Copertina
Autore Michael Connelly
Titolo La memoria del topo
EdizionePiemme, Casale Monferrato, 2001 , pag. 406, dim. 160x240x35 mm , Isbn 978-88-384-5168-3
OriginaleThe Black Echo [1992]
TraduttoreMaria Clara Pasetti
LettoreAngela Razzini, 2002
Classe gialli
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 7

Parte Prima
Domenica 20 maggio



IL RAGAZZO NON RIUSCIVA a vedere niente al buio ma non gli importava. L'esperienza e la lunga pratica gli assicuravano che il risultato finale sarebbe stato ottimo. Era bello. Il getto fluido, il movimento regolare del braccio, la rotazione del polso. Bastava non staccare mai il dito dal pulsante. Senza scatti. Perfetto.

Udiva il sibilo dell'aria che usciva e sentiva la pallina ruotare sotto il dito. Erano sensazioni confortanti. L'odore gli ricordò il calzino che teneva in tasca e pensò di dargli una sniffata. Magari dopo, decise. Ora non voleva fermarsi, non prima di aver terminato il disegno con un unico spruzzo ininterrotto.

Ma a un tratto si bloccò - quando il rombo di un motore sovrastò il sibilo della bomboletta spray. Si guardò attorno ma non vide che il riflesso argenteo della luna sul bacino artificiale e la luce fioca proveniente dalla lampadina sopra la porta della cabina di pompaggio, a metà della diga.

Non si era ingannato. Il rumore si stava avvicinando. Gli sembrò quello di un camion e credette di udire lo stridio dei pneumatici sulla ghiaia della strada che portava al bacino. Erano quasi le tre del mattino e stava arrivando qualcuno. Perché? Il ragazzo si alzò e scagliò la bomboletta spray nell'acqua. Mancò il bersaglio e la udì cadere tra gli sterpi. Estrasse il calzino dalla tasca e decise di farsi una sniffata veloce. Affondò il naso e inspirò profondamente i vapori di vernice. Si dondolò sui talloni, sbattendo le palpebre. Buttò il calzino oltre la ringhiera.

Poi raddrizzò la motocicletta e la spinse al di là della strada, verso l'erba alta, il sottobosco e gli alti pini ai piedi della collina. Era un buon nascondiglio, pensò. Da lì avrebbe potuto vedere chi arrivava. Il rombo del motore si fece più intenso. Gli sembrò vicinissimo ma si stupí di non scorgere i fari. Strano, ma era troppo tardi per scappare. Adagiò la moto tra le erbacce scure e arrestò con la mano la ruota anteriore che continuava a girare. Poi si accoccolò a terra e attese.


Harry Bosch udì l'elicottero girare in tondo nell'oscurità. Perché non atterrava? Perché non veniva a soccorrerlo? Harry avanzava in un tunnel buio e fumoso e le pile si stavano scaricando. Il fascio di luce della torcia elettrica era sempre più fioco. Aveva bisogno di aiuto. Doveva muoversi più velocemente. Doveva raggiungere la fine del tunnel prima che la luce si esaurisse completamente. Udì l'elicottero passare ancora una volta. Perché non atterrava? Dov'erano i soccorsi che aspettava? Quando il ronzio delle pale si affievolì, fu assalito dal panico e prese ad avanzare rapidamente strisciando sulle ginocchia ferite e sanguinanti, tenendo con una mano la torcia e puntellandosi a terra con l'altra per mantenere l'equilibrio. Non si guardò alle spalle perché sapeva che il nemico era dietro di lui nella foschia nera. Invisibile ma presente. E sempre più vicino.

Quando suonò il telefono in cucina, Bosch si svegliò di soprassalto. Contò gli squilli, domandandosi se ne avesse già mancati un paio e se la segreteria telefonica fosse inserita.

Non lo era. Non rispose e dopo otto squilli il telefono tacque. Si strofinò gli occhi e si guardò attorno. Era di nuovo stravaccato sulla poltrona del salotto, la comoda poltrona reclinabile che costituiva il pezzo forte del suo modesto arredamento. La considerava il suo posto di guardia benché fosse impreciso chiamarla così visto che ci dormiva spesso anche quando non era di turno.

La luce mattutina penetrava dalla fessura tra le tende proiettandosi sul pavimento di legno chiaro. Osservò il pulviscolo galleggiare pigramente nel raggio di luce presso la porta a vetri scorrevole. La lampada sul tavolo di fianco alla poltrona era accesa e la televisione, con il volume al minimo, trasmetteva uno dei soliti programmi religiosi della domenica mattina. Sul tavolo presso la poltrona c'erano i suoi compagni di insonnia: un mazzo di carte da gioco, alcune riviste e dei gialli tascabili - questi ultimi appena sfogliati e presto abbandonati. C'erano anche un pacchetto di sigarette accartocciato e tre bottiglie di birra vuote di marche diverse. Bosch era perfettamente vestito, compresa la cravatta, stropicciata e fissata alla camicia bianca da un fermaglio in argento con il numero 187.

Portò la mano alla cintura, e lentamente la spostò di lato, nella zona renale. Attese. Quando scattò il segnale del cerca-persone, spense immediatamente il fastidioso cicalino. Staccò l'apparecchio dalla cintura e guardò il numero. Non si stupì. Si alzò, si stirò, fece schioccare le giunture del collo. Poi andò in cucina. Il telefono era sul ripiano. Prima di comporre il numero scrisse «domenica ore 8.53» su un taccuino che teneva nella tasca della giacca. Dopo due squilli una voce rispose: «Polizia di Los Angeles, Divisione Hollywood. Sono l'agente Pelch, posso esserle utile?».

| << |  <  |