Copertina
Autore Jean-Michel Courty
CoautoreÉdouard Kierlik
Titolo La lente di Galileo
SottotitoloIl mondo intorno a noi attraverso gli occhi della fisica
EdizioneDedalo, Bari, 2007, La scienza è facile , pag. 256, ill. 101, cop.fle., dim. 13,7x21x1,5 cm , Isbn 978-88-220-6802-6
OriginaleLe monde a ses raisons. La physique au cœur du quotidien [2006]
TraduttoreLaura Bussotti
LettoreSara Allodi, 2008
Classe fisica , natura , ragazzi , giochi
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Indice


Prefazione                                   5
di Claude Cohen-Tannoudji

1.  Stelle di neve                           7
2.  Cerchi di pietra                        15
3.  Le miscele del freddo                   21
4.  Il caldo che veniva dal freddo          29
5.  L'acqua e il fuoco                      35
6.  Il beduino nero                         41
7.  Spinte luminose                         47
8.  La seppia polarizzatrice                53
9.  Attraverso lo specchio                  59
10. Dopo attenta riflessione                65
11. Fasci di onde e di luce                 71
12. Nessun pudore con i raggi T!            77
13. Queste onde sempre in forma             83
14. Onde e Moho                             89
15. La memoria magnetica delle pietre       95
16. Scudi magnetici                        101
17. Colpo di fulmine casalingo             107
18. Centrifughiamo il caffè turco!         113
19. 300 stelle d'artificio                 119
20. La forza che incolla                   127
21. Trappole per l'acqua                   133
22. Castelli di sabbia umida               141
23. Rimbalza o muori!                      147
24. Grazie all'attrito                     153
25. Il cardine e il violino                159
26. Il Bozo-Bozo                           165
27. L'enigma del pendolo inverso           171
28. Arriva l'energia litoelettrica         177
29. L'arte del rimbalzello                 183
30. Fluviale o torrentizio?                189
31. Il nuoto dei pesci                     195
32. In equilibrio sulla bici               201
33. L'elicottero a forza umana             207
34. Così veloce, così alto, così forte     213
35. L'arco, una meraviglia tecnica         219
36. Seguire la freccia                     225
37. L'arte del tiro a effetto              231

Bibliografia                               237

Indice analitico                           243

Indice dei nomi                            247



 

 

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Pagina 15

2. Cerchi di pietra

I cicli gelo-disgelo danno origine a strutture di pietra sulla superficie del terreno.


Nelle regioni artiche, gli effetti del freddo sul rilievo terrestre sono spettacolari: il gelo provoca il rigonfiamento dei pingo, collinette che hanno un'altezza di varie decine di metri, seleziona le pietre e le dispone secondo figure regolari estese per centinaia di metri quadrati. Scopriremo ora quali sono i meccanismi per mezzo dei quali si strutturano questi paesaggi.

Quando la temperatura atmosferica scende al di sotto di 0 °C, il suolo congela, a partire dalla superficie: la zona di temperatura pari a 0°C «si sposta» verso il basso. Gli strati sovrastanti a questo cosiddetto «fronte di congelamento» si ritrovano a temperature negative. La trasformazione dell'acqua in ghiaccio, che avviene come risultato del passaggio del fronte, produce effetti che sono tanto maggiori quanto più il suolo è umido, perché la densità del ghiaccio è inferiore a quella dell'acqua: a pressione costante, il volume occupato dal ghiaccio è maggiore del 9% di quello occupato dall'acqua.

Il ghiaccio può prendere allora il posto dell'aria situata negli anfratti del suolo. Se invece il ghiaccio non trova spazio, la sua formazione crea delle sollecitazioni meccaniche molto forti. Nel caso estremo in cui si cerchi di congelare l'acqua a volume costante, la pressione aumenta a tal punto che qualunque ostacolo all'aumento di volume è spinto via o frantumato, e il suolo friabile viene così pressato e compattato. Gli aggregati di roccia più fragili vengono disgregati e il suolo diventa polverulento. Le rocce porose o dotate di interstizi in cui si è infiltrata l'acqua vengono frantumate: «fa un freddo da spaccare le pietre».




