Autore Antonio Damasio
Titolo Lo strano ordine delle cose
SottotitoloLa vita, i sentimenti e la creazione della cultura
EdizioneAdelphi, Milano, 2018, Biblioteca scientifica 59 , pag. 352, cop.fle., dim. 14x22x2,2 cm , Isbn 978-88-459-3262-5
OriginaleThe Strange Order of Things. Life, Feeling, and the Making of Cultures [2018]
TraduttoreSilvio Ferraresi
LettoreGiorgia Pezzali, 2018
Classe scienze cognitive , psicologia , evoluzione , filosofia












 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


    Inizi                                       13


    PARTE PRIMA
    LA VITA E LE SUE REGOLAZIONI
    (L'OMEOSTASI)

 1. La condizione umana                         21
 2. In una «regione di dissomiglianza»          46
 3. Varianti dell'omeostasi                     58
 4. Dalle singole cellule al sistema nervoso
    e alla mente                                68


    PARTE SECONDA
    LA COSTRUZIONE DELLA MENTE CULTURALE

 5. L'origine della mente                       87
 6. Menti in espansione                        101
 7. Gli affetti                                117
 8. Costruire sentimenti                       137
 9. La coscienza                               166


    PARTE TERZA
    LA MENTE CULTURALE AL LAVORO

10. Le culture                                 191
11. Medicina, immortalità e algoritmi          223
12. La condizione umana attuale                242
13. Lo strano ordine delle cose                267


Ringraziamenti                                 281
Note                                           285
Indice analitico                               331


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 13

INIZI





1



Questo libro ruota intorno a un interesse e a un'idea in particolare. Mi occupo da tempo degli affetti umani - del mondo delle emozioni e dei sentimenti - e ho dedicato molti anni a indagarli. Perché e come proviamo emozioni e sentimenti, e usiamo questi ultimi per costruire il nostro sé? In che modo i sentimenti supportano, oppure compromettono, le nostre migliori intenzioni? Perché e come i cervelli interagiscono con il corpo per sostenere tali funzioni? Su tutti questi argomenti ho nuovi fatti e nuove interpretazioni che vorrei condividere.

Il concetto di fondo è molto semplice: ai sentimenti non viene attribuita l'importanza che effettivamente hanno quali ispiratori, supervisori e mediatori dell'impresa culturale umana. Gli esseri umani si sono distinti dal resto del mondo vivente per aver creato un insieme impressionante di oggetti, di pratiche e di idee, conosciuti collettivamente come culture. Un insieme che include le arti, la filosofia, la morale e la religione, la giustizia, la governance, le istituzioni economiche, la tecnologia e la scienza. Perché ha avuto origine tale processo? E quando? A queste domande si risponde spesso chiamando in causa un'importante facoltà della mente umana, il linguaggio verbale, accanto ad alcuni tratti distintivi, come una spiccata natura sociale e un intelletto superiore. Per chi ha una forma mentis biologica, la risposta include anche la selezione naturale operante al livello dei geni. Non ho dubbi che l'intelletto, la socialità e il linguaggio abbiano svolto ruoli decisivi in questo processo, ed è superfluo dire che gli organismi capaci d'invenzione culturale, insieme con le facoltà specifiche usate nell'invenzione stessa, sono presenti negli esseri umani grazie alla selezione naturale e alla trasmissione genetica. La mia idea è che sia stato necessario qualcos'altro affinché l'epopea delle culture umane spiccasse il volo. Quel qualcos'altro era una motivazione. Mi riferisco ai sentimenti, che includono il dolore e la sofferenza come pure il benessere e il piacere.

Si consideri la medicina, una delle nostre imprese culturali più ragguardevoli. In essa, la combinazione di tecnologia e scienza è cominciata come risposta alla sofferenza e al dolore causati da ogni genere di malattia - dal trauma fisico e le infezioni ai tumori -, cui si sono opposti i perfetti contraltari del dolore e della sofferenza: il benessere, la gioia, la prospettiva di una vita più florida. La medicina non ebbe inizio come uno svago intellettuale per esercitare il proprio ingegno su una diagnosi enigmatica o su un mistero della fisiologia, ma nacque come conseguenza di sentimenti ben precisi dei pazienti e dei primi medici. Di essi fa parte, anche se non esclusivamente, la compassione che può nascere dall'empatia. Queste motivazioni permangono ancora oggi. A nessuno dei miei lettori sarà sfuggito come le cure dentarie e le procedure chirurgiche siano notevolmente migliorate nell'arco degli anni, grazie un'anestesia più efficace e all'uso di strumenti precisi. La motivazione principale dietro a questi progressi è la gestione delle sensazioni di dolore. L'attività di ingegneri e scienziati ha un ruolo encomiabile in questa impresa, ma è un ruolo motivato. La motivazione del profitto delle industrie del farmaco e della strumentazione vi ha ugualmente una parte significativa: noi abbiamo bisogno di diminuire la nostra sofferenza e le industrie è a quel bisogno che rispondono. La ricerca del profitto è alimentata dalle bramosie più diverse: il desiderio di carriera e di prestigio e persino l'avidità, i quali altro non sono che sentimenti. Non è possibile comprendere l'impegno profuso per sviluppare cure per i tumori o per la malattia di Alzheimer senza considerare i sentimenti come ispiratori, supervisori e mediatori del processo. Né è possibile comprendere, per esempio, l'impegno meno intenso profuso dalle culture occidentali nella ricerca di cure per la malaria in Africa o per il controllo delle dipendenze dalla droga, in quasi ogni angolo di mondo, senza considerare la trama rispettiva di sentimenti capaci di motivare e di inibire. Linguaggio, socialità, conoscenza e ragione sono i principali inventori ed esecutori di questi complicati processi. Ma sono i sentimenti che li motivano e che verificano i risultati.

In sostanza, la mia idea è che l'attività culturale abbia avuto inizio dal sentimento e che rimanga profondamente immersa in esso. È necessario riconoscere l'azione reciproca, favorevole e sfavorevole, tra sentimento e ragione, se vogliamo comprendere i conflitti e le contraddizioni della condizione umana.




2



In che modo gli esseri umani sono diventati, al contempo, vittime di sofferenza, mendicanti, officianti di gioia, filantropi, artisti e scienziati, santi e criminali, signori benevoli della Terra e mostri decisi a distruggerla? La risposta alla domanda richiede, certamente, il contributo di storici e di sociologi, ma anche degli artisti, la cui sensibilità spesso intuisce i meccanismi nascosti delle passioni umane; e richiede inoltre i contributi di differenti branche della biologia.

Avendo considerato come i sentimenti, non solo poterono ispirare i primi barlumi delle culture, ma siano rimasti una parte integrante della loro evoluzione, ho cercato il modo per collegare la vita umana quale la conosciamo oggi - con le sue menti, i sentimenti, una coscienza, una memoria, il linguaggio, una socialità complessa e un'intelligenza creativa - con la vita primordiale risalente a 3,8 miliardi di anni fa. Per stabilire la connessione, dovevo suggerire un ordine e una linea temporale dello sviluppo e della comparsa di queste facoltà decisive nella lunga storia dell'evoluzione.

L'ordine vero e proprio della comparsa di strutture e di facoltà biologiche che ho descritto va contro le aspettative tradizionali - ed è particolarmente strano, come lascia intendere il titolo del libro. L'evoluzione di quel magnifico strumento che mi piace chiamare «mente culturale» non corrisponde alle rappresentazioni tradizionali elaborate dagli esseri umani.

