Copertina
Autore Maurice Cury
CoautoreJ. Suret-Vanale, P. Paraire, J.P. Fléchard, F. Delpla, R. Pac, J. Ziegler, al.
Titolo Il libro nero del capitalismo
EdizioneMarco Tropea, Milano, 1999, Le Querce , pag. 545, dim. 140x215x45 mm , Isbn 978-88-438-0224-1
OriginaleLe livre noir du capitalisme
EdizioneLe Temps des Cerises, Paris, 1998
TraduttoreMassimo Caviglione
LettoreRiccardo Terzi, 2000
Classe storia contemporanea , politica , storia criminale , guerra-pace
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Indice

                SOMMARIO

   Prefazione   Gilles Perrault               7

   Introduzione   Maurice Cury               11

 1 Le origini del capitalismo (XV-XIX
   secolo)   Jean Suret-Canale               17
 2 Economia schiavista e capitalismo:
   un bilancio quantificabile
   Philippe Paraire                          39
 3 Fuoco, sono soltanto operai!
   Roger Bordier                             49
 4 1744-1849, un secolo lionese: gli operai
   della seta di fronte ai cannibali del
   profitto   Maurice Moissonnier            61
 5 1871: tradimento di classe e settimana
   di sangue    Claude Willard               85
 6 Repressione antisindacale
   André Devriendt                           91
 7 Le bande armate del capitale nella
   Francia repubblicana   Maurice Rajsfus   101
 8 La Grande guerra: 11500 morti e 13 000
   feriti al giorno per tre anni e mezzo
   Jean-Pierre Fléchard                     115
 9 Controrivoluzione e interventi stranieri
   in Russia (1917-21)   Pierre Durand      135
10 La Seconda guerra mondiale
   François Delpla                          139
11 Sull'origine delle guerre e di una
   forma parossistica del capitalismo
   Pierre Durand                            167
12 Imperialismo, sionismo e Palestina
   Maurice Buttin                           171
13 Guerra e repressione:
   l'ecatombe vietnamita
   François Derivery                        179
14 Massacri e repressione in Iran
   François Derivery                        193
15 Genocidio anticomunista in Indonesia
   Jacques Jurquet                          207
16 L'annessione indonesiana di Timor
   Orientale   Jacques Jurquet              223
17 L'Iraq vittima del petrolio
   Subhi Toma                               239
18 L'Africa nera sotto la colonizzazione
   francese   Jean Suret-Canale             253
19 Algeria 1830-1998: dal capitalismo
   coloniale alla ricolonizzazione
   "mondializzata"   André Prenant          271
20 L'Africa delle indipendenze e del
   "comunismo" (1960-1998)
   Francis Arzalier                         305
21 Gli interventi statunitensi in America
   Latina   Paco Peña                       321
22 Stati Uniti, il sogno incompiuto:
   la lunga marcia degli afroamericani
   Robert Pac                               361
23 Centenario di un genocidio a Cuba:
   la "riconcentrazione" di Weyler
   Jean Laïlle                              393
24 Il genocidio degli amerindi
   Robert Pac                               407
25 Il capitalismo all'assalto dell'Asia
   Yves Grenet                              413
26 Le migrazioni nel XIX e nel XX secolo:
   un contributo alla storia del capitalismo
   Caroline Andréani                        435
27 Capitalismo, corsa agli armamenti e
   commercio delle armi   Yves Grenet       447
28 I morti viventi della mondializzazione
   Philippe Paraire                         475
29 La mondializzazione del capitale: le
   cause della minaccia di una nuova
   barbarie   François Chesnais             493
30 I banchieri svizzeri uccidono senza
   le mitragliatrici   Jean Ziegler         509
31 La pubblicità è più efficace delle bombe:
   i crimini pubblicitari nella guerra
   moderna   Yves Frémion                   523
32 ...e se non bastasse l'abolizione del
   capitalismo...  Monique e Roland Weyl    537

Appendice Capitalismo e barbarie:
          riepilogo dei massacri e delle
          guerre nel XX secolo              543
 

 

