Copertina
Autore Gherardo Colombo
Titolo Sulle regole
EdizioneFeltrinelli, Milano, 2008, Serie Bianca , pag. 160, cop.fle., dim. 14x22x1 cm , Isbn 978-88-07-17145-1
LettoreRenato di Stefano, 2008
Classe diritto , politica , sociologia , scuola
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Indice



  7 Perché?


    Sulle regole

 11 1. Un paese immaginario

    Parte prima
    Le ambiguità della giustizia

 19 2. Legge e giustizia
 21 3. Leggi diverse nel tempo e nello spazio
 23 4. "Giustizia" è una parola ambigua
 27 5. Il diritto viene da dio
 31 6. Il diritto è giusto se è "naturale"
 33 7. Il diritto è giusto quando c'è
 35 8. Da suddito a cittadino

    Parte seconda
    Società orizzontale e società verticale

 41  9. La società verticale
 48 10. La società orizzontale
 57 11. Composizione dei due modelli
 59 12. Conseguenze della società verticale
 65 13. Conseguenze della società orizzontale
 72 14. I diritti fondamentali secondo i due modelli
 76 15. Le sanzioni secondo il modello verticale
 82 16. La conseguenza della violazione secondo la
        società orizzontale
 90 17. Vittima e responsabile
 95 18. Limiti alla libertà personale
 98 19. Società verticale, società orizzontale,
        ideologia e religione

    Parte terza
    Verso una società orizzontale

105 20. Il tentativo di giustificare il diritto alla
        fine del secondo millennio
108 21. Limiti delle regole internazionali
112 22. Un tentativo di società orizzontale:
        la Costituzione italiana
115 23. Prima di tutto la persona
119 24. Che cosa manca?
123 25. Incertezze del percorso costituzionale
126 26. Cultura
132 27. Gli interessi di chi si oppone alla società
        orizzontale
134 28. Sicurezza
136 29. Fuga dalla responsabilità

    Parte quarta
    Come arrivare?

143 29. Dinamica del tempo
146 30. Consapevolezza di sé

155 Conclusione


 

 

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Pagina 7

Perché?



Ho lasciato la magistratura dopo oltre trentatré anni, dopo aver fatto prima il giudice, poi il pubblico ministero, poi di nuovo il giudice. Mi sono dimesso perché indagine dopo indagine, processo dopo processo, sentenza dopo sentenza mi sono convinto che mi sarebbe stato impossibile - da quel momento - contribuire a rendere l'amministrazione della giustizia meno peggio di quel che è. Progressivamente mi sono convinto che, perché la giustizia cambi, sarebbe stato utile piuttosto intensificare quel che già cercavo di fare nei momenti lasciati liberi dalla professione: girare per scuole, università, parrocchie, circoli e in qualunque altro posto mi invitassero a dialogare sul tema delle regole. La giustizia non può funzionare se il rapporto tra i cittadini e le regole è malato, sofferto, segnato dall'incomunicabilità.

Non può funzionare l'amministrazione della giustizia, quel complesso che coinvolge i giudici, i tribunali, le corti, gli avvocati, i pubblici ministeri, le prigioni, le persone sul cui destino tutto ciò incide il più delle volte pesantemente. E non può funzionare la giustizia intesa come punto di riferimento, come base dei rapporti tra gli abitanti del mondo, dispensatrice, prima ancora che verificatrice, di quel che spetta e quel che è tabù, delle possibilità e dei carichi, degli ordini e dei divieti, delle limitazioni e della libertà.

La giustizia non può funzionare se i cittadini non comprendono il perché delle regole. Se non lo comprendono tendono a eludere le norme, quando le vedono faticose, e a violarle, quando non rispondono alla loro volontà.

Perché la giustizia funzioni è necessario che cambi questo rapporto.

Mi sono dimesso per portare il mio granellino di sabbia sulla strada del cambiamento. Queste pagine sono una parte di quel granellino.