Intendendo raccontare una storia sulla sostanza e sulle conseguenze dei sentimenti umani, sono giunto a riconoscere che i nostri modi di pensare la mente e le culture non sono in sintonia con la realtà biologica. Quando un organismo vivente si comporta in modo intelligente ed efficace in un contesto sociale, presumiamo che quel comportamento scaturisca da capacità di previsione e da una riflessione, da una complessità straordinaria, e dall'aiuto di un sistema nervoso. Tuttavia è ormai chiaro che tali comportamenti possono scaturire anche dal corredo sobrio ed essenziale di un'unica cellula: di un batterio, agli albori della biosfera. «Strano» è una parola troppo blanda per descrivere questa realtà.

Oggi è possibile intravedere una spiegazione compatibile con scoperte che paiono sfidare la ragione. Questa spiegazione ricorre ai meccanismi della vita stessa e alle condizioni della sua regolazione - un insieme di fenomeni che viene in genere denotato da una sola parola: «omeostasi». I sentimenti sono l'espressione a livello mentale dell'omeostasi, mentre l'omeostasi, che agisce sotto il manto del sentimento, è il filo funzionale che collega le forme di vita primitive alla straordinaria alleanza tra corpi e sistemi nervosi, un'alleanza responsabile della nascita di menti coscienti, capaci di provare sentimenti, responsabili a loro volta di quello che più di ogni altra cosa distingue il genere umano: le culture e le civiltà. I sentimenti sono i protagonisti del libro, ma attingono il loro potere dall'omeostasi.

Collegare le culture ai sentimenti e all'omeostasi rinforza i loro legami con la natura e rende più profonda l'umanizzazione del processo culturale. Menti culturali creative e sentimenti sono arrivati a far corpo unico dopo un lungo processo in cui la selezione genetica, guidata dall'omeostasi, ha svolto un ruolo preminente. Collegare le culture ai sentimenti, all'omeostasi e alla genetica è l'antidoto al progressivo scollamento di idee, pratiche e oggetti culturali dal processo della vita.

Dovrebbe essere evidente che le connessioni che sto stabilendo non diminuiscono l'autonomia che i fenomeni culturali acquisiscono storicamente. Non sto riducendo i fenomeni culturali alle loro radici biologiche né sto tentando di far spiegare alla scienza tutti gli aspetti del processo culturale. Le scienze da sole, senza la luce che viene dalle arti e dalle discipline umanistiche, non possono illuminare la totalità dell'esperienza umana. Le discussioni sulla creazione delle culture spesso entrano in conflitto intorno a due narrazioni: una in cui i comportamenti umani risultano da fenomeni culturali autonomi, e una in cui sono conseguenza della selezione naturale tramite l'azione dei geni. Ma non c'è bisogno di favorire l'una o l'altra narrazione. Il comportamento umano è in gran parte il risultato di entrambe le influenze, in proporzioni e ordine variabili.

Per quanto strano possa sembrare, scoprire che le nostre culture affondano le radici nella biologia non umana non sminuisce affatto il carattere eccezionale degli esseri umani. Lo status di ciascun essere umano deriva dal significato unico del soffrire e del prosperare alla luce delle nostre reminiscenze del passato e dei ricordi che ci siamo costruiti sul futuro che incessantemente anticipiamo.




3



Noi esseri umani siano narratori nati, e raccontare storie sulle origini delle cose ci procura una gran soddisfazione. Otteniamo un ragionevole successo quando raccontiamo la storia di un congegno o di una relazione: l'inizio di un amore o di un'amicizia è un tema eccellente per le nostre storie. Non siamo altrettanto abili, e spesso commettiamo degli errori, quando ci occupiamo del mondo naturale.

Com'è iniziata la vita? E come sono iniziati la mente, i sentimenti o la coscienza? Quando sono comparsi i comportamenti sociali e le culture? Rispondere a queste domande è tutt'altro che facile! Quando l'eminente fisico Erwin Schrödinger volse l'attenzione alla biologia e scrisse il suo celebre Che cos'è la vita?, non lo intitolò «Le "origini" della vita». Comprese che era un'impresa destinata all'insuccesso.

Eppure è un'impresa a cui è difficile resistere. Questo libro intende presentare alcuni fatti alla base della creazione di menti che pensano, creano racconti e un senso, che ricordano il passato e immaginano il futuro; e si propone di presentare alcuni fatti alla base dei meccanismi del sentimento e della coscienza responsabili dei legami reciproci tra la mente, il mondo esterno e la sua vita relativa. Gli esseri umani volevano trovare un rimedio ai tormenti del cuore; superare le contraddizioni che nascono dalla sofferenza, dalla paura, dalla rabbia e dalla ricerca di uno stato di benessere. Si sono quindi rivolti alla meraviglia e allo stupore e hanno scoperto la musica, la danza, la pittura e la letteratura. La loro tensione è proseguita nella creazione dell'epopea, spesso bellissima e a volte logora, delle credenze religiose, delle indagini filosofiche e della governance politica. Dalla culla alla tomba, questi furono alcuni modi in cui la mente culturale affrontò il dramma umano.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 71

I SISTEMI NERVOSI



Quando i sistemi nervosi fanno il loro ingresso nel cammino dell'evoluzione? Una stima attendibile è il Precambriano, che terminò tra 540 a 600 milioni di anni fa: un pezzo di antiquariato per alcuni, ma non poi così datato se lo compariamo all'età della prima vita. La vita, persino quella pluricellulare, se l'è cavata benissimo per quasi tre miliardi di anni anche senza un sistema nervoso. Dovremmo riflettere su questa linea temporale prima di decidere quando la percezione, l'intelligenza, la socialità e le emozioni sono comparse sul palcoscenico del mondo.

Visti dalla prospettiva odierna, i sistemi nervosi, quando sono entrati in scena, hanno permesso agli organismi complessi, pluricellulari, di affrontare meglio l'omeostasi per l'intero organismo, e hanno quindi consentito loro ampliamenti del corpo e delle funzioni. I sistemi nervosi sono comparsi al servizio degli organismi - più precisamente, dei corpi - e non viceversa. Si può sostenere che siano in una qualche misura al servizio ancora oggi.

I sistemi nervosi hanno diversi tratti distintivi, il più importante dei quali riguarda le cellule che meglio li definiscono, vale a dire i neuroni. Sono cellule eccitabili. Significa che un neurone, quando «si attiva», genera una scarica elettrica che viaggia dal corpo cellulare all'assone - l'estensione fibrosa che nasce dal corpo cellulare -, causando a sua volta il rilascio di molecole di una sostanza - il neurotrasmettitore - nel punto in cui esso è in contatto con un altro neurone o con una cellula muscolare. In quel punto, conosciuto come sinapsi, il neurotrasmettitore liberato attiva la cellula successiva, che può essere un altro neurone o una cellula muscolare. Pochi altri tipi cellulari del corpo riescono in un'impresa comparabile, ossia integrare un processo elettrochimico che mette in azione un'altra cellula; gli esempi classici sono i neuroni, le cellule muscolari e alcune cellule sensoriali. Possiamo considerare questa impresa l'apoteosi della segnalazione bioelettrica, che si realizzò per la prima volta, con discrezione, in organismi unicellulari come i batteri.

