Copertina
Autore Stanley Coren
Titolo Capire il linguaggio dei cani
EdizioneMuzzio, Roma, 2003, Nature 7 , pag. 344, dim. 140x210x20 mm , Isbn 978-88-7413-072-6
OriginaleHow to Speak Dog. Mastering the Art of Dog-Human Communication [2000]
TraduttoreEmanuela Luisari
LettoreCorrado Leonardo, 2003
Classe animali domestici , psicologia , etologia , comunicazione , evoluzione
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Indice

Prefazione          9

1.  Conversare con i cani 13


2.  Evoluzione e linguaggio animale 27


3.  Il cane sta ascoltando 37


4.  Il cane sta veramente ascoltando? 55


5.  Rumori animali o comunicazione animale?


6.  Il cane parla 75

    Abbai 79
    Ringhi 83
    Ululati, guaiti e latrati 85
    Uggiolii, squittii, piagnucolii 88
    Urlo 91
    Altre vocalizzazioni 94

7.  Imparare a parlare 99


8.  Parlare con la faccia 109

    La forma della bocca 112
    Paura, ira o dominanza? 114

9.  Parlare con le orecchie 125

    Cani dalle orecchie a punta 125
    Orecchie pendenti e orecchie mozzate 129

10. Parlare con gli occhi 137

    Parlare con le pupille 138
    Direzione dello sguardo 140
    La forma degli occhi 144
    Il pianto 147

11. Parlare con la coda 151

    Posizioni della coda 156
    Forme della coda 162
    Movimenti della coda 164
    Ingerenza umana e dialetto della coda 167

12. Parlare con il corpo 173

    Linguaggio essenziale del corpo 175
    Giocare 189

13. Il punto della questione 193


14. Parlare con il sesso 207


15. Indicare e battere a macchina 217


16. Parlare con l'odore 233


17. Cani che parlano ai gatti 251


18. Dialetti cagneschi 267


19. Questo è linguaggio? 277


20. Parlare il cagnesco e il canese 287

Post scriptum. Un'ultima parola 307
Appendice 309
Glossario illustrato 311
Frasario cagnesco 315
Indice analitico 329

 

 

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Pagina 9

Prefazione


                       L'uomo ha grande discorso,
           del quale la più parte è vano e falso;
   li animali l'hanno piccolo, ma è utile e vero;
e meglio è la piccola certezza che la gran bugia.
(Leonardo da Vinci, Considerazioni, moti, massime, 1500 circa)


Narra una leggenda che Re Salomone possedesse un anello d'argento in cui erano racchiusi il suo sigillo e il vero nome di Dio. E grazie all'anello aveva anche il magico potere di parlare con gli animali. Alla sua morte, l'anello fu nascosto in "una grande casa dalle molte porte". Da giovane, anch'io avrei voluto possedere un anello che mi permettesse di parlare ai miei cani.

Mentre da piccolo pensavo che si trattasse solo di una storiella popolare, da grande ho cominciato a credere che il saggio Re Salomone fosse comunque in grado di parlare con gli animali, anche senza il magico anello di cui narra la leggenda. E in realtà anche voi e io possiamo imparare a farlo. La "magia" dell'anello di Salomone sta nel capire come comunicano gli animali, ed è nascosta nella scienza, che è la casa dalle molte porte. Le capacità necessarie sono simili a quelle che servono per esprimersi in qualsiasi lingua. Per parlare con un cane, come prima cosa dovete imparare il suo vocabolario, in modo particolare, quali sono le "parole" nella lingua canina. Poi la "grammatica", ovvero come mettere insieme le parole e come combinarle, in maniera da formare delle "frasi" per mandare e ricevere messaggi che abbiano un senso.

In questo libro vi racconterò come comunicano i cani: come "parlano" fra loro, come fanno a comprendere i messaggi inviati dagli esseri umani, e come gli uomini possono tradurne i pensieri e le intenzioni. Se sappiamo come i cani comunicano possiamo capire ciò che provano, ciò che pensano, che obiettivi hanno. Saremo in grado di dir loro quello che vogliamo che facciano, e ne controlleremo il comportamento. Non significa che potremo fare discorsi profondi, scientifici, filosofici, o discutere sull'ultimo film in programmazione al cinema con questi animali. Devo dire però che spesso trovo le mie conversazioni con i cani più ricche e complesse di quelle con i miei nipotini di due o tre anni. Conoscerne il linguaggio permette inoltre di evitare malintesi fra esseri umani e specie canina.