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Pagina 11

1.
Un paese immaginario



Questo è un paese immaginario.

All'angolo di una via c'è una salumeria. Entra in negozio un vigile urbano, ha il compito, tra l'altro, di verificare la bilancia. Dopo alcune allusioni, mezze frasi, e occhiatine, il vigile esce con un paio di borse della spesa ricolme. Le ha avute gratis e in cambio non ha controllato nulla. Il negoziante può continuare a vendere la carta della confezione allo stesso prezzo del prosciutto. Due piani sopra, nello stesso edificio, una signora sta pagando l'idraulico che le ha appena aggiustato il rubinetto. "Se vuole la fattura sono centoventi euro, se non la vuole novanta, un piccolo sconto." "Faccia senza fattura, non mi serve, grazie per lo sconto." A due passi c'è l'ufficio delle imposte. Un distinto signore sta parlando con il funzionario a proposito di una presunta evasione. Dopo un po', quando ha capito che non rifiuterà, gli fa scivolare tra le mani una busta piena di denaro. Ancora qualche scambio di battute, si stringono la mano e si salutano: l'evasione è scomparsa. Poco più in là c'è una banca. Entra un cliente, titolare di conto corrente. Saluta il cassiere, apre la valigetta che porta con sé e pone sul banco una serie di mazzette di banconote. Il cassiere, allertato dal direttore, gli suggerisce il sistema per depositarle sfuggendo ai controlli antiriciclaggio. Intanto nella stessa banca, negli uffici della dirigenza, si approva l'idea di suggerire ai clienti meno importanti l'acquisto di bond che diverranno presto carta straccia.

Due isolati più in là c'è il palazzo di giustizia (i lavori di sopraelevazione sono stati assegnati all'impresa che ha versato una cospicua tangente). Un avvocato e un giudice stanno mercanteggiando l'esito di un processo che riguarda persone potenti. Nelle prigioni vicine un altro avvocato millanta al cliente le sue entrature con il gip che segue il processo: "Sei messo male, ma la libertà è cosa fatta con un adeguato regalo al giudice". Nel suo studio, un altro avvocato, riceve un nutrito "fondo spese" senza fattura, esentasse. Un paio di chilometri più in là, allo stadio, c'è la partita. L'arbitro fischia un rigore assai dubbio a favore della squadra di casa, dai cui dirigenti aveva ricevuto qualche giorno prima in riconoscimento della sua competenza un bell'orologio di marca. La sera, in un luogo appartato, l'esponente di un grande partito riceve una borsa dal dirigente dell'impresa capofila nella costruzione della metropolitana. Sono le tangenti meticolosamente raccolte fra tutte le società che partecipano ai lavori. Chi le riceve chiama al telefono i colleghi degli altri partiti che contano: "Ci vediamo domani", e l'indomani il denaro viene spartito secondo tariffe prestabilite, un tanto ciascuno, a percentuale variata a seconda del peso politico. La sera tardi, in una strada di periferia, un distinto signore contratta le grazie di una ragazzina "importata" da un paese più povero con l'inganno e ridotta tramite violenza e minacce in condizioni non lontane dalla schiavitù.