Un altro aspetto dietro l'unicità dei sistemi nervosi deriva dal fatto che le fibre nervose - gli assoni che nascono dal corpo cellulare del neurone - terminano in quasi ogni recesso del corpo: singoli organi interni, vasi sanguigni, muscoli, pelle, a voi la scelta. Per farlo, le fibre nervose percorrono spesso lunghe distanze dal corpo cellulare di origine, situato centralmente. Tuttavia, la presenza di quel distante emissario terminale è debitamente ricambiata. Nei sistemi nervosi evoluti, un insieme reciproco di fibre nervose viaggia in direzione opposta: da miriadi di parti del corpo alla componente centrale del sistema nervoso: al cervello nel caso dell'uomo. Il compito delle fibre che decorrono dal sistema nervoso centrale alla periferia è, in sostanza, stimolare azioni: la secrezione di una sostanza o la contrazione di un muscolo, per esempio. Considerate la straordinaria importanza di quelle azioni: trasportando alla periferia una sostanza chimica secreta, il sistema nervoso modifica l'attività dei tessuti che la ricevono; contraendo un muscolo, il sistema nervoso genera movimento.

Al contempo, le fibre che viaggiano nella direzione opposta - dalle parti interne dell'organismo al cervello - svolgono un'attività conosciuta come enterocezione (o viscerocezione, giacché hanno un compito affine a quanto accade nei visceri). Qual è lo scopo di tale attività? La sorveglianza sullo stato della vita, ecco a cosa serve. In poche parole, un compito immane di «spionaggio» e di comunicazione, il cui obiettivo è aggiornare il cervello su cosa sta succedendo in altre parti nel corpo, e farlo intervenire dove è necessario e opportuno.

A proposito, vanno osservati alcuni dettagli. Per cominciare, il compito di sorveglianza neurale dell'enterocezione è l'erede di un sistema più primitivo che lo precedette, e che permette alle sostanze chimiche in circolo nel sangue di agire direttamente sia sulle strutture nervose centrali sia su quelle periferiche. Quest'antica strada di enterocezione chimica informa il sistema nervoso sugli eventi nel corpo vero e proprio. Chiaramente, questa via non è a senso unico, vale a dire le sostanze chimiche che hanno origine nel sistema nervoso entrano nel flusso sanguigno e influenzano elementi del metabolismo.

Come secondo dettaglio, in creature coscienti come noi il primo livello dei segnali viscerocettivi è trasmesso al di sotto del livello di coscienza, e anche le risposte correttive che il cervello produce basandosi sulla sorveglianza non cosciente sono decise, perlopiù, in assenza di coscienza. Come vedremo, il compito della sorveglianza genera, nel tempo, sentimenti coscienti ed entra nell'ambito della mente soggettiva. Solo dopo avere varcato quella soglia di capacità funzionale, le risposte sono influenzabili da una deliberazione cosciente, pur ricavando ancora i vantaggi dal processo non cosciente.

Come terzo dettaglio, l'enorme sorveglianza sulle funzioni dell'organismo - uno sviluppo vantaggioso per un'omeostasi adeguata in organismi pluricellulari complessi - è il precursore biologico delle tecnologie di sorveglianza basate sui «big data», che gli esseri umani sono così sfacciatamente fieri di avere inventato. La sorveglianza è utile sotto due aspetti: per l'informazione diretta sullo stato del corpo, e per l'anticipazione e la previsione di stati futuri. È un esempio ulteriore dello strano ordine in cui i fenomeni biologici sono comparsi nella storia della vita.

In poche parole, il cervello agisce sul corpo trasmettendo specifiche sostanze a una sua particolare regione oppure al sangue circolante, che poi indirizzerà le molecole verso le più svariate regioni. Il cervello può anche agire sul corpo ancora più letteralmente, attivando i suoi muscoli: i muscoli che muoviamo quando vogliamo farlo - possiamo decidere di camminare, di correre o di sollevare una tazzina di caffè -; e i muscoli che il cervello mette in azione quando è necessario, senza alcuna volontà da parte nostra. Per esempio, se siete disidratati e la pressione del sangue sta scendendo, il vostro cervello ordina ai muscoli lisci nelle pareti dei vasi sanguigni di contrarsi, e ciò aumenta la pressione del sangue. Analogamente, i muscoli lisci del vostro sistema gastrointestinale marciano al proprio ritmo e producono la digestione e l'assorbimento di sostanze nutritive, senza che voi quasi interferiate. Il cervello esegue compensazioni omeostatiche, e noi ne ricaviamo i vantaggi, con naturalezza. Un livello appena più complicato di movimento involontario subentra quando sorridiamo e ridiamo, quando sbadigliamo e respiriamo spontaneamente, o quando abbiamo il singhiozzo: tutte azioni involontarie che richiedono i muscoli striati. Come il cuore, che è un muscolo striato controllato in modo ingegnoso e involontario.


L'inizio dei sistemi nervosi non fu poi così complicato; anzi fu piuttosto sobrio. Consisteva letteralmente di reti nervose, di un reticolo, o rete, di cavi. Le reti nervose di un tempo assomigliano alla struttura delle «formazioni reticolari» che riscontriamo ancora oggi nel midollo spinale e nel tronco cerebrale di moltissime specie, inclusa quella umana. In questi sistemi nervosi semplici non vi è una distinzione netta tra elementi «centrali» e «periferici». Consistono di circuiti di neuroni che percorrono in lungo e in largo il corpo.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 83

[...] «Senza il corpo, nessuna mente». Il nostro organismo contiene un corpo, un sistema nervoso e una mente che deriva da entrambi.

Le menti possono emanciparsi dalla loro missione fondamentale e generare prodotti che, a un primo sguardo, non sono correlati all'omeostasi.

Il racconto delle relazioni tra i corpi e i sistemi nervosi è da rivedere. Il corpo, verso cui siamo spesso indifferenti per non dire sprezzanti quando ci riferiamo alla nobile mente, fa parte di un organismo enormemente complesso costituito da sistemi cooperativi, formati da organi cooperativi, fatti di cellule cooperative, formate da molecole cooperative, costituite da atomi cooperativi costruiti con particelle cooperative.

Un tratto distintivo degli organismi è, in effetti, il grado straordinario di cooperazione manifestato dai loro elementi costitutivi, insieme con la straordinaria complessità che da essa scaturisce. Come la vita è emersa da particolari relazioni tra elementi cellulari, così la crescente complessità degli organismi genera nuove funzioni. Le funzioni e le caratteristiche emergenti non sono spiegabili limitandoci a esaminare i singoli elementi. In breve, la complessità è contrassegnata dalla comparsa di funzioni emergenti quando passiamo da frammenti più piccoli a frammenti più grandi della struttura complessiva. Il caso esemplare è la comparsa del tutto particolare della vita stessa, sotto forma di elementi cellulari. Un altro caso esemplare di cooperazione, che approfondiremo più avanti, è la comparsa di stati mentali soggettivi.