I pingo

Quando il suolo è impregnato d'acqua può accadere che l'aumento di volume lo faccia sollevare di qualche centimetro. Nelle regioni di freddo intenso, come l'Alaska o la Siberia, l'effetto può essere più spettacolare. Se il fronte di congelamento incontra una sacca d'acqua sotterranea, o se il suolo è impregnato d'acqua, all'avanzare del congelamento nel suolo si crea una forte sovrappressione. Questa sovrappressione idrostatica locale viene trasmessa a tutto il sottosuolo e lo fa sollevare nel punto in cui è più fragile e più sottile. In questo punto si crea una sacca d'acqua, che cresce finché l'avanzamento del fronte di congelamento continua a esercitare una pressione sufficiente. Contemporaneamente, l'acqua contenuta nella sacca congela e, trasformandosi in ghiaccio, aumenta ulteriormente di volume, formando una collinetta: si tratta di un pingo, una parola inuit che significa «collina». Il pingo cresce di anno in anno e può raggiungere un'altezza di varie decine di metri. Quando il rifornimento di acqua viene meno, il pingo regredisce.

Ai meccanismi già citati se ne aggiunge uno più sottile, il criopompaggio. In seguito alla formazione del ghiaccio, la quantità di acqua allo stato liquido presente nel suolo alla profondità del fronte di congelamento diminuisce. Il suolo si prosciuga, proprio come avviene in estate a causa dell'evaporazione dell'acqua. A cause simili corrispondono effetti analoghi: se i pori del terreno sono sufficientemente stretti, l'acqua allo stato liquido risale dalle zone più profonde per capillarità, esattamente come farebbe in una spugna asciutta. Tuttavia c'è una differenza fondamentale rispetto al caso dell'evaporazione. L'acqua che in estate si trasforma in vapore abbandona la superficie del suolo, mentre l'acqua che si trasforma in ghiaccio resta nel punto in cui si è congelata. Così, quando un suolo umido congela cessa di essere omogeneo: il criopompaggio favorisce la comparsa di lenti di ghiaccio che crescono e fanno sollevare il suolo, mentre prosciugano e comprimono gli strati sottostanti.

La formazione dei cerchi

Se il suolo contiene delle pietre, la formazione di queste lenti di ghiaccio provoca una particolare ripartizione dei materiali presenti. Per capire come si realizza, analizziamo la propagazione del fronte di congelamento in presenza di rocce. Per formare un grammo di ghiaccio, bisogna sottrarre all'acqua un'energia che è centinaia di volte maggiore di quella necessaria per abbassare di un grado la temperatura di un grammo di un suolo tipico. Il fronte di congelamento, quindi, avanza molto più rapidamente nelle pietre (asciutte) che nel suolo (umido), perché il calore da eliminare è minore. Ciò è tanto più vero in quanto la conducibilità termica della pietra è molto maggiore di quella del suolo friabile: per esempio, il granito conduce il calore cinque volte di più della sabbia asciutta. Quando la superficie superiore di un sasso viene raggiunta dal fronte di congelamento, la temperatura scende quasi immediatamente a zero in tutto il suo volume. Durante questo tempo il fronte di congelamento praticamente non scende. Così la base del sasso si trova a 0°C, mentre il suolo che si trova alla stessa profondità è più caldo: le lenti di ghiaccio, quindi, si formano preferenzialmente sotto i sassi. La lente di ghiaccio aspira l'acqua circostante per criopompaggio. Quando l'acqua arriva all'altezza della lente di ghiaccio, congela e aumenta di volume, spingendo il sasso verso l'alto. Al momento del disgelo, la cavità si riempie d'acqua e di detriti; il sasso, invece, non ridiscende, perché generalmente la sua superficie superiore e i suoi lati restano saldati al suolo. Così, a ogni ciclo gelo/disgelo il sasso sale un po; per raggiungere infine la superficie del suolo: si tratta della crioestrazione. Questo fenomeno si può verificare a qualunque latitudine, purché nel corso dell'anno ci sia un numero sufficiente di giorni di gelo, ma diventa fondamentale ai climi artici. Se non si presta attenzione, nel corso degli anni i piloni piantati nel terreno o gli oleodotti interrati vengono spinti verso l'alto.

