Copertina
Autore Joseph Michael Coetzee
Titolo Gioventù
SottotitoloScene di vita di provincia
EdizioneEinaudi, Torino, 2002, Supercoralli , pag. 180, dim. 140x220x18 mm , Isbn 978-88-06-16224-5
OriginaleTouth [2002]
TraduttoreFranca Cavagnoli
LettoreAngela Razzini, 2002
Classe narrativa sudafricana
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Pagina 3 [ inizio libro ]

Uno


Vive in un monolocale nei pressi della stazione ferroviaría di Mowbray, per il quale spende undici ghinee al mese. L'ultimo giorno feriale di ogni mese prende il treno e va in città, a Loop Street, dove A. & B. Levy, agenti immobiliari, hanno una targa d'ottone e un ufficio minuscolo. È a Mr B. Levy., il più giovane dei fratelli Levy, che porge la busta con il denaro dell'affitto. Mr Levy versa i soldi sulla scrivania ingombra di carte e li conta. Con un grugnito, tutto sudato, prepara la ricevuta: - Voilà, giovanotto! - dice passandogliela con uno svolazzo della mano.

Fa il possibile per non pagare in ritardo perché ha affittato l'appartamento sotto mentite spoglie. Quando ha firmato il contratto e versato la cauzione ad A. & B. Levy, non ha dichiarato di essere uno studente, bensi un «assistente bibliotecario» e come indirizzo di lavoro ha fornito quello della biblioteca universitaria.

Non è una menzogna. non del tutto. Dal lunedi al venerdí il suo lavoro consiste nel presidiare la sala di lettura nelle ore serali. È un lavoro che i bibliotecari, donne per lo piú, preferiscono non svolgere perché alla sera il campus, situato in cima alla salita, è troppo buio e deserto. Anche lui sente un brivido lungo la spina dorsale quando apre la porta sul retro e si avvia a tentoni lungo un corridoio nero come la pece per raggiungere l'ínterruttore principale. Sarebbe facilissimo per un malfattore nascondersi tra le pile di libri, dopo che alle cinque il personale se n'è andato a casa, quindi svaligiare gli uffici vuoti e appostarsi nel buio per sottrarre a lui, l'assistente del turno serale, le chiavi.

Pochi studenti approfittano dell'apertura serale; pochi ne sono addirittura a conoscenza. Non ha molto da fare. I dieci scellini a sera che gli danno sono soldi guadagnati senza fatica.

A volte immagina che una bella ragazza con un vestito bianco entri nella sala lettura e indugi con aria svagata dopo l'orario di chiusura; immagina di mostrarle i misteri della legatoria e della sala cataloghi, quindi di uscire con lei nella notte stellata. Non accade mai.

Il lavoro in biblioteca non è il suo unico impiego. Il mercoledí pomeriggio fa da tutor agli studenti del primo anno di matematica (tre sterline alla settimana); il venerdi aiuta gli studenti dell'ultimo anno del corso di storia del teatro nello studio di una scelta di commedie di Shakespeare (due sterline e dieci); e nel secondo pomeriggio va in una scuola di Rondebosch, dove dà ripetizioni ai piú zucconi che devono sostenere l'esame di maturità (tre scellini all'ora). Durante le vacanze lavora per il Comune (ripartizione Edilizia Pubblica); estrapola dati statistici dai rilevamenti sui nuclei familiari. In tutto, a conti fatti, se la cava bene; guadagna quanto basta per pagare l'affitto, le tasse universitarie, riuscire a campare e addirittura mettere da parte qualcosa. Avrà anche solo diciannove anni ma sta ritto sulle sue gambe, non dipende da nessuno.

I bisogni del corpo li tratta come una questione di puro buon senso. Ogni domenica fa bollire un ossobuco con fagioli e sedano e si prepara una grossa pentola di zuppa che gli dura per l'intera settimana. Il venerdí va al mercato di Salt River e compra una cassetta di mele o di guava o di qualsiasi altra frutta di stagione. Ogni mattina il lattaio gli lascia una bottiglia di latte sugli scalini di casa. Quando gliene avanza, lo versa in una vecchia calza di nylon, lo appende sopra il lavello e ne fa del formaggio. Per il resto, compra il pane nel negozio all'angolo. È una dieta che Rousseau approverebbe, o Platone. Quanto all'abbigliamento, ha una giacca e un paio di pantaloni buoni, che indossa a lezione. Nelle altre circostanze, fa in modo che gli indumenti vecchi gli durino.