La vita dell'organismo è più della somma totale delle vite di ciascuna cellula coinvolta. C'è una vita complessiva dell'organismo, una vita globale, per così dire, che scaturisce dall'integrazione multidimensionale delle vite partecipanti al suo interno. La vita dell'organismo trascende le vite delle sue cellule, vi attinge, e ricambia il favore dando loro il sostentamento. Quella integrazione di «vite» concrete è ciò che rende vivo un organismo intero, nello stesso identico senso per cui un'attuale rete complessa di computer non è viva. La vita dell'organismo significa che ciascuna cellula componente continua ad avere bisogno di usare, e sa farlo, i suoi complicati elementi microscopici per trasformare in energia i nutrienti prelevati dal suo ambiente, e lo fa secondo complicate regole di regolazione omeostatica e l'imperativo omeostatico di preservare sé stessa contro ogni difficoltà e di proseguire. Ma la straordinaria complessità di un organismo vivente, di cui la varietà umana è l'esempio migliore, avrebbe potuto realizzarsi solamente con l'aiuto dei dispositivi di sostegno, di coordinazione e di controllo del sistema nervoso. Questi sistemi fanno interamente parte del corpo di cui sono al servizio, e sono costituiti da cellule viventi, come tutto il resto. Anche le loro cellule richiedono un nutrimento regolare per conservare l'integrità, e sono anch'esse a rischio di malattia e di morte, come qualsiasi altra cellula del corpo.

L'ordine in cui sono comparsi organi, sistemi e funzioni negli organismi viventi è decisivo per capire come alcune di quelle funzioni sono comparse e diventate operanti. La cosa è particolarmente evidente nel bisogno di considerare le precedenze di parti e di funzioni nella storia dei sistemi nervosi, in particolare del sistema nervoso umano e dei suoi straordinari prodotti, vale a dire la mente e la cultura. Esiste un ordine nella comparsa delle cose, e la sua maggiore o minore stranezza dipende dal punto da cui lo si guarda.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 87

5
L'ORIGINE DELLA MENTE





LA TRANSIZIONE EPOCALE



Come avviene il passaggio dalla vita ingannevolmente semplice di quasi quattro miliardi di anni fa a quella degli ultimi cinquantamila anni - anno più anno meno -, la vita in cui albergano le menti culturali umane? Che cosa possiamo dire della traiettoria e degli strumenti di cui si è avvalsa? Dire che la selezione naturale e la genetica sono essenziali per la trasformazione è senz'altro vero. Ma non basta. È necessario riconoscere la presenza dell'imperativo omeostatico - che sia messo o meno a frutto - come un fattore delle pressioni selettive. Dobbiamo riconoscere che non è esistita una singola linea evolutiva, né una progressione semplice di complessità e di efficienza degli organismi; che vi furono alti e bassi, e perfino estinzioni. Dobbiamo rilevare che fu necessaria una collaborazione tra sistemi nervosi e corpi per generare le menti umane, e che le menti si sono manifestate in organismi non già isolati, ma che facevano parte di un contesto sociale. Infine, dobbiamo rilevare che le menti sono state arricchite dai sentimenti e dalla soggettività; dalla memoria basata su immagini; e dalla capacità di concatenare immagini in narrazioni che nacquero probabilmente come sequenze non verbali, filmiche; narrazioni che, tuttavia, nel tempo, dopo la comparsa delle lingue verbali, hanno combinato elementi verbali e non verbali. L'arricchimento avrebbe incluso la capacità di inventare e di produrre creazioni intelligenti, un processo che mi piace chiamare «intelligenza creativa», che è un gradino più su dell'abilità che permise a numerosi organismi viventi, inclusi noi esseri umani, di comportarsi in modo efficiente, rapido ed efficace nella vita quotidiana. L'intelligenza creativa fu il mezzo con il quale le immagini mentali e i comportamenti furono combinati intenzionalmente per offrire nuove soluzioni ai problemi che gli esseri umani avevano identificato, e per costruire nuovi mondi alle opportunità immaginate dall'uomo.

Affronterò tali questioni in questo capitolo e nei quattro successivi, iniziando dalle origini e dalla formazione delle menti, per terminare con gli elementi mentali che permisero, originariamente, l'intelligenza creativa, vale a dire il sentimento e la soggettività. Mi propongo qui non tanto di trattare in modo esauriente la psicologia e la biologia di tali abilità, quanto di delinearne la natura e di riconoscerne il ruolo di strumenti della mente culturale umana.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 185

UNA DIGRESSIONE
SUL «PROBLEMA DIFFICILE» DELLA COSCIENZA



Il filosofo David Chalmers , mettendo a fuoco l'indagine della coscienza, ha individuato due problemi negli studi sull'argomento. In pratica, entrambi i problemi riguardano la stessa questione: capire in che modo il materiale organico del sistema nervoso genera la coscienza. Il primo dei due, detto il «problema facile», riguarda i meccanismi complessi ma intelligibili che permettono al cervello di costruire immagini, nonché gli strumenti - come la memoria, il linguaggio, il ragionamento e il processo decisionale - con cui queste immagini possono essere manipolate. Chalmers pensa che l'ingegno umano e il tempo verranno a capo di tale problema. Penso che abbia ragione. Saggiamente, egli non crede che la costruzione di mappe o di immagini costituisca un problema.

Il «problema difficile» identificato dal filosofo è capire come e perché le componenti «facili» della nostra attività mentale siano diventate coscienti. Nelle sue parole: «Per quale ragione l'esecuzione di queste funzioni mentali [le funzioni descritte nell'enunciato del problema facile] è accompagnata da esperienza?». Il problema difficile riguarda dunque la questione dell'esperienza mentale e del modo in cui può essere costruita. Quando sono cosciente di un particolare percetto - la presenza di una persona (voi che leggete queste righe, per esempio) o l'immagine di un dipinto con la sua forma, i suoi colori e la profondità che fa venire in mente -, io so automaticamente che queste immagini sono mie, che appartengono a me e a nessun altro. Come dicevamo, questo aspetto dell'esperienza mentale è conosciuto come soggettività. Ma il semplice parlare di soggettività non basta a evocare gli ingredienti funzionali con i quali ho appena proposto di costruirla. Mi riferisco alla qualità dell'esperienza mentale - il sentire generale - e alla collocazione del sentire generale nella struttura prospettica dell'organismo.

Chalmers vuole anche sapere perché l'esperienza è «accompagnata» da sentimenti. Qual è la ragion d'essere dei sentimenti che accompagnano la coscienza delle informazioni sensoriali?

Nella spiegazione da me proposta, l'esperienza stessa è in parte generata dai sentimenti, e quindi non è realmente una questione di «accompagnamento». In organismi come i nostri, i sentimenti sono l'esito di operazioni necessarie per l'omeostasi. Sono parte integrante del processo, fatti della stessa stoffa di altri aspetti della mente. L'imperativo omeostatico che pervase l'organizzazione degli organismi primitivi ha prodotto la selezione di programmi, di vie chimiche e di azioni specifiche che hanno garantito la conservazione dell'integrità dell'organismo. Quando comparvero organismi con un sistema nervoso e con la capacità di creare immagini, il cervello e il corpo cooperarono per creare immagini multidimensionali di questi programmi complessi, composti da più tappe. E ciò diede origine ai sentimenti. I sentimenti erano i traduttori mentali dei vantaggi omeostatici dati dalla presenza di programmi chimici e programmi di azione a fronte di oggetti (e loro componenti) e situazioni differenti. Essi permisero alla mente di conoscere lo stato dell'omeostasi, e aggiunsero quindi un nuovo livello di preziose opzioni regolative. I sentimenti costituivano un vantaggio decisivo che la natura non avrebbe mancato di selezionare e di usare come accompagnamento costante dei processi mentali. La risposta alla domanda di Chalmers è che gli stati mentali danno naturalmente la sensazione di qualcosa perché è vantaggioso per gli organismi avere stati mentali caratterizzati dai sentimenti. Solo allora gli stati mentali assistono l'organismo nel produrre i comportamenti omeostaticamente più compatibili. In effetti, organismi complessi come il nostro non sopravvivrebbero in assenza di sentimenti. La selezione naturale ha fatto in modo che essi diventassero un tratto permanente degli stati mentali. Per ulteriori dettagli su come la vita e i sistemi nervosi hanno prodotto gli stati del sentire il lettore può fare riferimento ai capitoli precedenti, avendo ben presente che i sentimenti sono scaturiti da una serie di processi graduali, relativi al corpo, a partire dal basso: da semplici fenomeni chimici e di azione che si sono accumulati e si sono conservati nell'evoluzione.