Se i sassi sono numerosi il risultato è ancora più sorprendente. Inizialmente si verifica una segregazione in funzione delle dimensioni: i sassi più grandi si ritrovano in superficie, mentre quelli più piccoli restano sotto. Poi, per i motivi citati sopra, il fronte di congelamento penetra più rapidamente in una zona in cui si sono accumulati i sassi. Il fronte di congelamento non è più orizzontale, bensì inclinato: segue il contorno della zona ricca di sassi. A causa di questa inclinazione, le lenti di ghiaccio non si formano più sulla verticale dei sassi, ma lungo la perpendicolare al fronte di congelamento. Al ripetersi dell'alternanza gelo/disgelo, quindi, il sasso viene spinto obliquamente e va ad aumentare il cumulo già esistente. Infine, anche quest'ultimo subisce un'evoluzione: compresso lateralmente dalle lenti di ghiaccio nei periodi di gelo, tende a fuoriuscire dal suolo. Dato che le sollecitazioni sono più forti nei punti in cui lo strato è più spesso, la cima del monticello si trova al di sopra di questi punti. Le differenze di altezza della sua superficie provocano delle frane che ridistribuiscono i sassi dalle zone spesse a quelle più sottili.

A poco a poco il mucchio di sassi assume una forma allungata e si trasforma in una specie di lunga vena. A seconda della natura specifica del suolo e del clima, queste vene di pietra si organizzano in cerchi, in labirinti o in poligoni di pietra, strutture di ogni tipo, visibili essenzialmente nei climi artici, ma anche in montagna. Quando le rocce che vengono discriminate in questo modo sono di dimensioni maggiori o uguali ad alcuni decimetri, l'effetto è sorprendente. Anche la natura ha i suoi Stonehenge, come si vede nella fotografia delle steppe ghiacciate dello Spitzberg.

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22. Castelli di sabbia umida

Quando è asciutta la sabbia si comporta come un liquido; quando è umida è uno strano materiale da costruzione che si può modellare a proprio piacimento. Bisogna stare attenti a non pressarla troppo, però, perché il suo volume potrebbe aumentare.

È agosto e la sabbia è linda, pulita dal mare... o dai dipendenti degli stabilimenti balneari. Sulla spiaggia, grandi e piccoli si sono trasformati in costruttori. Perché utilizzano solo sabbia umida? Per la coesione di questo straordinario materiale da costruzione provvisoria. Esaminiamo le sorprendenti caratteristiche della sua coesione per capire qual è il modo migliore per pressarlo e perché i castelli sono più resistenti se la sabbia è stata bagnata con acqua salata.

Facciamo scorrere fra le dita una manciata di sabbia asciutta: cade a terra, formando una montagnola conica. Se ne aggiungiamo un'altra manciata, i granelli in più formano un ruscelletto che scorre lungo il fianco del monte. Queste proprietà ricordano il comportamento di un liquido, ma la sabbia asciutta possiede anche alcune proprietà tipiche di un materiale solido: quando camminiamo sulla spiaggia, sostiene il nostro peso.


Pendenza critica

Questa dualità liquido-solido è tipica dei materiali granulari, come la ghiaia, lo zucchero in polvere, ecc. I granelli di sabbia sono il prodotto quasi finale dell'erosione dei continenti. Quelli delle spiagge sono costituiti da silice cristallina (quarzo) e sono di dimensioni comprese fra 20 micrometri e 2 millimetri.

Una volta stabilizzato, un mucchio di sabbia asciutta non scorre più, perché le forze di attrito esistenti fra i granelli gli impediscono di crollare sotto il suo stesso peso. Non appena la sua pendenza raggiunge un valore critico, tuttavia, la sabbia torna liquida in superficie, annientando le speranze dei costruttori. Un granello di sabbia si comporta come un ciottolo appoggiato su un piano inclinato. Finché la pendenza è bassa, l'attrito con il piano lo trattiene dov'è; quando la pendenza è maggiore, il sasso comincia a rotolare o a scivolare. Sulla scala del singolo granello di sabbia, si può pensare che la rugosità degli altri granelli con cui è in contatto sia sufficiente a mantenerlo fermo. Tuttavia ogni granello grava su quelli vicini, esercitando delle forze laterali che, quando la pendenza è alta, tendono a far precipitare i granelli.

