Copertina
Autore Claudio Corvino
Titolo Storie irpine
EdizioneMuzzio, Roma, 2004, Archivio del Racconto , pag. 296, cop.fle., dim. 130x220x29 mm , Isbn 978-88-7413-013-9
CuratoreClaudio Corvino
LettoreLuca Vita, 2004
Classe bambini , favole , leggende , narrativa italiana
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Indice

Introduzione, 11

IL SETTECENTO

Il sagro sacco di San Francesco, 35
Sant'Ottone e l'Intifada medievale, 37
Sant'Ottone, Servazio e lo sparviere, 38

L'OTTOCENTO

San Marciano e il lupo gentile convertito, 43
'A Gatta, 45
'E tre figlie d' 'o re, 47
Cunto di Petrosinella, 51
L'Uorco, 54
Petrosinella, 57
Re tre sorelle, 60
'O Gallo e 'o Sorece, 63
L'auciello Grifone, 65
La Cacagliosa, 67
Cunto de l'acieddo Grifone, 68
Lu cunto ri 'na vecchia, 71
Lu cunto ri tre frati, 73
'E sette mane-mozze, 75
Storie di San Francesco, 79
Fasulillo, 85
Vuncolillo, 87
'A Rana, 90
Cincuranella (cinque-granella), 95
Fioravante, 101
Fiore 'e Primmavera, 113
Tirisella, 123
'O Cuòvero, 128
'A Schiava Sarracina, 131
La Valle D'Ansanto, 135
La leggenda di Pietro Bailardo (Abelardo), 137

IL NOVECENTO

La leggenda del bandito Laurenziello, 141
L'Aucellone, 148
Taverna 'e Nisciune, 158
'A femmena cu buleva fa' 'nu juorno
    'a signora, 159
Cricche, Crocche e Manecancine, 161
Franceschielle, 164
L'affatata, 168
'A bella del mondo, 173
La fata Colina, 176
Li sette muscilli, 178
San Guglielmo e l'orso, 180
San Guglielmo e il lupo, 181
Leggenda di Ercole, 182
Leggenda di Virgilio mago, 183
Leggenda della Madonna della "Matina", 184
La palommella, 185
La pezzenta vestuta re tavela, 187
Pecoruzzo r'oro, 189
Un paese, Calabritto, 191
La campanula, 192
La campanula, 193
La Cappella della Vergine, 194
I lupini e il grano, 195
Notte di San Giovanni, 196
Lo scricciolo, 197
Il castagno di Spolecastroleca, 198
Scuorzu de ciucciu, 199
Don Giovanno e la atta, 202
Donnantuono e la morte, 205
La fata Retina, 207
La leggenda della Vallediana (Valeriana), 209
Gesù Cristo e il gallo, 211
Gesù Cristo e gli animali, 212
San Canio e le campane, 213
Il cuculo, 214
San Francesco e il pellegrino, 215
Il tiglio di Mercatello e le streghe
    di Montoro nell'Irpinia, 217
La leggenda dell'abate Coglia, 220
Mamma mie du mbombolo!, 224
La burla che ficere a Urazie, 226
I tre anelli, 228
Il marchese malvagio, 229
Le lavandaie notturne, 231
I fiumi Cervaro e Carapelle, 233
Le ossa di San Vito, 236
Il devoto di S. Giuseppe, 237
Santa Maria delle Fratte e il toro, 241
La Madonna di Carpignano, 243
La Madonna dell'Acacia, 244
La Madonna della Carità, 245
La Madonna della Libera, 247
La Madonna del Soccorso e la bambina, 248
La Madonna del Pozzo, 249
San Liberato, 250
S. Pietro e le sorelle, 251
Sant'Erberto e il macigno, 252
San Nicola e i massi viventi, 253
Sant'Ipolisto e il toro, 254
La Madonna della neve, 255
Le pecorelle della Madonna, 257
Le pecore salvate, 258
La Madonna di Carpignano, 269
La salvia della Madonna, 261
L'alloro, 262
Gesù e i pignoli (pinocchi), 263
La rosa dei morti, 264
Frate illuminato e i fiori, 265
Leggenda di S. Martino, 267
Lo Cifurio, 268
Il sogno di un contadino (Giovanni Antonio
    Crincoli), 270
Il monte Esule, 273
Il fiume Biferno, 275
L'orma del toro, 277

Fonti, 279
Bibliografia, 286
 

 