La mattina seguente nell'ospedale civile vengono impiantate valvole cardiache che si dimostreranno difettose, il cui acquisto era stato accompagnato (anche quello) da tangenti. Frattanto alcuni medici di base prescrivono ai loro clienti esami dei quali non hanno bisogno, da effettuare in cliniche private con spese a carico della regione, o specialità di industrie farmaceutiche che già li hanno invitati al convegno - weekend tutto compreso per medico e famiglia - in una rinomata località balneare. In una caserma vicina il maresciallo della fureria si porta a casa, ben confezionato per essere conservato in freezer, un quarto di bue destinato alla mensa sottoufficiali, e nei locali del comando si perfezionano contratti d'acquisto per forniture di dubbia utilità, in cambio, anche qui, di un po' di denaro contante. Tre strade più in là c'è un cantiere edile: bussa agli uffici l'ispettore del lavoro, dovrebbe controllare presenza e adeguatezza delle misure antinfortunistiche. Gli mettono in mano un elenco di oggetti (elmetti, cinture di sicurezza, scarpe antiscivolo) e una busta (di soldi), compila la sua certificazione di regolarità del cantiere e se ne va. All'istituto delle pensioni c'è qualcuno che falsifica i dati al computer di chi l'ha pregato (con obolo) di farlo apparire professionalmente più anziano di quello che è. Senza neanche chiedere un compenso, il medico di base rilascia su richiesta telefonica un certificato di malattia al dipendente pubblico che si è allungato un po' le vacanze. Il titolare delle pompe funebri ha stabilito un accordo con gli infermieri dell'ospedale: un tot per la notizia in esclusiva di ogni decesso. Intanto il benzinaio ha apportato qualche modifica agli erogatori di carburante, per lucrare quasi impercettibili differenze di prezzo per litro, che diventeranno sommette alla fine della settimana; i sottoufficiali della polizia tributaria sono addolciti dalla solita busta e il loro controllo dei conti della grande compagnia darà risultati del tutto regolari. La marca del cibo alla mensa scolastica è scelta in cambio di soldi; sempre per soldi qualcuno consente che in carcere entri qualche stupefacente; agenzie di pubblicità e di consulenza aiutano i loro clienti a creare fondi occulti, restituendo in nero parte del prezzo delle prestazioni. Irreprensibili imprenditori si rivolgono al crimine organizzato per far sparire i rifiuti tossici e pericolosi prodotti dalle loro aziende. Un giornalista decanta sul proprio giornale pregi e virtù del tale oggetto, dopo essere stato adeguatamente invogliato; si costruiscono e ricostruiscono alcune autostrade perché è stato lesinato il cemento; si truccano i concorsi per essere ammessi all'università; si rendono edificabili terreni che dovrebbero essere destinati a parco (ancora in cambio di soldi); si paga per farsi assegnare la costruzione della pista del nuovo aeroporto, per essere preferiti nella fornitura di materiale ferroviario, per ottenere un posto al cimitero.

Poi, c'è la mafia. C'è chi una volta al mese (là dove la mafia è più forte) passa tra i vari negozi e le imprese per raccogliere il "premio dell'assicurazione contro gli atti vandalici", la tariffa della "protezione" garantita a chi non si oppone alla riscossione. C'è chi si infiltra nelle istituzioni, chi chiede e ottiene per la mafia la propria parte negli appalti. C'è chi traffica droga, e chi esseri umani. C'è anche (talvolta, ma c'è) chi fa degli accordi anche a bassi livelli: il poliziotto che tira a campare, e riceve favori (denaro, coca, ragazze compiacenti) in cambio di chiudere un occhio.

Trionfano il sotterfugio, la furbizia, la forza, la disonestà sotto l'apparenza delle leggi uguali per tutti, del rispetto per ogni diritto di base. Coloro che si attengono alle leggi formali (che non è detto siano pochi) sono scavalcati ogni giorno da chi non le osserva.

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Pagina 23

4.
"Giustizia" è una parola ambigua



La valenza delle leggi è stata ed è valutata in riferimento al concetto di "giustizia".

Anche questo concetto, però, presenta forti ambiguità.

Per cominciare, il termine è utilizzato con significati diversi. Lo si usa indifferentemente per definire la giustizia e la sua amministrazione.

Nel primo senso la parola indica un punto di riferimento, un principio di fondo dello stare insieme; o anche un'aspirazione, il fine cui tende la persona per se stessa o nelle relazioni con gli altri. Per questa accezione fioriscono le aggettivazioni (giustizia sociale, giustizia distributiva, giustizia retributiva...), ciascuna delle quali specifica il termine dandogli un significato particolare in riferimento al campo in cui viene applicato.

