue della settimana prima incrostato sotto le unghie, che li scherniva e spiegava loro cosa sarebbe successo quando la corda si fosse stretta alla gola, descrivendo la merda che sarebbe colata giú per le vecchie gambe rinsecchite e l'ultimo fremito del pene floscio, di vecchi? Uno dopo l'altro erano andati al patibolo, in uno spazio imprecisato che avrebbe potuto essere un garage o anche un mattatoio, sotto la luce delle lampade ad arco cosicché laggiú, nella sua tana della foresta, Adolf Hitler, il comandante in capo, potesse seguirne in un filmato i singhiozzi e i contorcimenti e infine l'immobilità, la molle immobilità della carne morta, e godersi la vendetta.

Questo raccontava il romanziere Paul West, per pagine e pagine, senza tralasciare nulla; e questo lei aveva letto, nauseata dalla scena, nauseata di sé, nauseata da un mondo in cui cose del genere potevano succedere, finché alla fine non aveva buttato via il libro e si era presa la testa fra le mani. Osceno! avrebbe voluto urlare, ma non lo fece perché non sapeva contro chi lanciare quella parola: contro di sé, o contro West, o contro il comitato di angeli che assiste impassibile a tutto quello che succede. Osceno perché cose del genere non dovrebbero succedere, e poi ancora osceno perché, una volta successe, non dovrebbero essere rivelate ma piuttosto nascoste, sepolte per sempre nelle viscere della terra, come quello che succede nei mattatoi del mondo, per preservare la sanità mentale di tutti.

L'invito era arrivato quando il fetore dell'oscenità del libro di West pesava ancora su di lei. E questo è in breve il motivo per cui ora si trova qui ad Amsterdam, con la parola osceno che ancora le stringe la gola. Osceni: non solo gli atti dei carnefici di Hitler, non solo gli atti del boia, ma anche le pagine del libro nero di Paul West. Scene che non possono reggere la luce del sole, dalle quali bisognerebbe difendere gli occhi delle fanciulle e dei bambini.

Come reagirà Amsterdam alla Elizabeth Costello di oggi? Quella dura parola calvinista, male, possiede ancora un potere tra questi ragionevoli, pragmatici e ben inseriti cittadini della nuova Europa? È passato piú di mezzo secolo da quando il diavolo si aggirava spavaldo per le loro strade, ma certo non possono averlo dimenticato. Adolf e le sue coorti assediano ancora l'immaginario popolare.

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