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| << | < | > | >> |IndiceLa pietra di san Berlitz 5 La confusione dei testi 23 Testi originali? 24 Contraddizioni a non finire 26 Un dono del cielo 28 Eva e l'UFO 33 Nient'altro che leggende? 34 Baruffe in cielo 37 Lo zoo di Frankenstein 43 Una luce per l'arca 47 Il problema del diltivio 49 Principianti e progrediti 50 L'altro pensiero 52 Gli angeli affamati di sesso 56 Scienza e teologia 58 La scelta giusta 61 Selezionare sì, ma in modo corretto 65 Torna alla ribalta Enoch 68 Un testimone oculare racconta 70 Quando gli angeli si ribellano 71 Ascesa al cielo con inconvenienti 74 Incontro al vertice 77 Il ritorno degli dei 89 Apocalisse... ma quando? 91 Profeti dei tempi nostri 94 Credenti e non credenti 95 Gesù era davvero il Messia? 98 Un regno per Davide 100 Il Messia islamico 103 Sian lodate le stelle! 106 L'età dell'oro 109 Guerra stellare 110 La sapienza nell'antichità 112 Le cifre impossibili 114 Il karma è eterno 117 L'attesa del Superbuddha 122 Tattica di mimetizzazione psicologica 127 Semi dal cielo 130 Dèi di ieri... dèi di domani 134 Chi dovrà venire? 137 Addio, papà 139 Esegesi attraverso i secoli 145 Il rovesciamento dei valori 147 Una semina dà frutto 150 Il ritorno sotto altre fonne 153 Rapporto dell'osservatore Yaxlippo al suo pianeta di origine 157 La via della conoscenza 163 Il messaggio genetico 165 Macchine per gli uomini lucenti 169 Non di questo mondo 172 Passero giurassico 174 L'intelligenza artificiale 177 Non è chiaro? 180 Eppure è chiaro 184 Gli esseri umani marcati 188 Un cavallo di Troia 189 Ibridi del futuro 193 Un errore di programmazione? 195 SETI senza Europa 197 Accordo per la censura 201 Appendice sulle ultime ricerche La grande disillusione 205 « Colui che apre le vie » 213 La scoperta sensazionale viene messa a tacere 216 La sapienza degli antichi 219 Misurazioni sprecate 221 Come si scredita un uomo 225 L'errore erudito 229 Perdita di credibilità 237 Note 243 Fonti iconografiche 251 Indice analitico 253 Nota dell'Autore 261 |
| << | < | > | >> |Pagina 5Nell'abbazia di San Berlitz i ragazzi iniziavano il noviziato all'età di soli quindici anni. Quell'anno, per la precisione, i giovani aspiranti che dovevano partecipare alla cerimonia di iniziazione erano otto maschi e dieci femmine, e l'abate parlò con una certa preoccupazione di un'«annata poco propizia per le nascite». I giovani erano cresciuti per la maggior parte nell'abbazia e i loro genitori lavoravano nel territorio di San Berlitz; non c'erano solo monaci e monache, ma anche cercatori di bacche, cacciatori, artigiani di ogni sorta, oltre che levatrici e «operatori sanitari». Su tutti incombeva lo straordinario dovere di mettere al mondo il maggior numero possibile di esseri umani, facendoli crescere sani e forti. Dopo il «grande annientamento» esistevano solo pochi gruppi di esseri umani, anzi l'abate aveva addirittura il sospetto che i loro avi fossero gli unici sopravvissuti. Nessuno sapeva che cosa fosse accaduto allora, neppure il coltissirno abate e il suo «Consiglio dei saggi». Alcuni ritenevano che i loro avi avessero posseduto armi terribili che avevano usato per annientarsi a vicenda, ma questa tesi godeva di scarso favore presso il Consiglio dei saggi: era impossibile immaginare armi così terribili, tanto più che, secondo l'opinione dei dotti, gli uomini dell'era precedente erano stati molto felici ed erano vissuti in un mondo di abbondanza. Per quale motivo, dunque, avrebbero dovuto farsi la guerra? Era una spiegazione illogica e priva di senso, quindi nel Consiglio dei saggi era stata discussa la tesi che una misteriosa infezione avesse sterminato il genere umano. Anche quella teoria, però, era stata respinta perché contraddiceva le tradizioni della prima generazione di padri scampata al «grande annientamento».
Infatti i tre progenitori e le quattro progenitrici
avevano raccontato ai loro figli che la catastrofe si era
abbattuta sul genere umano in una pacifica serata estiva.
Quelle tradizioni inviolabili erano conservate nel sacro
Libro dei patriarchi,
scritto dai figli dei progenitori. Ogni giovane ospite
dell'abbazia di San Berlitz conosceva il
Canto del tramonto,
che l'abate cantava ogni anno nella triste «notte del
ricordo». Era l'unica testimonianza autografa di uno dei
progenitori che si fosse conservata.
