Copertina
Autore Maria Rosaria Dagostino
Titolo Cito dunque creo
SottotitoloForme e strategie della citazione visiva
EdizioneMeltemi, Roma, 2006, meltemi.edu 50 , pag. 210, cop.fle., dim. 120x190x20 mm , Isbn 978-88-8353-450-8
LettoreRiccardo Terzi, 2006
Classe semiotica , comunicazione , pubblicita'
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Indice

  7 Premessa
  9 Introduzione

 15 Capitolo primo
    Citazione: decontestualizzare o creare?

 15 Premesse sul discorso riportato: Ubi Fluxus, ibi Motus
 18 Dal discorso riportato al "riporto" visivo
 23 La cit-azione
 29 La citazione visiva
 36 Citazione e referenzialità
 43 Tipologie di citazioni in pubblicità
 57 Citazione e frizione: questione di stile

 65 Capitolo secondo
    La citazione e il pensiero creativo-attivo

 65 Citazione e culture jamming
 69 Enjoy Subvertising
 72 La verità del segreto
 76 Logo a Go-Go
 79 Il senso del disordine: parodiando
 84 Guerriglia semiologica e guerra dei "memi"
 87 La pubblicità "spiazzata"
 92 A proposito di Spot Vintage

103 Capitolo terzo
    Elogio del clonabile

103 Alla deriva del senso
106 Virgolette e a capo
112 Contro il "pastiche" semiosico
117 Copia e incolla
121 Diritto di versione
124 C'erano una volta Andy Warhol e Marcel Duchamp

133 Capitolo quarto
    Stereotipi, frammenti di un discorso citazionale

133 La seduzione dello stereotipo
138 Giochi di società
141 Dall'anatomico al simbolico
148 L'immagine stereotipata e la sua "risoluzione"
154 Fuor di metafora
162 Gli stereotipi della/sulla pubblicità
171 Disconnect and restart

181 Capitolo quinto
    Estetica del riciclaggio per un'etica del rimando

181 Il fascino delle sirene
187 Corsia di ri-passo

195 Bibliografia
209 Siti web

 

 

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Pagina 9

Introduzione


Perché scrivere un libro sulla citazione? Ricordo che durante un convegno di qualche anno fa dell'Associazione Italiana di Studi Semiotici Augusto Conte affermò che la "ricerca è un moltiplicare le domande per semplificare le risposte". Nella mente di una giovane studiosa questa frase sentenziò come una chiamata alle armi, una sorta di motto per la vita. E la legittimazione al proliferare delle domande per scoprire che le risposte non sono poi tanto lontane. E con tale spirito che questo lavoro di studi e ricerche sulla citazione e in particolare sulla citazione visiva ha avuto inizio, forse per l'ossessione delle domande ma, come si tenterà di fare, anche per la necessità di trovare delle risposte. Per questa ragione l'approccio di questo testo è pluridisciplinare ma sostanzialmente sociosemiotico, nella sua attenzione a quei sistemi della significazione e di trasformazione sociali che mettono in primo piano le questioni del contesto, della competenza in questa forma di pratica sociale, e non solo pratica di discorso, che è la citazione. Per far questo, allora, la citazione dovrà valicare i confini del testo scritto e acquisire una sua tipologia anche nel visivo, imparentandosi con tutte quelle pratiche di replicabilità che la corteggiano, come ad esempio il détournement e il ready-made. Ma l'obiettivo è ben più alto. Si tratta di dare statuto e unicità a una forma di ibridazione che vive sempre una sua seconda vita, o come direbbe Compagnon (1979) è un lavoro di seconda mano, restituendogli grazie all'apporto di discipline come la sociosemiotica lo statuto dell'originalità, della prima mano.