Al di sopra di una pendenza critica, la struttura del monticello di sabbia è instabile: ogni granello della sua superficie non viene più trattenuto a sufficienza dagli altri, rotola giù per il pendio e trascina i suoi vicini nella caduta, provocando una valanga. Dato che la valanga elimina i granelli instabili delle zone di alta pendenza, quest'ultima torna al di sotto del suo valore critico, dell'ordine di 30 gradi. Così, le sabbie marine erose dal rimescolio delle onde sono costituite da granelli approssimativamente ovoidali, che formano pendii meno inclinati rispetto a quelli delle sabbie meno consumate, e quindi più scabre, dei fiumi.

Come fare per superare la pendenza critica? Il modo più semplice per rendere solidali i granelli di sabbia consiste nel bagnarli. Una piccola quantità di acqua va a occupare gli interstizi più piccoli presenti fra un granello e l'altro; infatti, fra le molecole d'acqua, da una parte, e le molecole di silice, dall'altra, si esercitano delle forze attrattive a corto raggio chiamate «forze di Van der Waals». Per questo motivo l'acqua tende a ricoprire al massimo la superficie di silice, pur mantenendosi la più compatta possibile in modo da minimizzare la sua superficie di contatto con l'aria. La combinazione di questi due effetti ren conto non solo della preferenza delle gocce d'acqua per gli interstizi molto stretti, ma anche della forma dei «ponti di acqua» esistenti fra i granelli. Osservandoli al microscopio si vede che hanno la forma di minuscoli tubi, dotati di una base larga a contatto con la silice e di un corpo sottile a contatto con l'aria.

Così, le goccioline di acqua interstiziali costituiscono altrettante gocce di colla che tengono uniti i granelli in modo flessibile. Per capire più precisamente com'è fatto questo legame, consideriamo il caso di un granello di sabbia approssimativamente sferico, appeso a un altro per mezzo di un ponte di acqua. Poiché l'acqua della goccia attrae la silice, la cosiddetta «forza capillare», proporzionale al raggio del granello sferico e diretta verso l'alto, si oppone al suo peso diretto verso il basso. Il peso è proporzionale al volume del granello, quindi al cubo del suo raggio, e la forza capillare prevale sul peso solo se il granello appeso è molto piccolo (di diametro inferiore a un millimetro). La biglia di vetro di un bambino non potrà mai rimanere appesa a un'altra in questo modo. D'altra parte, tutti noi abbiamo potuto constatare che, quando camminiamo sulla sabbia con i piedi bagnati, la sabbia si appiccica ai piedi; più la sabbia è fine, più si appiccica, e più è difficile liberarsene.


L'arte delicata di pressare la sabbia

La forza capillare spiega perché per costruire un castello di sabbia si deve bagnare la sabbia e poi pressarla: l'umidità fornisce il legante necessario, la cui efficacia viene aumentata moltiplicando, per compressione, i contatti fra i granelli. Tuttavia, si tratta di una tecnica difficile: se viene eseguita male rischia di aumentare il volume della sabbia, a scapito della solidità della costruzione. Com'è possibile?

L'attrito esistente fra i granelli impedisce loro di scivolare gli uni sugli altri. Quando esercitiamo una pressione sulla sabbia, i granelli, che sono solidali, scivolano e il movimento di ogni granello si ripercuote su quelli adiacenti, come avviene in un ingranaggio. La pressione esercitata per compattare i granelli di una zona può avere come effetto quello di distruggere l'organizzazione delle zone vicine, rendendole meno compatte.

L'esperienza conferma che è proprio così. Avete mai notato gli aloni che si formano attorno ai vostri piedi quando camminate sul bagnasciuga? Sono costituiti da sabbia prosciugata, se non addirittura asciutta, e scompaiono al cessare della pressione del piede. La spiegazione è la seguente: la pressione che esercitiamo sui granelli rende meno compatta la sabbia intorno all'impronta del piede. Via via che i granelli si separano, fra un granello e l'altro si creano degli spazi vuoti dove va a riversarsi l'acqua e la sabbia della superficie si prosciuga. È quindi utopico pensare di poter comprimere la sabbia esercitando delle pressioni su una zona limitata della sua superficie. Questo problema viene risolto dando dei colpetti alla sabbia. Le vibrazioni prodotte, infatti, allontanano momentaneamente un granello dall'altro: non essendo più sottoposti a forze di attrito i granelli si riorganizzano, incastrandosi meglio, e la loro densità aumenta.