I sentimenti hanno cambiato l'evoluzione di creature basate sulla chimica del carbonio, quali noi siamo. Ma il pieno impatto del sentimento avvenne a uno stadio successivo, quando le esperienze dei sentimenti furono inserite e comprese nella prospettiva più ampia del soggetto e divennero importanti per l'individuo. Solo a quel punto essi iniziarono a influenzare l'immaginazione, il ragionamento e l'intelligenza creativa. Accadde soltanto quando l'esperienza del sentimento, altrimenti isolata, fu collocata all'interno di una mente costruita su immagini.

Il problema difficile parte da una constatazione: se la mente nasce dal tessuto organico, potrebbe essere complicato, se non impossibile, spiegare come sono generate le esperienze mentali - gli stati mentali sentiti. Suggerisco qui che l'intreccio tra punto di vista prospettico e sentimenti dia una spiegazione plausibile dell'origine delle esperienze mentali.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 193

Come si collega lo stato dell'omeostasi alla creazione di uno strumento culturale atto a correggere un deficit omeostatico? Come suggerivo, il ponte è costituito dal sentire, l'espressione mentale dello stato omeostatico. I sentimenti rappresentano alla mente lo stato omeostatico prevalente del momento e possono talvolta provocare un cambiamento radicale dell'equilibrio. È per questa ragione che stimolano l'intelligenza creativa. Quest'ultima è un altro anello della catena e ha il compito della costruzione effettiva delle pratiche e degli strumenti culturali.




L'OMEOSTASI
E LE ORIGINI BIOLOGICHE DELLA CULTURA



Nei primi capitoli del libro ho scritto che diversi e importanti aspetti delle risposte culturali umane furono prefigurati nel comportamento di organismi viventi più semplici di noi. Ma i comportamenti sociali, incredibilmente efficaci, di quegli organismi non furono inventati da intelletti formidabili, né motivati da sentimenti simili ai nostri. Scaturirono invece dal modo straordinario e naturale in cui il processo vitale affronta l'imperativo omeostatico, il campione cieco di comportamenti individuali e sociali vantaggiosi. La mia interpretazione delle origini biologiche della mente culturale umana è che l'omeostasi sia la responsabile della comparsa di strategie comportamentali e di dispositivi atti a garantire la conservazione della vita e la sua fioritura sia negli organismi semplici sia in quelli complessi, compresi gli esseri umani. Negli organismi primitivi, l'omeostasi ha generato i precursori dei sentimenti e della prospettiva soggettiva in assenza di processi mentali. Non c'erano né i sentimenti né la soggettività; solo i meccanismi necessari e sufficienti per regolare la vita prima che si sviluppassero un sistema nervoso e una mente.

Tutti questi meccanismi si basavano - nei precursori del sistema endocrino e di quello immunitario - su molecole chimiche e su programmi di azione. La maggior parte di essi si sono ben conservati fino a oggi, e li conosciamo come comportamenti emotivi.

Negli organismi successivi, la comparsa dei sistemi nervosi rese possibile il sorgere della mente e, al suo interno, dei sentimenti e delle immagini che rappresentavano il mondo esterno e le sue relazioni con l'organismo. Queste immagini erano sottese dalla soggettività, dalla memoria, dal ragionamento, e infine dal linguaggio verbale e dall'intelligenza creativa. Gli strumenti e le pratiche che costituiscono, nell'accezione tradizionale, le culture e le civiltà sarebbero comparsi in seguito.

L'omeostasi ha consentito la sopravvivenza e la crescita degli individui e ha contribuito a creare le condizioni propizie alla loro permanenza e alla loro riproduzione. Nel corso dell'evoluzione, la pletora di strategie disponibili si è poco a poco ridotta: solo le più efficaci sono state selezionate e sono state trasmesse geneticamente di generazione in generazione. Negli organismi più semplici la selezione è stata la conseguenza di scelte generate naturalmente da processi di autorganizzazione autonoma. Negli organismi complessi la selezione è diventata poco a poco culturale: è stata la conseguenza di scelte prodotte da invenzioni individuali. Il livello di complessità era cambiato, ma gli obiettivi taciti dell'omeostasi - la sopravvivenza, la crescita e la possibilità di riprodursi - erano rimasti immutati. Questo spiega perché le pratiche e gli strumenti che, per qualche verso, esprimono caratteristiche «socioculturali» sono comparsi molto presto e più di una volta nell'evoluzione.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 212

OBIEZIONI



Possiamo tentare di confutare la mia ipotesi generale passando in rassegna le situazioni che la contraddicono, e decidere se le contraddizioni sono reali o invece apparenti. Come possiamo, per esempio, definire omeostatiche le credenze religiose quando la religione stessa può causare tanta sofferenza? E che dire delle pratiche culturali che danno luogo all'automutilazione o a un aumento di peso esorbitante?

Merita soffermarsi sulla questione religiosa. L'effetto omeostatico positivo della fede può essere accertato individualmente; la fede può ridurre o eliminare la sofferenza e la disperazione, per fare spazio a benessere e a speranza in vario grado. Si tratta di un fatto verificabile fisiologicarnente. Si può ugualmente constatare alla scala delle popolazioni, perché i credenti (di varie confessioni) occupano gran parte del pianeta e il loro numero è stabile, o addirittura in crescita - segno di una forte selezione culturale. Questa ipotesi non tiene conto delle caratteristiche, della struttura interna o delle conseguenze esterne delle varie credenze, ma si accontenta di sottolineare che le disgrazie individuali o collettive e la perturbazione omeostatica causata dalle sofferenze possono essere mitigate da talune risposte culturali legate alle credenze religiose. Il fatto che le religioni possano anch'esse provocare sofferenze non contraddice questa ipotesi. Le credenze religiose, inoltre, generano altri notevoli vantaggi, come l'appartenenza a un gruppo, una cosa di cui sono evidenti le conseguenze omeostatiche positive. Lo stesso vale per la musica, l'architettura e l'arte direttamente collegate alle credenze religiose e alle relative organizzazioni. La mia tesi è che i sentimenti abbiano avuto un ruolo di arbitri, e contribuito alla persistenza di queste idee perché esse racchiudevano innumerevoli vantaggi omeostatici. La selezione culturale ha assicurato l'adozione delle relative idee e istituzioni.

