Copertina
Autore Michael Crichton
Titolo Il terminale uomo
EdizioneGarzanti, Milano, 1993 [1972], Gli elefanti , Isbn 978-88-11-66728-5
OriginaleThe Terminal Man [1972]
TraduttoreEttore Capriolo
LettoreRenato di Stefano, 1994
Classe fantascienza , narrativa statunitense
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Pagina 15 [ libro inizio ]

Scesero al pronto soccorso a mezzogiorno e si sedettero sulla panca appena oltre la porta girevole che si apriva sul parcheggio delle ambulanze. Ellis, il più anziano, era nervoso, preoccupato, distante. Invece Morris, il più giovane, era calmissimo: mangiò una caramella. Ne appallottolò l'ivolucro infilandoselo nella tasca della giacca bianca.

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Pagina 73

Janet Ross era la sola donna presente e il suo arrivo aveva sottilmente modificato l'atmosfera decisamente maschile della sala. Le seccava di essere l'unica donna e le seccava il fatto che gli uomini diventassero all'improvviso più pacati, più cortesi, meno rozzi e gioviali. Non le importava niente che fossero volgari, le dava anzi fastidio essere considerata una specie d'intrusa. Aveva la sensazione di essere stata un'intrusa per tutta la vita, fin da quando era bambina. Suo padre, un chirurgo, non si era mai preso la briga di nascondere la propria delusione per aver avuto una femmina anziché un maschio. Un figlio si sarebbe automaticamente inserito nella sua vita: avrebbe potuto portarlo con sé in ospedale il sabato mattina e fargli vedere le sale operatorie: tutte cose che si possono fare solo con un maschio. Una figlia invece era un'altra cosa, un'entità sconcertante, per niente adatta alla vita del chirurgo. Quindi un'intrusa...

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Pagina 85

Fino a questo punto avevano trapanato soltanto il cranio, lasciando intatta la membrana della dura madre che copre il cervello e impedisce la fuoruscita del liquido cefalo-rachidiano. Per perforare la dura l'assistente di Ellis si servì di una sonda.

«Sono arrivato al liquido», disse, e dal foro sgusciò lungo un lato del cranio rasato un sottile rigagnolo chiaro. Un'infermiera lo asciugò con la spugna.

Per la Ross era sempre una meraviglia vedere come era protetto il cervello. Anche gli altri organi vitali, ovviamente, erano ben protetti: i polmoni e il cuore nella gabbia di ossa delle costole, il fegato e la milza appena sotto le costole, le reni avvolte nel grasso e saldamente difese dagli spessi muscoli della parte inferiore del dorso. Ottime protezioni insomma, ma niente in confronto al sistema nervoso centrale che era interamente rivestito di solide ossa. Non solo, ma all'interno dell'osso c'erano delle membrane simili a sacchi che contenevano il liquido cefalo-rachidiano. E siccome questo è soggetto a pressioni, il cervello si trovava nel mezzo di un sistema liquido pressurizzato che gli assicurava una protezione straordinaria.

McPherson lo aveva paragonato a un feto in un utero pieno d'acqua. «Il bambino finisce per uscire dall'utero», diceva, «mentre dal suo utero il cervello non esce mai».

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Pagina 97

S'interruppe e si guardò attorno. Su un angolo della sua scrivania c'era il garnde modello di un cervello. Lungo una parete scaffali pieni di giornali e un monitor sul quale egli stava ora seguendo il "playback" dell'operazione di quel mattino. L'audio era spento e le immagini si susseguivano mute. Ellis stava trapanando la testa di Benson. McPherson cominciò a dettare:

"Questo intervento costituisce un primo collegamento tra un cervello umano e un computer. È un collegamento permanente. Già ora, s'intende, qualsiasi uomo che sieda davanti al quadro di controllo di un computer e che agisca in rapporto con il computer stesso, premendo pulsanti, può dire di essere collegato".

Troppo elaborato, pensò.

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Pagina 133

Lavorando con programmi come George e Martha aveva capito che istruzioni relativamente semplici potevano produrre nella macchina un comportamento complesso e imprevedibile. D'altra parte, va detto che le capacità della macchina programmata possono essere superiori a quelle del programmatore; cosa che era stata comclusivamente dimostrata nel 1963, quando Arthur Samuel dell'IBM programmò una macchina per giocare a scacchi, e la macchina divenne talmente brava da battere lo stesso Samuel.

Tutto questo comunque era stato fatto con computer che non avevano più ciurcuiti di quelli del cervello di una formica. Il cervello umano era assai più complesso e la sua programmazione si estendeva per decenni. Come poteva qualcuno sperare seriamente di comprenderlo?

C'era anche un problema filosofico. Il teorema di Gödel, secondo il quale nessun sistema può spiegare se stesso e nessuna macchina può capire se stessa. Gerhard pensava che il cervello umano fosse tutt'al più in grado, dopo anni di lavoro, di decifrare quello di una rana. Ma non avrebbe mai saputo decifrare se stesso in modo altrettanto minuzioso. Per questo ci voleva un cervello sovraumano.

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Pagina 176

Ellis scosse il capo e uscì. Appena fuori, respirò a fondo l'aria fresca della notte e montò in macchina. Era affascinato dal problema degli odori. Non era la prima volta che se lo poneva, ma non l'aveva mai risolto.

