Autore Alessandro Dal Lago
Titolo Populismo digitale
SottotitoloLa crisi, la rete e la nuova destra
EdizioneCortina, Milano, 2017, Temi , pag. 170, cop.fle., dim. 12x19,5x1,6 cm , Isbn 978-88-6030-942-6
LettoreGiangiacomo Pisa, 2017
Classe politica , movimenti , informatica: reti , informatica: sociologia












 

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Indice


    Introduzione                                         9


1.  Gli equivoci del populismo                          29

2.  La realtà come costruzione virale                   61

3.  Populismi digitali e para fascismi                  97

4.  Il fascismo travestito da democrazia diretta       125


    Conclusioni                                        153

    Riferimenti bibliografici                          161


 

 

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Pagina 9

Introduzione



                                          Internet è un supermedia che assorbirà
                                          tutti gli altri.

                                          GIANROBERTO GASALEGGIO, Veni Vidi Web



Nei primi anni Novanta, l'incubo di molti italiani era morire democristiani. Poco prima del terremoto di Mani Pulite, sembrava che Andreotti, Forlani, Craxi & Co. (allora si chiamavano Pentapartito) avrebbero governato l'Italia per sempre, o almeno finché loro e i nipoti o gli eredi fossero rimasti in vita. Ma gli italiani non sono morti democristiani. E nemmeno berlusconiani: il governo del Cavaliere (come veniva chiamato allora), che alcuni osservatori precipitosi o un po' paranoici consideravano una sorta di colpo di Stato riuscito, si è dimostrato abbastanza effimero. Dalle elezioni clamorosamente vinte nel 1994 alle dimissioni del novembre 2011, Berlusconi ha governato poco più di otto anni, in tre riprese. Alla fine, gli sforzi congiunti dell'establishment politico-economico europeo e di quello italiano l'hanno mandato a casa (ma Berlusconi ha dato un robusto contributo alla propria defenestrazione, sia per la palese debolezza del suo ultimo governo, sia per il disinvolto stile di vita).

E probabilmente gli italiani non moriranno nemmeno renziani, a giudicare da quello che è successo dopo il 4 dicembre 2016. Fino a quella data il giovane Matteo Renzi sembrava l'astro nascente della politica italiana e un futuro protagonista di quella europea. Ma la disfatta al referendum e la pessima gestione del suo partito nei mesi successivi ne fanno già un leader appannato, se non al tramonto. Allora gli abitanti del cosiddetto "Bel paese" moriranno grillini? Tutto sommato, non ne sarei così sicuro. Mentre scrivo queste righe, i sondaggi danno il M5S in gara per il primato relativo alle elezioni, nonostante la disastrosa prova della sindaca Virginia Raggi nell'amministrazione di Roma. Dal 2013 a oggi l'elettorato grillino si è dimostrato stabile, indifferente ai clamorosi errori politici, alle faide e agli scandali che hanno distinto il M5S. Tuttavia, nonostante la fedeltà degli elettori, la sua natura di formazione alternativa all'intero sistema politico fa sì che non possa allearsi con nessuno e che quindi resterà probabilmente fuori dal governo, almeno in un prossimo futuro.

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Pagina 14

Un tempo, insomma, i cittadini potevano formarsi un'opinione attraverso la lettura dei giornali e la visione dei telegiornali, ma ovviamente non erano in grado di agire sul sistema politico se non grazie al voto. Con l'affermazione di Internet il loro ruolo sarebbe cambiato: non solo si sono resi relativamente indipendenti dagli organi di informazione classici, ma hanno anche intravisto la possibilità di agire direttamente sul sistema politico. Ecco ora gli aspetti teorici decisivi della nuova posizione di cui, secondo alcuni osservatori, gli utenti attivi di Internet godrebbero rispetto all'informazione e al potere.

* La rete offre una pluralità di fonti di informazione gratuite (siti, blog, news online ecc.) che, tendenzialmente, riduce la portata degli organi tradizionali (stampa e televisione) e quindi la loro influenza.