Certi strumenti culturali possono, in realtà, peggiorare la regolazione omeostatica o essere addirittura la causa primaria della mancata regolazione. Un esempio evidente deriva dall'adozione di sistemi di gestione politica ed economica concepiti in origine per rispondere costruttivamente a una diffusa sofferenza sociale, ma che hanno poi generato catastrofi umane. È proprio quanto ha fatto il comunismo. L'obiettivo omeostatico di questa ideologia è innegabile ed è conforme all'ipotesi da me proposta. Le conseguenze a breve e a lungo termine dei sistemi comunisti sono state ben diverse, e talvolta hanno prodotto più miseria e morti violente delle guerre mondiali che fiancheggiarono la disseminazione di questi sistemi. È un caso paradossale in cui il rifiuto dell'ingiustizia - un processo in teoria favorevole all'omeostasi - genera involontariamente più ingiustizia e riduce l'omeostasi. Ma la mia ipotesi generale non implica affatto il successo dell'ispirazione omeostatica. Il successo dipende, innanzitutto, dalla qualità della risposta omeostatica concepita, dalle circostanze cui è applicata e dalle caratteristiche della sua applicazione concreta. La mia ipotesi dice solo che il successo della risposta è sotto il controllo dello stesso sistema che è responsabile della sua motivazione, ovvero il sentimento.

Si può sostenere che l'infelicità e la sofferenza prodotte da tali sistemi sociali ne causarono la rovina. Come mai, allora, sono durati così a lungo prima di eclissarsi? A prima vista, l'adozione o il rifiuto di risposte culturali dipende dalla selezione culturale. Idealmente, le conseguenze delle risposte culturali sono controllate dai sentimenti, soppesate dalla collettività e giudicate utili o dannose da una trattativa tra ragione e sentimento. Ma una selezione culturale effettivamente benefica prevede condizioni che in pratica non sempre sono disponibili. Per esempio, nel rapporto tra sistemi di governo e sistemi morali, essa prevede libertà democratiche, affinché l'adozione o il rifiuto di una risposta non siano imposti con la forza. Prevede anche una sorta di parità di condizioni in termini di conoscenza, di ragionamento e di discernimento. In diversi regimi comunisti e fascisti, la selezione culturale ha dovuto attendere il suo momento. E ancora lo attende.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 214

IL PUNTO DELLA SITUAZIONE



Possiamo azzardare che le vere culture, per come le consideriamo noi oggi, ebbero discretamente inizio nella vita semplice, unicellulare, sotto forma di un comportamento sociale efficiente guidato dall'imperativo dell'omeostasi. Le culture degne di questo nome non emersero che miliardi di anni dopo in organismi umani complessi animati da menti culturali, ossia da menti curiose e creative, che operano ancora alla luce dello stesso potente imperativo omeostatico. Nel tempo intercorso tra le precoci prefigurazioni degli organismi unicellulari e il tardo fiorire delle menti culturali, è sopraggiunta una serie di sviluppi che possono essere retrospettivamente considerati compatibili con i criteri dell'omeostasi.

Per prima cosa, la mente doveva essere in grado di rappresentare sotto forma di immagini due insiemi distinti di dati: il mondo esterno al singolo organismo, dove gli altri membri del tessuto sociale spiccano e interagiscono, e lo stato interno dell'organismo, che viene percepito tramite i sentimenti. Questa capacità attinge a un'innovazione dei sistemi nervosi centrali: la possibilità di creare, nei circuiti neurali, mappe di oggetti e di eventi situati al di fuori dei circuiti stessi. Tali mappe riproducono le «somiglianze» di quegli oggetti ed eventi.

Come seconda cosa, la singola mente dovette creare un punto di vista mentale per l'intero organismo relativamente a quei due insiemi di rappresentazioni: le rappresentazioni interne dell'organismo e quelle del mondo intorno ad esso. Questa prospettiva è formata da immagini dell'organismo in atto di percepire sé stesso e l'ambiente circostante, e riguarda la struttura complessiva dell'organismo. Si tratta di un ingrediente cruciale della soggettività che è, a mio avviso, la componente decisiva della coscienza. La creazione delle culture, che richiede intenzioni sociali e collettive, sarebbe inconcepibile senza la presenza di molteplici soggettività individuali che operano innanzitutto per il proprio interesse; e che alla fine, quando la cerchia d'interessi si allarga, promuovono il bene della collettività.

Come terza cosa, quando la mente ebbe inizio, ma prima che diventasse la mente culturale che conosciamo oggi, fu necessario arricchirla aggiungendo nuove potenti cratteristiche. Tra esse, una funzione di memoria, basata su immagini, capace di apprendere, di rievocare e di mettere in relazione tra loro singoli fatti ed episodi; una seconda era l'espansione dell'immaginazione, del ragionamento e del pensiero simbolico, che rendeva possibile creare anche narrazioni non verbali; e una terza era la capacità di tradurre immagini e simboli non verbali in linguaggi codificati. Quest'ultima capacità spianò la strada a uno strumento decisivo nella costruzione delle culture: una linea parallela di narrazioni verbali. Alfabeti e grammatiche furono gli strumenti «genetici» di quest'ultima evoluzione, portatrice di nuove possibilità. L'invenzione della scrittura fu il coronamento dell'intelligenza creativa, che ora poteva venire spinta dal sentimento a rispondere alle sfide e a cogliere le possibilità dell'omeostasi.

Come quarta cosa c'è da sottolineare il carattere cruciale di uno strumento meno conosciuto della mente culturale: il gioco, vale a dire il desiderio di dedicarsi ad attività apparentemente inutili, come muovere qua e là oggetti del mondo circostante (veri o sostituiti da giocattoli); muovere fisicamente noi stessi in quel mondo, come nella danza o nel suonare uno strumento; o muovere immagini mentali, reali o inventate. L'immaginazione svolge qui un ruolo centrale, certo, ma questo termine non coglie pienamente la spontaneità, la ricchezza e la portata del GIOCO, per usare il maiuscolo preferito da Jaak Panksepp quando parla di questa funzione. Pensate al gioco quando riflettete su che cosa è possibile realizzare con l'infinità di suoni, colori, forme, pezzi di Meccano o di Lego, o con i videogiochi; o sugli innumerevoli modi in cui si possono combinare insieme i suoni o i significati delle parole; o quando vi preparate a vivere una nuova esperienza o siete in bilico tra varie opzioni, in relazione a un vostro progetto.

Come quinta cosa, va messa in conto la capacità (particolarmente sviluppata nell'uomo) di lavorare in modo cooperativo con i suoi simili per raggiungere un obiettivo palese e condiviso. La cooperatività si fonda su un'altra capacità umana molto sviluppata: l'attenzione condivisa, un fenomeno cui Michael Tomasello ha dedicato studi pionieristici. Il gioco e la cooperazione sono attività che, indipendentemente dai rispettivi risultati, favoriscono in sé l'omeostasi. Ricompensano i «giocatori/cooperatori» con una marea di sentimenti gradevoli.

Come sesta cosa, le risposte culturali iniziano nelle rappresentazioni mentali, ma si manifestano attraverso i movimenti. Questi ultimi sono profondamente immersi nel processo culturale. E a partire da movimenti interni al nostro organismo, e dalle emozioni che sono loro legate, che noi costruiamo i sentimenti che motivano le azioni culturali. Queste nascono spesso da movimenti legati alle emozioni: delle mani, assai evidenti; dell'apparato vocale, della muscolatura facciale (cruciale nel favorire la comunicazione) o dell'intero corpo.

