Autore Paolo d'Antonio
CoautoreEnrico Bellone
Titolo Galileo Galilei
SottotitoloUna storia che non stà né in cielo né in terra.
EdizioneLe Scienze, Roma, 2017, I grandi della scienza a fumetti 10 , pag. 144, ill., cop.fle., dim. 17x22,4x0,8 cm
LettoreElisabetta Cavalli, 2017
Classe storia della scienza , biografie , fisica , astronomia , fumetti












 

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GALILEO: le opere e i giorni di una mente inquieta

di Enrico Bellone

69 Presentazione

70 Le cose e i loro nomi

Nell'ottobre 1604, con l'apparizione nel cielo di una «stella nova», sale alla ribalta degli studi astronomici un docente di matematica dell'Università di Padova: Galileo Galilei

75 Il mondo di carta e il mondo sensibile

Alla fine del Cinquecento, Galileo predispone le basi che lo porteranno allo studio sperimentale della meccanica e comincia ad allontanarsi dalla filosofia naturale aristotelica

83 Dalla certezza all'approssimazione

Grazie all'osservazione della caduta dei gravi e studiando i rapporti tra le velocità, Galileo approda alla legge oraria del moto, una delle leggi fondamentali della meccanica moderna

91 Enigmi meccanici

Già esposto alle prime accuse, Galileo affronta il problema dei pendoli, partendo da un risultato ottenuto nel 1602

96 Geometria e fisica

Fino al 1609, Galileo prosegue gli studi di meccanica, alla ricerca di una teoria semplice in grado di descrivere compiutamente le questioni sul moto, che tuttavia sarà pubblicata solo nel 1638

101 I nuovi mondi

Grazie alla recente invenzione del telescopio, Galileo si dedica con passione all'astronomia e pubblica, nel 1610, il Sidereus Nuncius, che rivoluziona tutte le conoscenze del cielo

108 Altre notizie dai nuovi mondi

Continuano gli studi di astronomia, con la descrizione del sistema di Saturno e la spiegazione delle macchie solari: Galileo raccoglie prove a favore di Copernico

116 "Mi vien serrata la bocca"

Tanto da Firenze, quanto da Padova e da Roma, si intensificano le critiche a Galileo, accusato di voler sovvertire la filosofia naturale aristotelica e le Sacre Scritture

122 Galileo e la teoria della conoscenza

Con la morte del cardinale Bellarmino e l'ascesa al trono papale di Urbano VIII, si placano le accuse e Galileo torna a esporre le sue teorie ne Il Saggiatore

129 Il grande libro

La matematica, la fisica e la nuova astronomia: il principio di relatività e il problema gravitazionale prendono forma nelle pagine del Dialogo

137 La condanna

La condanna di Galileo non bloccò la crescita della conoscenza né il passaggio dalla ricerca delle cause prime alla scoperta delle leggi di natura

142 Note biografiche

143 Letture consigliate

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Presentazione


Il mondo scientifico in cui viviamo è, sotto molti aspetti, erede dell'opera di Galileo. Eppure è ancora piccolo il numero delle persone che hanno un'idea di quell'opera. Tutti sanno che è vissuto un uomo chiamato Galileo Galilei, e tutti sanno che quell'uomo è famoso. Pochi, invece, sono in grado di dire quali sono i reali motivi di tanta celebrità.

Nella cultura diffusa esistono diverse immagini di Galileo. La più nota è quella secondo la quale egli fu il padre del metodo sperimentale: eppure, prima di Galileo, generazioni di astronomi o di anatomisti avevano fatto buon uso di un sapere fondato proprio sulla sperimentazione.

Una seconda immagine ci invita a vedere un Galileo che contribuisce alla nascita della scienza moderna non sulla base di esperimenti che sarebbero stati irrealizzabili nella prima metà del Seicento, ma sulla base di una filosofia che raffigurava un mondo scritto in linguaggio matematico: eppure, prima di Galileo, moltissimi intellettuali si erano ispirati a Platone senza tuttavia scoprire le nuove leggi della meccanica o i primi satelliti di Giove.

Queste due immagini sono, a mio avviso, troppo unilaterali. Vero è che prima di Galileo la conoscenza scientifica era spesso ancorata all'esperienza e alla misura, ma è anche vero che Galileo seppe trovare rapporti originali tra osservazione e teoria. Vero è che certi esperimenti galileiani, pur apparendoci semplici, sono difficili da realizzare con le tecniche del Seicento, ma è altrettanto vero che lo scienziato pisano era un eccellente uomo di laboratorio il quale sapeva, di volta in volta, superare le difficoltà pratiche con accorgimenti la cui genialità non finisce di stupirci.