Per questo si sceglieranno quei percorsi attivi della citazione, in cui essa è più di una pratica di significazione e costruisce mondi possibili, non solo un artificio estetico ma senso-doppio, di distanziamento, o addirittura spiazzamento, e perché no spettacolarizzazione del mondo e della sua natura simulacrale. Non stupirà, allora, lo spiazzamento a cui molti termini canonici saranno sottoposti, riutilizzati per una nuova missione al servizio di un segno, quello della citazione, che dissolve le certezze presunte in virtù della certezza del dubbio. E se il dubbio o la certezza si imparentano con il sogno e l'illusione di quelle immagini che vivono continuamente sotto analisi, come le immagini pubblicitarie? La risposta non potrà più essere un'accusa di persuasione ma il riconoscimento di un'amplificazione di ideologie, attraverso l'uso della strategia citazionale, in questo caso quella che si tenterà di definire citazione visiva, con le sue peculiarità e affinità con quello che fino a ora era la citazione verbale. Anche lo stereotipo, finora considerato come forma per eccellenza dell'ideologia, non vive di vita propria e ri-nasce ogni volta attraverso la replica di immagini, citando se stesso.

Analizzare, infatti, i significati stabiliti attraverso le relazioni sintattiche tra gli individui, i luoghi e le persone rappresentati nell'immagine, studiare l'immagine pubblicitaria nel suo contesto sociale, è una forma critica di analisi visiva che oltrepassa la semplice descrizione e influenza le stesse pratiche di senso, sia come esame delle possibilità del senso, che come forma critica di svelamento e riconoscimento della manifestazione visiva dell'ideologia. L'approccio sociosemiotico, quindi, concerne lo studio delle immagini pubblicitarie, i cui significati non vengono intesi esclusivamente da un punto di vista rappresentazionale, bensì interazionale, analizzando le modalità visive e il valore-realtà percepito.

L'immagine pubblicitaria, infatti, viene analizzata come prova evidente di una realtà costruita e ri-costruita all'interno del concetto di riproduzione sociale per la produzione del consenso, attraverso pratiche di ripetizione, non più inconsapevoli, ma programmate nell'uso della strategia citazionale. Questo spiegherà la deriva del senso non in senso peggiorativo ma costruttivo, quando tematiche apparentemente distanti come il ready-made saranno affiancate in quanto pratiche di clonazione attiva allo stereotipo e all'immagine pubblicitaria di attivisti come i jammers della rivista antipubblicitaria di Adbusters, tutti uniti dallo stesso DNA, fratelli omozigoti di una nuova forma di modus vivendi del senso: la cit-azione, rimando attivo per la costruzione di un nuovo senso.

La citazione visiva, infatti, non è concepita come codice ma come risorsa semiotica secondo quanto propongono Jewitt e Oyama 2001 (pp. 134-136). Considerando le relazioni simboliche che hanno luogo in una citazione il termine risorsa svincola il visuale da una chiusa casta di codici e norme e lo rende prodotto di un'inter-azione, movimento d'interpretazione. Non si tratta di filosofia spontanea, però, ma di una strategia visiva che, perché non ancora sistematizzata, attinge da diverse discipline, ma non per questo è meno degna dello studio della sua fenomenologia. La citazione non raccoglie frammenti per il solo gusto del collezionismo, né per un'opera pia di salvataggio (Sontag 1973, p. 67); l'accumulazione di frammenti non è fatta per trasformare l'immagine in una cattedrale di fantasmi, ma in un ricettacolo di possibilità del senso, per fare di questa pratica più di una tendenza alla moda. Per questo l'analisi si concentra sulle forme di citazioni visive praticate nelle arti e nella pubblicità ma non nella pratica del remake cinematografico, dove l'immagine-movimento (Deleuze 1983) rende più difficile la distinzione tra citazione e rassomiglianza e dove il rapporto con l'originale non è semplice rinvio, ma a volte completa sostituzione. La citazione visiva nel corpus di immagini scelte non si sovrappone né in parte né integralmente con l'opera originaria, criterio che al contrario deve rispettare il remake cinematografico (Moine 2004, pp. 101-124).