* Gli utenti possono recitare il ruolo di cittadini attivi intervenendo direttamente (attraverso blog, commenti sui social media e sui social network) sulle questioni di pubblico interesse.

* I leader politici possono comunicare direttamente (grazie alla rete) con il pubblico degli utenti, e quindi con gran parte dei cittadini attivi, senza ricorrere all'esclusiva mediazione degli organi tradizionali di informazione.


Ecco l'immagine ideale del ruolo rivoluzionario della rete, quale si può ricavare da saggi celebrativi dell'era digitale come Negroponte (1995), Castells (1996) ed epigoni vari. A questo si aggiunga che, secondo alcuni teorici, la rete consente l'auto-organizzazione di movimenti impermeabili ai condizionamenti dell'establishment politico e informativo. Infatti, nessuno sarebbe in grado di controllare Internet e impedire la circolazione di un'informazione libera e di opinioni alternative a quelle prevalenti (Castells, 2012).

Ma ora dobbiamo chiederci: questa visione è realistica? Θ proprio vero che Internet è una sfera libera da condizionamenti? Consideriamo alcune caratteristiche della rete che contraddicono quelle citate sopra.

* L'esistenza della rete è resa possibile da una logica per lo più sconosciuta agli utenti, ma che li condiziona (per esempio, gli algoritmi di ricerca di Google funzionano in base al principio che un sito è tanto più visibile e accessibile quanto più è cliccato, e ciò produce un effetto cumulativo positivo a favore dei siti più ricchi e influenti).

* La rete è teoricamente libera, in quanto insieme di interazioni in continua crescita, ma in realtà è dominata dai padroni del Web, cioè dai motori di ricerca, social network, aziende di commercio elettronico ecc. che consentono agli utenti di svolgere ricerche, interagire, intervenire o procurarsi beni in rete.

* La libertà di opinione ed espressione (anche politica) in rete è dunque condizionata da un insieme di presupposti (linguaggi e protocolli del Web, algoritmi di ricerca, motori, network) a cui l'utente di Internet non pensa o che considera neutrali o indifferenti.


Il sovrapporsi di libertà teorica di movimento in rete e condizionamenti sistemici è stato definito suggestivamente come una sorta di "acquario", cioè un ambiente artificiale in cui nuotiamo, illudendoci di essere liberi, ma ci muoviamo in realtà al servizio di interessi che ci restano sconosciuti ( Ippolita , 2012).

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Inoltre, è capace di assorbire le istanze sociali che sono state deluse dai processi di globalizzazione e di dislocazione della forza lavoro verso la periferia del mondo. Qui si manifesta un paradosso evidente. La digitalizzazione della cultura è uno degli aspetti decisivi della globalizzazione. Ma ora sembra che stia provocando un vero e proprio rigetto anti- globalizzazione. Così, mentre la cultura digitale si afferma sempre di più come una realtà globale nella promozione del consenso politico, nella finanza, nella comunicazione e nella ricerca scientifica, gli stati tendono a fortificare i confini, a limitare o a bloccare la libera circolazione delle persone, a ritrovare (cioè a reinventare) le radici e il tessuto delle nazioni. In questo senso, il populismo digitale non si manifesta solo nell'ascesa di potenziali dittatori, piccoli e grandi, ma è presente a vario titolo nell'azione di partiti tradizionali (basti pensare solo alle motivazioni ideologiche e neo-nazionaliste, se non xenofobe, di molti elettori inglesi favorevoli alla Brexit).

