Copertina
Autore Michael Crichton
Titolo Timeline
EdizioneGarzanti, Milano, 2000, Narratori moderni , pag. 679, dim. 140x215x52 mm , Isbn 978-88-11-66036-1
OriginaleTimeline [1999]
TraduttorePaola Bertante, Gianni Pannofino
LettoreRenato di Stefano, 2000
Classe fantascienza
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Pagina 9

INTRODUZIONE


La scienza alla fine del secolo


Cent'anni fa, mentre il secolo XIX volgeva al termine, gli scienziati erano generalmente soddisfatti del grado di accuratezza cui era giunta la loro descrizione del mondo fisico. Secondo lo studioso Alastair Rae, «alla fine del XIX secolo si aveva l'impressione che i principi fondamentali che governano il comportamento dell'universo fisico fossero sufficientemente noti». Molti scienziati sostenevano addirittura che lo studio della fisica fosse praticamente al capolinea: nessuna grande scoperta all'orizzonte, solo piccoli ritocchi e pochi dettagli da definire.

Verso la fine dell'ultimo decennio, però, vennero alla luce alcune curiosità. Röntgen scopri dei raggi, capaci di trapassare la carne, che per la loro inspiegabilità furono detti raggi X. Due mesi più tardi, Henri Becquerel scoprì accidentalmente che un frammento di minerale di uranio emetteva un quid che appannava le lastre fotografiche. Nel 1897, poi, fu scoperto l'elettrone, vettore dell'elettricità.

In generale, però, i fisici non si scomposero, confidando nel fatto che queste stranezze sarebbero, infine, risultate spiegabili alla luce di teorie già esistenti. Nessuno immaginava che nel giro di cinque anni tale autocompiaciuta visione del mondo sarebbe stata spazzata via e sostituita da una nuova concezione dell'universo, fonte di nuove tecnologie che avrebbero trasformato in modi impensati la vita quotidiana nel XX secolo.

Se nel 1899 aveste detto a un fisico che cent'anni dopo, nel 1999, sarebbe stato possibile trasmettere via satellite immagini in movimento nelle case di tutto il mondo; che bombe di inimmaginabile potenza avrebbero minacciato la sopravvivenza della specie; che gli antibiotici avrebbero sconfitto le malattie infettive per poi subirne il ritorno; che le donne avrebbero conquistato il diritto al voto e alla contraccezione; che milioni di persone avrebbero preso il volo ogni ora su aerei in grado di decollare e atterrare automaticamente; che sarebbe stato possibile attraversare l'Oceano Atlantico a più di tremila chilometri l'ora; che l'uomo sarebbe arrivato sulla Luna, per poi disinteressarsene; che con i microscopi si sarebbe riusciti a osservare i singoli atomi; che con telefoni superleggeri e senza cavo sarebbe stato possibile comunicare da un qualunque punto del pianeta a un qualunque altro; e che gran parte di questi "miracoli" sarebbero dipesi da dispositivo grandi quanto un francobollo, funzionanti sulla base di una nuova teoria chiamata meccanica quantistica - ebbene, il fisico in questione vi avrebbe quasi certamente presi per matti.

Nel 1899, questi sviluppi erano perlopiù impossibili da prevedere, perché la concezione scientifica dominante li riteneva impossibili. Anche nei campi in cui alcuni sviluppi erano immaginabili, come quello dell'aeronautica, le proporzioni del progresso realmente verificatosi difficilmente sarebbero risultate comprensibili: immaginare un aereo non era un problema, ma pensare diecimila aerei contemporaneamente in volo era cosa che andava al di là della più audace fantasia.

Possiamo, quindi, affermare che alle soglie del XX secolo neppure gli scienziati più informati avevano idea di quel che il futuro aveva in serbo.

Ora, alle soglie del XXI secolo, la situazione è incredibilmente simile. Di nuovo, gli scienziati appaiono convinti che il mondo fisico sia sostanzialmente spiegato e che il futuro non riservi, in questo campo, altre rivoluzioni. A causa dei precedenti, essi non si azzardano a esprimere apertamente tale opinione; cionondimeno, la convinzione rimane. Vi è addirittura chi sostiene che la scienza, in quanto tale, avrebbe assolto per intero la sua funzione, perché non le sarebbe rimasto più nulla di importante da scoprire.