Torniamo al castello di sabbia. Una volta che la costruzione è stata eretta e modellata, ce ne andiamo dalla spiaggia prima che la sabbia si sia asciugata. Abbandonato al suo destino, anche in assenza di un pallone distruttore o di onde che vi si infrangono il castello finisce per crollare, cioè per scivolare giù. Cosa strana, se viene lasciato a se stesso, ci vogliono alcuni mesi perché si disfi completamente! Per quale prodigio? Evaporando, l'acqua del mare lascia un po' di sale, che cristallizza e forma dei «ponti di sale» fra i granelli di sabbia. Le costruzioni così indurite dal sale conservano a lungo la loro forma. Questo tipo di consolidamento spiega anche perché la sabbia incollata alle nostre gambe non cade da sola una volta asciutta.

Ma, ahimè, queste opere restano fragili. Al contrario dell'acqua, il sale cristallino non è un liquido e i ponti che forma non si ricostituiscono mai spontaneamente. Nonostante il sale marino, tutto tornerà sempre a essere polvere.

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28. Arriva l'energia litoelettrica

Livellando le montagne si spianerebbero le difficoltà energetiche del pianeta... almeno dove il rilievo lo consente, e trascurando i dettagli pratici!



    Avvertenza.

    Prima della lettura, desideriamo rassicurare i difensori
    del Monte Bianco: nessuno sta progettando di spianarlo.
    L'energia litoelettrica, frutto della fantasia sfrenata
    del professor Jones, è un'invenzione da primo aprile che
    non ha presente né futuro. Ci teniamo tuttavia a
    precisare che tutti i fenomeni citati sono reali, che le
    cifre riportate sono esatte e che in questo capitolo non
    si è insinuato alcun errore di calcolo. Nello spirito
    delle numerose cronache di Daedalus di David Jones,
    abbiamo cercato di spingere le leggi fisiche certe fino
    al confine fra l'assurdo e il verosimile.



Di cosa sarà fatto il nostro futuro energetico? Di centrali nucleari? Di centrali solari? Di dighe idroelettriche? Di mulini a vento? In ogni modo, è decisamente tempo di sostituire le energie fossili con energie rinnovabili. Una nuova idea per un grosso problema: alcuni anni fa il fisico americano David Jones ha proposto una rivoluzione energetica ispirata al meccanismo di funzionamento dell'energia idroelettrica. Ma questa volta non si tratta di acqua, né di vino! Secondo Jones, il nostro futuro risiede nell'energia potenziale gravitazionale delle montagne.

L'energia idroelettrica deriva dalla trasformazione diretta dell'energia potenziale gravitazionale di una massa d'acqua, mantenuta a una certa altezza, in energia cinetica, che viene utilizzata per azionare una turbina. Basta far precipitare giù l'acqua per recuperare un'energia pari al prodotto della massa m dell'acqua per l'accelerazione di gravità g e per l'altezza h del salto (E = mgh). È facile stimare questa energia: una diga larga 1 kilometro, lunga 10 kilometri e alta 100 metri rispetto alle turbine trattiene la quisquilia di un miliardo di tonnellate di acqua, corrispondenti a un'energia potenziale di 500 miliardi di kilojoule o di 140 milioni di kilowattora, ovvero al consumo annuale di 5.000 famiglie. L'energia idroelettrica, utilizzata da molto tempo, in Francia fornisce 70 terawattora (70 miliardi di kilowattora), corrispondenti al 12% circa del fabbisogno energetico nazionale, mentre il resto è garantito essenzialmente dal settore elettronucleare.


