Copertina
Autore Helen Cross
Titolo I segreti che lei custodisce
EdizioneFandango, Roma, 2008 , pag. 290, cop.fle., dim. 14,8x21x1,7 cm , Isbn 978-88-6044-064-8
OriginaleThe Secrets She Keeps [2005]
TraduttoreFederica Aceto
LettoreElisabetta Cavalli, 2009
Classe narrativa inglese
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Pagina 7

Capitolo Uno


Mi innamorai di Hepsie Vine un pomeriggio di dicembre. Nevicava. Quel giorno avevo un colloquio a Chessington Vale, nella villa della signora Moore. Devo ammettere che speravo di trovare fuori casa orde urlanti di giovani fan, speravo di vedere le facciotte bianche di miriadi di ragazzini. Mi aspettavo di leggere striscioni con dichiarazioni d'amore. Volevo ammiratori esaltati. Fiori. Scritte sui muri piene di adorazione. Volevo una chiassosa volgarità. Macchine eleganti. Desideravo lo sfavillio di luci, uno spettacolo pacchiano di energia, soldi, passione, stelle in cielo, sparse nella notte come fossero gioielli gettati dalla mano di un ammiratore per brillare in eterno sopra Misty Moore. Immaginavo di trovare dei taxi. Col motore acceso che rombava mentre usciva gente più in forma, più alla moda, più ricca, più magra dei comuni mortali – bellezze londinesi folgoranti come lampi d'argento.

L'interno di Chessington Vale lo immaginavo sontuoso da togliere il fiato. L'aveva voluto così Misty Moore in persona. Un posto che risplendeva a distanza, illuminato dal chiaro di luna. Un palazzo immerso in un parco di solitudine e ricchezza e incredibilmente kitsch, ispirato alle uniche abitazioni che lei avesse mai conosciuto in vita sua: gli alberghi. Con gli stessi corridoi ciechi, una fila di porte che si chiudevano in continuazione, domestici senza volto che si affaccendavano e spiavano, pieni di ammirazione, la vita di persone più importanti di loro. Anche una fontana, perché no? Certamente una scalinata di pietra bianca, in stile hollywoodiano. Bagni che sembravano igloo. All'ingresso, una graziosa segretaria personale che si limava le unghie con aria annoiata. L'odore penetrante di legno nuovo, cuoio fresco, biancheria profumata. Ma la cosa più vivida di tutte era un pianto sommesso che mi giungeva portato dall'aria della sera, che solo io potevo sentire. "Oh, John, io ho tutte queste cose: soldi, uomini, bellezza, fama, eppure sono infelice."

E intanto la neve continuava a cadere, piccoli fiocchi simili a tanti candidi campanellini.

Il sesso non c'entrava; si trattava di amore romantico allo stato puro.


Insomma, io ero un ragazzo di diciannove anni e speravo solo di poter assistere a scene di sfarzosa malinconia in un set maestoso; e invece mi ritrovai davanti, come forse già sapete se leggete i rotocalchi, una casa di mattoni, grossa e squadrata, con un servizio di sicurezza che sembrava quello di una clinica privata. Una tozza guardia con tanto di uniforme faceva costantemente il giro della casa. A ogni angolo di quella villa enorme, ma allo stesso tempo banalmente moderna, c'erano quattro telecamere a circuito chiuso che ruotavano senza sosta sui perni. E il mio colloquio non si sarebbe svolto a mezzanotte, sotto un cielo punteggiato di stelle, ma il primo pomeriggio di mercoledì 27 dicembre 200–. Una giornata con un'aria da funghi, tanto che il cielo sembrava appeso come un soprabito grigio zuppo d'acqua. Continuavo ugualmente a sperare di assistere a episodi di esaltante grossolanità, e che alla fine mi sarei fatto una bella risata ripensando ai miei giorni con Misty Moore.