Tuttavia, come alla fine del XIX secolo si sarebbe potuto cogliere qualche indizio dei progressi a venire, così ora esistono elementi che consentono di fare ipotesi sul futuro. Un elemento importante, a questo proposito, è costituito dall'interesse per la cosiddetta "tecnologia quantistica". Si tratta di un notevole sforzo in atto contemporaneamente su molti fronti e finalizzato alla creazione di una nuova tecnologia, imperniata sull'utilizzo della natura fondamentale della realtà subatomica, che promette di rivoluzionare la nostra idea del possibile.

La tecnologia quantistica contrasta apertamente con il nostro senso comune e le nostre convinzioni sul funzionamento del mondo. Essa descrive un mondo in cui i computer funzionano senza essere stati accesi e gli oggetti vengono trovati senza che li si cerchi.

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Pagina 15

«Un tipico episodio di guerra privata ebbe luogo nel 1357. Ser Oliver de Vannes, un cavaliere inglese, nobile e di polso, aveva preso possesso dei villaggi di Castelgard e La Roque, sulle rive della Dordogna. Orbene, questo "lord avventizio" governava in modo onesto e degno ed era, perciò, amato dai popolo. Nel mese di aprile, le terre di ser Oliver furono invase da una feroce compagnia di duemila brigandes, cavalieri rinnegati capeggiati da Arnaut de Cervole, un monaco spretato noto anche come "l'Arciprete". Dopo aver ridotto Castelgard a un cumulo di rovine fumanti, Cervole razziò il vicino monastero della Sainte-Mère, massacrandone i monaci e distruggendo il celebre mulino ad acqua sulla Dordogna. Quindi, inseguì ser Oliver fino alla fortezza di La Roque, dove scoppiò una furibonda battaglia.

Oliver difese il suo castello con astuzia e sagacia, ma testimonianze dell'epoca attribuiscono i meriti della sua strenua resistenza al consigliere militare Edwardus de Johnes, misteriosa figura merlinesca circondata da un'aura leggendaria; si diceva, infatti, che fosse in grado di svanire in un'esplosione di luce. Il cronista Audreim sostiene che egli fosse di Oxford, ma secondo altre fonti sarebbe stato milanese. Poiché viaggiava accompagnato da un gruppo di giovani aiutanti, egli era probabilmente un grande scienziato pronto a mettersi a disposizione del miglior offerente. Notevole era la sua competenza in materia di polvere da sparo e artiglieria, tecnologia affatto nuova a quei tempi [...]

Ser Oliver, infine, perse la sua imprendibile fortezza perché un traditore, aprendo un passaggio segreto, consentì all'Arciprete e ai suoi soldati di introdursi nei castello. Ouesto genere di tradimenti era molto frequente nelle intricate vicende dell'epoca». M.D. Backes, The Hundred Years War in France, 1996

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Pagina 19 [ inizio libro ]

Non avrebbe dovuto prendere quella scorciatoia.

Dan Baker sobbalzò, quando la sua nuova berlina Mercedes S500 imboccò lo sterraro, per inoltrarsi nella riserva navajo dell'Arizona settentrionale. Intorno a loro, il paesaggio si faceva sempre più desolato: a est, in lontananza, le mesas rosse; a ovest, deserto piatto a perdita d'occhio. Avevano superato l'ultimo villaggio mezz'ora prima - case polverose, una chiesa e una piccola scuola rannicchiato contro una rupe - dopodiché non avevano incontrato più nulla, neppure un cespuglio. Nient'altro che il vuoto deserto rosso. Da almeno un'ora non incrociavano automobili. Era mezzogiorno, e il sole accecava. Baker, un imprenditore edile quarantenne di Phoenix, cominciava a sentirsi a disagio. Tanto più che sua moglie, un'architetta, era una di quelle artiste con poca pratica di benzina e radiatori. Il serbatoio era a metà, ma il motore dava segni di surriscaldamento.

«Liz», disse, «sei sicura che sia questa la strada?».