Come è potuto succedere? Una prima risposta è che i populismi – qualsiasi cosa siano – rappresentano, nel bene e soprattutto nel male, una risposta all'incapacità delle élite politiche occidentali (e non solo) di governare i processi di integrazione globale dell'economia e della finanza. La fenomenologia di questa incapacità è talmente vasta da mettere in imbarazzo. Basterebbe citare il caso della Grecia, un paese ridotto allo stremo dalla cosiddetta Troika (Commissione Europea, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale), quando i suoi debiti potrebbero essere facilmente condonati o, come si suol dire, ristrutturati per non impoverire ulteriormente la popolazione. Nel vero e proprio martirio della Grecia, che dura da anni, c'è probabilmente una delle spiegazioni dell'ostilità generalizzata per le burocrazie europee, del successo della Brexit tra i lavoratori inglesi e dell'ascesa dei partiti populisti in Italia e Spagna.

Come cercherò di mostrare qui, l'incapacità delle sinistre tradizionali, moderate o radicali, di opporsi con efficacia ai processi di colonizzazione finanziaria ed economica della società spiega ampiamente la deriva di destra dei populismi. E di conseguenza la rinascita dei nazionalismi in Europa. Quali sono allora le prospettive di una scena internazionale in cui i diversi populismi possono entrare in collisione? Quello di cui possiamo essere sicuri è che il mondo è entrato in una situazione di anarchia senza precedenti. E che soprattutto, se non saranno trovati anticorpi politici efficaci, dalla crisi attuale della globalizzazione non si uscirà che a destra, verso un qualche tipo di fascismo dell'era digitale.

Questo saggio non può che offrire risposte di massima e analisi di alcuni modelli di populismo digitale: populismo perché i leader pretendono di agire in base al mandato diretto del popolo; digitale perché la nuova relazione tra leader e "popolo" avviéne soprattutto nell'acquario del Web. Nel primo capitolo analizzo le categorie abbastanza equivoche di popolo e populismo. Nel secondo, l'affermarsi dell'illusione partecipativa grazie a Internet, ai social media e ai loro linguaggi. Nel terzo, la diffusione globale del populismo digitale, per lo più di destra. Nel quarto, il caso dell'ascesa del M5S, divenuto ormai protagonista politico della scena italiana. Un soggetto, o meglio un esperimento politico, che non è confinato a sud delle Alpi, ma è in qualche misura un modello per il futuro.

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Il popolo è un'idea che rimanda non solo a un passato leggendario, ma anche alla nostalgia o desiderio di un fondo umano-sociale comune, a quella voglia di uniformità, somiglianza, omogeneità che ha nutrito variamente, nella modernità, le ideologie politiche di destra e di sinistra. Idee come comunità nazionale e nazione, ma anche massa o masse e proletariato (persino nella variante esangue e postmoderna di "moltitudine")' ruotano intorno all'impossibile rinascita di un popolo che sopprima le differenze di ceto, religione e educazione. Idee talvolta suggestive, ma che celano un equivoco costitutivo. Oggi, dopo l'esaurimento dei grandi movimenti sociali del XX secolo, sono appannaggio di gruppi ristretti di intellettuali, élite o avanguardie, che si attribuiscono il compito di guidare il popolo verso la realizzazione della sua natura più profonda. E che, soprattutto, si arrogano il diritto di parlare per lui. Fino a oggi questo avveniva legittimamente attraverso il meccanismo della democrazia rappresentativa. Ma, ora, si suppone che, data la crisi delle istituzioni democratiche, il popolo parli e decida direttamente per sé. Ma, poiché oggi non esiste se non come istanza retorica, saranno le élite o le avanguardie che parleranno sempre per lui. Questa è l'essenza di ciò che si chiama populismo: parlare per conto di un popolo che non c'è.