«Io, Erich Skaja, nato il 12 luglio 1984 a Basilea, mi trovavo nell'Oberland bernese insieme con mia moglie e con i miei amici Ulrich Dopatka e Johannes Fiebag, accompagnati dalle loro mogli e dalla figlia Silvia, per fare una gita in montagna. «Visto che erano già passate le sei di sera, scendendo dal monte Jungfrau prendemmo una scorciatoia, imboccando il tunnel della funicolare. A quell'ora, a causa di lavori in corso sulla cima del monte Jungfrau, non c'erano più corse fino a valle. «Tutt'a un tratto il terreno sussultò, e caddero sui binari alcuni frammenti della volta di granito. Ci spaventammo a morte, e Jobannes, che era geologo, ci spinse al riparo in una nicchia nella parete di roccia. Poco dopo, quando già credevamo che la scossa fosse finita, si levò un rombo spaventoso. Il terreno sotto di noi sembrava tremare, accompagnato da tuoni terrificanti: anche se non avevamo sentito alcun temporale. Trenta metri più avanti, tutta la parete del tunnel si sbriciolò. Poi tutto ridivenne tranquillo. «Johannes pensava che si trattasse o dell'eruzione di un vulcano (fenomeno tuttavia molto improbabile in quella regione), o di un terremoto. Avremmo dovuto arrampicarci in fretta per raggiungere l'uscita superiore della galleria. «A pochi metri dafl'uscita, cominciò il rumore. Mi mancano le parole adatte per descrivere lo strepito della natura. Da principio il vento faceva turbinare neve e blocchi di ghiaccio, poi fu la volta di alberi interi, rocce e tetti di alberghi che sorgevano nella valle. Il frastuono raggiungeva un livello così assordante da sfondare i timpani, quale nessuno prima di noi aveva mai sperimentato. Il vento ululava e infuriava, strideva e mugghiava: tutto vorticava nell'aria, innalzandosi per un migliaio di metri e più prima di roteare come in un mulinello. Il terreno tremava, gli elementi rumoreggiavano, le pareti di granito si abbattevano l'una sull'altra come se fossero di cartone. Noi riuscimmo a scampare a quella tempesta spaventosa solo perché eravamo al riparo in un tunnel, con l'estremità inferiore bloccata. Sia lodato e ringraziato Dio Onnipotente! «Il fragore dei venti durò trentasette ore. Ormai eravamo privi di forze, sprofondati nell'apatia e abbracciati gli uni agli altri nella nicchia. Il nostro unico desiderio era che la montagna si abbattesse su di noi: nessuno può capire quello che abbiamo sofferto. «Poi fu la volta dell'acqua. In mezzo alle urla e allo strepito dei venti, riuscimmo a udire lo scroscio e i tuoni. Era come se l'immenso oceano si fosse svuotato. Enormi getti d'acqua gorgogliavano e ribollivano, sibilavano e ricadevano sulle pareti di roccia. Come nelle tempeste di mare, si formavano in continuazione onde alte come montagne, che si rovesciavano l'una sull'altra, scendevano rumoreggiando a valle, si raccoglievano in un gorgo enorme e travolgevano con la velocità di una trottola tutta la fauna radunata a fondovalle. Si aveva l'impressione che tutte le acque della terra fossero confluite insieme. Non avevamo più voglia di vivere e lasciammo libero sfogo alla paura gridando a perdifiato. «Per otto ore l'acqua continuò a scrosciare, poi i venti calarono, gli ululati scesero di intensità e tornò a regnare il silenzio. Sfiniti da quella tortura, ammutoliti per il dolore, ci guardammo negli occhi. Infine Johannes strisciò carponi verso il piccolo varco che ancora era rimasto aperto, allo sbocco della galleria verso l'alto. Sentendolo singhiozzare da spezzare il cuore, mi sforzai di raggiungerlo, e lo spettacolo mi lasciò ammutolito. I miei sentimenti più profondi furono travolti, e piansi, amaramente: il nostro mondo non esisteva più. «Le vette dei monti erano mozze, come se qualcuno le avesse smussate con una lima gigantesca. Non c'erano più né ghiaccio né neve, e tutta la vegetazione era scomparsa. Sotto un chiarore scialbo e bruniccio, le pareti di roccia umida scintillavano: il sole non si vedeva e in fondo alla valle, dove prima c'era la località climatica di Grindelwald, ora si stendeva un lago.
«Tutto questo accadde nell'anno 2016 dell'era cristiana.
Non possiamo sapere se siamo gli unici sopravvissuti al
'grande annientamento', e non sappiamo neppure che cosa sia
successo. Che Dio Onnipotente ci assista!»