Come ultima cosa, il cammino che dagli inizi della vita ha portato alle soglie dello sviluppo e della trasmissione culturale fu possibile solo grazie a un'altra evoluzione trainata dall'omeostasi: la macchina genetica, che ha uniformato la regolazione della vita dentro le cellule e ne ha permesso la trasmissione a nuove generazioni.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 229

LA DESCRIZIONE ALGORITMICA DELLA NATURA UMANA



Uno dei maggiori sviluppi nella scienza del ventesimo secolo è la scoperta che la formazione delle strutture fisiche, come la comunicazione delle informazioni, dipende da algoritmi che fanno uso di codici. Mediante un alfabeto di acidi nucleici, il codice genetico permette agli organismi viventi di fissare a grandi linee le caratteristiche fondamentali di altri organismi e di guidarne lo sviluppo. Allo stesso modo, i linguaggi verbali forniscono un alfabeto (col quale possiamo comporre innumerevoli parole che identificano innumerevoli oggetti, azioni, relazioni ed eventi) e regole grammaticali che ordinano la sequenza delle parole. E così costruiamo frasi e storie che narrano il corso degli eventi o possono chiarire i concetti. A questo stadio dell'evoluzione, molti aspetti della formazione di organismi naturali e della comunicazione dipendono da algoritmi e da codici, come del resto molti aspetti della computazione, dell'intelligenza artificiale e della robotica nel loro complesso. Questo fatto, però, ha originato l'idea radicale che gli organismi naturali non siano nient'altro che algoritmi.

I ricercatori che lavorano nel campo dell'intelligenza artificiale, della biologia e perfino delle neuroscienze sono come inebriati da questa idea. È ormai possibile affermare, senza darne alcuna giustificazione, che i nostri organismi - i corpi come i cervelli - sono algoritmi. Tutto questo farebbe parte di una pretesa «singolarità», resa possibile dal fatto che noi possiamo comporre algoritmi in maniera artificiale, collegarli ai loro equivalenti naturali e creare, per così dire, delle mescolanze. Secondo questa concezione, la singolarità non è soltanto vicina: è già tra noi.

Questa terminologia e queste teorie fanno parte di una tendenza culturale che ha guadagnato terreno nei circoli scientifici e tecnologici, ma non sono scientificamente fondate. E quanto all'uomo, non colgono nel segno.

Sostenere che gli organismi viventi sono algoritmi è a dir poco fuorviante, e a rigor di termini falso. Gli algoritmi sono formule, ricette, enumerazioni di passi nella costruzione di un particolare risultato. Gli organismi viventi, inclusi gli esseri umani, sono costruiti secondo algoritmi e li usano per far funzionare le loro macchine genetiche, ma non sono essi stessi algoritmi. Gli organismi viventi sono conseguenze dell'impiego di algoritmi e presentano proprietà che potrebbero, o meno, essere state specificate negli algoritmi che hanno presieduto alla loro costruzione. Ma più importante ancora è che gli organismi viventi sono insiemi di tessuti, organi e sistemi entro cui ogni cellula componente è un'entità vivente vulnerabile, fatta di proteine, lipidi e zuccheri. Non sono linee di codice di un linguaggio di programmazione ma materia palpabile.

L'idea che gli organismi viventi siano algoritmi contribuisce a perpetuare la falsa idea che il substrato utilizzato nella costruzione di un organismo, sia esso vivente o artificiale, abbia scarsa importanza. Implicitamente si dice che ha scarsa importanza su quale substrato opera l'algoritmo, o in quali circostanze si svolge questa attività. Dietro l'uso corrente del termine «algoritmo» sembra in agguato l'idea di una indipendenza dal contesto e dal substrato - anche se il termine in sé non ha (né dovrebbe avere) tali implicazioni.

Secondo l'uso attuale, applicare lo stesso algoritmo a substrati differenti e in nuovi contesti produrrebbe presumibilmente risultati simili. Eppure non vi è ragione per cui dovrebbe essere così. Il substrato conta, eccome. Quello della nostra vita è una organizzazione chimica unica nel suo genere, soggetta alla termodinamica e all'imperativo omeostatico. Per quanto ne sappiamo, questo substrato è essenziale per spiegare chi siamo. Perché? Proverò a delineare tre ragioni.

[...]

Riassumendo, il substrato è importante perché il processo mentale cui ci riferiamo ne costituisce una interpretazione mentale. La fenomenologia conta.

Oggi è sicuramente possibile progettare organismi artificiali che funzionino in maniera intelligente; alcuni di essi sono addirittura superiori, per intelligenza, agli esseri umani. Le prove in tal senso sono innumerevoli. Ma non c'è alcuna prova che tali organismi artificiali, progettati al solo scopo di essere intelligenti, generino sentimenti per il semplice fatto che stanno comportandosi in modo intelligente. I sentimenti naturali sono comparsi nel corso dell'evoluzione, e si sono conservati perché i loro contributi si sono rivelati di vitale importanza per la sopravvivenza degli organismi abbastanza fortunati da possederli.

Un aspetto curioso è che i processi puramente intellettuali si prestano bene a una descrizione algoritmica e non sembrano dipendere dal substrato. Per questa ragione i programmi d'intelligenza artificiale ben congegnati possono battere campioni di scacchi, eccellono nel gioco del go e guidano senza problemi automobili. Tuttavia nulla indica che i soli processi intellettuali costituiscano la base di ciò che ci distingue in quanto esseri umani. Al contrario, i processi intellettuali e quelli dei sentimenti devono essere interconnessi nella loro funzione per generare qualcosa che assomigli al funzionamento degli organismi viventi, e in particolare degli esseri umani. È essenziale qui rievocare la fondamentale distinzione - discussa nella seconda parte - tra processi emotivi, ovvero programmi d'azione relativi agli affetti, e sentimenti, ovvero le esperienze mentali degli stati dell'organismo (compresi quelli generati dalle emozioni).

Perché questa distinzione è così importante? Perché i valori morali scaturiscono da processi di ricompensa e punizione attuati da processi chimici, viscerali e neurali in creature che hanno una mente. I processi di ricompensa e punizione generano nient'altro che sentimenti di piacere e di dolore. I valori che le nostre culture celebrano sotto forma di opere d'arte, credenze religiose, sistemi di giustizia e buon governo sono stati plasmati sulla base dei sentimenti. Se eliminassimo l'attuale substrato chimico della sofferenza e del suo contrario, il piacere e il benessere, elimineremmo il fondamento naturale dei nostri sistemi morali.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 235

[...] Il mio messaggio è però più semplice. Propagandare visioni dell'umanità che sembrano sminuire la sua dignità - intenzionalmente o meno - non fa avanzare la causa dell'uomo.

Farla progredire non è certo nell'agenda di chi crede che siamo in procinto di entrare in una fase «post-umanista» della nostra storia, nella quale buona parte degli esseri umani saranno inutili per la società. Nel futuro immaginato da Yuval Harari , gli esseri umani non saranno più necessari per combattere guerre - la guerra cibernetica può farlo per loro - e molti resteranno senza lavoro a causa dell'automazione; dopodiché semplicemente spariranno. La storia apparterrà a quanti rimarranno in vita perché si sono procurati l'immortalità - o perlomeno una vita molto lunga - e potranno beneficiare ulteriormente di questo stato di cose.