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L'affermazione globale di Internet rende superflua la distinzione fondamentale tra vita pubblica e vita privata. Chi agisce in rete, come blogger, commentatore, acquirente, semplice flβneur o, lo vedremo, attore politico potenziale, si trova in una situazione privata, perché è a casa sua o comunque isolato, e al tempo stesso pubblica, perché comunica con altri soggetti nella sua stessa condizione. Tuttavia, la socialità che così si realizza è del tutto disincarnata: sta alla socialità materiale come la pornografia alla sessualità. Come il consumatore di immagini o video pornografici sul Web è in relazione con immagini e non con altri corpi, allo stesso modo l'utente in rete non interagisce con altri esseri umani, soggetti sociali o attori politici, ma con i loro avatar o nickname. Con una differenza fondamentale: il consumatore di immagini pornografiche può, a un certo punto, spegnere il computer e cercarsi un partner in carne e ossa, mentre l'utente della rete tenderà a considerare lo schermo del computer come l' unica porta di accesso alla realtà. Anzi, come cornice dominante, se non la sola, di definizione della realtà. Un passaggio al virtuale che inizia a modificare in profondità la relazione dei soggetti sociali con la realtà. L'economia virtuale tende a sostituire ciò che resta dei mercati materiali, le librerie online soppiantano quelle reali, la posta elettronica rende superflui gli uffici postali, lo streaming svuota i cinema, finché anche il voto virtuale renderà superflui i seggi elettorali, le schede nell'urna e persino i sondaggi (il voto virtuale è già un sondaggio).

[...]

Ed ecco svelato l'arcano del populismo. Il significante vuoto nel reale della politica, l'impossibile verità del popolo di cui parla Laclau , non è altro che l'insieme delle identità virtuali della rete. Il popolo, che nella realtà materiale non esiste, se non nelle convenzioni o nelle finzioni della democrazia rappresentativa, si è ora ricostituito in rete. Ecco perché è mutevole, camaleontico, impossibile da fissare o descrivere. Certo, sarà risentito verso la globalizzazione e gli immigrati, ostile alle oligarchie, identificato con una lingua o un territorio — insomma, ben radicato in una dimensione reale, così come dotato di un corpo e di una vita materiale. Ma nel momento in cui accede a un'identità virtuale, il popolo diviene qualcos'altro, non un fantasma o un ectoplasma, ma una comunità interconnessa capace di qualsiasi cosa. Un general intellect pronto a ogni avventura. Manipolatore e manipolabile, globale anti-globale, territoriale e de-territorializzato. Con la fondazione del MoVimento 5 Stelle in Italia, Grillo e Casaleggio hanno perfettamente compreso le potenzialità di questo nuovo essere. E le ha comprese Trump, che disdegna i media generalisti e comunica con i suoi follower solo attraverso Twitter.

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Verso il para-fascismo?


Pubblico spesso, sulla mia pagina Facebook, commenti su questioni di attualità pubblica: guerra, conflitti armati, migrazioni, politica italiana e così via. Sono gratificato talvolta, insieme ad approvazioni e condivisioni, da invettive e insulti di tizi che leggono i miei post: sarei volta per volta comunista irriducibile, traditore della sinistra, anarchico, sessantottino, professore arrogante e così via. Ma se c'è una cosa che sembra mandare fuori di sé alcuni miei lettori è la mia definizione del M5S e del suo líder máximo come "para-fascisti". Dagli angoli più sperduti del Web spuntano seguaci infuriati di Grillo che denunciano la mia totale incomprensione del M5S e dell'autentica natura storica del fascismo.

Ciò che mi sorprende, in queste rampogne, è che nessuno si sofferma sul prefisso "para" della definizione del M5S e del suo boss come para-fascisti. Θ evidente che il movimento di Grillo non ha nulla a che fare con il fascismo storico e che Grillo non è Mussolini – se non nel senso, come diceva Marx, che nella storia le tragedie ritornano sempre in forma di farsa. Con il prefisso "para" intendo dire solo che nel M5S c'è qualcosa di torbido, autoritario e ambiguo che a me ricorda irresistibilmente lo stile politico fascista: l'arroganza bislacca del capo, la sua passione per i plebisciti e per le performance sportivo-pubblicitarie (la nuotata nello stretto di Messina dell'ottobre 2012), il culto supino professato da gran parte degli iscritti e dei simpatizzanti ("Grazie d'esistere, Beppe!", "Beppe, pensaci tu!"), la mancanza di trasparenza nelle decisioni, l'opportunismo – noi siamo contro l'Alta velocità, ma anche per la legge e l'ordine, contro la cementificazione, ma per il nuovo stadio di Roma e così via –, per non parlare delle faide tra i proconsoli, e dell'incapacità amministrativa travestita con la retorica del cambiamento ecc.