Dall'idroelettrico al litoelettrico

Un grande vantaggio dell'energia idroelettrica è che si tratta di un'energia rinnovabile, dato che dall'autunno alla primavera le riserve d'acqua sono alimentate dalle precipitazioni. Sarebbe sufficiente a soddisfare il fabbisogno energetico? In Francia, le precipitazioni medie sono di 800 millimetri l'anno per una superficie di 551.602 kilometri quadrati, ovvero una massa d'acqua di 4,4x10^11 tonnellate. Dato che la Francia ha un'altezza media di 297 metri, ciò corrisponde, ogni anno, a un'energia potenziale di 1,3x10^18 joule, cioè 3,6x10^11 kilowattora o anche 360 terawattora. Questa valutazione grossolana è più o meno in accordo con quella di EDF, la compagnia elettrica nazionale, che per il potenziale idroelettrico fornisce una stima di 300 terawattora. Poiché in pratica è possibile recuperare solo un terzo di questa energia, constatiamo che la Francia è già ben provvista di energia idroelettrica e che questa fonte energetica non potrà soddisfare interamente il suo fabbisogno.

L'acqua, però, non è sempre liquida. Non sarebbe possibile sfruttare l'avanzata inesorabile dei ghiacciai? I ghiacciai non sono costituiti unicamente da ghiaccio, ma trasportano anche detriti rocciosi, che eliminano sotto forma di morene. Roccia? Trasporto per effetto della gravità? Come ne La lettera rubata di Edgar Allan Poe, la soluzione ai nostri problemi energetici ci sfuggiva perché era troppo in vista: e se, al posto dell'acqua, facessimo precipitare la montagna stessa?

Stimiamo l'energia gravitazionale contenuta dal suolo francese. Con una densità dell'ordine di 2,8 g/cm3, la massa di terra francese posta sopra il livello del mare è circa 5x10^14 tonnellate, più di 1000 volte maggiore della massa delle acque piovane. Spianando la Francia mediamente di tre metri e gettando la roccia in mare, si recupererebbe un'energia sufficiente all'alimentazione elettrica del paese per un anno.


Rinnovabile grazie all'isostasia

Sentiamo già alzarsi i lamenti degli scocciatori: a questo ritmo, la Francia sarà sott'acqua nel giro di un secolo! Si sbagliano di grosso. Le montagne, infatti, non sono limitate alla loro parte visibile: ogni rilievo superficiale comprende una radice che penetra in profondità nel mantello terrestre e che assicura l'equilibrio idrostatico. Il peso della parte sopraelevata rispetto alla crosta continentale è compensato dalla spinta di Archimede che si esercita sulla radice, meno densa (densità pari a 2,8 g/cm3) del mantello circostante (3,3 g/cm3): è il fenomeno dell'«isostasia».

Nell'ipotesi che il blocco continentale galleggi sul mantello, si calcola che per sostenere il Monte Bianco la radice debba penetrare nel mantello per 27 kilometri. Se amputassimo il Monte Bianco del 60% della sua massa per ricondurlo all'altezza del Puy de Sancy (1.886 metri), la sua radice sosterrebbe un peso minore e di conseguenza risalirebbe, ricostituendo in parte il rilievo: la sua cima tornerebbe a superare i 4.000 metri.

Niente si oppone, quindi, alla messa in opera di questa nuova forma di produzione di energia, che chiamiamo «energia litoelettrica» (dal greco lithos, «pietra»). Niente, a eccezione dei dettagli tecnici. Prima di tutto, la roccia deve essere staccata dalla montagna: si dovrebbe poterlo fare per mezzo degli esplosivi di tutti i tipi che ingombrano gli arsenali militari. In secondo luogo, come si fa a portare giù la roccia? Un'idea potrebbe essere quella di utilizzare dei cavi e di attaccarvi dei secchi pieni di pietre; il peso della roccia sarebbe sufficiente ad avviare, e pci a mantenere, il movimento (facendo risalire i secchi vuoti), e a produrre l'energia eccedente. Sarebbe ancora meglio se usassimo una vite di Archimede, una specie di vite senza fine che viene già sfruttata per la risalita dell'acqua o per il trasporto dei cereali. Recentemente, una vite di questo tipo è stata montata e utilizzata in Svizzera per produrre elettricità a partire da... una cascata! Il rendimento meccanico è ottimo: raggiunge 1'80%. Il flusso d'acqua fa ruotare la vite e l'energia viene prodotta a partire da questo movimento.