Sta dimostrando una cosa: ogni uomo è un'isola; non c'è bisogno dei genitori.

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Pagina 12

Di rado le cose sono come sembrano: questo avrebbe dovuto dire a Jacqueline. Ma che probabilità c'è che avrebbe capito? Come avrebbe potuto credere che ciò che ha letto sul diario non era la verità, l'ignobile verità, su quanto passava per la mente del suo compagno nelle pesanti serate di silenzi e di sospiri, bensi mera finzione, una delle molte possibili finzioni, vera soltanto nel senso in cui un'opera d'arte è vera - vera con se stessa, vera con i suoi fini immanenti -, quando l'ignobile lettura del diario confermava in modo cosi puntuale i suoi sospetti, secondo i quali il suo compagno non solo non l'amava, non la trovava neppure interessante?

Jacqueline non gli crederà per la semplice ragione che lui non crede a se stesso. Lui non sa a cosa crede. A volte pensa di non credere a niente. Ma, dopo tutto, rimane il fatto che il suo primo tentativo di vivere con una donna si è concluso in un fallimento, nell'ignominia. Deve ritornare a vivere solo; e il sollievo non sarà poco. Ma non può vivere solo per sempre. Avere amanti rientra nella vita di un artista: anche se si tiene alla larga dalla trappola del matrimonio, come certamente farà, deve trovare il modo di vivere con le donne. L'arte non può nutrirsi solamente di privazione, di desiderio, di solitudine. Dev'esserci anche intimità, passione, amore.

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Pagina 20

Vorrebbe tanto credere che nell'aria c'è abbastanza pietà per i neri e per la loro condizione, abbastanza desiderio di comportarsi onorevolmente con loro, di compensare la crudeltà delle leggi. Ma sa che non è cosí. Tra bianchi e neri c'è un abisso. Più profonda della pietà, piú profonda dei comportamenti onorevoli, piú profonda anche della buona volontà, c'è da ambo le parti la consapevolezza che gente come lui e Paul, con i loro pianoforti e violini, sono su questa terra, la terra del Sudafrica, in base al piú debole dei pretesti. Questo lattaio, che un anno fa sarà stato soltanto un ragazzo che pascolava le vacche nel cuore del Transkei, deve saperlo. In realtà, dagli africani in genere, anche dai meticci, sente emanare una tenerezza curiosa, divertita: la sensazione che bisogna essere proprio un sempliciotto, in cerca di protezione, a credere di potersela cavare con sguardi leali e comportamenti onorevoli, quando la terra sotto i suoi piedi è impregnata di sangue e la vasta profondità della Storia alle sue spalle risuona di grida rabbiose. Perché mai, altrimenti, questo giovane, con la prima brezza del giorno che accarezza la criniera del suo cavallo, sorriderebbe tanto dolcemente guardandoli bere il latte che ha appena dato loro?

Arrivano alla casa di St James alle prime luci dell'alba. Si addormenta subito su un divano e dorme fino a mezzogiorno, quando la madre di Paul li sveglia e serve la colazione su una veranda con vista sufl'ampia ansa di False Bay.

Tra Paul e sua madre scorre un flusso di conversazione nel quale è chiamato dentro con disinvoltura anche lui. La madre fa la fotografa e ha uno studio tutto suo. È minuta e ben vestita, con la voce roca dei fumatori e un'aria irrequieta. Finita la colazione, si scusa: ha del lavoro da sbrigare, dice.

Lui e Paul vanno sulla spiaggia, fanno una nuotata, ritornano, giocano a scacchi. Poi lui prende il treno e torna a casa. È la prima volta che ha una vaga idea della vita familiare di Paul ed è colmo d'invidia. Perché lui non può avere un buon rapporto, normale, con sua madre? Vorrebbe tanto che sua madre fosse come quella di Paul, vorrebbe tanto che avesse una vita sua al di fuori della ristretta cerchia familiare.

È stato per sfuggire dai modi oppressivi della sua famiglia che se n'è andato di casa. Ora i suoi genitori li vede di rado. Sebbene vivano a pochi passi di distanza, non va mai a trovarli. Non ha mai portato Paul da loro, né nessun altro amico, per non parlare di Jacqueline. Ora che si guadagna da vivere, usa la propria indipendenza per escludere i genitori dalla sua vita. Sua madre soffre della sua freddezza, lo sa, la freddezza con la quale per tutta la vita ha reagito al suo amore. Per tutta la vita lei ha voluto coccolarlo; per tutta la vita lui ha opposto resistenza. Anche se lui insiste che è cosi, lei non crede che lui abbia abbastanza soldi per vivere. Ogni volta che si vedono, cerca di infilargli del denaro in tasca, una sterlina, due sterline. «Solo un pensierino», dice. Se soltanto ne avesse la possibilità, gli cucirebbe a mano le tende per la casa, gli farebbe il bucato. Deve fare il cuore duro con lei. Non è il momento adesso di abbassare la guardia.