Durante le nostre "lezioni di lingua" ci troveremo davanti a diversi cani eccezionali, e apprenderemo quanto possono essere intelligenti certi cani comuni. Vedremo inoltre l'influenza che gli uomini hanno avuto sulle capacità di linguaggio dei cani nel corso del lungo periodo di addomesticamento del nostro primo compagno non umano.

Alcuni miei colleghi scienziati potrebbero contestare l'uso che faccio della parola "linguaggio" quando parlo di comunicazione canina. Per molto tempo si è creduto che il linguaggio fosse una caratteristica propria degli esseri umani. Invece ci accorgeremo che i modelli di comunicazione degli uomini e dei cani hanno molte analogie. Come psicologo, sono molto soddisfatto di poter trarre conclusioni sull'intelligenza umana basandomi su dati ottenuti dai topi e dalle scimmie, e lo stesso dicasi per molti ricercatori. E quanto dico sarebbe del tutto folle se si credesse che la facoltà di apprendimento dell'uomo sia di natura radicalmente differente da quella di altri animali. Perciò mi sorprende che molti studiosi del comportamento affermino di non credere nelle capacità comunicative tra le specie, ritenendo invece che esista una profonda differenza tra il linguaggio umano e l'espressività animale. Il "vero" linguaggio è solo quello umano? È una domanda interessante, con alle spalle una lunga e affascinante storia, cui risponderemo durante i nostri tentativi di imparare a capire e parlare la lingua dei cani.

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2. Evoluzione e linguaggio animale


Prima di parlare di traduzione del linguaggio canino, dovremmo innanzitutto rispondere a una basilare domanda critica: gli animali non umani hanno un loro linguaggio? Sebbene parecchi scienziati affermino che gli animali possono comunicare fra loro, sembra che il problema si nasconda dietro la definizione che diamo della parola "linguaggio". Molti ricercatori, in particolare i glottologi, sono concordi nell'asserire che parte del sistema di comunicazione animale è costituita da suoni; tuttavia sostengono anche che essi non possiedono gli elementi di base del linguaggio, ovvero le parole. Sulla scorta della loro analisi, gli animali non possono "dare un nome" agli oggetti, come "palla" o "albero", o esprimere nozioni astratte, come "amore" o "verità".

Secondo la teoria di un famoso glottologo dell'Istituto Tecnologico del Massachusetts, Noam Chomsky, soltanto gli esseri umani sono in grado di apprendere i linguaggi, perché solo loro hanno le strutture cerebrali necessarie. Gli umani sono capaci di imparare i vocaboli con impressionante velocità. Fra i due e i diciassette anni, il bambino medio accresce il suo vocabolario al ritmo di una parola ogni novanta minuti. Nello stesso tempo acquisisce la sintassi e anche una grammatica complessa. Quello che è più stupefacente è che incamera tutto ciò senza istruzione e scolarizzazione. Per Chomsky, questo straordinario risultato può essere spiegato solo se si presume che nel cervello umano ci sia una struttura necessaria all'elaborazione del linguaggio; un organo speciale che non contiene una lingua specifica, ma piuttosto il programma per impararle tutte. Al suo interno ha anche le strutture di base di quella che noi chiamiamo "grammatica universale". Perciò i bambini riescono a imparare la lingua così rapidamente: in realtà sanno già come sono strutturate le lingue, perché i loro geni hanno fornito l'informazione sulle costruzioni accettabili o inaccettabili del linguaggio.

Le mie obiezioni alla teoria di Chomsky, e cioè che il linguaggio è un'abilità esclusivamente umana, nascono da considerazioni di tipo evolutivo. È evidente che per la sopravvivenza della specie il linguaggio è un vantaggio enorme. Attraverso la parola possiamo trasmettere o ricevere notizie vitali sullo stato del mondo e sulle condizioni ambientali locali. Possiamo passarci informazioni sugli eventi del passato e persino previsioni sul futuro. È molto più facile riuscire a sopravvivere se si ha la possibilità di scambiarsi indicazioni essenziali: dove trovare cibo e acqua, il luogo in cui è stato visto l'ultima volta un leone in agguato, oppure essere avvisati dell'approssimarsi di un incendio nella foresta. Il linguaggio serve anche per coordinare le interazioni sociali con i membri del gruppo - sapere se qualcuno sta organizzando una battuta di caccia, prendersi cura dei bambini, stabilire contatti sociali con potenziali compagni - o per risolvere questioni con altri individui o con un altro raggruppamento, in modo da evitare uno scontro. Le specie animali che possiedono un linguaggio hanno quindi a disposizione uno strumento potente che permette loro di essere vincitori in un mondo ostile.