Ho detto «beneficiare», e non «godere», perché immagino che lo stato dei loro sentimenti sarà nebuloso. Il filosofo Nick Bostrom offre una visione alternativa; in essa robot molto intelligenti e distruttivi prenderanno possesso del mondo e porranno fine all'infelicità umana. In entrambi i casi, la vita e la mente dipenderanno in futuro almeno in parte da «algoritmi elettronici» che simulano artificialmente quello che «algoritmi biochimici» già fanno. Inoltre, nella prospettiva di questi autori, la scoperta che la vita umana è essenzialmente paragonabile a quella di ogni altra specie vivente indebolisce il programma tradizionale dell'umanismo: l'idea che gli esseri umani siano eccezionali e si distinguano dalle altre specie. Questa sembra la conclusione di Harari, e se le cose stanno così è certamente sbagliata. Gli esseri umani condividono numerosi aspetti del processo vitale con le altre specie; ma per molti versi sono effettivamente diversi. Le nostre sofferenze e le nostre gioie sono più complesse di quelle delle altre specie, perché i sentimenti finiscono per colorare i nostri ricordi e la nostra rievocazione di anticipazioni del futuro. Ma forse Harari vuole semplicemente terrorizzarci con la sua favola dell' Homo Deus e si augura che facciamo qualcosa prima che sia troppo tardi. In quel caso, siamo d'accordo, e la sua speranza è anche la mia.

Disapprovo queste visioni distopiche per un altro aspetto: sono infinitamente sbiadite e noiose. Quale regresso rispetto alla distopia del Mondo nuovo di Aldous Huxley , con la sua accettazione della vita piacevole. Le nuove visioni ricordano piuttosto l'esistenza ripetitiva e tediosa dei personaggi dell' Angelo sterminatore di Luis Buñuel. Prediligo ben più i pericoli e le astuzie di Intrigo internazionale di Alfred Hitchcock: Cary Grant se la cava sempre, mette nel sacco il malvagio James Mason e conquista Eva Marie Saint.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 253

Solo una mediazione particolarmente ambiziosa e illuminata tra affetto e ragione potrebbe avere successo. Ma il successo sarà garabtito se mai sarà intrapreso uno sforzo così straordinario? Non credo. Esistono altre fonti di disarmonia, oltre al problema di conciliare gli interessi individuali e quelli di gruppi piccoli e grandi. Mi riferisco ai conflitti che nascono all'interno di ciascuno di noi, allo scontro tra impulsi positivi e amorevoli e impulsi negativi e distruttivi (o autodistruttivi). Negli ultimi anni di vita, Sigmund Freud fu testimone della barbarie nazista, a conferma dei suoi dubbi che la cultura mai avrebbe domato la nefasta pulsione di morte che, lui credeva, alligna in ciascuno di noi. Già in precedenza, Freud aveva esposto le sue teorie nella raccolta di saggi Il disagio della civiltà (pubblicata nel 1930 e riveduta nel 1931), ma è nella corrispondenza con Albert Einstein che il suo pensiero è espresso nella maniera più chiara. Einstein scrisse a Freud nel 1932 per chiedergli un parere su come prevenire la conflagrazione mortale che lui vedeva alle porte, sulla scia della prima guerra mondiale. Nella sua risposta Freud descrisse la condizione umana con impietosa chiarezza e si rammaricò con l'illustre fisico di non essere in grado, data la natura delle forze in campo, di dare buoni consigli, e nemmeno aiuti o soluzioni. La ragione del suo pessimismo, va osservato, erano difetti intrinseci alla natura umana. Freud non dava la colpa alle culture né a gruppi specifici, bensì all'essere umano.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 267

13
LO STRANO ORDINE DELLE COSE



Il titolo di questo libro è stato suggerito da due constatazioni. La prima è che già cento milioni di anni fa alcune specie d'insetti svilupparono un complesso di comportamenti, di pratiche e di strumenti sociali che si possono correttamente chiamare culturali, quando li confrontiamo con gli equivalenti umani. La seconda è che, ancora più indietro nel tempo, diversi miliardi di anni fa verosimilmente, alcuni organismi unicellulari esibivano comportamenti sociali i cui schemi si conformano ad aspetti dei comportamenti socioculturali umani. Queste costatazioni contraddicono certamente un'idea diffusa: che una cosa così complessa come un comportamento sociale che consente di migliorare la gestione della vita sarebbe potuta scaturire solo dalla mente di organismi evoluti: non necessariamente umani, ma sufficientemente complessi e abbastanza prossimi agli esseri umani per generare la giusta complessità. I tratti sociali cui mi riferisco comparvero però molto presto nella storia della vita, abbondano nella biosfera, e non dovettero aspettare nulla di umano per comparire sulla Terra. Quest'ordine è davvero strano, inatteso perlomeno.

Uno sguardo più attento rivela dettagli sorprendenti dietro questi fatti curiosi, come ad esempio i comportamenti cooperativi coronati da successo, che di solito associamo, a ragion veduta, alla saggezza e alla maturità umana. Per comparire, tuttavia, le strategie cooperative non dovettero attendere menti sagge e mature. Esse sono probabilmente antiche quanto la vita, e mai furono esibite più magnificamente che nel patto di convenienza celebrato tra due batteri: un batterio invadente, arrivista, che voleva prendere il posto di un batterio più grande e affermato. La battaglia finì in pareggio, e il batterio invadente divenne un satellite cooperativo di quello affermato. Gli eucarioti, cellule con un nucleo e organuli complicati, come i mitocondri, sono nati probabilmente così: al tavolo delle trattative della vita.

I batteri di questa storia non hanno una mente, e ancor meno una mente saggia. Il batterio invasore agisce come se concludesse: «Se non posso batterlo, tanto vale allearsi». Dal canto suo, il batterio affermato agisce come se pensasse: «Posso anche accettare questo invasore, a patto che mi dia qualcosa in cambio». Ma è chiaro che nessuno dei due batteri ha pensato nulla: non era implicata nessuna riflessione mentale, nessuna palese valutazione di conoscenze precedenti, né alcuna scaltrezza, inganno, gentilezza, fair play, o mediazione diplomatica. L'equazione del problema è stata risolta alla cieca e internamente al processo, dal basso, come una scelta che, col senno di poi, ha funzionato per ambo le parti. La scelta efficace è stata plasmata dagli imperativi dell'omeostasi; e non fu magica, se non in senso poetico. Consisteva di vincoli fisici e chimici concreti applicati al processo della vita, dentro le cellule, e nelle loro relazioni fisico-chimiche con l'ambiente. Degno di nota è che a questa situazione è applicabile l'idea di algoritmo. La macchina genetica di organismi vincenti ha garantito che la strategia si conservasse nel repertorio di generazioni future. Se la scelta non avesse funzionato, sarebbe finita nel grande cimitero dell'evoluzione, e quel fatto non lo avremmo mai conosciuto.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 273

Queste riflessioni ci conducono a considerare un altro aspetto importante della mente, del sentimento e della coscienza. È però un aspetto sottile e passa facilmente inosservato. È legato all'idea che né le singole parti del sistema nervoso né il cervello nel suo insieme siano gli unici produttori e fornitori dei fenomeni mentali. È improbabile che i fenomeni neurali possano, da soli, fornire il retroterra funzionale per le innumerevoli attività della mente, e sicuramente ne sarebbero incapaci per tutto ciò che riguarda i sentimenti. È assolutamente indispensabile che i sistemi nervosi e le altre strutture di un organismo interagiscano in maniera stretta e reciproca. Strutture e processi neurali e non neurali non si accontentano di essere contigui, ma formano una partnership continua e interattiva. Essi non sono entità a sé stanti che si inviano segnali, come i microchip dei telefoni cellulari. Per dirla semplicemente, cervello e corpo sono nella stessa barca e insieme rendono possibile la mente.

| << |  <  |