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Pagina 11

INTRODUZIONE



Come altre forme di espressione popolare, il racconto appartiene a un più ampio insieme che comunemente definiamo "letteratura orale". I racconti, però, come quelli che presentiamo nella collana "Archivio del racconto", non sono, e non furono mai puri e semplici enunciati orali, ma ebbero sempre stretti collegamenti con altre forme di pratiche, rituali e simboliche. Un racconto (cantato), per esempio tra i Cuna studiati da Lévi-Strauss (Antropologia strutturale, Milano, Il Saggiatore, 1966, p. 210 e ss.), può servire a tranquillizzare una donna e aiutarla durante un parto difficile, oppure potrà sottolineare l'importanza di un rito, o anche a fondarlo: in questo caso parliamo allora di mito. In alcuni casi, come in quell'Ottocento tedesco che vedremo meglio più avanti, i racconti dei fratelli Grimm furono messi al servizio di ambigue e improbabili nozioni di lingua pura, patria e nazionalità.

[...]

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Pagina 30

In ultimo, un'osservazione sulla struttura del nostro volume. A parte le storie iniziali, tolte da testi di omiletica settecentesca, la maggior parte furono raccolte dai "demopsicologi" a cavallo tra Otto e Novecento. Nella convinzione dell'importanza che ha il narratore nell'economia del racconto, abbiamo preferito una esposizione cronologica, e non per tipi o motivi. Così, in qualche sia pur labile modo, il lettore potrà vedere, nei limiti legati a ogni tra-scrizione, l'evoluzione dei temi scelti dai narratori. È pur vero che ci troviamo di fronte a un'evoluzione parziale, viziata dalla "sensibilità" dei nostri "demopsicologi" e dallo schiacciamento temporale che provoca ogni seduta di trascrizione, ma tra gli appunti dei vari Amalfi o Imbriani, la storia riesce comunque a filtrare, pur se in un modo molto discreto, sottile e fiabesco.

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Pagina 35

IL SAGRO SACCO DI SAN FRANCESCO



PER VENIR DUNQUE à quel, che voglio dirvi: Raccontano, che vivendo ancora S. Francesco, accadde, ch'erano un giorno i Frati del Convento di Montella in estremo bisogno di pane; imperciocché le nevi cadute, circondando altamente d'intorno le mura del luogo, lor non permettevan d'uscire à provedersene. Mà mentre ch'essi l'un l'altro, confortavansi à sperar nella Divina Providenza, per mano d'Angioli, che si supposero mandati da Dio à preghiera di S. Francesco, fù lor portato un sacco di bianco, e freschissimo pane, con cui benedicendo il Signor, si sostentarono: e le tele del Sacco fu da essi, ò almen da coloro, che ad essi nel convento successero, adoperata à ricoprir la Mensa dell'Altare, perché la polvere non la bruttasse.

Dicono ancora, ch'essendo un giorno perseguitato à colpi di schioppo da' Ministri della Giustizia un certo Reo, fù liberato da qualunque offesa, non per altro, se non perché aveva addosso un ritaglio della tela di quel Sacco, la qual confessò d'averla tolta dalla coperta dell'Altar di Montella, bisognandogli per rattopparsi il giuppone; onde conosciutasi la meravigliosa virtù di quella tela, fu subito il luogo decente riposta, e come reliquia venerata.

Ecco dunque, che cosa vuol dir Sacco di S. Francesco: Ecco, come dicono che capitasse nel Convento di Montella: Ecco, come si conoscesse la prima volta la sua virtù la quale credono ch'abbia poi sempre conservata, con tal'efficacia, che per quante esperienze se ne sian fate, non sia giammai venuta una sol volta a mancare

[...]

Della tela di questo Sacco n'è oggidì una picciola parte rimasta in Montella, perché divolgatasi la fama del miracolo accaduto nella persona del Reo, da quel tempo in quà ogn'uno hà procurato d'averne una particella, per godere il privilegio, portandolo addosso, di non essere offeso dalle armi da fuoco: ed aggimai non vi è più Sgherro, né Fuoriuscito del Nostro Regno, che non porti al collo almeno un filo di esso: Mà di queste fila è pur grande il numero, che se tutte unite si aggiungessero a quel pezzo di tela, che hanno i Frati di Montella, non se ne farebbi più un sacco solo, ma mille. Il che conoscendosi da coloro, che lo celebrano, dicono, che in questo fà S. Francesco un'altro (sic!, N.d.C.) miracolo, operando, che sempre cresca acciocché ne sia proveduto ogni divoto.