Nel prossimo capitolo analizzerò alcuni aspetti strutturali di questo modello autoritario di movimento o di partito. Il M5S, che fino a poco tempo fa poteva sembrare una delle solite bizzarrie italiane, appare simile ad altri che si stanno diffondendo a macchia d'olio nel mondo. In sostanza, si tratta dell'ascesa di leader autoritari che emergono – a seconda dei casi e delle diverse culture politiche – come proprietari, protettori e garanti delle rispettive democrazie. Penso ad alcuni uomini che sono già al potere: Jaroslaw Aleksander Kaczynski in Polonia, Victor Orbán in Ungheria, Recep Tayyip Erdogan in Turchia, e ovviamente il loro ideale politico Vladimir Putin (anche se i leader dell'Est europeo citati lo detestano). Recentemente, a questa congrega di para-fascisti si è aggiunto il vero pezzo da novanta, ovvero il boss dello stato più potente al mondo, Donald Trump.

Sia ben chiaro, sto parlando di gente di taglia diversissima e forse incommensurabile — si tratta, come avrebbe detto Sciascia in Il giorno della civetta, degli "uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà": ovvero il politico (apparentemente) più potente al mondo, il suo gemello russo, un aspirante sultano, un paio di ultraconservatori dell'Europa dell'Est, e infine Grillo e i suoi portaborse. Tutta questa gente ha qualcosa in comune, come sto cercando di mostrare in queste pagine.

Para-fascismo, appunto. Non saprei usare altra definizione per politici che attizzano l'odio per gli stranieri, disprezzano visibilmente la democrazia parlamentare, praticano o invocano la censura per chi non è d'accordo con loro, coltivano il senso comune più forcaiolo, soffiano sul fuoco neonazionalista che cova in mezzo mondo. A parole, sono tutti rispettosi della democrazia, certo. Ma quelli che comandano da tempo, Putin, Erdogan e i loro emuli dell'Europa dell'Est, stanno svuotando di contenuto la democrazia dei loro paesi a favore del proprio potere personale. Quanto a Trump, i primi mesi della sua amministrazione e soprattutto il personale che lo circonda (razzisti dichiarati, falchi militaristi ecc.) fa ritenere che si stia avviando nella direzione dei personaggi citati sopra, e che anzi ne rappresenti il caso limite.

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L'espressione "populismo digitale", titolo di questo saggio, sintetizza nelle mie intenzioni la dipendenza dalla rete di un movimento politico neo-peronista, gestito in modo autoritario. Credo che per la prima volta nella storia politica i circoli locali e i gruppi parlamentari di un partito dipendono dalla volontà di un capo espressa attraverso un blog. Ma è davvero Grillo — al di là delle formulazioni equivoche e talvolta confuse di non-statuti, regolamenti e codici di comportamento — il vero capo del M5S? Insomma, è il frontman Grillo il vero leader della band? Io ne dubito. I suoi post, per quanto violenti o sboccati, non sembrano scritti di suo pugno. Basta confrontarli con una lettera inviata dal comico al Corriere della Sera nel settembre 2016, mentre una bufera politica stava travolgendo la sindaca grillina Virginia Raggi. Grillo chiede comprensione per lei e per il M5S, in quanto "imperfetti". Per quanto scritta formalmente in italiano, la lettera, definita da molti "stravagante", è pressoché incomprensibile (anche se il suo senso si può intuire, direbbe il senatore Morra).