Ogniqualvolta in un animale si verifica un adattamento evolutivo o un cambiamento, questo è quasi sempre preceduto da una versione più elementare. Basti pensare a quel meraviglioso strumento meccanico che ha dato all'essere umano la capacità di creare il mondo tecnologico in cui viviamo: il pollice. Il nostro è un pollice opponibile, possiamo cioè toccarlo con la punta di ogni altro dito. Ci è così permesso di maneggiare con destrezza piccoli oggetti e di creare e usare arnesi. In principio nelle scimmie questo dito speciale era mozzo, non effettivamente opponibile alle altre dita. Tuttavia, quando molti primati si evolsero in scimmie antropomorfe, il pollice diventò più lungo e, in una certa misura, in alcuni altri primati può opporsi a una o anche due dita. Dunque il pollice umano è la prova di evoluzione da forme più elementari. Allo stesso modo, la spettacolare abilità di volare degli uccelli è stata preceduta da versioni meno complesse. In periodi antecedenti, esistevano animali (ad esempio i pterodattili) che potevano librarsi nel cielo. Ma il loro non era un vero volo, piuttosto una sorta di galleggiamento nell'aria, di cui avevano un controllo limitato. L'abilità di volare degli uccelli non è altro che una complessa e avanzata evoluzione della più elementare capacità di volteggiare o planare. La rivoluzione è avvenuta quando sono riusciti a spiccare il volo da qualsiasi superficie e a spingersi, a piacimento, a differenti altitudini.

Queste abilità, importanti e utili, dimostrano l'esistenza di una forma di cambiamento continuo attraverso le ere evolutive. Ciò che offrono Chomsky e tutti coloro che negano la capacità di linguaggio degli animali non umani, è la teoria che i biologi chiamano del mostro che promette bene. È un incidente straordinario nel quale una mutazione anomala, che avviene solo per caso, crea un animale molto meglio equipaggiato: l' "intervento divino" visto dai teorici evolutivi.

Ma è una spiegazione che non mi soddisfa. L'evoluzione è più simile a una grande autostrada percorsa dalle specie. I cambi di direzione sono molto graduali, poiché una curva stretta farebbe uscire di strada, portandoli all'estinzione, i veicoli (le specie in evoluzione) che la imboccano a velocità elevata. A livello biologico, il concetto di autostrada si concretizza in forma di continui e lenti cambiamenti, con molte affinità fra varie specie animali, soprattutto genetiche. Potrebbe apparire sorprendente, perfino inquietante per qualcuno, sapere che recenti scoperte della moderna biochimica rivelano che gli esseri umani non sono geneticamente unici come abbiamo creduto per molto tempo. Le analisi del DNA dimostrano che sul piano molecolare e genetico gli uomini e gli scimpanzé sono identici al 98%. La somiglianza è tale che alcuni scienziati hanno affermato che è possibile effettuare degli incroci e creare così una specie ibrida. L'etica e la morale impediranno esperimenti genetici di questo tipo, ma il fatto che siano comunque possibili dimostra le forti analogie fra esseri umani e primati. Anche animali apparentemente distanti dall'uomo, come i nostri cani, ci assomigliano abbastanza. Siamo entrambi mammiferi, e la sequenza del DNA è uguale per il 90%. Se geneticamente siamo così vicini agli animali non umani, sembra improbabile che l'evoluzione abbia compiuto, dal punto di vista qualitativo e quantitativo, un salto tanto repentino nelle capacità linguistiche. La conclusione più logica è che l'evoluzione si stava dirigendo verso lo sviluppo del linguaggio umano, e se osserviamo con attenzione, scopriremo una continua serie di stadi che hanno portato alla nostra forma di espressione. Questa primitiva capacità di linguaggio non apparirà completa, ma i primi segni dovrebbero comparire nei modelli di comunicaxione di altri animali, come i cani. Per logica ci si aspetta che il linguaggio canino sia molto piú elementare di quello umano, ma la stessa logica ci suggerisce che esso deve per forza esistere.