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Pagina 7

PREFAZIONE


Beato capitalismo! Non annuncia nulla e non fa mai promesse. Nessun manifesto, nessuna dichiarazione in venti punti programmatici sulla felicità chiavi in mano. Vi spappola, vi sventra, vi asservisce, vi martirizza: in breve, vi delude? Avete il diritto di sentirvi infelici ma non delusi, giacché la delusione presuppone un impegno non onorato. Quelli che annunciano un domani in cui si canterà con la giusta intonazione, si espongono all'accusa di inganno quando il loro tentativo sprofonda in una spaventosa cacofonia. Il capitalismo, al contrario, si coniuga giudiziosamente al presente. Il capitalismo è. Quanto al futuro, lo lascia volentieri ai sognatori, agli ideologi, agli ecologisti. I suoi delitti sono quasi perfetti. Nessuna prova scritta che ne accerti la premeditazione. Il Terrore del 1793? Quelli che non amano le rivoluzioni si immaginano facilmente i responsabili: i Lumi e la irragionevole volontà di ordinare la società secondo la ragione. Il comunismo? Le biblioteche traboccano di opere da biasimare. Nulla di simile per il capitalismo. Non gli si può certo rimproverare di fabbricare sciagure pretendendo di recare felicità. Il capitalismo accetta di venir giudicato solamente su quanto lo motiva da sempre: la ricerca del massimo profitto nel più breve tempo possibile. Gli altri si interessano all'uomo? Esso si occupa di merci. Si sono mai viste merci felici o infelici? I soli bilanci che contano sono i bilanci contabili. Ascrivergli altri delitti è andare fuori tema. Semmai, si potranno tirare in ballo le catastrofi naturali. Ve lo hanno ripetuto a sufficienza: il capitalismo è la condizione naturale dell'umanità. L'uomo si trova nel capitalismo come un pesce nell'acqua. Occorre la frivola arroganza degli ideologi per voler cambiare l'ordine delle cose, con le incresciose conseguenze cicliche che conosciamo: rivoluzione, repressione, delusione, contrizione. Ecco il vero peccato originale dell'uomo: l'eterno rovello di scuotere il giogo, la lirica illusione di un avvenire libero dallo sfruttamento, la pretesa di mutare l'ordine naturale. Non muovetevi: è il capitalismo che si muove per voi. Del resto anche la natura ha le sue catastrofi. Cerchereste forse i responsabili di un terremoto o di un maremoto? Il crimine dopotutto implica un criminale. Anche il capitalismo ha le sue catastrofi naturali. Per quanto concerne il comunismo, le schede antropometriche sono facili da stabilire: due con la barba, uno con la barbetta, un occhialuto, uno con i baffi, uno che attraversa lo Yangtze Kiang a nuoto, un patito dei sigari ecc. Si possono odiare quei volti in carne e ossa. Invece nel capitalismo compaiono soltanto indici impersonali: Dow Jones, CAC 40, Nikkei ecc. Provate a detestare un indice... L'impero del Male si identifica sempre con un territorio, ha sempre le sue capitali. È legato a luoghi. Ma il capitalismo è ovunque e in nessun luogo. A chi inviare i mandati di comparizione per un eventuale processo di Norimberga?

Capitalismo? Arcaismo fuori moda! Aggiornatevi e usate la parola adeguata: liberalismo. Il Littré definisce il termine "liberale" come: "ciò che è degno di un uomo libero". Non suona bene? E il Petit Robert ci offre una convincente lista di antonimi: "avaro, autocrate, dittatoriale, dirigista, fascista, totalitario". Troverete forse giustificabile definirsi anticapitalisti, confessate però che occorre una buona dose di cattiveria per proclamarsi antiliberali!

Cos'è dunque questo scherzo di un libro nero del capitalismo? Non vi accorgete che l'enormità dell'impresa sconfina nel delirio? Il peggior assassino di massa della storia? E sia pure. Ma un assassino senza volto né codice genetico. Un assassino che opera impunemente da secoli nei cinque continenti. Buon divertimento. E a che pro? Non avete sentito il colpo di gong che annunciava al tempo stesso il termine dell'incontro e la fine della Storia? Quell'assassino ha vinto. E ora si prende, nella sua versione mafiosa, le spoglie dei nemici. Quale avversario credibile si profila all'orizzonte?

Quale avversario? L'immensa moltitudine delle parti civili al suo processo. I vivi e i morti. La folla innumerevole di quelli che vennero deportati dall'Africa nelle Americhe, fatti a pezzi nelle trincee di una guerra idiota, bruciati vivi dal napalm, torturati a morte nelle prigioni dei cani da guardia del capitalismo, fucilati al Mur des Fédérés, a Fourmies, a Sétif, massacrati a centinaia di migliaia in Indonesia, quasi estinti come gli indiani d'America, assassinati in massa in Cina per assicurare la libera circolazione dell'oppio. Da tutti costoro le mani dei vivi hanno ereditato la fiaccola della rivolta dell'uomo non riconosciuto nella sua dignità. Sono le mani troppo presto senza vita di quei bambini del Terzo mondo che la sottoalimentazione, ogni giorno, uccide a decine di migliaia; sono le mani scheletrite dei popoli condannati a rimborsare gli interessi di un debito di cui i loro dirigenti-fantoccio hanno rubato il capitale; sono le mani tremanti degli esclusi, sempre più numerosi, tenuti ai margini dell'opulenza.

Sono mani di tragica debolezza e, per ora sono disgiunte. Ma non potranno che congiungersi, un giorno. Sarà allora che la fiaccola che esse portano incendierà il mondo.

Gilles Perrault

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Pagina 115

8
La Grande guerra:
11500 morti e 13 000 feriti al giorno
per tre anni e mezzo


Due comuni francesi fanno eccezione per quanto riguarda la celebrazione della Grande guerra: uno è il solo a non avere eretto sulla piazza principale un monumento ai caduti della guerra del 1914-18, perché i suoi 15 richiamati sono tutti ritornati vivi dal fronte; l'altro, Gentioux, nella Creuse, possiede un monumento ai caduti che non è mai stato inaugurato ufficialmente, infatti rappresenta uno scolaro che indica con il dito l'iscrizione "Sia maledetta la guerra!". Tutti gli altri hanno un monumento ai caduti, cosa che rivela meglio dell'aridità delle cifre l'ampiezza del massacro. La targa dedicata ai caduti della guerra 1914-18, nell'atrio del municipio di Bezons, reca l'iscrizione "Guerra alla guerra, odio all'odio". Nessun comune francese tranne una sola eccezione, è dunque sfuggito al gigantesco macello che su 7,8 milioni di richiamati per più di quattro anni, ossia circa il 30% della popolazione francese attiva, ha lasciato sui campi di battaglia 1,4 milioni di morti e fatto ritornare alle loro case oltre un milione di invalidi.