Allora, mi è venuto un sospetto: molta gente vuole la perfezione. In Italia, in Europa, nel mondo vogliono la perfezione. In fondo, se qualcuno sta lì a vedere i dibattiti su di noi senza parlare della paura che hanno di noi i corrotti e gli inciucioni però discutono solo di imperfezioni nostre... perché questi spettacoli tristi hanno audience... cosa ci sta chiedendo la gente (almeno quella che non cambia canale guardando queste imbecillità)? Temo la perfezione... Perché temo la perfezione? Semplice... è una proprietà che può essere soltanto inventata o sognata. La perfezione capita per alcuni istanti, non di più, se la chiedi significa che vuoi la dittatura.


Questa è proprio la prosa di Grillo, come risulta facilmente da un confronto con il linguaggio dei suoi comizi-spettacoli. E allora chi scrive i post, così efficaci e comprensibili nella loro rozzezza? La risposta è facile. Sono elaborati dal team che opera nella Casaleggio Associati, la società che gestisce il blog e governa di fatto il M5S (organizzazione delle consultazioni e delle votazioni online). Dopo la morte del fondatore Gianroberto è il figlio Davide che guida l'azienda e, in molti casi, impone le sue scelte politiche ai parlamentari, nazionali ed europei. In particolare, è stato proprio Davide Casaleggio a stipulare l'alleanza al Parlamento europeo con l'UKIP di Nigel Farage, il movimento di destra che a suo tempo ha promosso la Brexit.

La mia precedente definizione del M5S deve essere aggiornata: per la prima volta nella storia politica i circoli locali e i gruppi parlamentari di un partito sono governati da un capo attraverso un blog – il quale è controllato da una società di consulenza aziendale. Ecco il "flusso delle decisioni" del M5S in un diagramma:


Casaleggio Associati
(Elabora le strategie, gestisce il blog di Grillo,
il Blog delle stelle, il sistema operativo Rousseau,
controlla i gruppi parlamentari e la loro
comunicazione, affidata a un "portavoce").
Il blog, organo supremo di elaborazione
politica e comunicazione del M5S
Beppe Grillo
("Garante", leader, capo politico del M5S:
responsabile di decisioni sovrane e "irrevocabili"
in tema di linea politica, espulsioni e
cancellazione dei candidati dalle liste).
Gruppi parlamentari, sindaci
e amministratori locali
(Partecipano alla normale attività delle istituzioni
in cui operano, nell'ambito della linea
decisa dalle istanze superiori e sotto la
supervisione di un addetto alla comunicazione).
Iscritti al M5S, circoli locali ecc.



L'ultima freccia in basso, quella a doppio senso, merita una breve spiegazione. Qui non si nega che in altri tempi i "meetup", le piattaforme di aggregazione dei simpatizzanti o le liste civiche, e oggi i circoli locali, non abbiano contribuito o contribuiscano a fare del M5S qualcosa di reale – e anche a trasmettere idee e proposte alla struttura del movimento grazie ai parlamentari. Altrimenti, non si spiegherebbe la costante fortuna elettorale del movimento – nonostante la presentazione di firme false, l'incapacità amministrativa, le frequenti sciocchezze dette e scritte dagli eletti, le faide e tutti i "lati oscuri delle stelle". Né si nega che il M5S stia offrendo la speranza, l'illusione o l'utopia di una società senza il male, la corruzione e l'inquinamento, ambientale e politico. Dopotutto, se tanti milioni di elettori votano per il movimento di Grillo, siamo davanti a una realtà che non può essere minimizzata, né esorcizzata. Ma va compresa nei suoi aspetti visibili o clamorosi e anche in quelli più celati e ambigui. Non basta, come è abituale tra tanti osservatori simpatizzanti, esaltare i successi elettorali e le basi popolari del movimento, ignorando l'inquietante natura del M5S, guidato da un comico datosi alla politica e amministrato da una società di consulenza aziendale.

Ecco che cos'è il populismo o para-fascismo digitale. Una realtà politica resa tale da un abile uso di Internet e dei suoi strumenti. Qualcosa di nuovo nella storia, certamente. Ma inquietante per chiunque non si accontenti di slogan e non concepisca la vita sociale e politica come un'incessante litania di clic sullo schermo del computer.

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