Nel secondo significato, il termine "giustizia" definisce il modo di gestire quel meccanismo assai pratico che consiste nel sistema che gli esseri umani - seppure in modi molto diversi - hanno messo in piedi per risolvere le controversie, per verificare chi ha ragione e chi ha torto in un rapporto tra privati (per esempio rispetto alla validità di un contratto o di un testamento), tra cittadini e pubblica amministrazione (per esempio per stabilire se sia consentito negare una concessione per costruire un palazzo), tra lo stato e chi è sospettato di aver commesso un reato. Parlando degli avvocati, dei giudici, del pubblico ministero, delle udienze, del carcere, del ministro, della mancanza di fotocopiatrici e così via, si usa il termine "giustizia" in questa seconda accezione.

Quando si dice che la giustizia non funziona, si allude alla sua amministrazione; invece quando si dice che in un paese non c'è giustizia, ci si riferisce al principio fondamentale della convivenza. Si dice anche che le leggi (e/o i comportamenti) di un paese non sono conformi a giustizia.

Benché così specificato, questo termine è interpretato in modi assai diversi.

Si è mai sentito di qualcuno, al di là di pazzi e provocatori, che abbia dichiarato pubblicamente di perseguire l'ingiustizia?

Qualunque sia il fine, e al di là dei mezzi usati per raggiungerlo, ciascuno si presenta come persona giusta che intende realizzare la giustizia.

In nome di questo principio sono scoppiate rivoluzioni, sono state represse sommosse, praticati genocidi, commessi crimini orrendi. Quanto male è stato provocato sotto il vessillo della giustizia!

Che si trattasse di faccende terrene, o di questioni religiose, "giustizia" è stata la parola magica che ha consentito di fare di tutto, dalla "Santa inquisizione" (pratica con la quale la chiesa cattolica torturò e arse vive migliaia di persone "colpevoli" di eresia o di stregoneria, e per la quale l'8 marzo 2000 papa Giovanni Paolo II ha chiesto pubblicamente perdono), alla Shoah (lo sterminio a opera del nazismo di milioni di ebrei, accompagnato dall'eliminazione di nomadi, omosessuali, disabili e oppositori del regime), alle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki (che, alla fine della Seconda guerra mondiale, causarono in Giappone la morte di centinaia di migliaia di persone).

Papa Lucio III non dedicò certo all'ingiustizia il suo decretale Ad abolendam, che nel 1184 codificava la condanna degli eretici. E, in tempi più recenti, Adolf Hitler, il dittatore nazista, si richiamava direttamente alla giustizia per legittimare i suoi progetti (per farsi un'idea si possono leggere alcuni brani del discorso che tenne a Wilhelmshaven il primo aprile 1939: "Agli altri statisti che parlano della necessità che nel mondo regni la giustizia, io dico che la loro non è giustizia, che il loro diktat non fu né equo né giusto perché i diritti vitali dei popoli, che dovrebbero sempre prevalere su qualsiasi diktat, a Versailles non sono stati assolutamente considerati. [...] L'Asse è il più naturale strumento politico del mondo. È un insieme di idee la cui ragion d'essere non è dovuta solo al desiderio di giustizia ma anche alla forza degli ideali a cui esse si ispirano"). Hitler non si definiva certo un fautore dell'ingiustizia quando dispose la persecuzione e lo sterminio di milioni di persone.