In quelle remote ore prima del colloquio, prima che facessi la conoscenza di Hepsie Vine (sei lunghi mesi prima che io andassi a vivere brevemente con lei), mi aggirai per diverso tempo fuori dagli alti cancelli che circondavano la villa, perso in mille fantasticherie romantiche – perché in quegli anni il mio sogno principale era diventare un regista cinematografico, o un drammaturgo, o magari un poeta, un pittore; e in quei giorni ero convinto che tutti i miei sogni fossero destinati ad avverarsi – e all'epoca, finire nel carnaio della tv spazzatura era la cosa più lontana dai miei pensieri. Il cuore mi batteva fortissimo e sudavo all'idea di conoscere per la prima volta in vita mia una modella affascinante, e per di più milionaria. Qualche giorno prima avevo avuto un breve colloquio telefonico con Misty Moore; ma poiché all'epoca lei, o meglio, quella che adesso mi appare solo come la sembianza di lei, finiva molto spesso sui giornali, io mi ero costruito un'immagine esaltante di questa donna molto prima di incontrarla personalmente.

Accanto alla finestra del soggiorno c'era un pony dal manto impeccabilmente pezzato, bardato con redini di cuoio e staffe d'argento; l'animale sbuffava oscillando sulle sue assicelle. Davanti alle fiamme dell'enorme caminetto rosa c'era un gruppetto di orsacchiotti che si riscaldavano. Non posso darvi dettagli precisi sul momento in cui varcai la soglia di Chessington Vale in quell'umido pomeriggio di dicembre, perché ora ho l'impressione di essere stato come risucchiato in un tunnel. C'era un albero di Natale, così sfarzoso che sembrava preso direttamente da Trafalgar Square, sommerso da una pioggia di stelline rosse, verdi e gialle. Aveva cominciato a nevicare sul serio. Ovunque fiori rosa profumati, come se fossimo persone che, imbarazzate, vanno a fare visita ai loro morti.

Quando mi vide, la donna esclamò: "Oh", e quel suo sospiro sembrò riecheggiare sui lampadari addobbati con fili d'argento, provocando un'onda cremosa sui rombi che ornavano la parete color bianco latte. La donna tossì, fece un gesto con la mano e all'improvviso, tra le dita, come una candida bacchettina magica, le comparve una sigaretta. "È incredibile, vero?", disse. Io annuii convinto. "È tutto quello che ho sempre desiderato." Sorrise. Poi si distese sul divano, col busto girato, una posizione che suggeriva malattia, ma anche indolenza. Era pallida come una che avesse appena partorito. Le membra stanche e pesanti. Come il resto della stanza, anche lei sembrava affondare sotto il peso della ricchezza.

Accanto a quella donna fluttuante c'era una persona di sesso maschile, ma certo non più uomo di uno di quei pupazzetti di plastica raffiguranti lo sposo che si trovano in cima alle torte nuziali. Era un ragazzo di colore, poco più che ventenne, magro ed elegante. Sul suo volto il riflesso delle decorazioni luminose dell'albero di Natale; quando mi girai a guardarlo, sbuffò in alto il fumo della sigaretta, creando una nuvola grigia di elegante tristezza.

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Ma qualche giorno dopo, verso la fine di febbraio, Brian confessò che anche per lui quella casa era fonte di preoccupazioni.

Era preoccupato perché con molta probabilità Long Meadow End non consentiva un arredamento minimalista e arioso. A quanto pare, il minimalismo è uno stile che si addice di più ad abitazioni tipo loft e altri spazi ricavati da ambienti industriali. Brian aveva il compito di riarredare quella casa. E se lì dentro c'era veramente un estraneo, magari addirittura un fantasma, Brian era determinato a cacciarlo in tutti i modi. Mi disse che, anche se saremmo rimasti a Wychwood solo per altri quattro mesi, aveva deciso di riarredare completamente la casa perché sperava che così Misty Moore si sarebbe distratta e avrebbe smesso di pensare ad "altre cose".

Tanto per cominciare, Brian, aveva fatto venire degli operai armati di pellet, elettrocutori, spray, bombe fumogene, reti, gas e fucili per poter uccidere i nostri ospiti pelosi. Mouse fu allontanato dalla stanza mentre i piccoli cadaveri rinsecchiti venivano messi in un sacco e bruciati. Poi Brian, insieme a un gruppo di arredatori, architetti, stilisti ed esperti di sistemi di sicurezza, progettò nei minimi dettagli la trasformazione di Long Meadow End da catapecchia di campagna a lussuosa dimora. Il team di arredatori, al servizio di una delle agenzie più esclusive, diede libero sfogo alla fantasia, non avendo limiti di budget. Poiché per tutto il tempo che trascorremmo a Wychwood vivemmo come se i soldi fossero l'ultimo dei problemi. E nonostante ogni tipo di obiezione che avrei potuto muovere a riguardo – il mio cuore di artista conservava un certo disgusto di principio davanti a ogni forma di eccesso – l'infinita libertà che avevamo illuminava anche le nostre giornate più buie.