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Pagina 40

Le leggi sui lasciapassare alle quali sono soggetti solo e soltanto gli africani sono diventate ancora piú restrittíve e ovunque sta esplodendo la protesta. Nel Transvaal la polizia ha sparato sulla folla, poi, nella sua insania, ha continuato a sparare alla schiena su uomini, donne e bambini in fuga. La cosa gli dà una nausea profonda: le leggi stesse; i picchiatori della polizia; il governo, che difende strenuamente gli assassini e denuncia i morti; e infine la stampa, troppo impaurita per uscire allo scoperto e dire ciò che chiunque abbia occhi può vedere.

Dopo la carneficina di Sharpeville, nulla è piú come prima. Persino nella pacifica Provincia del Capo ci sono scioperi e marce di protesta. Ogni volta che c'è una marcia, ci sono poliziotti armati che incombono ai margini del corteo, in attesa di una scusa qualsiasi per sparare.

La situazione matura un pomeriggio in cui lui sta svolgendo il suo tutoraggio. L'aula è silenziosa; lui passa di banco in banco, a controllare come gli studenti stiano svolgendo gli esercizi assegnati, cercando di aiutare quelli in difficoltà. All'improvviso la porta si spalanca. Un docente anziano entra a grandi falcate e batte il pugno sul tavolo. - Attenzione, prego! - grida. Ha la voce stridula, il volto arrossato. - Per favore, mettete giú le penne e fate attenzione! In questo momento lungo De Waal Drive si sta svolgendo una marcia di protesta dei lavoratori. Ho il compito di annunciarvi che, per ragioni di sicurezza, a nessuno sarà consentito lasciare il campus fino a nuovo ordine. Ripeto: a nessuno sarà consentito lasciare il campus. L'ha ordinato la polizia. Ci sono domande?

Ce n'è una, di domanda, almeno; ma non è il momento giusto per farla: dove sta andando il paese, se uno non può nemmeno svolgere il suo tutoraggio in pace? Quanto all'ordine della polizia, non crede per un solo istante che la polizia stia chiudendo il campus per il bene degli studenti. Lo stanno chiudendo affinché gli studenti di questo famigerato focolaio di simpatizzanti di sinistra non si uniscano ai manifestanti, tutto qua.

Non c'è speranza di poter continuare il tutoraggio. Intorno all'aula è tutto un ronzio di voci; gli studenti stanno già raccogliendo i libri e uscendo, desiderosi di vedere cosa succede.

Segue la folla fino al terrapieno sopra De Waal Drive. Il traffico è bloccato. I manifestanti stanno risalendo Woolsack Road in un corteo a forma di grosso serpente, in dieci, in venti per fila, poi svoltano a nord verso l'autostrada. Sono uomini, soprattutto, vestiti in modo sciatto - tute di lavoro, giacche militari, berretti di lana; alcuni reggono dei bastoni, tutti camminano a passo rapido, in silenzio. È interminabile il pezzo di colonna che riesce a vedere. Se lui fosse della polizia, sarebbe terrorizzato.

- È il Pac, - dice uno studente meticcio accanto a lui. Gli brillano gli occhi, ha uno sguardo intenso. Ha ragione? Come fa a saperlo? Portano forse segni riconoscibili? Il Pac non è come l'Anc. È piú minaccioso. L'Africa agli africani! dice il Pac. Buttiamo a mare i bianchi!

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Pagina 60

Le librerie di Charing Cross Road rimangono aperte fino alle sei. Fino alle sei, sa dove andare. Dopo vagherà alla deriva tra la folla del sabato sera in cerca di divertimenti. Per un po' riesce a seguire il flusso, fingendo di essere anche lui in cerca di divertimenti, fingendo di sapere dove andare, di dover incontrare qualcuno; ma alla fine dovrà rinunciare e tornare in metro alla fermata di Archway e alla desolazione della sua stanza.