Altrettanto si può dire di Stalin in Unione Sovietica, di Pol Pot in Cambogia (che pure fecero eliminare milioni di esseri umani) e di chissà quanti altri autori di genocidi. Si pensi ad Augusto Pinochet che in Cile rovesciò Salvador Allende, bombardando il palazzo del governo e uccidendo il legittimo rappresentante delle istituzioni; a Emilio Eduardo Massera e Jorge Rafael Videla che in Argentina promossero un colpo di stato e fecero scomparire migliaia di persone ritenute di idee politiche opposte alle loro (in più occasioni buttandole nell'oceano da aerei che volavano ad alta quota). Nel suo discorso programmatico del marzo 1976 Videla affermò: "Il rispetto dei diritti umani non deriva per noi unicamente dal dettato delle leggi o dalle dichiarazioni internazionali, bensì si basa sulla cristiana e profonda convinzione che la dignità umana rappresenti un valore fondamentale. Assumiamo poteri assoluti per proteggere i diritti naturali dell'uomo e non per opprimerne la libertà, ma per esaltarla, non per piegare la giustizia, ma per imporla". Sono esistiti molti altri responsabili della tortura e dell'eliminazione cruenta dei dissidenti, degli avversari politici o di chi semplicemente dava loro fastidio. Ciascuno di questi dittatori ha presentato la propria attività di repressione nel sangue come opera di giustizia.

I diversi atteggiamenti ora ricordati non sono necessariamente manifestazione di ipocrisia, di inganno, di superficialità o di ambiguità.

Va riconosciuto che esistono convinzioni profonde, estremamente diverse tra loro, su cosa sia la giustizia.

In tale pluralità di modi di intenderla, è davvero possibile, allora, individuare il significato profondo della parola "giustizia"? Se non quello universale (esiste davvero qualcosa che possa essere considerato realmente universale?), almeno il più condivisibile?

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Pagina 72

14.
I diritti fondamentali secondo i due modelli



Nella società verticale tutti i diritti sono subordinati a una variabile esterna, tranne (ma non sempre) quelli attribuiti a chi si trova al vertice dell'aggregazione. Essendo la persona strumento, qualsiasi sua prerogativa è secondaria rispetto al raggiungimento del fine di cui è strumento.

Ancora nel periodo di Roma imperiale spettava al padre decidere se consentire al neonato di sopravvivere, in funzione dei propri interessi, convinzioni e sentimenti; nel Medioevo (ma anche oggi in alcuni stati), l'esistenza della persona era subordinata al non aver commesso un reato punito con la pena di morte; nella Grecia classica, la libertà personale del nemico era subordinata al non essere catturato e ridotto in schiavitù.

Il condizionamento del diritto di vivere o del diritto di essere libero è, nella società verticale, assoluto. Dipende dal fatto che va tutelato innanzitutto il tipo di organizzazione, secondo il quale la persona, considerata strumento, cede ai privilegi di chi si trova nei gradini alti della gerarchia sociale, la quale gerarchia interferisce a sua volta al punto da privare l'individuo subordinato della propria capacità decisionale, alla quale si sostituisce - appunto - quella del sistema. Così, per fare un solo esempio, in alcuni stati sono vietate le espressioni private di omosessualità: il diritto a determinarsi liberamente quando non è messa a repentaglio la libertà altrui è escluso perché la gerarchia impone un riferimento di "giustizia" che prescinde dal rispetto della singola persona.

Anche nella società orizzontale esistono limiti ad alcuni diritti, ma il limite, quando c'è, è sempre posto in ragione di funzionalità e reciprocità.

Innanzitutto non esistono limiti al diritto di vivere purché si sia "persone". Lo stato, le istituzioni non possono privare una persona della vita. Anche quando si verificano situazioni nelle quali non è possibile evitare che una vita sia tolta (per esempio, per liberare un ostaggio che altrimenti verrebbe ucciso o in caso di difesa contro un'aggressione), non esiste un diritto a uccidere. In tali situazioni l'omicidio è considerato inevitabile per non perdere un'altra vita (quella di chi non ha aggredito nessuno); il suo autore (ma non l'atto, che continua a essere riprovato) viene però giustificato solo se nel caso concreto l'uccisione non aveva alcuna alternativa. La vita di chiunque, anche dell'aggressore, continua ad avere valore, e il fatto che questi ne sia privato è inevitabile, ma non giusto.

Lo stesso principio legittima, indipendentemente dalla presenza di un'aggressione, l'eliminazione della vita altrui nel caso in cui si tratti di salvare - sempre unicamente quando non esistano alternative - la propria.