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6. Il cane parla


Per gli esseri umani, i suoni del linguaggio sono abbastanza arbitrari. Non esiste un gruppo di parole che abbia un significato comune per tutti i membri della nostra specie. Suoni differenti in lingue differenti, possono voler dire la stessa cosa. Quelli emessi pronunciando le parole perro, chien, hund, dog e cane hanno uguale senso, anche se di fatto non hanno alcun legame sonoro. Abbiamo provato a eliminare i problemi sorti dalle molte e diverse lingue che parliamo creando una "lingua universale". Il tentativo più famoso è stato l'Esperanto, ma sfortunatamente i risultati non sono stati positivi. Invece i suoni che utilizzano gli animali per comunicare tra loro sono più uniformi. Ogni specie possiede i propri, ma sembra che (fatta eccezione per certi "dialetti" regionali degli uccelli) all'interno di ciascuna esista una sorta di linguaggio comune e universale.

Il codice del linguaggio universale degli animali, che potremmo chiamare esperanto evolutivo, comprende un numero di suoni usati per la comunicazione. Questi non sono stati plasmati da studiosi o da glottologi, ma piuttosto dalla pressione evolutiva che opera sui suoni caratteristici che gli animali emettono. L'esperanto evolutivo permette non solo la comprensione, da parte dei cani, dei segnali vocali di ogni altro cane, ma anche che altre specie animali (compreso l'uomo) riescano a capire il significato di molti di questi segnali. Nell'esperanto degli animali, le regole principali si basano su tre caratteristiche: la tonalità del suono, la sua durata e la frequenza o la velocità della ripetizione.

Prendiamo in considerazione la variazione di tonalità. Il ringhio, l'abbaio e altri versi, se emessi a bassa intonazione solitamente indicano minaccia, rabbia, e dunque la possibilità di un'aggressione. Fondamentalmente vogliono dire: "Stammi lontano". Al contrario, i suoni di elevata tonalità indicano l'opposto. Quello che comunicano è: "Ti puoi fidare a venirmi più vicino" oppure "Posso avvicinarmi?".

Il naturalista Eugene Morton, in uno studio fatto insieme con J. Pope al National Zoological Park di Washington, ha analizzato i suoni di cinquantasei specie di uccelli e di mammiferi, e ha scoperto che la legge dell'Intonazione era valida per ognuno di loro. Così come ringhiano i cani, ringhiano anche gli elefanti, i topi, gli opossum, i pellicani e le cince. In tutti i casi sembra che il ringhio voglia dire: "Non mi piace", "Mantieni le distanze", o anche "Attento". Nello stesso modo in cui i cani uggiolano o piagnucolano, lo fanno anche i rinoceronti, i porcellini d'India, l'anatra selvatica e persino i vombati (piccoli marsupiali simili a orsacchiotti), e questi piagnucolii hanno tutti lo stesso significato: "Non sono una minaccia", "Sono ferito" oppure "Ho bisogno". Gli psicologi hanno riscontrato le stesse caratteristiche nel modo di parlare degli esseri umani. Quando è presente la rabbia, o la minaccia, l'intonazione della voce umana tende ad abbassarsi. Al contrario, quando invita qualcuno ad avvicinarsi e a essere più amichevole, la voce umana tende ad alzarsi di tonalità.

[...]

La terza caratteristica dell'esperanto evolutivo canino è il ritmo ripetitivo. Suoni che si ripetono spesso, a un ritmo veloce, indicano un grado di eccitamento o di bisogno pressante. Suoni distanziati, non ripetitivi, di solito denotano un basso livello di eccitamento o una disposizione d'animo transitoria. Un cane che, davanti alla finestra, fa uno o due abbai occasionali, mostra poco interesse per ciò che vede. Uno che, mentre guarda fuori dalla finestra, abbaia a scoppi e li ripete più volte in un minuto, mostra un livello di eccitamento molto più elevato. Sta segnalando che secondo lui la situazione è rilevante e forse annuncia perfino un potenziale pericolo.

Possiamo capire come queste caratteristiche interagiscono se consideriamo che cosa i cani vogliono dire quando usano le varie vocalizzazioni, come l'abbaio, il ringhio, l'ululato, il piagnucolio e così via.