Si è cercato di esplorare attraverso la citazione in pubblicità la possibilità di un'intertestualità del visivo, che conferisce in questo modo alla citazione visiva una valenza simbolica e un'attribuzione valoriale molto più incisiva rispetto alla citazione scritta, nonostante si presenti più difficile nell'atto del riconoscimento. Le caratteristiche della citazione visiva si andranno definendo in base ai diversi percorsi interpretativi cui essa può essere soggetta da parte dell'osservatore: anello determinante per il riconoscimento della citazione in un testo socioculturale e visivo. Se per il testo della scrittura la lettura si pone con il carattere della ri-scrittura, tanto più lo sarà per un'immagine in cui è il destinatario a decidere dei confini dell'immagine, soprattutto quando la strategia enunciativa richiamata, quella della citazione, gli impone un continuo rapporto con l'alterità, sia testuale che, come nel caso dello stereotipo, anche corporea. Lo studio di un testo di frontiera come quello della citazione visiva ha, quindi, avuto come suoi strumenti fondamentali strategie e metodologie di frontiere, l'intertestualità e la problematica dell'interpretazione, che portano un testo sempre al di fuori del sé, dai propri confini.

Sin qui il sicuro passato teorico di studi consolidati sulla dialogicità del linguaggio (Volosinov 1926-30; Volosinov 1929-30), sull'intertestualità (Kristeva 1969, 1974), sulla citazione (Compagnon 1979), sui "dintorni del testo" (Genette 1982, 1987), sino ad arrivare alla cultura visuale contemporanea (Mirzoeff 1999) e a tante altre "corsie" disciplinari che si incrociano. Ma la sfida è stata quella di trattare del movimento metaforico delle immagini cercando di piegare le parole allo stile surrealista delle immagini. L'obiettivo è quello di provare a piegare la lingua alle immagini provando che ogni citazione parte da una marca di riconoscimento storico per riattualizzarsi ogni volta con effetti diversi. Le voci di coloro che mi hanno preceduto nell'analisi della citazione aleggiano fungendo da "parafulmini" (Genette 1987, pp. 204-206) non solo nella prefazione ma nell'intero testo. Qualche lettore potrebbe pensare anche che la lingua usata abbia un sapore decostruzionista. È lecito e non avventato, visto che questo è un testo sulle visioni e versioni della citazione e come accade nel Book Crossing, ribattezzato Paper Crossing, per cui un giornale o un testo dopo esser stato letto può essere abbandonato su una panchina perché sia letto da altri, allo stesso modo la pratica del riciclo visivo lascia a ciascuno di noi la possibilità di una ri-lettura elevata all'ennesima potenza, rimettendo in circolazione il senso, un sentire comune, in cui ogni osservatore diventi consapevole dei frammenti visivi che lo circondano, capace come dice Lasn (1999, p. 246) parafrasando Ray Bradbury di "(...) lanciarsi nel vuoto e farsi crescere le ali mentre è in caduta libera".