Poiché il riconoscimento o il rigetto del valore della persona sono i presupposti della società orizzontale, la salvaguardia della sua esistenza non dovrebbe mai essere posta in discussione. Ma quando l'esistenza è esistenza di una persona? Il problema è evidentemente delicato e complesso e si articola in modo diverso ai due estremi momenti del nascere e del morire.

A mio parere è difficilmente discutibile che l'ovulo fecondato non sia ancora persona e che lo sia ormai il feto capace di vita autonoma.

Come è chiaro che la decisione di por fine alla propria esistenza è una manifestazione del diritto di autodeterminarsi, di decidere da sé che cosa fare della propria vita: non è la "vita" il centro della società orizzontale ma la "persona"; imporre la vita a chi non sia in grado di realizzare la consapevole decisione di por fine alla propria esistenza è espressione di una gerarchizzazione di valori per il trionfo dei quali la persona è ancora uno strumento.

Il problema in una società orizzontale si trasforma in quello di individuare i limiti della legittimità dell'intervento di altri nella vita non propria (della donna sul feto, del medico sul paziente), di individuare la misura entro la quale la salvaguardia della persona si realizza, senza magari ricorrere ad altre scorciatoie di opposto indirizzo (la vita è sacra, la sofferenza redime, o, gli invalidi e i malati e chi è di peso per sé e per gli altri vanno eliminati) che confermano comunque la strumentalità della persona.


In una società davvero orizzontale, non ci sono limiti nemmeno per i diritti che tutelano l'integrità e la crescita della persona, cioè istruzione, salute, abitazione e lavoro.

Non esiste un "ordine" trascendente da conservare, non esistono gerarchie o privilegi da far rispettare. Ogni persona è uguale alle altre, e le limitazioni ai diritti di ciascuno sono giustificate soltanto nel caso in cui la loro mancanza comprometterebbe un diritto superiore dell'altro. E la limitazione dev'essere sempre reciproca.

Sotto questo profilo la natura del sistema sociale è testabile attraverso la verifica dell'interscambiabilità delle posizioni. Se, ponendo una persona al posto di un'altra, non si modifica il complesso dei diritti fondamentali che le spettano, la società è organizzata orizzontalmente; in caso contrario, la sua matrice è verticale.

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Pagina 126

26.
Cultura



L'abbandono del modello verticale per molti non è in sintonia con la natura umana, ed è comunque un'utopia. Per le ragioni esposte nelle pagine precedenti e che riguardano la storia, la religione, l'istintualità della persona, il modello verticale è talmente radicato da apparire "naturale", e quindi "giusto".

Si tratta di un atteggiamento culturale, come quello che faceva apparire "giusta" la tortura qualche decina di anni prima della pubblicazione degli scritti di Cesare Beccaria.

Poiché l'atteggiamento è diffuso, esso coinvolge anche molti di coloro che non occupano i gradini alti della gerarchia sociale, specialmente se esercitano qualche potere, anche minimo, su chi sta sotto di loro (il "caporale", per esempio, nei confronti dello straniero irregolare, ma anche il marito nei confronti della moglie che non ha reddito proprio). Può capitare che questo atteggiamento sia perfino condiviso dalle stesse "vittime".

L'ordine delle cose che ciascuno trova già precostituito, coniugato con bisogni di sicurezza, esaltazione del sacrificio per il bene comune, tendenze spontanee alla sottomissione e tanti altri fattori, induce a ritenere "giusta" l'esistenza di una gerarchia di diritti e doveri, il fatto che qualcuno comandi e gli altri obbediscano.

Può succedere così che il sistema formale sia organizzato orizzontalmente, e le leggi scritte riconoscano diritti fondamentali e uguaglianza, ma che esista, allo stesso tempo, un ordinamento sommerso con regole proprie, che contrastano con quelle "ufficiali" e i cui effetti coinvolgono tutta la cittadinanza, trasformando nella sostanza l'organizzazione sociale da orizzontale in verticale.