Ma credo ben'io, che questo miracolo lo faccia ogn'un altro, che il Santo.

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Pagina 158

TAVERNA 'E NISCIUNE



UNA VOLTA C'ERANO tre cacciatori. Andarono a caccia: uno con lo schioppo rotto, un altro con lo schioppo scassato e un altro con lo schioppo senza il manico. Videro una lepre che era già scappata, presero lo schioppo scassato e uccisero la lepre che era già scappata e poi l'andarono a cucinare alla Taverna-di-nessuno. Chiamarono: "Oi nessuno! Oi nessuno!".

Rispose chi non c'era: "Voi che volete?".

"Cucinaci questa lepre che è scappata!"

Presero una pentola di terracotta sfondata e insieme cucinarono la lepre scappata. La mangiarono e, dopo mangiato, a uno di loro venne il dolore di pancia, dietro la coda. Andarono a cercare un medico su di una montagnella e gli dissero: "Signor medico, a questo gli è venuto un dolore di pancia dietro la coda. Che dobbiamo fare?".

Il medico disse: "Prendete gli occhi di un tafano, gli intestini di una formica e metteteli dentro un bicchiere vuoto, vuoto, vuoto e poi glielo fate bere. Alla fine, poi, se muore, muore e se campa, campa" (prese l'intruglio e lo bevve).

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Pagina 159

'A FEMMENA CU BULEVA FA' 'NU JUORNO 'A SIGNORA



C'ERANO UNA VOLTA un marito e una moglie. Questa, la moglie, era un poco sfaticata. Non voleva lavorare e faceva sempre: "Gioia mia, mi piacerebbe fare una volta la signora".

Il marito, per farla lavorare, le diceva: "Stai zitta, che se lavori, te la farò fare".

Questa allora, poiché voleva fare la signora, lavorava sempre. Di tanto in tanto, però, faceva al marito: "Quando mi fai fare la signora?".

Il marito una di questa volte, le rispose: "Embè, lavora fino a stasera, che domani ti farò fare la signora".

Quando venne la mattina seguente, l'uomo aveva già affittato dei vestiti da signora, una poltrona e tutte le altre cose che servono per fare la signora. Per cominciare, quella mattina non la fece alzare dal letto: si alzò lui, le comprò il caffè e glielo portò a letto.

Più tardi le andò vicino: "Signorina, volete alzarvi?".

"Sì, mi alzo".

Una volta in piedi, il marito l'aiutò a vestirsi, la fece sedere sulla sedia e le mise ai piedi gli stivaletti. La moglie andò a sedersi alla poltrona vicino al balcone e si mise col ventaglio in mano e si sventolava, sventolava...

A una certa ora, il marito le disse: "Signorina, io esco, vado a prendere la carne. Come la volete: bollita, nella pentola di terracotta o arrostita?".

"Prendila per farla in pentola" fece la donna, "così facciamo due braciolette".

Il marito andò, tornò con la carne e le disse: "Signorina, io la lascio sulla tavola, nel frattempo vado a prendere i maccheroni".

"Va, va!", fece lei.

L'uomo uscì accostando la porta, ma nessuno pensò a chiuderla, visto che la donna stava facendo là signora. Così entrò un cane, che andò dritto dritto alla carne e cominciò a mangiarla. La donna continuava a stare seduta in poltrona, sventagliandosi, e non cacciava il cane. Faceva solo: "Pussa via, pussa via! Se ora non stessi facendo la signora, ti romperei tutte le ossa. Pussa via, pussa via!".

Il cane, non vedendosi realmente incalzato, continuava a mangiare. Se ne andò solo quando ebbe finito di mangiare la carne.

Quando il marito ritornò, disse: "Signo', dov'è la carne da mettere sul fuoco?".

E la donna: "È venuto un maledetto cane mariuolo e se l'è mangiata. Io facevo 'pussa via, pussa via', ma quello se l'è mangiata e zitto, perché io stavo facendo la signora e non ho potuto alzarmi".

A questo, rispose il marito: "Ma tu, cuore mio, non la sai fare bene la signora. Ora te la faccio fare io!".

Prese un bastone e cominciò a picchiarla, dicendo: "Tiè, così si fa la signora! Tu non sai farla bene!".

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Pagina 161

CRICCHE, CROCCHE E MANECANCINE



C'ERANO UNA VOLTA tre ladri. Uno si chiamava Cricche, uno Crocche e l'altro Manecancine. Fecero una scommessa per vedere chi era il ladro più furbo. Si misero in cammino. Cricche, che era il primo, vide una gazza sull'albero e disse: "Volete vedere che io levo le uova da sotto a quella gazza senza che se ne accorga?".