Foyles, la libreria il cui nome è noto fino a Città del Capo, si è rivelata una delusione. Foyles vanta di avere in magazzino ogni libro pubblicato, ma questa è chiaramente una menzogna, e comunque i commessi, quasi tutti piú giovani di lui, non sanno dove mettere le mani. Lui preferisce Dillons, per quanto i libri da Dillons siano disposti a casaccio negli scaffali. Cerca di passarci una volta alla settimana per vedere le novità.

Tra le riviste che gli capita di trovare da Dillons c'è «The African Communist». Ha già sentito parlare di «The African Communist», ma finora non l'ha mai vista poiché in Sudafrica è all'indice. Scopre, con sua grande sorpresa, che alcuni collaboratori sono suoi coetanei di Città del Capo, compagni d'università che dormivano tutto il giorno e la sera andavano alle feste, si ubriacavano, vivevano alle spalle dei genitori, non passavano gli esami, impiegavano cinque anni per conseguire una laurea triennale. Eppure, eccoli qua a scrivere articoli, a quanto pare, autorevoli sulla ricaduta economica della forza lavoro migrante o sulle rivolte nelle campagne del Transkei. Tra balli, sbornie e stravizi, dove hanno trovato il tempo di imparare tante cose?

La vera ragione per cui va da Dillons, tuttavia, sono le riviste di poesia. Ce n'è un mucchio accatastato in disordine per terra dietro la porta d'ingresso: «Ambit», «Agenda» e «Pawn»; volantini ciclostilati provenienti da posti fuori mano come Keele; vari numeri, vecchissimi, di periodici americani. Ne compra una copia di ciascuno e si porta la pila di riviste a casa, dove le studia attentamente, cercando di capire chi scrive cosa, dove potrebbe collocarsi lui, caso mai cercasse di pubblicare qualcosa.

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Pagina 62

In realtà è sempre sfinito. Seduto alla scrivania dal ripiano grigio, nel grande ufficio dell'Ibm, è sopraffatto da raffiche di sbadigli che fa di tutto per nascondere; al British Museum le parole gli galleggiano davanti agli occhi. Vorrebbe solo abbandonare la testa sulle braccia e dormire.

Eppure, non riesce ad accettare che la vita che conduce a Londra sia priva di scopo o di significato. Un secolo fa, i poeti si spingevano sull'orlo della pazzia, facendo uso di oppio e alcol, cosí da poter riferire le proprie esperienze visionarie. In questo modo si trasformavano in veggenti, in profeti. L'oppio e l'alcol non fanno per lui, ha troppa paura di quel che potrebbero provocare alla sua salute. Ma lo sfinimento e l'infelicità non sono in grado di svolgere la stessa funzione? Vivere sull'orlo del collasso psichico non è forse come vivere sull'orlo della pazzia? Perché nascondersi in un abbaino della Rive Gauche per il quale non si è pagato l'affitto, o vagare di caffè in caffè, con la barba lunga, sudici, puzzolenti, scroccando da bere agli amici, dev'essere un sacrificio maggiore, una negazione piú radicale della personalità, che indossare un completo nero, fare un lavoro di ufficio che distrugge lo spirito e rassegnarsi alla solitudine fino alla morte o al sesso senza desiderio? Certamente l'assenzio e i vestiti stracciati sono ormai roba antiquata. E poi che c'è di eroico, comunque, nel defraudare il padrone di casa dell'affitto?

T. S. Eliot lavorava in banca. Wallace Stevens e Franz Kafka lavoravano in una compagnia di assicurazioni. Nella loro unicità, Eliot, Stevens e Kafka hanno sofferto non meno di Poe o Rimbaud. Non è un disonore scegliere di seguire l'esempio di Eliot, Stevens e Kafka. Lui ha scelto d'indossare un completo nero come loro, di indossarlo come una camicia che gli brucia le carni, senza sfruttare nessuno, senza imbrogliare nessuno, pagando a modo suo. Nell'epoca romantica gli artisti impazzivano al di là di ogni misura. La follia sgorgava in fiotti di versi deliranti o in grandi schizzi di colore. Quell'epoca è passata: la sua follia, se è destino che debba essere folle, sarà diversa - pacata, discreta. Se ne starà seduto in un angolo, contratto e curvo, come l'uomo dell'incisione di Dürer, in paziente attesa che finisca la sua stagione all'inferno. E, quando sarà finita, lui sarà ancora piú forte di prima perché avrà resistito.