L'esistenza del fenomeno può essere talvolta dedotta da alcuni elementi "indiziari". L'incuria nella prevenzione degli infortuni sul lavoro (che in Italia provocano oltre mille "morti bianche" all'anno) è significativa dell'attenuarsi del riconoscimento e della tutela del diritto alla vita e all'integrità fisica del lavoratore e del prevalere di una regola sommersa che dà la precedenza al profitto dell'imprenditore.

Qualche volta le manifestazioni dell'esistenza di un doppio ordinamento e del prevalere di quello sommerso sono lampanti. All'inizio degli anni novanta, in Italia è stato scoperto un vero e proprio sistema ramificato di corruzione che legava imprese e partiti politici.

La regola formale secondo la quale - in estrema sintesi - gli appalti di opere pubbliche sono assegnati a chi offre la miglior prestazione al minor prezzo era stata occultamente sostituita, nella pratica e senza che l'apparenza mutasse, dalla regola sotterranea che prevedeva l'assegnazione del contratto alle imprese che avevano corrotto funzionari pubblici ed esponenti politici versando loro somme di denaro allo scopo di aggiudicarsi l'appalto. La regola sommersa era talmente diffusa che oltre cinquemila persone (tra le quali segretari di partito, un numero considerevole di parlamentari, alcuni ministri, ex presidenti del consiglio, sindaci di grandi città) sono state coinvolte nelle indagini da parte dei soli uffici giudiziari di Milano. Che quella occulta e contraria alla legge fosse la regola vigente risulta non soltanto dalla frequenza della sua applicazione (gran parte degli appalti pubblici era accompagnata dalla movimentazione illecita di denaro), ma anche dagli atteggiamenti che il mondo politico e una parte consistente della cittadinanza hanno assunto dopo i primi momenti delle investigazioni.

Nel giro di poco più di due anni è iniziata in sequenza l'introduzione di nuove leggi che hanno ridimensionato alcuni reati, hanno ridotto le pene di altri, hanno modificato tante regole del processo rendendo più complessa l'acquisizione della prova, hanno previsto nuove immunità processuali. Nulla, nel frattempo, veniva modificato per rendere più difficile la pratica della corruzione, che pure era risultata diffusissima.

Con il passare del tempo il sistema, basato sulla compravendita della funzione pubblica, è stato progressivamente coperto dalla polvere dell'oblio, fino a diventare quasi normale che ne venga messa in dubbio, nella sostanza, la stessa esistenza storica. Il problema della diffusione dell'illegalità nei rapporti tra politica, imprenditoria ed economia (problema di mancato rispetto della legge penale, chiamato con un eufemismo "questione morale") è stato rimosso, a dimostrazione che il sistema di regole condiviso dall'apparato istituzionale, considerato nel suo complesso, era quello sotterraneo e non quello ufficiale (anche se non sono mancati esponenti delle istituzioni di avviso e comportamento contrario).

Buona parte della cittadinanza ha accettato la rimozione della memoria, anzi vi ha contribuito fattivamente. Finché, nelle fasi iniziali, gli elementi indiziari e le prove raccolte portavano al coinvolgimento di persone tanto potenti che nessun cittadino comune si poteva riconoscere in loro, il disgusto per gli illeciti scoperti era generale; la richiesta di ritorno alla legalità unanime; l'esecrazione dei comportamenti ripetuta quotidianamente, anche con atteggiamenti irriguardosi del rispetto che si deve comunque alle persone coinvolte in un processo penale.

Quando le prove e gli indizi hanno cominciato a coinvolgere persone comuni (l'agente della guardia di finanza che ometteva di rilevare irregolarità tributarie in cambio di una bustarella; il vigile urbano che non si curava di controllare l'igiene dei negozi di alimentari in cambio della spesa gratuita...) l'atteggiamento di molti si è ribaltato. A fronte del diffondersi della percezione di essere possibili destinatari delle future attenzioni dei pubblici ministeri, le istanze di legalità si sono sopite.