Gli otto giovani e le dieci fanciulle intonarono con rispetto il Canto del tramonto, che l'abate Ulrich III aveva recitato con la sua voce sonora e potente. Dopo una breve pausa di riflessione, l'abate si rivolse ai novizi: «Ora entrate nella Sala dei ricordi e contemplate con reverenza le reliquie dei progenitori. Siete stati prescelti per venerare e comprendere queste reliquie, insieme con gli altri fratelli e sorelle». | << | < | > | >> |Pagina 23« Chi il pensier non sa attaccare, attacca il pensatore » Paul Valéry (1871-1945) Le tradizioni dell'umanità, frutto di compilazioni che risalgono ormai a migliaia di anni fa, rappresentano una miniera inesauribile di assurdità e stravaganze. Pullulano, per esempio, di storie di tipo fantastico, che sono classificate in parte come racconti mitologici, in parte come leggende, ma talvolta sono anche considerate «libri sacri», o «sacre scritture». Molte di queste storie fantasiose accampano pretese di assoluta veridicità, dal momento che, come si dice: «... sta scritto». Le versioni originali sarebbero state dettate da Dio in persona e, se non da lui, perlomeno da arcangeli, spiriti celesti, santi terrestri o uomini ispirati in senso gnostico. (Con il termine «gnosi» s'intende, nell'uso linguistico odierno, una filosofia, una concezione del mondo o una religione di tipo esoterico; la parola in sé deriva dal greco e significa «conoscenza».) È indiscutibile che questi testi contengano una quantità di idiozíe, o almeno di pii desideri. Per esempio, condottieri ammirati vengono trasfigurati e glorificati, sogni a occhi aperti trasformano castelli in aria in segni del cielo, oppure fatti della vita quotidiana come la morte vengono descritti come viaggi nell'oltretomba. Quel che è peggio, i nostri progenitori avidi di sapere, sorretti dalla vera fede e ansiosi di comprenderne il contenuto, hanno falsato i testi, seminandovi lo scompiglio. [...] Di fronte a questa insalata mista di commenti al materiale tramandato, sostengo che il tanto decantato metodo scientifico della ricerca, dell'analisi e del confronto non ci ha fatto fare molti passi avanti, nonostante i brillanti ingegni che vi si sono cimentati. Secoli di riflessioni e di profondo filosofeggiare non hanno prodotto alcuna risposta cogente, per non parlare poi di prove dell'esistenza di Dio, degli dèi, degli angeli o delle legioni celesti. La scienza dell' esegesi, ossia dell'interpretazione, è in grado di riempire biblioteche intere, ma non per questo ci aiuta a vedere meglio. Nella migliore delle ipotesi, i risultati corrispondono all'opinione dominante nella scuola in questione, e cambiano con i tempi: ieri era così, dopodomani sarà diverso. Non importa se le generazioni successive non sanno e non vogliono sapere che cosa ne pensava il nonno. | << | < | > | >> |Pagina 51Credo di poter dare per scontato il fatto che sono un sostenitore della teoria secondo la quale molti millenni fa gli extraterrestri avrebbero visitato la nostra terra, visto che su questo argomento ho scritto venti libri e ho girato una serie televisiva in venticinque puntate. Anche sul motivi e sulle modalità tecniche di questa visita mi sono soffermato in modo esauriente. Questa non è la sede adatta per riprendere il discorso, e tanto meno per riepilogare gli innumerevoli indizi archeologici che sono stati individuati in tutto il mondo.
Questa volta intendo esporre una vera e propria
filosofia, che ho battezzato «filosofia PALEO-SETI», dalla
radice del greco
palaios,
che significa «antico», e dal termine SETI,
Suche nach außerirdischer Intelligenz,
ossia ricerca di intelligenze extraterrestri. Si tratta
cioè di una concezione, che mette in evidenza il senso - o
l'insensatezza - delle concezioni religiose che si sono
affermate finora, aprendo la via a una nuova linea di
pensiero. Non si tratta affatto di una nuova religione o,
come sostengono con malignità i miei detrattori, di un
«surrogato di religione». Le religioni esigono fede, e
invece qui non c'è nulla da credere. Le religioni fanno
promesse, finanche oltre la morte, mentre io non prometto
nulla. Le religioni costruiscono chiese e templi, in cui
celebrare Dio e i suoi taumaturghi, che siano apostoli,
santi o profeti, mentre nella «filosofia PALEO-SETI» non
esistono né tempo né culto. Infine, le religioni impongono
determinate norme di comportamento, mentre non esiste nulla
di simile in me e nei miei sostenitori. E infine le
religioni incassano un obolo annuale. Miei cari lettori,
vi sentite spremuti finanziariamente per aver acquistato o
preso in prestito questo libro?