"Sì! Vogliamo vedere!".

Cricche salì sull'albero per prendersi le uova. Mentre le stava prendendo, Crocche gli tagliò i tacchi da sotto le scarpe e se li mise nel cappello. Ma, mentre Cricche metteva da parte le uova, Manecancine rubò i tacchi e se li nascose. Scese Cricche e disse: "Io sono stato il ladro più furbo, perché ho levato le uova da sotto alla gazza".

Rispose il secondo: "Il più furbo sono stato io, che ti ho tagliato i tacchi da sotto le scarpe e non te ne sei accorto".

E si levò il cappello per farli vedere, ma non li trovò. Si gira il terzo e dice: "Il più furbo di tutti sono io perché, mentre tu conservavi i tacchi, te li ho rubati. E visto che le cose stanno così, mi voglio dividere da voi, perché ci vado a perdere".

E se ne andò. Andava rubando da solo, e tanta roba mise da parte che infine arrivò in una città, si sposò e aprì una bottega di pizzicagnolo.

Un giorno i fratelli, andando sempre rubando in giro, capitarono in questa città e videro proprio quella bottega. Disse uno all'altro: "Entriamo e vediamo: magari possiamo fare qualcosa!"

Entrarono e uno dei due disse: "Bella femmina, dacci da mangiare".

"Che volete?"

"Una fetta di caciocavallo."

Mentre la donna lo stava tagliando, quei due si guardavano in giro per vedere dove potevano sgraffignare qualcosa. Videro due metà di un maiale appese; uno fece l'occhiolino a quell'altro e dissero che durante la notte l'avrebbero preso. La moglie di Manecancine se ne accorse, e stette zitta. Quando tornò il marito, gli raccontò ogni cosa. Il marito, che era un vero ladro, capì subito. Disse: "Questi saranno Cricche e Crocche che vogliono rubare il nostro maiale. Va bene! Ora li sistemo io!".

Prese il maiale e lo mise nel forno e la sera andò a dormire. Quando fu notte, quei due andarono per rubare e non trovarono il maiale. Andarono guardando in ogni posto e non lo trovarono. Allora il secondo che pensa di fare? S'avvicinò zitto zitto dalla parte del letto dove dormiva la moglie di Manecancine e le disse: "Uè. Uè, io non trovo il maiale. Dove l'hai messo?".

La donna credendo fosse il marito, subito rispose: "Dormi, dormi! Non ti ricordi che lo mettesti nel forno?".

E ritornò a dormire. I due ladri uscirono, presero il maiale e se ne andarono. Cricche lo portava addosso, si andò a girare e vide che nel giardino del fratello c'erano delle verdure. Disse a Crocche: "Vai nel giardino, raccogli un po' di verdura, così quando andiamo a casa almeno ci tagliamo una fetta di maiale e ce la cuciniamo".

Questi andò, mentre Cricche si avviava.

Torniamo ora a Manecancine, che si era svegliato. Andò a vedere, e non trovava il maiale. Si accorse che nel suo giardino mancava della verdura e disse: "Va bene, me l'hanno fatta, e me l'hanno saputa fare. Ora però li aggiusto io!".

Raccolse un bel fascio di verdura e se lo mise addosso, e cominciò a correre, correre. Arrivò dov'era Cricche con il maiale addosso e, senza parlare, gli fece segno che voleva il maiale. Quello, credendo che fosse Crocche prese lui il fascio di verdura e gli diede il maiale, e Manecancine con il maiale addosso se ne tornò a casa sua. Cricche arrivò a casa con il fascio di verdura. Disse Crocche: "E il maiale dov'è?".

"Ce l'hai tu."

"Io non c'ho niente."

"Tu me l'hai levato in mezzo alla strada."

"Quando mai? Tu mi hai mandato a prendere la verdura."

Cricche poi gli raccontò tutto il fatto, e conclusero che era stato Manecancine che gliel'aveva tolto, e che lui era il più ladro.

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Pagina 226

LA BURLA CHE FICERE A URAZIE



NEL NOSTRO PAESE (Villanova) ci stava una volta una nobile famiglia di cognome Varo. Uno di questa famiglia, di nome Lucio, era un grande letterato amico dell'imperatore e stava sempre a Roma con altri poeti, tipo Virgilio il mago, Orazio il donnaiolo, Mecenate il principale e altri ancora che sono noti ancor oggi in tutto il mondo.