Significativa della prevalenza del modello verticale sottostante al dichiarato modello orizzontale è anche la continua emanazione di cosiddetti "provvedimenti di clemenza" a opera del parlamento. Nella storia della repubblica italiana si contano numerosi condoni, indulti, amnistie. Si tratta di misure con le quali si consente ai cittadini di sanare le posizioni irregolari, attraverso il pagamento di denaro, o anche di sfuggire alla pena.

Il presupposto di questi provvedimenti sta nella trasgressione di massa. Se fossero pochi quelli che non pagano le tasse, che costruiscono dove non si può, che commettono reati, i provvedimenti di clemenza non avrebbero ragione di esistere. Condoni, indulti, amnistie frequenti sono la dimostrazione che le regole del privilegio, della sopraffazione sono applicate a dispetto delle leggi di uguaglianza formalmente in vigore.


Altra spia della condivisione generalizzata della cultura della società verticale è la relazione che la cittadinanza instaura con le istituzioni, spesso caratterizzata dalla convinzione di essere ancora dei sudditi.

Quando la cultura è intrisa di verticalità e gerarchia, il cittadino vede l'istituzione come espressione del potere arbitrario, piuttosto che come l'esercizio di una funzione di servizio. Il potere arbitrario può fare quel che vuole, e il cittadino deve sottostargli. Le disfunzioni, ma anche le angherie, sono accettate con rassegnazione e fatalità, come se fossero un risvolto inevitabile delle istituzioni. Certo, ciascuno mantiene il "diritto di mugugno", la facoltà di cimentarsi in un brontolio di scontento che in alcuni momenti si trasforma in una lamentela chiaramente avvertibile, qualche volta invade l'aria. Ma, comunque, questo mugugno è incapace del salto di qualità, di passare dalla disfattista lamentela del suddito alla propositiva richiesta di assunzione di specifiche responsabilità, propria del cittadino.


Chi invece ritiene di essere collocato sui gradini elevati della scala sociale, riferendosi a una gerarchia sociale che prescinde dalle istituzioni pubbliche, snobba coloro che le rappresentano ai gradini più bassi. "Lei non sa chi sono io!" è l'espressione che più di tutte raffigura questo atteggiamento mentale. Chi la usa si riferisce a un modello di relazione con gli altri in cui le regole della società orizzontale soccombono alla gerarchia del potere. "Lei non sa chi sono io!", tradotto in termini meno grossolani, suonerebbe "Forse lei non è bene informato, ma io sono una persona che conta, sono collocato vicino ai vertici di questa società. Ciò a cui lei si riferisce, che a suo parere mi vieterebbe [per esempio di entrare in auto in una zona vietata] o mi imporrebbe un comportamento diverso da quello che tengo [per esempio di pagare le tasse] vale per altri, per chi si trova nei gradini bassi della società. Ma non vale per me".

L'arroganza è frequente, quasi quanto la sudditanza. Generalmente la stessa persona esprime entrambi questi modi di essere: arrogante con chi sta sotto, sottomesso con chi sta sopra.

Da un altro punto di osservazione si tratta dello stesso fenomeno (tipicamente italiano, ma non solo) che porta a parlare frequentemente della legalità, lamentandosi che le regole non vengano rispettate.

Il più delle volte si biasima il comportamento degli altri; quando si tratta di giudicare se stessi in relazione alla propria capacità di osservare le regole, l'atteggiamento si capovolge: ognuno si arroga il diritto di verificare se nel caso concreto la regola sia applicabile per lui o se debba subire un'eccezione. Basta guardare alle reazioni di chi trova una vettura sul proprio passo carraio e confrontarle con le giustificazioni che poi dà quando invece lascia la propria macchina davanti all'entrata di una casa altrui per averne una piccola, ma significativa, riprova.

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