L'altro pensiero
Quando l'enorme astronave madre degli extraterrestri entrò nel nostro sistema solare, gli ET sapevano ben poco delle condizioni del terzo pianeta del Sole, a parte il fatto che questo pianeta azzurro era l'unico sul quale esistessero tutte le premesse della vita. Gli alieni scoprirono una gamma di forme di vita di ogni sorta, fra le quali i nostri primitivi antenati. Nonostante la loro stupidità, rappresentavano la forma di vita più progredita della terra, per cui gli extraterrestri ne prelevarono un esemplare per modificarlo sul piano genetico: dal punto di vista attuale, non è più un problema serio. | << | < | > | >> |Pagina 76Tutti questi avvenimenti - peccato originale, ascesa al cielo di Enoch, e anche il viaggio nello spazio di Abramo - non rientrano affatto nella rappresentazione di un «buon Dio». Perché mai un Dio onnipotente avrebbe dovuto pregare Abramo di venire a parlare con lui? Dio in fondo deve sapere che cosa pensa Abramo e qual è il suo spirito. Perché mai il buon Dio dovrebbe aver bisogno di un'astronave che si libra sulla terra girando intorno al proprio asse? Perché mai dovrebbe inviare due emissari a prendere Abramo? Perché mai dovrebbe avere bisogno di «cavalli di fuoco» per l'ascesa al cielo di Enoch?Le risposte sono sempre le stesse: con quel Dio, o Altissimo, descritto nei testi non si può mai identificare, a nessun titolo e per nessun motivo, il Creatore onnipotente che le religioni, e anch'io, veneriamo. Io trovo anzi oltraggioso nei confronti del vero Dio attribuirgli errori e atrocità di questo genere. Se invece mettiamo al posto di Dio o dell' Altissimo dei viaggiatori extraterrestri provenienti dallo spazio, tutti i loro comportamenti, gli errori e i paradossi diventano comprensibili. Tutt'a un tratto si capisce chi erano gli «angeli caduti» e perché soddisfecero i loro appetiti sessuali. Si comprendono i motivi del diluvio, si comprende il desiderio dell' Altissimo di avere contatti con alcuni individui e si capisce anche per quale motivo perirono tanti uomini che non vollero dare ascolto agli ammonimenti di Enoch. Diventa quindi comprensibile anche la paura degli esseri umani nei confronti del «giorno del giudizio», la paura latente del giudizio universale, poiché l' Altissimo aveva promesso di tornare. | << | < | > | >> |Pagina 77Il Santo padre, capo spirituale dei cattolici di tutta la terra e vescovo di Roma, fissò sconcertato lo sconosciuto che lo fronteggiava in silenzio, seduto dalla parte opposta della scrivania lucida come uno specchio. «Chi l'ha fatta entrare?» domandò con una nota di incertezza nella voce. «Nessuno», rispose lo sconosciuto, sicuro di sé, sollevando un angolo della bocca in un sorrisetto. «Lei mente», ribatté il Santo padre con insolita durezza, mentre la sua mano destra si spostava lentamente verso il pulsante dell'allarme. «Non desidera prima sapere che cosa ho da offrirle?» replicò lo sconosciuto sorridendo. I suoi occhi scurissimi emanavano uno sguardo di rara cortesia, ma nello stesso tempo capace di soggiogare. Il papa esitò. «Che cos'ha da offrire?» rispose infine, imponendosi di reagire con calma. Ora le sue dita erano posate sul pulsante dell'allarme, che potevano premere in un attimo. «La macchina del tempo», rispose l'altro, del tutto rilassato. Non lasciava trasparire la minima paura, anzi sembrava rasserenato. «Questa è davvero l'idea più stupida che potesse venirle in mente», constatò il papa, divertito. «Le macchine del tempo sono una trovata dei cervelli sovraffaticati.» E poi, dopo alcuni secondi di riflessione: «Certo, nelle Sacre Scritture sono descritti alcuni effetti di dislocamento temporale. C'è qualcosa nel libro del profeta Geremia e del suo giovane amico Abimelech, per esempio. Ma questi sono causati da Dio onnipotente. E comunque, dal mio punto di vista, lei non sembra un angelo». Guardò lo sconosciuto quasi con compassione. In effetti lo sconosciuto aveva un aspetto insolito: con la pelle nera, sui venticinque anni, alto un metro e novanta, aveva i capelli crespi e si sarebbe detto che fosse negro. Forse era originario del Senegal, perché la sua pelle lucente era scura come la fuliggine. L'effetto insolito era accentuato dall'abbigliamento, visto che portava scarpe nere, calze nere, una camicia nera e una giacca nera di buon taglio, dai risvolti larghi: insomma, uno studio in nero. Sul volto, che irradiava simpatia, i denti bianchi splendevano come una collana di perle esotiche. «Mi crederebbe», disse lo sconosciuto con un sorriso accattivante, «se mi dissolvessi nell'aria davanti ai suoi occhi e mi materializzassi di nuovo dopo quindici secondi?» Il Santo padre si lasciò sfuggire uno sbuffo; i dolori ai reni di cui soffriva si facevano sentire di nuovo. «Quindici secondi», ripeté in tono beffardo, «sono il massimo che le concedo.» Senza fretta, lo sconosciuto infilò la mano nella tasca sinistra della giacca, estraendo un oggetto