L'intervento che aveva fatto su Benson si era posto come obiettivo una parte specifica del cervello, il sistema limbico. In termini evoluzionistici, era una parte molto antica, cui un tempo si attribuiva appunto la funzione di controllare l'olfatto. Tanto è vero che una volta la si chiamava «rinencefalo», cioè «cervello olfattivo».

Si era sviluppata oltre 150 milioni d'anni fa, quando i rettili erano padroni della terra. Controllava i modi di comportamento più primitivi: rabbia e paura, libidine e fame, aggressione e ritirata. I rettili, i coccodrilli per esempio, avevano poco d'altro che guidasse il loro comportamento. Mentre l'uomo aveva la corteccia cerebrale.

Era un'aggiunta recente. Non aveva più di centomila anni, e il suo sviluppo era iniziato soltanto due milioni d'anni fa. Questa corteccia era cresciuta intorno al cervello limbico, il quale era rimasto profondamente incastrato nel suo interno. E la corteccia, capace di provare amore, di porsi problemi etici e di scrivere poesie, aveva concluso una traballante tregua con il cervello di coccodrillo che era il suo nucleo. A volte, come nel caso di Benson, questa tregua veniva violata e il cervello di coccodrillo prendeva a tratti il sopravvento.

Che rapporto aveva l'olfatto con tutto questo?

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Pagina 217

Scosse il capo. Ora forse Modello Q, che pure era il suo progetto preferito - lo era da sempre - sarebbe stato bloccato. Era programmato per il 1979 e si prevedeva che le sue applicazioni umane sarebbero iniziate nel 1986. McPherson nel 1986, se non moriva prima, avrebbe avuto settantacinque anni, ma non era questo a preoccuparlo. Era l;idea, l'idea in sé, che lo rendeva perplesso.

Modello Q era una conseguenza logica del lavoro del Neuropsichiatrico. Era nato come Modello Quixoticus (donchisciottesco) perché sembrava irrealizzabile. Ma McPherson era sempre stato convinto che si sarebbe realizzato perché era assolutamente necessario. Ma era un grosso problema, prima di dimensioni, e poi di costi.

Un computer elettronico moderno - per esempio un computer digitale IBM della terza generazione - costava parecchi milioni di dollari. Ed esigeva quantità enormi di energia. E consumava voracemente lo spazio. Tuttavia il piú grande dei computer aveva ancora lo stesso numero di circuiti del cervello di una formica. Un computer con la capacità di un cervello umano avrebbe dovuto avere le dimensioni di un enorme grattacielo. E il suo consumo d'energia sarebbe stato pari a quello di una città con mezzo milione di abitanti.

Ovviamente nessuno avrebbe mai potuto costruire un computer del genere con le attuali risorse tecnologiche. Bisognava trovare metodi nuovi, e McPherson aveva pochi dubbi sui metodi ai quali si doveva ricorrere.

Tessuti viventi.

In teoria era abbastanza semplice. Un computer, come un cervello uamno, era composto di unità funzionanti, cioè di piccole cellule di diversi tipi. E con il trascorrere degli anni le dimensioni di queste unità erano diminuite notevolmente e avrebbero continuato a diminuire con i progressi dell' "integrazione su vasta scala" e di altre tecniche microelettroniche. E parallelamente sarebbe diminuito anche il consumo di energia.

Ma le singole unità non sarebbero mai diventate piccole come una cellula nervosa o neurone. È possibile stipare un miliardo di neuroni in un pollice cubico, ma nessun metodo umano di miniaturizzazione potrebbe mai arrivare a una tale economia dello spazio. Come nessun metodo umano riuscirebbe mai a produrre un'unità in grado di funzionare con poca energia come una cellula nervosa.

Bisognava dunque fare un computer con cellule nervose viventi. Era già possibile far crescere in vitro neuroni isolati. Era anche possibile alterarli artificialmente con diversi metodi. E in futuro sarebbe anche divenuto possibile farli crescere in una direzione specifica e collegarli tra loro in modo prefissati.

Una volta fatto questo, sarebbe stato possibile costruire un computer contenente in un volume, mettiamo, di sei piedi cubici migliaia di miliardi di neuroni. Non avrebbe richiesto una quantità eccessiva di energia e sarebbe stato facile utilizzare la sua produzione di calore e i suoi residuati. Nello stesso tempo sarebbe stato, di gran lunga, la più intelligente entità del pianeta.

Modello Q.

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Pagina 280 [ libro fine ]

Non ricordò mai con precisione quel che accadde dopo. Tornò Anders e le tolse di mano la pistola. Poi la portò da una parte, mentre arrivavano tre uomini in tuta grigia con una lunga capsula di plastica su una barella. Aprirono la capsula: l'interno era foderato di uno strato isolante giallo tutto bucherellato. Sollevarono il corpo di Benson - stando bene attenti, notò Janet, a non sporcarsi di sangue le loro tute speciali - e lo misero dentro la capsula. Poi due di loro lo portarono via. Il terzo girò per la stanza con un contatore Geiger che vibrava rumorosamente. In un certo senso quel suono le ricordò una scimmia arrabbiata. Poi l'uomo le si avvicinò. Non poté vedere che viso avesse dietro il casco grigio: il vetro era appannato.

«È meglio che se ne vada da qui», disse l'uomo.

Anders le cinse le spalle con un braccio. Janet Ross cominciò a piangere.

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