Si decise, poiché l'entità dei costi non importava, di valorizzare le linee classiche di Long Meadow End con un arredamento moderno e minimalista. Misty protestò, ma Brian non le diede retta. Lui e gli architetti si erano innamorati di quell'idea. Per realizzarla bisognava usare molto vetro, legno, superfici cromate e pittura bianca. Accostare oggetti di antiquariato a opere d'arte del ventunesimo secolo. Si discusse molto sul tipo di illuminazione da scegliere. Alla fine si optò per piantane dorate e faretti argentati. Lampadari con fiammelle guizzanti incredibilmente vere. Gli angoli bui scomparvero per far posto a particolarissime trovate d'arredamento. Mandarono a prendere anche una collezione di violoncelli in plexiglas e li inchiodarono al muro come una sorta di istallazione. Arrivò da Londra un artista barbuto, che aveva sempre in bocca un lecca-lecca marroncino, il quale consigliò l'acquisto di alcune sculture e quadri astratti. Il corridoio buio, stretto e lungo che portava dalla cucina alla lavanderia fu ricoperto da un tetto di vetro e i muri umidi vennero sostituiti da mosaici color porpora. Un'altra arredatrice di interni londinese, che non sorrideva mai, ci fece buttare giù un'intera parete interna e la sostituì con un muro di mattoni di vetro siciliano.

Gli arredatori, gli architetti e gli artisti che Brian aveva scelto erano appariscenti e magrissimi. Ma era entusiasmante guardare la trasformazione in atto ed era divertente vedere conflitti di personalità seguiti da riconciliazioni. La presenza di quelle persone mi dava calma e conforto. All'epoca ero giovane e stupido e credevo che qualsiasi adulto con tanti soldi, potere e influenza fosse meno minaccioso della povertà, di ciò che non si conosce, di ciò che non ha spiegazione. Brian e Misty Moore mi avevano anche comprato una serie di abiti alla moda. Quella mattina avevo trascorso un bel po' di tempo a scolpirmi una pettinatura stravagante. E il mio primo tentativo in assoluto di avere un'abbronzatura artificiale fu coronato dal successo. Anche se, è vero, all'inizio mi vergognavo un po'. Ma subito mi convinsi che fosse una cosa positiva se degli sconosciuti mi fissavano con aria incredula. E in mezzo a tutto quel viavai di arredatori e stilisti in casa nostra io sorridevo e camminavo per far muovere la mia nuova acconciatura. Era bello essere attraenti, ricchi e felici: gli altri diventavano felici di conseguenza. Era un modo per tenere in piedi lo spettacolo: era importante per la vita di relazione, specialmente in quei giorni di obesità, depressione e debiti.

Intanto la possibilità che la madre di Mouse venisse a riprenderselo sembrava quanto mai remota. Il telefono taceva. I cellulari non prendevano in quella campagna avvolta dalla primavera. Brian diceva che dovevamo soltanto aspettare perché prima o poi la madre del bambino ci avrebbe chiamato.

Mouse, dal canto suo, guardava con terrore il nuovo arredamento e una volta mi chiese se stavamo scherzando. "Ogni giorno c'è qualcosa di più assurdo. È proprio così che la vuole arredare? O è talmente fuori di testa ormai che non sa neanche lei quello che vuole?"

Non volevo dirlo a Mouse, ma la verità era che spesso, quando chiedevo qualcosa a Misty Moore, non ottenevo risposta. Non ero altro che un membro del pubblico, pagato per guardare e applaudire, e non per interagire e fare domande. Ad ogni modo, Mouse aveva attirato la mia attenzione sul problema. Brian ci stava prendendo in giro o faceva sul serio? Non riuscivo a capirlo.

"È importante vivere in un ambiente piacevole", risposi a Mouse in modo insensato.