piatto e lucente. Era non più grande di un portafoglio, ma sembrava fatto di ceramica o di metallo. «La macchina del tempo», spiegò lo sconosciuto con un sorriso conciliante. «Mi guardi con attenzione. Quando sarò scomparso, tenga d'occhio la lancetta dei secondi del suo orologio.» Poi premette sulla parte destra della fronte l'oggetto dalla lucentezza opaca... ed eccolo sparire. Il capo della Chiesa cattofica romana rimase tanto sbalordito che non pensò a guardare l'orologio da polso. Perplesso, si alzò, girando intorno alla sua enorme scrivania e guardando in tutti gli angoli dello studio. «Salve, eccomi di nuovo qui!» esclamò lo sconosciuto in tono cordiale, riponendo l'oggetto piatto nella tasca del gilet. Ora si trovava dietro la scrivania, proprio vicino alla sedia del Santo padre. Questi aveva appoggiato le mani sul piano della scrivania, respirando affannosamente e recitando sottovoce una preghiera in latino. «Questo è un trucco», sussurrò poi. «Lei mi ha ipnotizzato.» «Nicnte affatto!» ribatté lo sconosciuto, ridendo e scrollando la testa nera con aria di rimprovero. «In quanto capo della Chiesa, lei dovrà fare affidamento sul suo intelletto, anche se è ancora così debole.» Il papa cercò di rimettere ordine nei suoi pensieri. Se tutta la faccenda era un trucco, sotto poteva esserci soltanto lo zampino del diavolo... oppure lo sconosciuto poteva essere un messaggero, un angelo del buon Dio. In fondo gli angeli erano apparsi anche ad Abramo, al progenitore Noè e alla santa Vergine Maria. «Chi l'ha mandata? Viene da parte di Dio onnipotente o del suo Avversario?» «Io non sono né un angelo né un diavolo, ma un uomo come lei», rispose lo sconosciuto con voce pacata. «Vengo dal futuro.» | << | < | > | >> |Pagina 89Alla fine resta la constatazione che tutte le grandi religioni attendono un Messia, ma nessuno sa quando arriverà; in genere questo Messia viene messo in rapporto con le stelle, il firmamento e il grande giudizio finale sull'umanità. Dovrà essere accompagnato da schiere celesti, possedere una potenza straordinaria e sedere in trono nelle nuvole. È questo il nucleo della tradizione popolare, l'essenza della promessa antichissima: «Ritorneremo»? Per concretizzare queste riflessioni, finora vaghe, sono necessarie ulteriori tradizioni, più antiche di quelle del Corano o dell'Apocalisse cristiana: testi di ambito culturale diverso da quelli finora presi in considerazione. La parola «Avesta» deriva dal persiano medio e significa «Testo base», ovvero «Insegnamento». L' Avesta contiene tutti i testi religiosi dei parsi, ossia gli attuali seguaci di Zarathustra, o Zoroastro. Anche Zoroastro sarebbe stato concepito «senza peccato»: secondo la tradizione, una montagna, inondata di luce divina, sarebbe precipitata dal cielo. Dalla montagna uscì un bambino che piantò l'embrione di Zoroastro nel ventre della madre. Poiché la loro religione era più antica di quella musulmana, i parsi rifiutarono di accettare come libro sacro il Corano, e si trasferirono in Iran e in India. Anche se la loro lingua, il gujarati, è uno degli idiomi neo-indiani, essi continuano a celebrare le funzioni religiose nel linguaggio sacrale dell' Avesta, come avviene per il latino ecclesiastico nella Chiesa cattolica. | << | < | > | >> |Pagina 127Tattica di mimetizzazione psicologicaIn questa concentrazione sul pensiero del ritorno, la psicologia non mi è di alcun aiuto. Io sostengo che non solo questa concezione era familiare a tutte le culture, ma che inoltre è collegata all'idea delle stelle e di «salvatori» giunti sulla terra dallo spazio. È di lì che proviene anche l'idea della fecondazione artificiale, ovvero dell'embrione di origine divina. Non ci sono «ma» che tengano, simili concezioni devono avere un denominatore comune, e questo non è plausibile sul piano psicologico. O meglio, il desiderio del grande salvatore e giudice, del re e del Superbuddha è comprensibile; è sufficiente che la situazione dei popoli sia abbastanza difficile. Restano invece inspiegabili i collegamenti e le particolarità di ciascuna dottrina, e inoltre il desiderio di riscatto non giustifica le tradizioni in prima persona, e tanto meno i dettagli relativi a date e nomi. Oppure qualcuno è davvero convinto che Enoch avesse scoperto i nomi e le funzioni degli angeli ribelli, o che l'unità per la misurazione dell'universo con la cifra di 2057125 yijanas sia venuta in mente a un sognatore steso sotto l'albero di fico? Altrettanto difficili da spiegare sul piano psicologico sono le serie di numeri simili che si ritrovano presso popoli diversi. In questo caso non basta uno schema di interpretazione psicologica, così come per la fecondazione artificiale e l'impianto di embrioni, descritti poco fa in prima persona. Il fatto invece che ogni religione esalti il proprio Messia definendolo nato da una «immacolata concezione» è tutto un altro discorso, e si giustifica sul piano psicologico.