Dobbiamo raccogliere la sfida dell'energia litoelettrica. Si potrebbero effettuare esperimenti nei luoghi dove le montagne si immergono nel mare, come in Corsica o nelle Alpi Marittime, utilizzando i detriti rocciosi per strappare un po' di terra al mare o per rialzare le zone minacciate dall'annunciato aumento del livello dell'acqua. E che non si dica che questo processo non è ecologico: non fa altro che accelerare l'erosione spontanea delle cime montuose. Al contrario, l'energia litoelettrica prende origine dalle forze più profonde di Gea, quelle della tettonica a zolle. Il futuro sta nel livellamento verso il basso.

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37. L'arte del tiro a effetto

L'efficacia degli stupefacenti tiri curvi di David Beckham o di Roberto Carlos è dovuta alla variazione in funzione della velocità della scia d'aria che scorre attorno al pallone e dell'attrito a cui quest'ultimo è sottoposto.


È la finale degli Europei di calcio 2004: il giocatore che tira il calcio di punizione prende la rincorsa, colpisce il pallone e lo lancia a più di 100 kilometri all'ora. Il pallone passa sopra la barriera dei difensori e fila a destra verso un punto situato al di sopra della traversa; mentre si avvicina alla porta rallenta bruscamente, devia di lato e si infila all'incrocio dei pali, a sinistra! Le forze responsabili di questi effetti — una deviazione e un forte rallentamento del pallone alla fine della sua traiettoria — possono essere spiegati prendendo in esame la scia del pallone nell'aria.


Il flusso attorno a una palla

Per analizzare le forze che agiscono sul pallone inseriamolo in una galleria del vento, dove viene fissato e sottoposto a un flusso d'aria di velocità controllata. Osserviamo il comportamento dei filetti d'aria che lo circondano e, per reazione, delle forze che i filetti d'aria esercitano sul pallone.

Quando il flusso è lento, i filetti seguono la superficie, poi si riuniscono dietro al pallone e continuano a scorrere come se non avessero incontrato alcun ostacolo. La forza a cui è sottoposto il pallone in questo caso e dovuta all'attrito viscoso dell'aria sulla sua superficie.

Quando la velocità del flusso è maggiore di 1 kilometro all'ora, i filetti d'aria cessano di seguire la sagoma del pallone e si staccano dalla sua superficie. Nello spazio che si libera dietro al pallone compare una scia formata da flussi in controcorrente più o meno vorticosi, del tutto analoga alle turbolenze che si osservano dietro i piloni di un ponte quando la corrente del fiume è rapida. Il pallone rallenta il flusso e, come reazione, l'aria esercita sul pallone una forza opposta al movimento, la «resistenza di scia», molto maggiore della resistenza dovuta all'attrito viscoso. La resistenza di scia è proporzionale alla sezione trasversale del pallone, al quadrato della velocità del flusso, alla densità dell'aria e alla metà di un certo coefficiente: il «Cx». Nel caso di una sfera il Cx è prossimo a 0,5. Così, un pallone da calcio del raggio di 11 centimetri, che pesa 0,4 kilogrammi e che si muove nell'aria (assumiamo che la sua densità sia 1,3 kg/m3) alla velocità di 70 kilometri all'ora, a causa della scia è sottoposto a una resistenza uguale al suo peso, ovvero circa 4 newton. Di conseguenza, rallenterà nella direzione della velocità tanto quanto accelererà nel cadere.




Il distacco dello strato limite

A cosa è dovuta la scia? Nella galleria del vento, l'ostacolo rappresentato dal pallone non si limita a deviare i filetti d'aria: analogamente al restringimento o alla svasatura di un tubo, modifica la velocità del fluido. All'interno di un tubo, infatti, la portata è costante (è proporzionale alla velocità moltiplicata per l'area della sezione), cosicché un fluido accelera nei restringimenti e rallenta nei tratti svasati. Allo stesso modo, quando l'aria procede davanti al pallone, la sezione del flusso diminuisce e la velocità dell'aria aumenta. Inversamente, una volta superato l'equatore del pallone, lo spazio a disposizione del flusso aumenta, cosicché l'aria rallenta e riacquista la velocità che aveva molto più a monte del pallone.