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Pagina 94

Il Terzo Programma trasmette solo sulle onde lunghe. Se trasmettesse sulle onde corte, avrebbe potuto ascoltarlo anche a Città del Capo. In quel caso, che bisogno ci sarebbe stato di venire a Londra?

C'è una trasmissione della serie «Poeti e poesia» su un russo che si chiama Joseph Brodskij. Accusato di essere un parassita della società, Joseph Brodskij è stato condannato a cinque anni di lavori forzati in un campo di prigionia sulla penisola di Arcangelo, tra i ghiacci del nord. Sta ancora scontando la pena. Mentre lui è seduto nel tepore della sua stanza, a Londra, a sorseggiare caffè piluccando un dolce alle noci e alle uvette, un uomo della sua stessa età, un poeta come lui, sega ceppi d'albero tutto il giorno, si cura le dita congelate, rattoppa gli scarponi con degli stracci, si ciba di teste di pesce e zuppa di cavoli.

«Buio come dentro a un ago», scrive Brodskij in una poesia. Non riesce a togliersi il verso dalla mente. Se si concentrasse, concentrasse veramente, notte dopo notte, se costringesse, per mezzo della massima attenzione, il dono dell'ispirazione a scendere su di lui, potrebbe uscirsene anche lui con qualcosa di simile. Perché ce l'ha dentro, lo sa, la sua immaginazione è della stessa natura di quella di Brodskij. Ma come far arrivare le sue parole, dopo, fino alla penisola di Arcangelo?

Solo per aver ascoltato le sue poesie alla radio e nient'altro, sente di conoscere Brodskij, di conoscerlo fin nel midollo. Di questo è capace la poesia. La poesia è verità. Ma di lui a Londra Brodskij non può sapere nulla. Come dire a quell'uomo congelato che gli è vicino, al suo fianco, giorno per giorno?

Joseph Brodskij, Ingeborg Bachmann, Zbigniew Herbert; da zattere solitarie gettate nei mari tenebrosi dell'Europa liberano le loro parole nell'aria e, grazie alle onde dell'etere, quelle parole arrivano, rapide, nella sua stanza, le parole dei poeti del suo tempo, per dirgli una volta di piú cosa può essere la poesia e quindi cosa può essere lui, riempiendolo di gioia perché abita la stessa terra che abitano loro. «Segnale udito a Londra: continuate a trasmettere per favore»: questo è il messaggio che vorrebbe inviare, se potesse.

In Sudafrica aveva udito un paio di brani di Schönberg e di Berg - Verklärte Nacht, il concerto per violino. Adesso, per la prima volta, sente la musica di Anton von Webern. Lo hanno messo in guardia da Webern. Webern va troppo oltre, ha letto: Webern non scrive piú musica, solo suoni a casaccio. Curvo sopra la radio, ascolta. Prima una nota, poi un'altra, poi un'altra ancora, fredde come cristalli di ghiaccio, allineate come stelle in cielo. Un paio di minuti di questo rapimento, poi è tutto finito.

Webern è stato ucciso nel 1945 da un soldato americano. Un equivoco, è stato definito, un incidente di guerra. Il cervello che disegnava il tracciato di quei suoni, di quei silenzi, di quel suono-e-silenzio, annientato per sempre.

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Pagina 136

Non è uno stupido. Come amante ha un passato mediocre, e lo sa. Mai ha saputo suscitare nel cuore di una donna ciò che definirebbe una grande passione. In effetti, ripensandoci, non riesce a ricordare di essere mai stato oggetto di una passione, una passione vera, a qualsiasi livello. Questo vorrà ben dire qualcosa sul suo conto. Quanto al sesso strettamente inteso, quel che lui offre, teme, è piuttosto scarso; e quel che ottiene in cambio è anch'esso scarso. Se la colpa è di qualcuno, allora è sua. Giacché, fintanto che non ci metterà il cuore, fintanto che si tirerà indietro, perché mai non dovrebbe tirarsi indietro pure la donna?

Il sesso è dunque la misura di ogni cosa? Se fallisce nel sesso, fallisce forse l'intera prova della sua vita? Le cose sarebbero piú facili, se non fosse vero. Ma, se si guarda intorno, non vede nessuno che non provi un reverenziale timore nei confronti del dio del sesso, eccetto forse qualche dinosauro, qualche reliquia dell'epoca vittoriana. Anche Henry James, all'apparenza tanto ammodo, tanto vittoriano, ha pagine in cui allude oscuramente al fatto che tutto, alla fine, è sesso.

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