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Pagina 127

Un santuario del capitale internazionale:
il bacino di Briey-Thionville

I mercanti di cannoni, i più importanti dei quali erano Schneider in Francia e Krupp in Germania, erano strettamente uniti in una sorta di trust internazionale il cui scopo segreto era quello di accrescere l'immenso patrimonio dei propri membri aumentando la produzione bellica, da entrambe le parti della frontiera. Per arrivare a questo, disponevano di potenti mezzi per seminare il panico fra le popolazioni dei due paesi, allo scopo di persuadere ciascuna che l'altra aveva un solo fine: attaccarla. Numerosi giornalisti e parlamentari venivano da loro retribuiti profumatamente per assolvere questo compito. D'altronde, un importante fabbricante francese di munizioni, de Wendel, che era anche deputato, aveva per cugino un altro fabbricante tedesco di munizioni, von Wendel, che sedeva al Reichstag. Erano nella posizione migliore, in ciascun paese, per sgravarsi la coscienza facendo udire le loro patriottiche grida di allarme.

Tutta questa graziosa gente - mercanti di cannoni, giornalisti, parlamentari - riuscì agevolmente a lanciare i due popoli in una folle corsa agli armamenti che non doveva più fermarsi, fino alla guerra.

I loro rispettivi capi di stato, lungi dal frenarli, li incoraggiavano. E più degli altri il presidente francese Raymond Poincaré, lorenese, cresciuto con l'idea della rivincita e pronto a qualsiasi menzogna, a qualunque prezzo, pur di riconquistare l'Alsazia e la Lorena.

Per questi differenti motivi i soldati tedeschi e francesi andarono a scannarsi l'un l'altro.

Avevano insegnato loro a odiarsi, mentre i fabbricanti di munizioni e gli stati maggiori, fraternamente uniti, seguivano con soddisfazione nelle retrovie lo svolgimento del dramma che avevano innescato congiuntamente.

Per ben approfondire questo immenso inganno e mostrare che il patriottismo e la difesa del territorio non sono altro che parole vuote che servono a coprire i più abominevoli intrallazzi, conviene raccontare la storia del bacino di Briey-Thionville, poiché è caratteristica, sintomatica e, da sola, dovrebbe ispirare nei popoli il disgusto per la guerra.

Le miniere di ferro di Briey-Thionville si trovavano a cavallo delle frontiere del Lussemburgo, della Francia e della Germania. Ne era proprietaria la famiglia franco-tedesca de/von Wendel.

Questo bacino era di un'importanza capitale per lo svolgimento della guerra. Engerand, in un discorso pronunciato alla camera dei deputati dopo il conflitto, il 31 gennaio 1919, dirà: «Nel 1914 la sola regione di Briey forniva il 90% di tutta la nostra produzione di minerale di ferro».

Poincaré stesso aveva scritto: «L'occupazione del bacino di Briey da parte dei tedeschi sarebbe un autentico disastro dal momento che metterebbe nelle loro mani incomparabili ricchezze metallurgiche e minerarie la cui utilità può essere enorme per chi, fra i belligeranti, le controllerà».

Accadde però un fatto straordinario: fin dal 6 agosto 1914 il bacino venne occupato dai tedeschi senza alcuna resistenza.

Più straordinario ancora: Verreaux, il generale di divisione incaricato della difesa di questa regione, rivelò in seguito che la sua consegna (contenuta in una busta da aprire in caso di mobilitazione) gli prescriveva formalmente di abbandonare Briey-Thionville senza combattere.

La verità, conosciuta molto tempo dopo, era la seguente: c'era stata un'intesa fra alcuni membri dello stato maggiore e dei fabbricanti francesi di armi per lasciare il bacino in mano ai tedeschi affinché la guerra si prolungasse (i tedeschi non avrebbero potuto continuarla senza il minerale di ferro) e gli utili dei commercianti di cannoni si accrescessero.

Evviva la legittima difesa in nome della quale ci si sbudellò a vicenda un po' dappertutto sui campi di battaglia!

[...]

Secondo Galtier-Boissière: «Per non ledere potentissimi interessi privati e per evitare di infrangere gli accordi segreti conclusi fra gli industriali metallurgici francesi e tedeschi, si sono sacrificate in imprese militari inefficaci centinaia di migliaia di vite umane, salvo che in un punto, Briey-Thionvifle, dal quale per quattro anni la Germania in tutta tranquillità ha tratto i mezzi per continuare la lotta».

Ma la famiglia franco-tedesca de/von Wendel ne ricavava grandi profitti! Questo non è che un esempio, fra molti, della collusione dei fabbricanti di armi e dei governi dei paesi in guerra.