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Pagina 23

La cit-azione

Citare deriva dal termine latino citare, usato per "mettere in movimento", far passare da uno stato di riposo a uno di azione. Non è forzato, allora, pensare a questa dislocazione del dettaglio come a una forma di azione sul e nel discorso, a un risveglio dal torpore del senso a cui il bombardamento d'immagini ci abitua, passando proprio attraverso l'immagine, questa volta attiva. Al di là delle implicazioni all'azione sociale a cui un'immagine citata può portare, la sua prima azione è proprio quella del trasferimento, del suo mettersi in movimento appunto da un testo all'altro e perché no, anche da un medium a un altro. Metaforicamente il movimento del senso nel riferimento citazionale è simile a ciò che accade ai protagonisti del film di Sofia Coppola Lost in Translation (2003), dove migliaia di cartelloni pubblicitari passano uno dietro l'altro davanti allo sguardo degli attori e degli spettatori in sala, in una sorta di film nel film, in cui le immagini montate si sovrappongono alle immagini che scorrono tra i grattacieli di Tokyo. Questa che potrebbe essere una ripresa filmica è, invece, a parere di Medetti (2004), lo Shangai Underground Movie. I cartelloni pubblicitari affissi nella metropolitana di Shangai scorrono velocemente, si muovono, dinanzi all'occhio del passeggero che ne percepisce in questo modo il loro "carattere filmico". Il cartellone si muove metaforicamente a una velocità che non gli appartiene e il viaggiatore assiste a immagini che si auto-montano senza l'ausilio di un tecnico della fotografia, ma solo attraverso quel senso implicito, quell'enunciazione implicita che ognuno di noi vorrà scrivere. Simuliamo allo stesso modo il movimento di una citazione da un testo all'altro e lo componiamo in un montaggio segnico in cui nessun medium è escluso. In questo caso la finestra del treno della metropolitana ha funzionato come una macchina da presa e il cartellone esterno come un pagina dipinta su cui leggere nuove tracce di senso. Mettiamo in movimento, allora, tutto ciò che può essere citato, tutto ciò a cui attribuiamo valore, questa è l'unica discriminante della citazione. Non tutto è citazione, infatti, ma solo ciò che ha senso, ciò a cui si attribuisce valore, su cui si può costruire una coerenza testuale, sui cui scrivere frammenti di discorso. Ed è, appunto, quello che succede per un'immagine, un personaggio o una musica che dall'essere sia dimenticati che costretti nel loro testo d'origine riemergono in un nuovo contesto, con un nuovo uso. Al primo sguardo la citazione resta una ripetizione ma essa è, invece, un segno vero e proprio con tutto ciò che questa definizione comporta. Interpella, manipola, condensa o amplifica un dettaglio portando alla deriva le interpretazioni, evoca un'assenza-essenza come il telefonino fa per il nostro corpo (De Ruggieri 2004, p. 24), narra del prossimamente al cinema come per i trailer (Dusi 2002, p. 32) o diventa strumento invasivo di "interruption marketing". La citazione si impone, allora, non solo sulla pagina scritta ma come pratica di un discorso che integra diverse forme di citazione, condensando nella propria pagina o web site un'enorme quantità di contenuti e servizi "citati" attraverso un semplice collegamento.

(...) si ha l'embrione di una nuova fenomenologia della connessione, come se si passasse da un mondo di elementi saldati a mondi di elementi giustapposti e solidali (...) (Barthes 1957, pp. 147-148).

Quello che Barthes diceva per la sua Citroén DS, sublimando la materia che fa sognare, prende oggi il nuovo pensiero intellettuale, quel "furor frammentario" che è il modo di creare senso globale e diventa quasi l'unica forma di scrittura che il senso sembra conoscere nell'epoca del movimento, della cit-azione, appunto. Si pratica la sicurezza del già noto contro l'ansia della creazione e il passato o il vecchio vengono, perciò, rielaborati in chiave moderna in un discorso citazionale. Compagnon (1979) vincola la definizione di citazione all'esperienza della lettura e della scrittura di un testo scritto. L'immagine pubblicitaria che si presenta come immagine ripetitiva può, però, avvicinarsi a questo universo della citazione, in quanto ha come sua peculiarità quella caratteristica che lo stesso Compagnon individua nella citazione: la ripetizione. Si potrebbe affermare, infatti, che l'espressione stessa del messaggio pubblicitario sia citazionale, poiché si dà nel senso della ripetizione, messaggio che cita se stesso o un altro messaggio ecc.

Nel momento in cui si compie una citazione si opera un prelievo e la frase o immagine viene presa come frammento, ma diventa nuovo testo. Compagnon parla, infatti, di un atto di déprédation e successivamente di una appropriation (p. 18) riferendosi alle due operazioni iniziali che sottendono l'atto di lettura compiuto dal lettore, il quale nel testo scritto non avrà problemi a individuare la citazione come tale. Queste due operazioni, nel caso della citazione visiva, sono anch'esse compiute prima dell'esposizione dell'immagine all'osservatore, ma diversamente dalla citazione scritta le due azioni compiute non riusciranno a rendere consapevole l'osservatore di trovarsi di fronte a una citazione.