Ancor oggi i cattolici romani credono che Gesù sia nato
da Maria «senza peccato», anzi, devono crederci, perché
questo è un dogma, ossia una verità di fede, della Chiesa.
Per correttezza, bisogna aggiungere che è impossibile
dimostrare il contrario. E come, del resto? Come facciamo
a sapere - con certezza scientifica! - se Gesù, o anche il
profeta indiano vivente Sai Baba, quanto a questo, non
portasse in sé un seme cosmico? Del resto era lo stesso
anche nell'antichità: tutti i grandi dei e re dovevano
nascere in modo sovrumano. In fondo, non potevano valere
meno dei predecessori.
Semi dal cielo
Così, per esempio, il seme del re accadico Hammurabi (1726-1686 a.C.) dovette essere deposto dal dio del sole nel grembo della madre. In seguito Hammurabi divenne il grande legislatore, autore del più antico dei codici scritti che si conosca nella società umana, il cosiddetto «codice di Hammurabi». La stele di pietra alta più di due metri che riporta il testo della legge fu scoperta a Susa agli inizi del nostro secolo, e oggi si trova al Louvre di Parigi. Il «codice di Hammurabi» comprende duecentottantadue paragrafi, che egli - così sosteneva il legislatore regale - avrebbe ricevuto dal dio del cielo, non diversamente da Mosè, che avrebbe avuto le tavole delle leggi dalle mani stesse di Dio, sul sacro monte. Nella premessa alla sua raccolta di leggi, Hammurabi scrive esplicitamente che «il signore del cielo e della terra», Bel, lo ha chiamato e gli ha ordinato «di instaurare la giustizia sulla terra, di annientare gli empi e i malvagi e di impedire l'oppressione dei deboli da parte dei forti». E naturalmente gli uomini attendevano il ritorno del loro legislatore. | << | < | > | >> |Pagina 132Dunque Noè, scampato al diluvio, non era un tipo qualsiasi. Come padre terrestre viene indicato Lamech, ma il figlio non era suo, e questo può controllarlo facilmente chiunque su uno dei rotoli del Mar Morto. Qui si legge che Lamech tornò un giorno da un viaggio durato più di nove mesi; rientrando nella sua tenda, si trovò davanti un neonato che non apparteneva alla sua famiglia. Aveva gli occhi diversi, il colore della pelle diverso e persino una pelle diversa. Furioso, Lamech si rivolse alla moglie, che giurò su tutto ciò che aveva di più sacro di non aver avuto rapporti sessuali né con un estraneo, né tanto meno con un soldato o con uno dei figli del cielo. Angustiato, Lamech si rimise in viaggio per chiedere consiglio al padre, vale a dire Matusalemme. Anche questi, però, non sapeva nulla di più, e si rivolse al proprio padre, vale a dire il nonno di Lamech. Se questo fosse un quiz televisivo, vi concederei tre possibilità di indovinare la sua identità: in effetti non era altri che il mio caro amico Enoch. Questi disse al figlio Matusalemme che Lamech poteva riconoscere il bambino senza andare in collera con la moglie, visto che erano stati i «Vigilanti del cielo» a porre il seme nel ventre di sua moglie, e questo perché dopo il diluvio il bambino sarebbe diventato il capostipite della nuova generazione. Lamech poteva chiamarlo Noè, e infatti così fece.L'episodio dimostra che già Enoch, lo stesso che in seguito sparì tra le nuvole su un carro di fuoco, sapeva del diluvio imminente. E da chi lo aveva saputo? Dai «Vigilanti del cielo». E chi si era occupato dell'inseminazione della moglie di Lamech? Gli stessi viaggiatori venuti dallo spazio. Con esempi di questo genere vorrei consolidare una concezione che si è presentata in forma simile in tutti gli angoli di questo mondo, perlomeno da alcuni millenni. Questi figli degli dei sono un vero tormentone, e non ricorrono soltanto nella mitologia dell'Egitto, della Grecia e dell'India: il jet-set divino è presente in tutto il mondo, alla lettera. | << | < | > | >> |Pagina 137Chi dovrà venire?