Seduta al suo fianco, la moglie era chinata su una cartina stradale e con un dito seguiva la linea di una strada. «Deve essere questa», rispose lei. «La guida diceva: "A quattro miglia dal bivio per Corazón Canyon"».

«Ma la svolta per Corazón Canyon l'abbiamo superata venti minuti fa. Forse, siamo andati troppo oltre».

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Pagina 49

Ormai deluso, tornò alla sua precedente passione: il magnetismo e i superconduttori. Fondò una seconda società, la Advanced Magnetics, proprietaria di alcuni brevetti fondamentali per la produzione delle nuove apparecchiature per la risonanza magnetica, che cominciavano a rivoluzionare il campo della medicina. La Advanced Magnetics riceveva un quarto di milione di dollari di royalties per ogni macchina di questo tipo che veniva realizzata. «È una gallina dalle uova d'oro», disse una volta Doniger, «ma è appunto interessante quanto l'allevamento delle galline». Annoiato e in cerca di nuove sfide, nel 1988 vendette tutto. Aveva ventotto anni, allora, ed era già un uomo da un miliardo di dollari. Eppure, riteneva di non aver ancora raggiunto il suo obiettivo.

Un anno dopo, nel 1989, fondò la iTc.

Uno degli idoli di Doniger era il fisico Richard Feynman. Questi, all'inizio degli anni Ottanta, aveva teorizzato la possibilità di costruire un computer basato sulle proprietà quantistiche dell'atomo. In teoria, tale «computer quantico» avrebbe dovuto essere miliardi di volte più potente di qualsiasi computer mai realizzato, ma l'idea di Feynman necessitava, per essere tradotta in pratica, di una nuova tecnologia: una tecnologia tutta da inventare e capace di sovvertire ogni regola. Poiché nessuno era riuscito a trovare il modo di creare tale computer quantico, l'idea di Feynman fu ben presto dimenticata.

Da tutti, ma non da Doniger.

Nel 1989, Doniger si accinse alla costruzione del primo computer quantico. Il progetto era cosi radicale - e rischioso - che egli non rivelò mai pubblicamente la sua intenzione. Diede alla sua nuova società il banale nome di International Technology Corporation (ITC) e aprì la sua sede principale a Ginevra, cominciando a pescare nel pool di fisici che lavoravano al Cern.

Per diversi anni di Doniger e della sua società non si ebbe più notizia. La gente, posto che pensasse a lui, immaginava forse che si fosse ritirato dall'attività. D'altronde, non era raro che eminenti imprenditori dell'alta tecnologia scomparissero dalla scena dopo aver accumulato ingenti fortune.

Nel 1994, la rivista «Time» stilò la lista delle venticinque persone sotto i quarant'anni che in un futuro più o meno prossimo avrebbero contribuito a riplasmare il mondo a noi noto. Robert Doniger non vi compariva. Nessuno si interessava più a lui; nessuno se ne ricordava.

In quello stesso anno, trasferì la sede dell'ITC negli Stati Uniti, allestendo dei laboratori di ricerca in località Black Rock, New Mexico, a un'ora di viaggio da Albuquerque, direzione nord. Un osservatore attento avrebbe notato con interesse il suo trasferimento e la decisione di creare un pool di fisici alle sue dipendenze. Di osservatori, però, non ce n'erano, né attenti né distratti.

Così, nessuno si accorse della crescita fatta registrare dalla ITC nel corso degli anni Novanta. Furono costruiti altri laboratori e assunti altri fisici. Il consiglio d'amministrazione presieduto da Doniger passò da sei a dodici membri. Erano tutti direttori generali di società che avevano investito nella ITC o imprenditori d'assalto; senza eccezioni, costoro avevano sottoscritto accordi severissimi che li obbligavano a mantenere il più assoluto riserbo, a versare una cospicua cauzione, affidata a terzi, a sottoporsi all'esame della macchina della verità ogniqualvolta fosse loro richiesto e a consentire intercettazioni telefoniche senza preavviso da parte della ITC. Oltre a ciò, Doniger pretese da ciascuno un investimento iniziale minimo di trecento milioni di dollari.

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