Tuttavia il bilancio umano fu pesantissimo:

    Bilancio umano della guerra 1914-18

                        Richiamati      Morti
Russia                  12 000 000  1 700 000
Francia                  8 400 000  1 350 000
Regno Unito e dominions  8 900 000    900 000
Italia                   5 600 000    650 000
USA                      4 350 000    115 000
Romania                         -     335 000
Germania                11 000 000  1 770 000
Austria-Ungheria         7 800 000  1 200 000
Turchia                  2 850 000    325 000
Bulgaria                 1 200 000          -
TORALE                  62 110 000  8 345 000

A questi totali bisogna aggiungere 10 milioni di morti tra la popolazione civile e 20 milioni di feriti. Sono cifre che si commentano da sole: significano più di 5000 morti al giorno su tutti i fronti per tutta la durata della guerra.

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Pagina 162

Conclusione

La genesi della Seconda guerra mondiale e la formazione dei campi opposti nel corso dei suoi due primi anni, mostrano che il capitalismo non aveva miracolosamente perduto le sue potenzialità dialettiche e che conservava sufficienti risorse per correggersi e cancellare, con l'aiuto della propria negazione sovietica, la sua orrenda variante nazista. Le rivalità fra le grandi potenze per secondi fini economici hanno distrutto l'ideale di una sicurezza collettiva prima ancora che Hitler manovrasse il comunismo come la cappa rossa di un torero, nello stesso momento in cui l'URSS, diplomaticamente placata e dedita a una terribile repressione interna, non sembrava più tanto minacciosa. L'aggressività tedesca non è quindi affatto in dubbio, non potendo neppure accampare il pretesto, negli anni trenta, del benché minimo espansionismo dell'Unione Sovietica in Europa.

Tuttavia Hitler ha saputo impedire, giocando sull'odio dei borghesi verso questo paese, e poi avvicinandosi temporaneamente a esso, il congiungersi dei suoi nemici potenziali, per attaccarli poi uno alla volta. Nel momento critico del maggio-giugno 1940, tutto è dipeso da un individuo, Churchill. Giunto da poco al potere avendo sfruttato le rivalità nella direzione del partito conservatore, questi ha potuto resistere con un misto di volontà e di astuzia alla logica del capitalismo britannico, che conduceva a rassegnarsi al trionfo di Hitler e a riconvertire le attività della City secondo il nuovo corso. Churchill ha saputo anche infondere poco a poco fiducia a Roosevelt inducendolo a impiegare a servizio della lotta antinazista le risorse di un continente convalescente dopo la crisi del 1929, e drogato dai profitti che il conflitto generava.

Da questo si evince quanto sia rischioso imputare le vittime di una guerra a uno dei due sistemi avversi, e che alcuni decessi sono preferibili a tante vite in sottomissione. Senza Churchill ci sarebbero stati molti morti di meno fra il 1940 e il 1945, poiché Hitler avrebbe consolidato per molto tempo il suo potere e, probabilmente, avrebbe anche distrutto il comunismo, nella sua versione staliniana, assai prima del 1991 (e forse anche senza una guerra, perché Stalin avrebbe potuto rassegnarsi a cedere l'Ucraina a causa del rapporto di forze sfavorevole, come aveva fatto Lenin a Brest-Litovsk). Non avrebbe forse nemmeno ucciso, in quel momento, tanti ebrei, poiché, come hanno mostrato alcuni studi recenti, egli decise la sua "soluzione finale" soltanto in ragione della lentezza della sua avanzata in URSS nel 1941, che gli faceva intravedere la possibilità di una sconfitta. Una Germania trionfante che avesse ottenuto la rassegnazione delle altre potenze di fronte a una comoda estensione verso oriente dei suoi confini avrebbe lasciato vivere i suoi slavi ridotti in schiavitù e concluso l'espulsione degli ebrei dal suo 'spazio' con una brutalità probabilmente fatale per più di uno, ma senza un genocidio sistematico.

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Pagina 167

11
Sull'origine delle guerre
e di una forma parossistica
del capitalismo


Si dimentica volentieri, ai nostri giorni, di citare Jean Jaurès, il quale affermava che il capitalismo porta dentro di sé la guerra, proprio come la nube porta il temporale. E potrenuno aggiungere che questa verità è ancora più evidente da quando il capitalismo ha assunto la forma politica del fascismo. Per rimanere alla Seconda guerra mondiale e ai suoi prodromi, è incontestabile che ne fu l'origine il capitalismo fascista. Mussolini attaccò l'Etiopia e l'Albania. Hitler s'impossessò dell'Austria e della Cecoslovacchia, il Giappone militarista se la prese con la Cina a con l'Unione Sovietica, Franco, aiutato dalla Germania e dall'Italia, instaurò il suo regime contro la repubblica spagnola. Nell'ultima fase, Hitler scatenò la guerra mondiale aggredendo la Polonia.

Non si saprà forse mai con precisione matematica quanti morti abbia provocato la carneticina mondiale. Con ogni probabilità circa cinquanta milioni dall'Asia all'Europa, all'Africa, dei quali una ventina di milioni nell'Unione Sovietica che in questa circostanza si può difficilmente accusare di esserne responsabile.

È nell'ambito generale di questa guerra mondiale che è apparso il più crudo e deleterio sfruttamento capitalistico: quello di cui è stata fatta oggetto la manodopera nei campi di concentramento nazisti.