L'attesa del ritorno degli dei, quali che siano, era e
resta una faccenda irrevocabile. Sono in discussione
soltanto gli interrogativi su
chi
dovrà venire in realtà, e
quando.
I cristiani e gli ebrei aspettano il Messia, i musulmani il
Mahdi, che è semplicemente un nome diverso per indicare una
figura messianica. Con la parola «Messia», che deriva
dall'ebraico
maschiach
(in greco
christos)
e indicava il re consacrato, s'intendeva in origine «l'Unto»
del Signore. Nell'ambito della religione ebraica si
attende un erede della casa di Davide, la cui origine
tuttavia deriva in ultima analisi dalle nubi. Un uomo
qualsiasi, che poi diventi re, non può essere il Messia,
perché la parola «uomo» è del tutto insufficiente a spiegare
il Messia. Il noto professore Hugo Gressmann osservava:
«Entrambe le ipotesi sono escluse, tanto più che il
Messia si presenta come una creatura divina, oltre tutto
preesistente». Esisteva già prima degli esseri umani.
Qual è il denominatore comune di tutte le raffigurazioni del Messia? - Dispone di grande potenza. - Crea un nuovo ordine. - È la personificazione della rettitudine.
- È ispirato, chiamato, plasmato da Dio.
A seconda della religione in questione, questo Messia può essere: - Un figlio dell'uomo, concepito per intervento del cielo (seme, embrione, karma degli esseri celesti). Questo figlio dell'uomo può dimorare già sulla terra, ma è stato «assunto in cielo», dove dovrà tornare.
- Una creatura extraterrestre, in tutto o in parte. Un
essere simile agli dei, che hanno già vissuto sulla terra.
Nella raffigurazione cristiana (Vangeli e Apocalisse), ma anche in quella giudaica (Enoch e testi apocrifi), così come nel Corano dei musulmani, il ritorno del Messia viene messo in rapporto con il giudizio universale. Una potenza appare nel firmamento, accompagnata da grandi schiere celesti. I parsi chiamano questa potenza «l'Invincibile»; i sumeri parlano del dio Anu, che torna dalla stella Aldebaran; i tibetani alludono ai «santi di lassù», che ristabiliscono sulla terra l'ordine antico; i maya parlano dei «tredici dèi», che a loro volta torneranno per «ristabilire l'ordine in ciò che essi stessi hanno creato». All'apparire di questa potenza sono collegati avvenimenti enigmatici «in cielo». Una stella o «una montagna in fiamme» precipita dal firmamento, compaiono «segni nel cielo», la luna si oscura, gli uomini tremano e giungono al limite della loro resistenza nervosa. Sul mondo si abbattono catastrofi naturali inconcepibili: la terra trema e sussulta, le acque dei mari «si confondono», i vulcani eruttano, e sulle nubi appare il «sommo giudice», il «giudice finale». E cosa deve giudicare? I credenti e i non credenti. Ma che cos'è la fede? In che cosa devono credere gli uomini? Nelle esperienze che i loro progenitori hanno vissuto alcuni millenni prima e che si tramandano nei libri, oppure nei risultati che il genere umano ha raggiunto, nella sua eterna illusione di avere ragione? Tutte le religioni del passato riferiscono l'idea del Messia alla propria figura di «Redentore». Questo è un dato di fatto, che ci piaccia o no. Logicamente non tutte le religioni possono avere ragione: o l'una o l'altra dev'essere in errore. E se fossero tutte in errore? In fondo l'idea del Messia è molto più antica del Corano, del Nuovo Testamento, del buddhismo e persino dei profeti biblici posteriore al diluvio. La promessa di tornare echeggia nella mente dell'uomo fin dai tempi dei patriarchi antidiluviani, dei giainisti e dei «re primitivi» dei vari popoli. Dove mai è stata formulata per la prima volta? E ancora, in che cosa devono credere gli uomini? Chi devono aspettare? Chi devono temere? Chi tornerà «con grande potenza e sovranità»? Con «schiere celesti» e un'imponente dimostrazione di forza nel firmamento? Quali sono le masse ostinate che, nanostante questa manifestazione di forza, a cui assistono con i loro occhi, «continuano a non credere?» La «filosofia PALEO-SETI» può fornire una risposta che rende giustizia a queste tradizioni; una teoria che porta allo scoperto molti interrogativi, confermando così alcuni testi. Contrariamente alle religioni, la «filosofia PALEO-SETI» non richiede la minima fede: le idee si possono verificare e respingere, verificare e accettare come valide. E soprattutto la «filosofia PALEO-SETI» presenta un vantaggio rispetto a tutte le aspettative messianiche delle varie religioni: è fondata su basi razionali. | << | < | > | >> |Pagina 167L'evoluzionismo di Darwin rappresenta ancora il credo degli antropologi: nei circoli scientfflci non crederci è considerato quasi un