Copertina
Autore Robert Coover
Titolo Il gioco di Henry
EdizioneFanucci, Roma, 2002, Collezione Immaginario , pag. 272, dim. 140x220x20 mm , Isbn 978-88-347-0856-9
OriginaleThe Universal Baseball Association, Inc., J. Henry Waugh, Prop. [1968]
PrefazioneLuca Briasco, Mattia Carratello
TraduttoreGino Scatasta
LettoreRenato di Stefano, 2002
Classe narrativa statunitense
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Pagina 7

A metà del settimo, l'erede di Brock aveva chiuso un altro inning imbattuto, uno! due! tre! Ventuno già fuori e solo sei ancora da eliminare! E Henry aveva il cuore che andava a cento all'ora, sudava per la tensione e il sollievo insieme, non riusciva a stare seduto, non riusciva a pensare, era lí dentro, insieme a loro. Sí, ragazzi, ci siamo, ne era certo! Non era piú soltanto una partita di baseball, era qualcosa di piú, era storia! E Damon Rutherford la stava scrivendo. Troppo bello per essere vero. La tribuna era come impazzita, eccitata, erano tornati i tempi d'oro, e una voce sola squarciò l'aria mentre Hamilton Craft, la Star degli Haymakers, girava a vuoto su se stesso perdendo l'equilibrio nel vano tentativo di tagliare il terzo strike di Damon - zing! whoosh! zap! OUT! Henry rideva guardando i fan della squadra di casa, i Pioneers, che inneggiavano al loro eroe, gridavano il suo nome, poi stendevano le mani - ma mica si limitavano ad allungarle, no, saltavano per afferrare la fortuna! Vide birre comprate e poi ingurgitate, hot dog divorati, gesti senza tempo. Sí, sí, annuivano, poi incrociavano le dita, rumoreggiavano, si sfregavano le mani, lanciavano baci con la punta delle dita e applaudivano e ridevano, ridevano, tutti presi, testimoni del grande momento e anche lui come loro era preso da questo grande gioco, da questo avvenimento di prim'ordine, da questo evento straordinario: il lanciatore esordiente, Damon Rutherford, figlio dell'incomparabile Brock Rutherford, era a due inning - sei out - da un perfect game! Henry si passò la lingua sulle labbra secche per l'eccitazione, poi lanciò un'occhiata di sbieco al sole alto sul campo dei Pioneers e guardò l'orologio: quasi le undici, Diskin stava per chiudere. Colse cosí l'occasione del riscaldamento della squadra di casa nel settimo inning per correre di sotto al negozio all'angolo e farsi preparare un paio di panini. La serata poteva andare per le lunghe: contro i Pioneers doveva ancora giocare il vecchio Swanee Law.

Fuori dalla porta di casa risplendeva incerta una lampadina. Il suo cerchio di luce giallastra lontanissimo dalla fonte sembrava piú quello di una lucciola che un'illuminazione elettrica e lasciava intravedere il punto in cui il pianerottolo si interrompeva. I gradini erano completamente immersi nel buio ma Henry, abituato ad andare su e giú, li conosceva tutti a memoria. La luce della strada, fredda e azzurrognola, illuminava l'atrio, si insinuava pallida, pareva ondeggiare a mezz'aria come se non volesse avere niente a che fare con il pavimento, ma Henry la notò appena: i suoi occhi erano fissi sul gioco, sul grande lanciatore esordiente Damon Rutherford che stasera cercava la sua sesta vittoria consecutiva... e forse qualcosa di piú. Forse l'immortalità. E mentre percorreva in fretta il marciapiede ed entrava nel negozio di Diskin, Henry vide il lanciatore della squadra avversaria, il Fuoriclasse Swanee Law, uno di quegli ossi duri degli Haymakers, salire sul monte e fare qualche tiro di riscaldamento. Si rese conto che doveva sbrigarsi.

«Due al pastrami, Benny» disse al ragazzo che stava sistemando prima di chiudere, uno dei figli di Diskin, il terzo o il quarto, di certo non il secondo. «E una confezione di birre da sei, ghiacciate.»

«Ho già messo via tutto, Mr. Waugh» si lamentò il ragazzo, ma andò lo stesso a preparare i panini.

Swanee Law era tosto, un vero asso: giocava da sette anni e a suo tempo aveva fatto un ottimo debutto. Era una delle ragioni principali del periodo di grazia degli Zoticoni di Rag Rooney: dalla Stagione L alla Stagione LIV non erano mai scesi al di sotto del terzo posto. Novantanove vittorie, sessantuno sconfitte, una palla veloce che diventava sempre piú veloce col passare degli anni, il piú costante, il piú imperturbabile e il piú casinaro di tutti i lanciatori degli Haymakers. Un tipo grande e grosso che prima caricava stendendosi all'indietro e poi lanciava una fiondata. La sua capacità di resistenza era incredibile, la stessa del vecchio Brock. Ma non ne possedeva la classe, il modo di lanciare tranquillo e semplice, la calma virile. Difficile comunque battere i suoi lanci e in effetti i Pioneers avevano chiuso il settimo ancora a zero e per di piú era un gran giorno per lui, stava per tagliare il traguardo delle cento vittorie. Certo, aveva un ricevitore esordiente in batteria, il giovane Bingham Hill, e chissà, forse non s'intendevano bene. Law non era mai stato un compagno facile, troppa intraprendenza, troppa energia, e Hill, a quanto si diceva, era uno che si emozionava facile. Forse Rooney avrebbe fatto meglio a far giocare il vecchio Maggie Everts, piú affidabile, il compagno di batteria preferito di Law. Che fare? Il manager degli Haymakers Rag (Pappy) Rooney, massaggiandosi la mandibola ossuta e brizzolata, fece un cenno a Everts.