Be', alcuni di questi grandi uomini, stando a Roma, pensarono di farsi una scampagnata per le ville che ognuno di loro aveva nelle nostre province dell'Italia del sud, da Roma a Brindisi. Così, formatasi una bella compagnia composta da Capitone, Fonteio, Cocceio, Mecenate, Grazio, Prozio, Varo, Virgilio: come vedete tutti professoroni, si partirono da Roma...

Non so e non dico tutte le fermate che fecero nelle altre province. Alcuni si riposarono ad Altavilla, ossia alla villa di Cocceio, che stava in Irpinia.

Vennero dalla via Appia che passava da Capua (la via da Capua a Roma tutta di pietre del fondo del mare fatta dai diavoli che servivano Virgilio, come poi vi racconterò qualche altra volta). Da Altavilla scesero a Benevento e si fermarono per farsi una mangiata di cacciagione. Ma il diavolo che stava al comando di Virgilio fece ardere l'osteria dove si trovavano a mangiare, ma tutti riuscirono a scampare per un pelo a quel pericolo.

Poi se ne andarono a cavallo, come Dio volle, per le antiche strade tra Mirabella e Ariano, allora chiamata Equum Tutico. Allora però le principali strade e i tratturi erano dritti e meno guasti di ora, e sui fiumi Calore e Ufita c'erano le chiatte o passaggi ben saldi, inchiodati e tenuti con le funi, perché le piene non le portassero via.

Così per i Marroni, per le Tre Torri, salirono a Bibiaria vicino a Santemai, dove c'era la casa di Varo, che aveva voluto portare i compagni a vedere le sue terre e i contadini e aveva promesso a Orazio una succosa cafoncella.

Vi giunsero entro le ventiquattr'ore e faceva anche un po' freddo e per riscaldarsi si fecero accendere un fuoco con le frasche verdi che facevano un fumo fastidiosissimo agli occhi, che lacrimavano senza aver avuto botte.

Lo scherzo che Varo fece a Orazio fu che la promessa non fu mantenuta e il povero poeta rimase gabbato pure avendo aspettato quasi tutta la notte in piedi e senza dormire. Si sospetta che per questo episodio Varo e Orazio litigarono e se ne dissero di tutti i colori...

Varo disse a Orazio vecchio e dagli occhi cisposi... Orazio disse a Varo cornuto. Perciò il tuo paese fu chiamato Curnutello, come lo chiamano gli abitanti di Pungoli o come sarebbe meglio a dire Cornetielle, quando vi vennero a difendere la colonia i soldati romani. La mattina dopo il giorno dell'arrivo la comitiva partì dalla Villa dei tre villaggi, che erano Flumeri, Zungoli con Purcarine, con i carri tirati dai buoi. Varo e Orazio, lungo la strada, vennero alle mani. Allora Varo non volle più continuare e se ne scese al paese dove aveva le sue terre: chi dice che era Zungolicchio, chi la Scampetella di Anzano, chi dice che era Racchetta o Sant'Agata, ma certo il paesello stava sulla vetta di una montagna come Villa e per giunta a l'Oppidolo ci mancava l'acqua per bere. Però c'era un bel pane bianco che ti faceva venire l'acquolina in bocca.

E questo paese stava a 24 miglia da Villa...

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Pagina 228

I TRE ANELLI



C'ERA UNA VOLTA un brav'uomo, affezionato alla sua famiglia, ma povero assai. Avendo perduto la moglie, se ne viveva con tre figliuole, una più bella dell'altra. Un giorno quest'uomo andò a trovare la regina delle fate, per avere soccorsi a favore delle tre figliuole. "Coraggio, disse la regina, menami qui a una a una le tue figliole e io penserò per loro." La mattina seguente il padre tornò con la prima delle figliole.

La regina le mostrò tre anelli, d'oro d'argento e di ferro, dicendo: "Scegli".

La giovane scelse quello di oro e la fata:

"Ti saluto, Maestà", esclama, e scomparve. La seconda scelse l'anello d'argento e fu salutata principessa; la terza l'anello di ferro, ma la fata non pronunziò nessuna parola. Le sorelle, naturalmente, la deridevano.

La prima sposò un re, la seconda un principe, la terza un pecoraio.

Il padre intanto volle andare a trovare le figliuole. La prima piangeva disperatamente, perché non aveva figliuoli, la seconda lo stesso; la terza viveva assai felice con suo marito, chiamato Re Sole.

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