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Pagina 181

Capitolo quinto

Estetica del riciclaggio per un'etica del rimando


Il fascino delle sirene

(...) l'essenza dell'immagine è di essere tutta esteriore, senza intimità, e ciononostante più inaccessibile e misteriosa dell'idea dell'interiorità; di essere significato, pur evocando la profondità di ogni possibile senso; non rivelata e tuttavia manifesta, possedendo quella presenza-assenza che costituisce la seduzione e il fascino delle Sirene'.

Se tutto ciò che si è mostrato fa parte di un gioco di seduzione, in cui il reale perde la sua materialità, e sopravvive predominante l'immaginario, è come se una sorta di vertigine avvolgesse il reale, un brivido dell'iperreale si sostituisse alla realtà, grazie a una forma di comunicazione, quella della pubblicità, così apparentemente innocua, ma così profondamente potente, da essere una celebrazione continua del senso e della sua eccedenza. L'insignificante è nobilitato all'esistente e alla giustificazione e le imitazioni, le allusioni, le citazioni non sono semplici repliche, ma miglioramenti, reinterpretazioni del reale. E questo godimento dell'immaginario la conquista più grande della comunicazione pubblicitaria e visiva che può, a questo punto, far parlare di una vera e propria estetica, una fascinazione dell'immaginario, in cui il reale si confonde con il simulacro e la citazione non è più esercizio di mimetizzazione della mia voce, ma possibilità di un rapporto estetico-etico con l'alterità della voce che ho in me. Il canto delle sirene è vero e irreale, affascinante, ma letale per chi vi si avvicina come per l'immagine. Blanchot (1959) ne fornisce la prova, mostrando la forza razionale di un Ulisse che non cede al fascino dell'immagine irreale e ne comprende la durezza reale. Se Blanchot usa queste immagini come metafora dell'avventura della narrazione, la sua stessa citazione inglobata in un'altra voce, questa di chi scrive, quella di un "libro che è a venire", mostra, al contrario, quanto vera sia l'immagine e quanto il fascino delle sirene lasci più di una traccia negli sguardi dei moderni Ulisse. Tolta alla certezza di un corpo unico ma ibrido, l'immagine nella citazione vive come le sirene non "in" ma "sopra", sugli scogli, sulle onde, sulla superficie delle immagini, pronta a mostrare la sua doppia natura, il desiderio inappagato di possederla, ma non più araldo di morte.

Il fascino della citazione è, infatti, il fascino dell'energia, della forza che spinge a muovere il senso, che salva Ulisse da se stesso, dalle sue paure, domando il canto continuando a navigare, obbligandosi all'immobilità, ma non a non vedere. Nella citazione si mescolano labirinti che siamo costretti, invece, a percorrere, consapevoli che l'unico modo per salvarci è uscire da dove siamo entrati: rivendicare il diritto di citazione come diritto di riuso e d'invenzione. Quest'ultimo aspetto connota la citazione come pratica progettuale e creativa, che sfida la sperimentazione e il rischio anche dell'improprio, ma sempre e comunque dell'esplorazione, del recupero, come dimostrano giovani designer della moda i cui abiti si "rifiutano" di prendere le forme delle grandi maison per produrre, invece, abiti con materiali d'imballaggio e di scarto come fa la giovane stilista danese Annette Meyer (v. Pietroni 2003, pp. 45-46) o come accade per gli accessori creati da "Luisa Cevese riedizioni" che ricicla scarti dell'industria tessile e plastica per creare nuovi accessori.

Le tecniche del riciclo e del riuso trovano nella moda un indubbio caposaldo, proprio perché maggiore è in quest'ambito la forza sperimentale e la quantità possibile di "surrealismo", inteso come strategia estetica "a contrasto" su cui i nuovi stilismi possono esercitarsi (Calefato 2004a, p. 111).