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Pagina 305

20
L'Africa delle indipendenze
e del "comunismo"
(1960-1998)


In questo scorcio di secolo viviamo un'epoca di strani pentimenti. I fallimenti, i drammi, i crimini di tre generazioni precedenti ci saltano agli occhi come gatti infuriati, con tutti gli artigli sfoderati. Ma bisogna perdere ogni buon senso, ogni onestà di analisi e trasformare in una spinta omicida i sogni di felicità dei nostri padri e anche i nostri? Bisogna per questo abbandonare ogni lucidità, ogni ideale di progresso, e ingrossare la brigata belante dei penitenti che si battono il petto per i peccati degli altri?

È certo tempo di sapere come i movimenti nati da ideali di liberazione sociale e politica abbiano potuto trasformarsi nel loro contrario, in gruppi terroristici che massacrano un popolo che pretendevano di liberare. Questo lavoro è stato avviato dagli storici, e prosegue nel silenzio dei media. Ed è felice, giacché da questo lucido sguardo sul XX secolo dipende il nostro avvenire.

Non era questo l'intento del Libro nero del comunismo, al quale i suoi compilatori hanno assegnato un obiettivo ideologico, se non politico: criminalizzare il comunismo, "sacralizzando" in questo modo la società capitalistica, insuperabile nell'ottica della "fine della storia' ideata dal signor Fukuyama.

Sarebbe troppo lungo mettere in rilievo le sue scorrettezze storiche. Limitiamoci ai preciso esempio dei passaggio dedicato (venticinque pagine) a tre dei regimi che si definirono marxisti in Africa (Etiopia, Angola, Mozambico), sotto il titolo "Afro-comunismo".

D'altronde perché quei tre e soltanto quelli? Chi non si ricorda dei proclami infiammati di "marxismo-leninismo" nella Guinea di Sekou Touré, nel Congo di Sassou-Nguesso prima maniera, nel Benin di Mathieu Kérékou prima della sua cacciata seguita dal ritorno con la scappatoia delle urne? In cosa queste esperienze di socialismo rivendicato degli anni settanta appartengono meno al "comunismo reale" delle tre esperienze ricordate prima? Forse perché gli episodi rivoluzionari precitati, seppure falliti nella realizzazione dei loro obiettivi proclamati di democrazia e di uguaglianza sociale, non presentano massacri di massa? Così funziona "l'analisi" del signor Santamaria: il "comunismo degli specchi africani" è solo quello al quale è possibile imputare massacri.

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Pagina 407

24
Il genocidio degli amerindi


Gli indiani delle Americhe sono stati vittime del più grande genocidio della storia dell'umanità. Per soddisfare le brame di ricchezza degli europei, i popoli indigeni delle Americhe sono stati sterminati, nelle Antille, in Messico, in America meridionale, in Brasile e in America settentrionale da spagnoli, portoghesi e anglosassoni. Il loro genocidio prosegue ancora oggi sotto forme spesso molto diverse.

Le Girandi Antille (Cuba, Hispaniola, Giamaica) contavano circa un milione e mezzo di autoctoni all'arrivo di Cristoforo Colombo nel 1492. Nel 1550 in queste isole non v'era più neanche un indiano. Ne fanno fede i racconti di Bartolomé de Las Casas: «Mentre gli indiani erano così ben disposti nei loro riguardi, i cristiani hanno invaso quei paesi come lupi rabbiosi che si gettano su agnelli mansueti. Inoltre, siccome tutti questi uomini provenienti dalla Castigìia erano gente incurante della propria anima, assetata di ricchezza e posseduta dalle più vili passioni, posero tanta di quella diligenza a distruggere quei paesi che nessuna penna e nessuna lingua basterebbero a farne la relazione. Così tanto e così bene che la popolazione, stimata all'inizio un milione e mezzo di anime, è stata interamente dispersa e distrutta».

[...]

America settentrionale

Le valutazioni della popolazione nell'attuale territorio degli USA all'epoca dell'arrivo degli anglosassoni all'inizio del XVII secolo sono a lungo rimaste imprecise. Ma oggi si concorda sulla cifra di 10-12 milioni di individui. Ufficialmente gli USA hanno indicato per molto tempo il numero di un milione: un modo di ridurre l'importanza degli indiani e di minimizzare l'estensione del genocidio che li ha ridotti ai 250 mila del 1900.

Il genocidio fu un lungo, tragico e sanguinoso susseguirsi di massacri, di trattati presto violati dagli europei e di epidemie (per le malattie importate, contro le quali gli indiani non disponevano di alcuna immunità). Il tutto accompagnato da furti di interi territori e dalla distruzione delle culture ancestrali degli amerindi.

Le "riserve" che alla loro creazione, nel 1851, erano veri e propri campi di concentramento, e nelle quali gli indiani continuano a essere confinati, costituiscono gravi violazioni degli articoli IIB e IIC della Convenzione internazionale per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio delle Nazioni unite che condannano il «grave attentato all'integrità fisica o mentale dei membri del gruppo e la sottomissione intenzionale del gruppo a condizioni di esistenza comportanti la sua distruzione fisica totale o parziale».