Abbai

Mentre analizzava i suoni degli animali per arrivare a formulare la Legge dell'Intonazione, Eugene Morton ha appreso che molte specie abbaiano, così come possono piagnucolare e ringhiare. Uno scoiattolo, una scimmia e un rinoceronte possono abbaiare. Perfino i pigolii di alcuni uccelli seguono i modelli base dell'abbaio. Se registrate il suono emesso da questi uccelli e ascoltate la registrazione a una velocità inferiore, vi accorgerete che i suoni sono molto simili all'abbaio di un cane.

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Pagina 277

19. Questo è linguaggio?


All'inizio del libro, ho detto che avrei usato le parole "linguaggio" e "comunicazione" in modo intercambiabile, senza preoccuparmi eccessivamente della controversia scientifica sulla differenza fra i due concetti, se non più avanti. Adesso che ne sappiamo di più sul cagnesco, possiamo affrontare il quesito. Esaminare la questione è una necessità, perché il dibattito è reale e io, per professione, sono uno scienziato. Cerchiamo perciò di capire se i cani hanno davvero un linguaggio nel senso che diamo noi umani a questa parola, oppure se la loro comunicazione è solo una raccolta di segni e segnali.

In molti campi della scienza, si usa la parola "linguaggio" per definire un metodo di comunicazione che utilizza espressioni, segni, simboli o gesti per trasmettere un significato. Tuttavia, all'interno di questa più ampia definizione, sono previsti anche alcuni specifici requisiti. Fino a poco tempo fa la loro lista era lunga, ed era stata stilata in maniera così specifica da dover concludere che solo gli esseri umani hanno un linguaggio. Oggi la lista è molto più breve, forse perché adesso ci troviamo a nostro agio come parte della natura, e non ci consideriamo più una creazione esclusiva e speciale appoggiata su un piedistallo evolutivo. Molti psicologi e glottologi probabilmente sarebbero d'accordo sulla necessità di quattro o cinque requisiti base perché un linguaggio sia definito tale.

La caratteristica più importante di un linguaggio è la significatività (a volte definita semanticità). E questo è ovvio, poiché il suo unico scopo è comunicare significati agli altri. Le parole devono riferirsi a cose, idee, azioni o sensazioni. Mentre i singoli vocaboli hanno un senso, specifiche combinazioni di termini possono anche modificare o chiarire il significato. I cani non abbaiano, ringhiano, alzano le code o vi guardano fissi casualmente, senza uno scopo. Perciò ho completato il libro con un "frasario", una sorta di dizionario dei significati dei segnali e dei simboli cagneschi; possiamo quindi presumere che la comunicazione canina ha il suo primo requisito.

Il secondo è il dislocamento, che si riferisce al fatto che il linguaggio permette di parlare di oggetti ed eventi che sono "dislocati" nello spazio o nel tempo. Significa che è possibile usare il linguaggio per riferirsi a un oggetto non presente o visibile in quel dato momento, o a eventi che sono successi in passato o che possono accadere nel futuro. Anche se, a livello produttivo, i cani di solito non discutono di oggetti assenti, la loro abilità di comprendere costruzioni linguistiche riferite a oggetti o altre cose non presenti e che non vedono è evidente. Capita di frequente che i padroni usino frasi che significano "trova l'oggetto" con i loro cani. I miei, per esempio, rispondono a "Dov'è la palla?" correndo a cercare la palla per poi portarmela. Se la palla si trova in un posto inaccessibile, ci si piazzano davanti e abbaiano. "Dov'è il tuo bastone?" mette in atto la ricerca dell'ultimo bastone con il quale hanno giocato. "Dov'è Joannie?" è per me un'utilissima maniera per localizzare mia moglie. Quando sente questa frase, il cane va nella stanza dove lei si trova. Se è al piano di sopra o nello scantinato, il cane si avvicina a una delle due scale e aspetta. Se è andata fuori, va davanti alla porta dalla quale è solita uscire. Se non sa dov'è, inizia a cercarla. In tutti questi casi, il cane si comporta in modo appropriato rispetto a un soggetto che non è presente al momento, e questo soddisfa il requisito di dislocamento. Per quanto riguarda il dislocamento produttivo ci sono meno prove; ma bisogna ricordarsi che i cani emettono un particolare abbaio di allarme per la "raccolta del branco", anche se gli altri membri del gruppo non sono in vista in quel preciso momento.

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