I filetti d'aria che passano a pochi millimetri dalla superficie del pallone non vengono rallentati e scorrono liberamente; l'aria che si trova a contatto con la superficie del pallone, invece, sembra aderirvi. La transizione si effettua in uno strato di pochi millimetri di spessore, lo «strato limite». I filetti dello strato limite vengono trascinati dall'aria situata al di fuori di questo strato, ma sono anche frenati dal loro attrito sulla superficie del pallone. Così, nella loro fase di accelerazione (davanti al pallone) i filetti d'aria dello strato limite accelerano meno di quelli che si trovano più lontani dal pallone, e nella fase di decelerazione (dopo l'equatore del pallone) rallentano di più. Alla fine, invece di riacquistare la velocità che il fluido possedeva prima di entrare in contatto col pallone, l'aria dello strato limite viene rallentata fino a fermarsi prima di aver aggirato completamente il pallone. In prossimità di questo punto di arresto i filetti d'aria un po' più distanti dal pallone si allontanano dalla superficie: lo strato limite «si stacca» e fa la sua comparsa la scia. Prima si produce questo distacco, più la scia è grande e maggiore è l'azione frenante.


Il tiro di Roberto Carlos

Ora che abbiamo capito come si forma la scia, seguiamo il percorso del pallone di un calcio di punizione. Immaginiamo che il calcio di punizione venga tirato da Roberto Carlos in persona: in questo caso la velocità di partenza del pallone può raggiungere i 120 kilometri all'ora. A velocità del genere anche lo strato limite è turbolento, non solo la scia. La turbolenza mescola l'aria che sfiora la superficie con quella che passa più lontano, e come effetto di questo mescolamento il distacco dello strato limite viene respinto all'indietro, a metà strada fra l'equatore e la parte posteriore del pallone. Di conseguenza, la sezione della scia si riduce a un quarto. La resistenza, che è proporzionale alla quantità di aria perturbata dal passaggio del pallone (e quindi alla sezione della scia), diminuisce allo stesso modo.

Alla partenza del pallone di un calcio di punizione, quindi, la resistenza è relativamente bassa. La palla, tuttavia, continua a essere frenata finché non scompare la turbolenza all'interno dello strato limite. Aumentando allora del 400% in una frazione di secondo, la resistenza rallenta la palla così velocemente da farla tuffare verso la porta, come se avesse appena ritrovato la gravità!

Per complicare ulteriormente il compito del portiere, il giocatore che tira colpisce il pallone di lato: in questo modo gli impartisce un movimento di rotazione rapida su se stesso. Supponiamo per esempio che il giocatore colpisca il pallone in modo che quest'ultimo, visto dall'alto, appaia in rotazione in senso antiorario. Sul lato destro del pallone, la velocità di rotazione della superficie della palla si somma alla velocità del pallone nel suo insieme. Questo movimento di rotazione aumenta la velocità relativa del fluido rispetto alla superficie del pallone e rallenta maggiormente i filetti d'aria dello strato limite. Quest'ultimo si stacca più a monte del flusso. Sul lato sinistro, invece, la superficie del pallone accompagna il flusso dell'aria e lo strato limite si stacca più a valle. I punti di distacco dello strato limite da una parte e dall'altra del pallone non sono più simmetrici, cosicché la scia risulta deviata verso destra.

L'azione costituita dalla rotazione attorno alla scia provoca una reazione della scia sul pallone, e il pallone viene deviato verso la sinistra del giocatore. Se l'angolo di deviazione della scia è compreso fra 30 e 45 gradi, come avviene nel caso di una rotazione rapida (dell'ordine di 10 rivoluzioni al secondo), la forza laterale è dello stesso ordine di grandezza della forza di resistenza, e quindi del peso della palla. La curvatura della traiettoria, allora, è la stessa nel piano orizzontale e in quello verticale: la palla arriva in rete a vari metri di distanza dal punto preso di mira inizialmente! E il calcio di punizione punisce davvero gli avversari.

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