Per esempio, le cattive condizioni di vita nelle riserve fanno sì che un bambino su tre muoia entro i sei mesi. In certe riserve si registrano 100 decessi ogni 1000 nascite, rispetto agli 8,1 tra i bianchi. L'aspettaiiva di vita media per un indiano è di 63 anni (per i bianchi è di 76 anni), ma vi sono riserve dove essa scende a 46 anni.

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Pagina 447

27
Capitalismo, corsa agli armamenti
e commercio delle armi


Il capitalismo ha sempre mantenuto stretti vincoli con le opere di morte. Certo, i sistemi economici e sociali che lo hanno preceduto non hanno ignorato la fabbricazione, l'uso e il commercio degli armamenti. La guerra stessa risale a circa 7000 anni fa, ai tempi del neolitico in Europa occidentale, quando è sembrato possibile che un gruppo di uomini si accordasse e si organizzasse in armi allo scopo di costringere un altro gruppo a cedere le sue ricchezze o a subire la schiavitù a servizio del vincitore.

Questo significa che la guerra è nata con le società di classi. In seguito, nell'antichità, nel Medioevo e nei tempi moderni, armamenti e guerre hanno proseguito il loro corso: i perfezionamenti dei primi (antiche macchine da guerra, artiglieria, armi da fuoco ecc.) hanno permesso i successi dei secondi.

I progressi della scienza e della tecnica, accelerati dal XVIII secolo, hanno avuto un ruolo notevoìe, ma i rapporti di produzione sono stati ancora più importanti. Il generale e pensatore prussiano Karl von Clausewitz scriveva nel suo vapolavoro Della guerra, nel 1827, durante il periodo di sviluppo del capitalismo in Europa, che la guerra «è un conflitto di grandi interessi che si risolve soltanto con l'effusione del sangue e che differisce precisamente in questo da tutti gli altri conflitti che sorgono fra gli uomini. Essa ha molto meno rapporti con le arti e le scienze che con il commercio, che costituisce ugualmente un conflitto di grossi interessi, ma si avvicina ancora di più alla politica, essa stessa una sorta di commercio dalle dimensioni allargate, nella quale la guerra si sviluppa come il bambino nel seno della madre». Aggiungeva poi in un altro passo, studiando le guerre della Rivoluzione francese: «I fatti nuovi che si manifestano in campo militare si devono attribuire molto meno alle invenzioni e alle nuove idee militari che a questo cambiamento dello stato sociale e dei rapporti sociali».

La parola "capitalismo" era ignota a von Clausewitz, che però aveva presentato il legame essenziale fra l'attività della guerra e questo regime economico. Il capitalismo è all'origine della corsa agli armamenti, quella che ha accompagnato le guerre della Rivoluzione francese, quelle napoleoniche o la guerra di secessione negli USA del XIX secolo, quelle che hanno preparato e contraddistinto le due guerre mondiali del XX, quella infine che avrebbe potuto sfociare in una terza guerra mondiale e che dura tuttora, benché molti ritengano annullato il rischio di quest'ultima. Aziende capitalistiche si sono sempre occupate del commercio di armi, destinate a servire qua e là nel mondo. Questo commercio ha contribuito a insanguinarlo su una scala che non si era mai conosciuta, prima che il capitalismo facesse la sua entrata sulla scena mondiale e si imponesse all'intero pianeta.

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30
I banchieri svizzeri uccidono
senza le mitragliatrici


Grazie al suo segreto bancario, ai suoi conti cifrati, alla legge della libera convertibilità, al cinismo e all'estrema competenza tecnica dei suoi banchieri, la Svizzera è oggi la cassaforte del mondo. È anche, nel 1998, il paese più ricco del mondo (per il reddito pro capite, secondo il sistema di calcolo della Banca mondiale). Circa il 40% delle fortune private del mondo gestite al di fuori dei paesi d'origine è amministrato in Svizzera. Le fortezze bancarie elvetiche e le loro succursali nel mondo intero non accolgono soltanto il bottino dei cartelli del crimine organizzato che attraversa la frontiera, le astronomiche entrate dei "signori del crimine" russi, ma anche il tesoro delle classi possidenti e dispotiche africane, asiatiche e latino-americane.

Che rapporto c'è fra il denaro sporco della criminalità organizzata delle zone di confine e il capitale illecito che esce dal Terzo mondo? Entrambi vengono ripuliti, riciclati dagli stessi gnomi, per mezzo di tecniche bancarie identiche. Sono spesso le stesse organizzazioni che scortano questi capitali, fanno loro attraversare i continenti, li fanno entrare in Svizzera. Gli stessi analisti finanziari, amministratori di fortune, consulenti borsistici e agenti di cambio reinvestono i capitali in fuga dal Terzo mondo e il denaro sporco della droga.

Gli adolescenti drogati delle strade di New York, Milano e Londra agonizzano per opera dei criminali che poi fanno riciclare e ripulire i loro profitti in Svizzera. Nelle Filippine, in Brasile, in Congo, bambini a migliaia muoiono di sottoalimentazione, si prostituiscono, periscono per l'abbandono e la malattia. Considerevoli ricchezze autoctone, invece di contribuire a creare sul posto ospedali, scuole, occupazione, si rifugiano in Svizzera; vengono riciclate e reinvestite nella speculazione immobiliare a Parigi, Roma e Tokyo, o alimentano le borse di New York, Londra e Zurigo.

