Copertina
Autore Vittoria Crespi Morbio
Titolo Maria Callas
SottotitoloGli anni della Scala
EdizioneAllemandi, Torino, 2008, La scienza scenica , pag. 160, ill., cop.ril.sov., dim. 24,5x34,5x2 cm , Isbn 978-88-422-1542-4
CuratoreVittoria Crespi Morbio
LettoreSara Allodi, 2008
Classe musica , biografie , citta': Milano
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Indice


  3 Testimonianza di Georges Pretre

  5 Intervista a Georges Prétre
    ELVIO GIUDICI

 11 La Scala di Maria
    VITTORIA CRESPI MORBIO

 29 Maria Callas in scena
    Tavole

 85 I costumi di scena
    Tavole a colori

109 L'artista e la donna
    GIOVANNA LOMAZZI

141 I costumi di Maria Callas
    conservati presso il Teatro alla Scala
    RITA CITTERIO

145 Maria Callas alla Scala.
    Cronologia degli spettacoli dal 1950 al 1962
    ANDREA VITALINI


 

 

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Pagina 11

La Scala di Maria

VITTORIA CRESPI MORBIO


    Ci ha rivelato l'incarnarsi della parola nella nota cantata

                                              LEONARD BERNSTEIN

Maria Callas approda alla Scala nel 1950. È un'epoca in cui la fama del teatro si lega in parte al passato glorioso e in parte alla qualità degli spettacoli, curati nei minimi particolari e garantiti da una solida tradizione artigianale: «Il mestiere dei dirigenti - diceva la Callas - è di dimostrare al mondo che possono mettere in scena le opere meglio di qualunque teatro».

Il lavoro è scandito dal calendario fittissimo delle rappresentazioni, molto più che dai turni sindacali: «Allora alla Scala si provava molto, gli artisti pretendevano il meglio, erano spronati al meglio e c'era un entusiasmo, un'esaltazione che derivava dal personale stesso, dall'elettricista al realizzatore delle scene, dal macchinista alle sarte. Era un lavoro di équipe portato in porto da tutti noi. Chi voleva lavorare, fare sul serio, provare fino allo stremo, poteva farlo e la Scala ci ha dato la possibilità di tirar fuori il meglio di noi stessi».

Varcata la soglia del teatro si percepiva un sentimento di fierezza corporativa: sulla grande famiglia patriarcale il sovrintendente Antonio Ghiringhelli vegliava anticipando di tasca propria le sovvenzioni, e richiamando a sé e al segretario generale Luigi Oldani il controllo di ogni aspetto finanziario e artistico, con cura solertissima, per alcuni dispotica.

La parabola del teatro che era stato di Toscanini subiva in quegli anni una fase di assestamento, per non dire di lento declino. Il melodramma sembrava avviarsi verso una stagione di stanchezza, sebbene venissero somministrate le cure ricostituenti di attualissime scenografie firmate da celebri artisti, pittori, scultori e architetti, attivi a Milano ma anche al Maggio Fiorentino, alla Fenice di Venezia, al Massimo di Palermo, al San Carlo di Napoli, all'Opera di Roma. La maggior parte del repertorio, costituito dalle messinscene di Verdi, Wagner, Puccini e del cosiddetto verismo alla Scala rimane appannaggio di Nicola Benois che identifica il teatro del Piermarini con allestimenti grandiosi, spettacolari, cautamente illustrativi. La figura del regista non ha ancora trovato un'identità e i cantanti esibiscono una gestualità di convenzione.

Nulla avrebbe fatto pensare all'imminente rivoluzione innescata da uno ragazza greca. Attorno a lei, come a un catalizzatore potentissimo, sarebbero esplosi i talenti di Luchino Visconti, l'uomo di spettacolo che tutti attendevano, e di una schiera di direttori d'orchestra destinati alla fama: Leonard Bernstein, Herbert von Karajan, Carlo Maria Giulini, Gianandrea Gavazzeni. In pochi anni il melodramma avrebbe intrapreso il corso di un rinnovamento radicale, toccando lo zenith del proprio prestigio nel ventesimo secolo.

Accanto alla brillante maturazione in scena della Callas fioriranno le arti dello spettacolo: muterà il modo d'intendere un costume; la scena troverà finalmente una coerenza visiva. In breve tempo antiche abitudini e radicate consuetudini cederanno il passo alla modernità: una ventata d'aria fresca circolerà tra i damaschi e gli ori del teatro milanese.

Al suo debutto alla Scala il giovane soprano è chiamato a sostituire Renata Tebaldi. E così nel 1950 si ritrova tra i vortici coloratissimi di un'Aida sopra le righe per il generoso dispendio di comparse e l'uso sfrenato di colori, in sintonia col temperamento dello scenografo Nicola Benois, d'ascendenza russa. Il regista Mario Frigerio conduce sulla scena, «fatto probabilmente unico nella storia del teatro lirico, ben mille persone e il non essersi lasciato sopraffare è già un diploma di bravura». È la tipica produzione Scala dell'immediato dopoguerra: impeccabile artigianato e nessuna sorpresa. Lo spettacolo piace, e la Callas riceve al terz'atto partecipi consensi. Agli applausi del pubblico, del prefetto, del sindaco e dei diplomatici di varie nazioni si aggiungono quelli degli ambasciatori degli Stati Uniti, Ecuador, Inghilterra, Turchia, Grecia, India e Cina, ospiti d'onore giunti a Milano in occasione dell'apertura della Fiera Campionaria. Il presidente della repubblica Luigi Einaudi, superando le più ottimistiche previsioni, rimaneva in teatro ad assistere, oltre al primo atto per prassi obbligatorio, all'estrema esalazione di Aida sotto la «fatal pietra». Era giunto sulle note dell'Inno di Mameli e aveva lasciato il teatro un'ora dopo la mezzanotte.

Gli esordi della Callas alla Scala si svolgono sotto la vigile presenza del direttore dell'allestimento scenico Nicola Benois. Pragmatico e cordiale, figlio di uno dei più stretti collaboratori di Djaghilev ai Ballets Russes, Benois è un professionista tra i più affidabili, uno scenografo di solido mestiere e un costumista di vecchia scuola. L'abito di scena veniva consegnato, secondo la prassi, ai talenti della sartoria interna del teatro, che agivano secondo il motto del risparmio. Il generico gusto storicistico che sovrintendeva ai costumi permetteva di riciclare il prodotto, sebbene il taglio sommario non mascherasse le infelici curve del soprano di turno. La qualità delle stoffe era selezionata in base al listino prezzi: sulla piazza circolavano vellutini e damaschi di qualità non superlativa, attorno ai quali i responsabili del taglio e cucito non investivano troppo tempo: l'era pre-viscontiana alla Scala è caratterizzata dall'apoteosi della cerniera lampo.

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