«Come ha detto, Mr. Waugh?»

«Hai messo i cetrioli sottaceto?»

«Non ce ne sono piú, li abbiamo finiti mezz'ora fa.»

Bugia. Henry sospirò. Aveva pensato di usare il nome Ben Diskin, buon nome per un esterno, aveva un certo fascino, ma Benny aveva rovinato tutto. Un bravo ragazzo, ma senza midollo. «Fa lo stesso, Benny. Ne prenderò una doppia dose la prossima volta.»

«Ha lavorato sodo, Mr. Waugh?» Benny incassò e gli diede il resto.

«Come sempre.»

«Non tiri troppo la corda. Ultimamente mi sembra un po' stressato.»

Henry trasalí con insofferenza, un sorriso forzato sulle labbra. «Mai stato meglio» disse uscendo.

Era vero: il lavoro, quello che Henry chiamava lavoro anche se era qualcosa di piú, molto di piú, gli faceva bene. Solo che nessuno sapeva che ormai gli mancavano quattro anni per compierne sessanta. Rimanevano tutti a bocca aperta quando lo diceva. Era la sua Associazione che lo manteneva giovane.

Salendo le scale, sentí il boato della folla, vide i tifosi che si rimettevano a sedere. Il vecchio Maggie Everts si era alzato dondolando sulle gambe arcuate dalla panchina degli Haymakers per sostituire Hill. Seguirono altri tiri di riscaldamento, e Henry poté rallentare, fare i gradini uno alla volta. Law sorrise, fece un cenno col capo al vecchio Maggie, si ficcò una cicca in bocca. In cucina, Henry lacerò la confezione di birre, aprí una lattina, diede un sorso lungo e ingordo a quello che i ragazzi chiamavano il 'tè tedesco'. Poi, mentre Law lanciava a Everts, Henry si mise a studiare gli ordini di battuta masticando il suo panino. Ora doveva andare alla battuta per i Pioneers Grammercy Locke, seguito da tre Star. Ultimamente Locke colpiva la palla niente male, ma il manager dei Pioneers Barney Bancroft decise di tenerlo fuori, giocava con le statistiche lui, e lo sostituí con Tuck Wilson, grande Star da giovane, ora quasi alla fine della carriera. Wilson prese un paio di mazze, le provò, ne scelse una, si calcò in testa il berretto ed entrò in campo..

Henry si sedette, prese i dadi, approvò il segnale di Everts. «Wilson sostituisce Locke alla battuta!» annunciò all'altoparlante, e il pubblico di casa salutò calorosamente il veterano. Henry lanciò i dadi mordendo il panino. Wilson colpí la palla al primo lancio, basso e interno, e la mandò lungo la linea. In terza base Hamilton Craft degli Haymakers saltò sulla destra, prese la palla, si girò, la lanciò in prima... troppo larga! Wilson salvo in prima! Henry segnalò l'errore, che apparve sulla tabella elettronica. Craft, uno dei migliori, per la rabbia prese a calci il cuscino della terza base, si sfregò il naso e lanciò uno sguardo torvo in direzione di Hatrack Hines, che entrava ora nel box. Bancroft mandò in campo il velocista Hillyer Bryan al posto di Wilson.

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Pagina 171

Mai una volta, nelle cinquantasei lunghe stagioni della Universal Baseball Association, il suo proprietario era giunto cosí vicino al disgusto di sé, mai era stato tanto incline ad abbandonare tutto, una vita sprecata, un vecchio che si gingillava con i giocattoli di un bimbo: si sentiva, in un certo senso, come un adolescente colto a masturbarsi. L'Anno LVI, nonostante il suo gruppo di esordienti, nonostante lo scalpore suscitato dall'imminente ascesa al trono di una nuova squadra, nonostante i record stabiliti e i giganti abbattuti e il ragazzo ucciso, era una vera e propria barba. O almeno cosí gli sembrava quella domenica pomeriggio mentre fissava dalla finestra della cucina un mondo che correva verso l'inverno. Fra breve sarebbe arrivato Lou. Aveva paura ma ne era anche felice. Lou poteva salvare ogni cosa. O salvarlo dal gioco. Ci si era impantanato dentro. Aveva giocato troppo, con troppo accanimento, da quando era morto Damon. Doveva allentare il ritmo. Prese in considerazione l'idea di scrivere qualcosa nel Libro ma la stanchezza lo paralizzò. E cosí se ne rimase in piedi davanti alla finestra, a guardare fuori.

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