Il saccheggio finanziario del Terzo mondo e il traffico di droga sono due opere mortifere che provocano disastri sociali, psichici e fisiologici del tutto analoghi. Entrambi beneficiano della riconosciuta competenza, dell'assistenza esperta, della efficace complicità dei banchieri svizzeri.

Ecco alcuni esempi che si riferiscono all'analisi di un periodo di poco più di dieci anni.

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...e se non bastasse l'abolizione
del capitalismo...


        Il capitalismo porta con sé la guerra
                  come il nembo il temporale.
                                  Jean Jaurès
Prima di tutto un aforisma: «Suvvia! Di guerre ce ne sono sempre state e ce ne saranno sempre». E poi il suo consolidamento: «Guardate cos'è successo nei paesi socialisti».

È vero, di guerre ce ne sono sempre state, guerre fra tribù o etnie, fra principati, fra stati, con i potenti che hanno imposto attraverso la forza il loro dominio sulle popolazioni per conquistare le terre, impadronirsi delle ricchezze e ridurre in schiavitù uomini e donne. La guerra non è mai altro che uno dei mezzi di dominazione sui deboli da parte dei potenti.

Con il capitalismo la guerra assume altre dimensioni, acquista un altro senso. Smette di essere localizzata per diventare mondiale, planetaria. E domani? Sarà cosmica? Il suo carattere è ormai permanente. S'inizia con la guerra economica, la guerra ideologica, con i provvedimenti di blocco, conflitti preliminari di 'bassa intensità' e seri conflitti locali suscettibili di una generalizzazione al mondo intero. Una volta 'terminata', la guerra si perpetua, come si è visto e si vede tuttora con la guerra del Golfo: gli USA vincitori impongono alla popolazione irachena un blocco più micidiale dello stesso conflitto. La guerra colpisce il mondo in permanenza, a tal segno che, come la febbre nel caso della malattia, ora si misura in gradi: guerra calda o guerra fredda. La nuova guerra fredda fra paesi del Nord e paesi del Sud ha sostituito la guerra fredda combattuta fra Est e Ovest.

Infine la guerra (anche se localizzata) non risparmia nessuno: le vittime si contano a milioni, militari e civili senza escludere i bambini (cfr. il rapporto dell'UNICEF). L'impiego di armi di distruzione di massa sempre più sofisticate non mira soltanto alle forze militari, proprio come il blocco economico, vecchio metodo di assedio che gli USA preconizzavano già nel secolo scorso contro Cuba quando volevano sostituire il loro dominio a quello degli spagnoli. L'ordine del giorno indirizzato nel 1898 dal segretario di stato alla guerra Bekenbridge al generale Miles, comandante del corpo di spedizione statunitense a Cuba, merita di essere ricordato, tanto è rivelatore dei metodi utilizzati per stabilire la dominazione sui popoli: «Dobbiamo ripulire il paese, e dobbiamo farlo anche se dovessimo ricorrere ai mezzi di cui si è servita la Divina Provvidenza a Sodoma e Gomorra. Dobbiamo distruggere tutto quanto si trovi a portata dei nostri cannoni. È necessario che imponiamo il blocco affinché la fame e la peste riducano il numero di civili e decimino l'esercito».

Ma non è tutto. La guerra risponde ai bisogni del capitalismo. Un florido commercio di armi genera immensi profitti: profitti illeciti, criminali, che Fidel Castro denunciò nel suo discorso al settimo vertice dei paesi non allineati, riferendosi alla corsa agli armamenti: «Questo genocidio per omissione che l'umanità commette ogni giorno condannando a morte migliaia di esseri umani per il solo fatto di stanziare tante risorse allo sviluppo dei mezzi per ucciderli in un'altra maniera».

Per un gran numero di sostenitori del capitalismo secondo i quali "è meglio la guerra che la disoccupazione", la prima costituisce il modo ideale per riassorbire la disoccupazione: sacrifica lavoratori inutili e, ritrovata la pace, costituisce la fonte di nuovi profitti durante la ricostruzione.

Ma la guerra è anche, e forse soprattutto, nella natura stessa del capitalismo, in quanto essa è strumento quasi inevitabile di soluzione dei conflitti per il controllo dei mercati, quando la riduzione costante del potere d'acquisto per la legge del profitto riduce gli sbocchi disponibili.

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APPENDICE
Capitalismo e barbarie:
riepilogo dei massacri e delle guerre
nel XX secolo


- Ultime repressioni anti-indiane negli USA,
  che segnano la fine del genocidio messo
  in atto nel XIX secolo              100 000

- Guerra anglo-boera (per il controllo
  del Sudafrica)                      100 000

- Vittime delle conquiste coloniali della
  fine dei XIX secolo e dell'inizio del XX
  secolo (fra cui la conquista della Corea
  a opera del Giappone, 1908)         500 000

- Guerra russo-giapponese (1904-1905). La
  sola battaglia di Mukden provocò più di
  100 000 morti                       300 000

- Repressione della rivoluzione
  del 1905 in Russia                  100 000

- Guerra italo-turca
  per la Tripolitania                  50 000

- Guerre balcaniche (1912-13)
  in Turchia, Serbia, Bulgaria        500 000

- Genocidio degli armeni in Turchia 1 000 000

- Prima guerra mondiale (1914-18)   8 500 000

- Guerra civile in URSS, carestie ed epidemie
  conseguenti agli interventi stranieri e
  all'embargo occidentale           6 000 000