"Però, mammo, non credi che forse lei ha cose più importanti di cui preoccuparsi? Come per esempio quei passi che sentiamo di notte, tanto per dirne una?"

Con l'aiuto di pulegge, quindici uomini sollevarono su per le scale un divano in pelle, grande quanto una berlina, e lo sistemarono nel pianerottolo del primo piano, per ricavare da quell'ambiente quadrato una sorta di anticamera. Il piano terra era coperto da spessi tappeti cinesi fatti a mano. Gli scricchiolii non si sentivano più. Al piano di sopra tutte le assi di quercia furono lucidate fino a diventare splendenti come il sole. Era una casa assurdamente inadatta a ospitare bambini, Mouse non faceva altro che inciampare contro nicchie "perfettamente illuminate" frantumando statuine, vasi di porcellana e ninnoli vari.

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Sentii queste cose e molte altre ancora.

Quella sera rimasi colpito dai nostri ospiti, tanto che ricordo ancora tutti quelli che fotografai al Wychwood Easter Bonnet Ball e la posizione che occupavano nella gerarchia sociale. Tutti gli occhi erano puntati sulle tette nuove di Katie McMasters – reduce da una partecipazione straordinaria a una sitcom girata a New York – che andava splendidamente a braccetto con uno sceneggiatore alto e sardonico che rispondeva al nome di Jaxon, scritto con la "x". Facevano un figurone. Destò un certo scalpore anche la comparsa dell'ex nuotatrice olimpica Unity Etienne, risultata positiva alle analisi antidoping. C'era anche Nina Stone, che quell'anno conduceva il telegiornale di Channel Five, la quale però, come tutti notarone, dal vivo aveva una voce differente. L'ospite più ricco era certamente Honor Wilkes, figlio di un uomo che aveva salvato unitedmeatpackers.com da una acquisizione ostile. C'era anche Dulcie Bleu – pornostar trasgressiva le cui performance artistiche erano spesso al centro di controversie – che quell'anno presentava il suo nuovo spettacolo a luci rosse al festival di Edimburgo. Volle a tutti costi essere fotografata mentre faceva la linguaccia.

Tutti avevano dei cappellini stranissimi.

L'elenco potrebbe continuare perché ancora vengo preso dall'eccitazione ripensando a tutti quei nomi. All'epoca gli inglesi erano le persone più belle e attraenti sulla faccia della terra, questo è poco ma sicuro. Magari non sapevamo fare nient'altro, ma riuscivamo a essere giovani e belli in maniera perfetta. Non mi era mai capitato nella vita di discutere tanto appassionatamente di questioni del tutto irrilevanti. Verso mezzanotte avevo ormai dimenticato di aver chiuso Jewels in macchina e di averla poi quasi avvelenata: ero tutto preso dalle mie folli fantasticherie su Misty Moore, Isolde e Celeste. Decisi che lo scopo della mia vita sarebbe stato quello di portare il sorriso sulle labbra di donne algide di natura. Anche quelli del catering erano bellissimi, tanto che ti saresti venduto un rene per ricevere dalle loro mani un involtino primavera accompagnato da un occhiolino.

Non so se me lo sono sognato, ma a un certo punto arrivarono in elicottero alcune ragazze da Edimburgo che indossavano berretti trasparenti con delle eliche di vetro. Però credo proprio che sia successo sul serio, perché ricordo chiaramente sei giovani passeggere con dei vestitini da sera attillati che saltavano a piedi scalzi giù da un elicottero sospeso a pochi metri da terra. Per poi essere scortate sull'erba umida e scura fino alla nostra ampia porta d'ingresso, accolte da urla di giubilo. Dietro di loro, sul prato immerso nell'oscurità, le pale ancora fendevano feroci l'aria della campagna. Il chiaro di luna era un velo sottile che avvolgeva il velivolo di vetro che toccava delicatamente terra. Ricordo male, o davvero Misty varcò la soglia volteggiando leggera tra le braccia del pilota? Mi raggiunse davvero al tavolo del buffet, con uno di quei suoi sorrisi diafani, per dirmi: "Andrà tutto benissimo! Sono venuti tutti, John, o almeno ci sono tutte le persone che ho amato in vita mia. E di loro, invece, nessuna traccia?". Sì, credo che tutto questo sia successo davvero, e io le feci di nuovo i complimenti per quell'evento che era un successo solo grazie alla sua enorme popolarità. Lei mi diede un bacio e mi fece a sua volta dei complimenti. Provai un formicolio di piacere quando i nostri eleganti ospiti rimasero a bocca aperta davanti al muro di mattoni di vetro siciliano, ai violoncelli in plexiglas, alle sculture astratte e ai tappeti di cammello. Mi sentivo orgoglioso guardandoli che si struggevano sorseggiando i nostri champagne rosé, vedendoli ridere fra di loro mentre bevevano i nostri cocktail colorati. Era tutto nuovo e luminoso. Misty annuiva mentre io le facevo un mare di complimenti, ma non mi guardava negli occhi.