Di questi nuovi stilismi fanno parte anche i loghi, marche e pubblicità alla mercé del fashion design. Non si può più parlare di "appropriazione indebita", ma di lecito diritto al trasferimento. Probabilmente Rossi-Landi leggerebbe questa logica della rivisitazione dei materiali o delle immagini come nuova azione per una programmazione ideologica che esca dal senso programmato, previsto e alienato. La moda vive di questo suo procedere per revival "rivitalizzanti" e nel tessuto mima ciò che accade nell'immagine, non solo per il fatto d'essere essa stessa un testo sincretico, ma per pretendere con forza sulle passerelle quella coesione visuale tra i modelli che segneranno la collezione della stagione. Il testo visuale delle passerelle che si costruisce con i corpi simulacrali che sfilano su frammenti di materiali assemblati è il modo in cui sfila nell'immagine la citazione: simulacri, e non portano, indossano frammenti di tessuto, di testo, che vivono per il breve spazio della nostra percezione, ma il cui significato è all'interno di una collezione. Nella citazione visiva la semiosi si realizza tra particolari. Non c'è un'ordine gerarchico tra il particolare che rimanda al generale. Qualunque frammento, sulla base del valore di pertinenza dato, può essere citato, da qui la citazione come forma di scrittura visiva democratica. Mentre il senso sfila, questo si mette in moto davanti ai nostri occhi.

L'estetica della citazione è nell'ordine della memoria, nell'interpretazione e percezione individuale, nella competenza interpellata dalla spettacolarizzazione del frammento. L'etica citazionale, invece, vive nell'ordine della disposizione, nella modalità in cui i frammenti sono disposti nella cornice, nel buon senso dell'ordine visivo. Lontana da ogni forma di strumentalizzazione, l'etica del rimando non ha obblighi morali, ma di percezione, di rimandi simbolici e semantici, e il suo rapporto con l'estetica è per questo interdipendente. L'estetica partecipa all'imballaggio segnico del rimando, complice nella riapertura del cerchio del senso che andrà oltre il tangibile, il funzionale, l'uso. Il valore estetico di un riciclaggio consente di rimpossessarsi dell'oggetto distante, del frammento, riconoscendo alla ripetizione una nuova forma di rituale, di sacralità, in cui l'etica della riproducibilità può diventare anche forma di conoscenza. L'estetica recupera, quindi, il rapporto con l'alterità, e la sua strategia enunciativa è segnata da una conoscenza dal sapore anaforico, che si muove sui margini di un segno di rilievo, segno di un testo che è stato mutilato e di uno che accoglie i suoi frammenti visivi. Si tratta, cioè, di un'estesia – esteticità che ridà valore, senso, all'immagine, evitando l'usura del suo senso, cosa che accade, invece, con lo stereotipo visivo, quando il senso termina d'essere interpretazione e diventa fascino della seduzione dei simulacri. La citazione visiva, rispetto a quella scritta, non immagazzina sensi, ma li genera, li riceve e li restituisce cambiati per sempre. Anche le sue funzioni saranno diverse. A quelle individuate da Morawski (1970) per il discorso, se ne possono e devono aggiungere altre caratterizzanti la citazione visiva e che si possono esaminare a partire dalla pubblicità di moda (ma che sono validi per ogni citazione visiva), evitando però di scadere nel facile approccio funzionalista. Mantenendo la definizione formale di citazione come atto di discorso (Compagnon 1979, p. 99) che mette in relazione il testo citante con il testo citato, legandoli da un rapporto d'interscambio, le funzioni della citazione visiva non possono che essere valori (p. 100): "(...) ciò che stabilisce la dinamica della citazione e la riporta all'equilibrio". I valori-funzioni proposti per la citazione visiva sono sei: funzione d'esemplificazione, di sguardo prospettico, spettacolare, di focalizzazione, funzione patemica, e di soggettivizzazione/oggettivizzazione.

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