sacrilegio. Eppure di rado passa un anno senza che si annunci con una conferenza stampa la scoperta di un nuovo sito, e che il fossile appena ritrovato sia considerato l'esemplare più antico di ominide; fino al prossimo ritrovamento, naturalmente. I siti dei fossili si trovano oltre tutto nei paesi più disparati, distanti decine di migliaia di chilometri l'uno dall'altro. E per quanto riguarda le date, non ce ne sono due che concordino fra loro; d'altra parte le mutazioni avvenute anche solo all'interno di cinquanta generazioni possono determinare differenze decisive. Calcolando cinquant'anni per ogni generazione, cinquanta generazioni danno come risultato duemilacinquecento anni, eppure in antropologia si fanno i conti all'ingrosso: diecimila anni in più o in meno hanno un rilievo secondario. E in men che non si dica, le ossa provenienti da continenti ed epoche diverse vengono assemblate con procedimento fotografici in una sorta di identikit, come se derivassero da un unico esemplare del famigerato ominide.A mio parere, l'antropologia non si occupa affatto della ricerca sulla storia primitiva dell'uomo intelligente, per studiare invece le diramazioni e le mutazioni delle varie specie di scimmie. È tanto importante accertare se certe ossa di scimmia siano antiche di tre milioni di anni, oppure solo di un milione e ottocentomila anni? A me non importa nulla di sapere da quanto tempo una specie di scimmie ha imparato a reggersi sulle zampe posteriori e ha acquisito la capacità di stendere le dita. Inoltre non contesto affatto che l'intera famiglia delle scimmie abbia continuato a modificarsi negli ultimi venti milioni di anni e che anche i nostri progenitori discendessero in ultima analisi dal loro stesso ceppo. Il fatto puro e semplice è che il teatrino delle scimmie non ha nulla a che vedere con la formazione dell'intelligenza nell' Homo sapiens, perché sono stati gli «dei» a creare l'uomo intelligente, naturalmente sulla base degli ominidi preesistenti: e come, se no? E sono proprio i geni inseriti dagli «dei» che i nostri studiosi di genetica devono individuare. Il problema consiste solo nel sapere se renderanno noti i risultati della loro ricerca: allora avremo la prova dell'«ipotesi PALEO-SETI», e a fornircela saranno gli studiosi di genetica, razionalisti e per lo più di formazione tutt'altro che religiosa. Il segnale di partenza per la corsa alla conoscenza è già acceso da tempo. | << | < | > | >> |Pagina 172Non di questo mondoQuali domande dovranno porsi gli studiosi di genetica, se alla «scaletta» è legato un numero sempre maggiore di messaggi genetici, che mai e poi mai potrebbero derivare dai nostri progenitori? In questo senso esiste infatti del materiale di confronto, vale a dire i nostri affini ancora viventi: gorilla, scimpanzé, oranghi e altre specie di scimmie. Che cosa faremo, se un giorno verrà accertato in modo definitivo quale sezione di gene sia responsabile del centro dell'espressione verbale nell'uomo... e in base al materiale di confronto disponibile si accerterà che le sezioni genetiche corrispondenti sono comparse all'improvviso? Che non si sono sviluppate in modo continuo ed evoluzionistico, ma, al contrario, è come se fossero state inserite nella «scaletta» dal giorno alla notte? Come materiale di confronto non abbiamo a disposizione solo le specie viventi di scimmie, ma anche le mummie di tutto il mondo. Come ci comporteremo, se dalla decifrazione del DNA umano di oggi risulterà che l'uomo e tutte le specie di ominidi non hanno mai potuto evolversi, perché non ne avevano bisogno? Quale spiegazione farfuglieremo, se appariranno sezioni di gene inutilizzate che non possono essere terrestri, perché non si adattano a nessuna forma vivente terrestre? Come reagiremo, se gli studiosi di genetica accerteranno, in modo indipendente fra loro e per ogni settore, che i più antichi faraoni d'Egitto, quelli provvisti di un cranio di dimensioni superiori al normale che si proclamavano «figli degli dei», contengono del materiale genetico che non può in alcun modo provenire dalla terra, del materiale che non mostra alcuno «stadio intermedio» nel senso dell'evoluzione? E che cosa potremo dire, quando lo stesso materiale genetico sarà localizzato nei sovrani preincaici, i «figli del sole», che vivevano a grande distanza? Ormai ci troviamo sul tapis roulant della scoperta e non possiamo più scendere. Prima che raggiungiamo la meta si verificherà un big bang: la scoperta della nascita dell'intelligenza umana, il giorno del giudizio della comprensione. |
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