Copertina
Autore Michael Crichton
Titolo Stato di paura
EdizioneGarzanti, Milano, 2005, Narratori mderni , pag. 688, ill., cop.ril.sov., dim. 145x215x48 mm , Isbn 978-88-11-67856-4
OriginaleState of fear [2004]
TraduttoreBarbara Bagliano
LettoreGiorgia Pezzali, 2005
Classe narrativa statunitense , ecologia
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Indice


Introduzione                                      9

Akamai                                           13

Terror                                          211

Angel                                           299

Flash                                           327

Shake                                           353

Blue                                            501

Resolution                                      581


Messaggio dell'autore                           653

Appendice I
Perché la scienza politicizzata è pericolosa    659

Appendice II
Fonte dei grafici e e dei dati                  667

Bibliografia                                    669


 

 

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Pagina 15

    Parigi Nord
    Domenica 2 maggio 2004
    Ore 12.00



Nel buio, lui le toccò un braccio e disse: «Resta qui». Lei non si mosse, aspettò. C'era un forte odore di acqua salata. Udì il flebile gorgoglio dell'acqua.

Poi si accesero le luci, riflettendosi sulla superficie di una grossa vasca lunga circa cinquanta metri e larga venti. Avrebbe potuto essere una piscina al coperto, non fosse stato per i dispositivi elettronici che la circondavano.

E per lo strano marchingegno all'estremità opposta della vasca.

Jonathan Marshall tornò da lei, sogghignando come un idiota. «Qu'est-ce que tu penses?», disse, pur sapendo di avere una pronuncia terribile. «Che ne pensi?»

«È magnifica», disse la ragazza. Quando parlava inglese, il suo accento aveva un che di esotico. In realtà tutto in lei aveva un che di esotico, pensò Jonathan. Con la sua pelle scura, gli zigomi alti e i capelli neri, avrebbe potuto fare la modella. E camminava proprio come una modella con quella sua gonna corta e quei tacchi a spillo. Era mezza vietnamita e si chiamava Marisa. «Ma non c'è nessun altro qui?» chiese, guardandosi attorno.

«No, no», disse lui. «È domenica. Non verrà nessuno.»

Jonathan Marshall aveva ventiquattro anni, si era appena laureato in fisica a Londra e in estate lavorava all'ultramoderno Laboratoire Ondulatorie - il laboratorio per lo studio della meccanica delle onde - dell'Istituto Marino di Vissy, a nord di Parigi. Ma in periferia abitavano per lo più giovani famiglie, e Marshall aveva trascorso un'estate solitaria. Ragion per cui non riusciva a credere quanto fosse stato fortunato ad aver incontrato una ragazza così bella e sexy.

«Fammi vedere come funziona questa macchina», disse Marisa. Le brillavano gli occhi. «Fammi vedere cos'è che fai.»

«Con piacere», disse Marshall. Andò al grande pannello di controllo, e cominciò ad azionare le pompe e i sensori. I trenta pannelli della macchina delle onde all'estremità della vasca si illuminarono, uno dopo l'altro.

Lui si girò a guardarla, e lei gli sorrise. «È complicatissimo», disse lei. Gli si avvicinò fermandosi accanto al pannello di controllo. «Le tue ricerche vengono filmate?»

«Sì, ci sono telecamere sul soffitto, e su entrambi i lati della vasca. Forniscono una documentazione visiva delle onde che vengono generate. Nella vasca abbiamo anche dei sensori che registrano i parametri della pressione al passaggio di ogni onda.»

«Adesso le telecamere sono accese?»

«No, no», disse lui. «Non ce n'è bisogno, non stiamo conducendo un esperimento.»

«Forse sì», disse lei, posandogli una mano sulla spalla. Le sue dita erano lunghe e delicate. Aveva dita bellissime.

Lei si guardò attorno per qualche istante, poi disse: «Qui è tutto così costoso. Dovete avere un'ottima sorveglianza.»

«Non proprio», disse lui. «Solo tessere magnetiche per entrare. E un'unica telecamera.» Indicò alle sue spalle. «Quella nell'angolo in fondo.»

Lei si voltò a guardarla. «E adesso è accesa?»

«Oh, sì». disse lui. «Quella e sempre accesa.»

Lei gli accarezzo il collo con delicatezza. «Percio qualcuno ci sta guardando?»

«Temo di sì.»

«Allora dobbiamo fare i bravi.»

«Probabilmente. Comunque, che cosa mi dici del tuo ragazzo?»

Lei sbuffò con aria derisoria. «Di lui ne ho abbastanza.»

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