- Repressione dopo i moti rivoluzionari in
  diversi paesi d'Europa: Finlandia, Paesi
  Baltici, Ungheria, Germania, Italia,
  Polonia, Romania, Bulgaria (1918-23)
                                      200 000
- Guerra greco-turca (1920-22)
  (e più di 1 500 000 di esuli)       100 000

- Vittime del fascismo in Europa prima della
  Seconda guerra mondiale (1924-39)   150 000

- Guerra franco-spagnola contro i
  marocchini del Rif (1925-26)         50 000

- Interventi militari degli USA in America
  centrale, in Sudamerica e ai Caraìbi
  1910-1940)                           50 000

- Guerra per il petrolìo del Chaco fra
  Bolivia e Paraguay (1931-35)        150 000

- Vittime delle carestie e delle epidemie
  nelle Indie, in Cina e in Indonesia
  (1900-45)                         8 000 000
  (almeno, di cui 6 milioni
  per la sola Cina)

- Repressioni massicce e guerra civile
  scatenate da Jiang Jeshi in Cina
  (19277-37)                        1 000 000

- Guerra di agressione giapponese
  in Cina (1931-41)                 1 000 000

- Guerra del fascismo italiano
  in Etiopia                          200 000

- Guerra civile in Spagna scatenata da
  Franco, sostenuto da Hitler e Mussolini
  e facilitato dal "non intervento"
  delle democrazie occidentali        700 000

- Seconda guerra mondiale provocata dalla
  Germania di Hitler e dal Giappone
  militarista.  Fu anche il risultato delle
  capitolazioni successive dei paesi
  capitalisti occidentali di fronte al
  nazismo in Europa e davanti al Giappone
  in Asia (1939-45).
  Vittime milìtari e civili compresi
  i deportati e l'Olocausto        50 000 000

- Guerra firancese in Indocina
  (1946-55)                         1 200 000

- Guerra statunitense in Vietnam
  (1956-75)                         2 000 000

- Repressioni colonialiste del dopoguerra
  fra cui quelle del Madagascar (800000
  morti), Algeria (1945), Marocco,
  Tunisia, Africa nera                500 000

- Guerra in Algeria (1956-62)       1 200 000

- Massacri anticomunisti in Indonesia
  dopo il settembre 1965            1 500 000

- Guerra e repressioni nel Bengala
  orientale e in Bangladesh (secondo
  Amnesty International)            3 000 000

- Massacrì indo-pakistani conseguenti alla
  spartizione dell'India (1948)(14 milioni
  di profughi)                        300 000
  (anche se alcune fonti parlano
  di 10 milioni dì morti)

- Quattro guerre arabo-israeliane (1948,
  1956, 1967, 1973) e la guerra
  del Libano                          300 000
  (più 700 000 esuli palestinesi)

- Repressioni anticurde della Turchia,
  dell'Iran e dell'Iraq               200 000

- Guerra Iran-Iraq                    600 000

- Guerra del Golfo (1991),
  vittime dirette                     200 000
  (più le 50000 vittime della denutrizione
  in Iraq a causa del blocco che dura
  tuttora)

- Interventi diretti USA o attraverso gruppi
  paramilitari in Nicaragua, Salvador,
  Guatemala, Panama, Rep. Dominicana ecc
                                      200 000

- Guerra a Timor Orientale            200 000

- Repressioni in Cile, Argentina, Brasile,
  Perú, Bolivia, Colombia ecc. sostenute
  in generale dai servizi USA         150 000

- Conflitti interetnici in Transcaucasia
  e in Asia centrale (1990-95) fra cui la
  guerra in Cecenia nel 1995 (80000 morti)
                                      200 000

- Guerre in Angola                  2 000 000

- Guerra in Mozambico               1 000 000

- Massacri in Somalia, in Liberia, in Ruanda
  (genocidio dei tutsi 500 000), Burundi,
  Sierra Leone, Congo/Zaire,
  Congo/Brazzaville ecc. (1990-97),
  nel Sudafrica dell apartheid      4 000 000
  Per quanto concerne l'Africa,
  comprendiamo anche le vittime delle
  carestie (Sahel, Somalia, Etiopia e quelle
  per la mancanza di cure, in particolare dei
  profughi)

- Guerra interna in Afghanistan dopo la
  caduta dell'ultimo governo progressista
                                      700 000

- Guerre e massacri etnici nella ex
  Iugoslavia provocati dalla disgregazione
  del paese incoraggiati dalla Germania e
  da altre potenze occidentali        200 000
  (più 1 milione di profughi cacciati
  dalle loro regioni).


Soltanto fra il 1990 e il 1995 le guerre
hanno provocato nel mondo 5 milioni e mezzo
di morti, per i tre quarti civili (in Europa
250 mila, in Asia 1 milione e mezzo, in Medio
Oriente 200 mila, in Africa 3 milioni e
mezzo).

A questa tabella incompleta occorre
aggiungere la morte per malnutrizione di 6
milioni di bambini per il solo anno 1997.

Sempre nel 1997 si contavano 40 milioni di
profughi ed esuli.

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