Non mi andava di documentare troppo nel dettaglio il suo successo, ma Brian, l'organizzatore dell'Easter Bonnet Ball, era veramente l'eroe della serata. Il suo cappellino era a forma di ruota di pavone. Con piume vere. Solo a guardarlo mi sentivo a disagio. Mi venne il timore che quell'evento avesse un che di grottesco: tutti i convenuti erano delle marionette impegnate in un'esibizione. "E allora? Cosa ti aspettavi? Sono per lo più attori, abituati a fingere", mi fece notare Hepsie qualche mese dopo, quando le confessai i miei pensieri.

E per essere gay Brian era decisamente bravo a far ridere le belle donne. E quando ti guardava ti succedeva qualcosa di sconcertante: non sapevi mai se voleva prenderti a pugni o possederti carnalmente. Ad ogni modo ti lanciava una sfida che distruggeva in te qualsiasi traccia di autocompiacimento e scombussolava tutte le tue certezze. Brian era riuscito a mescolare il desiderio, l'odio, la sottomissione e il potere in una combinazione che era così distintamente, così spaventosamente sua. (Nel giro degli ultimi anni Brian è riuscito a diventare ricco e affermato, grazie alla sua attività di manager musicale. Prende delle ragazze carine e le fa diventare famose. Ha amici, contatti e affari in tutto il mondo.)

Alla nostra festa non c'era nessuno che fosse vecchio o brutto. Quella sera noi trionfavamo sul mondo naturale. Gli abitanti del paese e i loro miseri copricapi rimasero nell'ombra, come il pubblico di un programma televisivo che è lì solo per incoraggiare e applaudire divi giovani e belli. Nessuno vide nulla della nostra vita a Long Meadow End, se non quello che volevamo mostrare noi.

Ogni tanto vedevo Misty che passava e illuminava la festa come una fiamma. Immaginavo che si stesse divertendo quanto me. Per annunciare al mondo il ritorno alla sua forma fisica, dopo la gravidanza (faceva fino a sei ore al giorno di palestra e correva chilometri e chilometri, tanto da essere pronta per gareggiare alle Olimpiadi), indossava un abito che era poco più che un leggero alito di fumo grigio.

Era riuscita a infiammare la serata semplicemente scendendo lo scalone di Long Meadow End. Gradino dopo gradino. Lentamente, come miele che cola da un cucchiaino. Il vestito di seta le accarezzava pigramente i fianchi e il seno. Il suo cappellino, fatto di ramoscelli di primule e bucaneve, emanava un profumo dolcissimo. E quando la videro, tutti trattennero improvvisamente il fiato e il suono fu come il sibilo di un intercity che attraversa la campagna silenziosa.

Era come se fossimo tutti convinti che guardando attentamente il suo vestito di fumo saremo riusciti a vederlo evaporare nell'aria. Perché aveva dei tacchi così alti che sembrava guardare gli ospiti da una mongolfiera. Poi venne avanti e al suo passaggio fu toccata da una selva di braccia. Gente che la blandiva, la coccolava come una bambina. Eravamo tutti folgorati, commossi. Volevamo innamorarci all'istante. Non ero l'unica vittima di una tale cecità. Volevamo trovare un significato in quel complicato silenzio. Continuavamo a fissarla per cercare di afferrare uno spettrale sospiro dal significato straniero del suo sorriso, della sua andatura ondeggiante. Quella sera i suoi gesti, le mute movenze del suo corpo non erano una faccenda di poco conto, ma l'espressione di un'enorme tenerezza capace di cambiare il mondo.

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