Si tratta, allora, di rileggere l'opera galileiana senza eccedere nel privilegiarne la componente sperimentale a scapito di quella teorica, e senza dimenticare che la struttura della teoria di Galileo era meno potente di quanto spesso si immagina.

Questo saggio è rivolto ai giovani che non di rado si annoiano con la fisica o l'astronomia delle scuole, e agli adulti che spesso rischiano di sprofondare in una cultura priva di valori alti. Ai primi e ai secondi, infatti, Galileo può ancora oggi regalare l'idea che la scienza cerca la verità e la bellezza, e può vivere solo nella libertà.

Enrico Bellone

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Le cose e i loro nomi


Nell'ottobre 1604, con l'apparizione nel cielo di una «stella nova», sale alla ribalta degli studi astronomici un docente di matematica dell'Università di Padova: Galileo Galilei


«Spada al fianco e un paggio dietro a sé, si porta da un campo di gioco all'altro sempre pronto a rissare e ad azzuffarsi.» Così parlavano di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio. Il quale passava i giorni tra bettole e palazzi cardinalizi, e pitture drammatiche per disegno e colori.

Drammatiche come La sepoltura di Cristo: dipinta nel 1604, in essa troviamo volti popolani e un Cristo muscoloso. Gente, insomma, che Caravaggio incontra nei vicoli romani o vede giocare d'azzardo. E, dopo il Cristo morto che ha l'aspetto d'un facchino, verranno alla luce La Madonna della serpe e la Morte della Vergine. La Madonna, che esibisce un seno florido, aiuta un Cristo adolescente dai tratti di contadino. Si irritano allora troppi cardinali, dato poi che la Vergine - come si dice in Roma quando i frati negano l'autorizzazione a porre l'opera in Santa Maria della Scala - ritrae una donna annegata e gonfia, forse una prostituta.

Caravaggio sta guardando un pezzo di natura con occhi nuovi e vede cose mai viste nel conflitto tra gli dei e l'umanità dolente, come rivelano i colori e le forme della Sepoltura. In quello stesso 1604, anche Keplero scopre cose nuove in un altro frammento di mondo. Vede, cioè, che l'orbita di Marte è un'ellisse. Dirà, più tardi, che il cammino enigmatico di Marte nel cielo si arrende soltanto alla matematica.

Con il senno del poi, sappiamo che molte facce dell'universo cambiano proprio con i colori del Caravaggio e con i calcoli di Keplero. Gli inizi del Seicento furono infatti generosi per i pionieri che stavano esplorando l'uomo e i fenomeni. Basti ricordare che l'anno dell'orbita di Marte e degli olii rivoluzionari del Caravaggio si chiude, nella notte di Santo Stefano, con la rappresentazione alla corte d'Inghilterra del dramma shakespeariano Misura per misura, quando le prime versioni della tragedia di Amleto erano già pronte da parecchi mesi.

Altre radici della conoscenza erano tuttavia ben vive, o stavano per nascere. Una di esse, in particolare, trasse alimento non dalla creatività umana, ma dall'intervento spettacolare e diretto della natura. Nei primi giorni d'ottobre, infatti, si presentò in cielo una nuova luce, brillante come Venere. Le cronache del tempo ci parlano di paure e curiosità suscitate da quella che fu chiamata la «stella nova», alla cui luminosità variabile si rivolgevano, nelle notti, gli occhi di popolani e dame, di principi, filosofi e cultori d'astronomia. Per molti osservatori lo spettacolo autunnale era semplicemente fonte di quei timori o inquietudini che da secoli s'accompagnavano alla comparsa di fenomeni insoliti: una cometa, per esempio, era quasi sempre interpretata come segno di sventure, pestilenze o guerre.

Per un filosofo o per un astronomo, invece, la faccenda era di ben altra coloritura.

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La struttura del viaggio conoscitivo che parte con Galileo e si estende verso l'unificazione progettata da Newton è ancora oggi causa di dispute. Non pochi studiosi ritengono che davvero Galileo credesse nell'inerzia circolare e che un passo decisivo verso la fisica di Newton sia da individuare nelle tesi filosofiche di Cartesio, anche se proprio Newton, nei Principia, sostenne il contrario.

Cartesio scrisse che il moto rettilineo e uniforme testimoniava dell'esistenza di Dio, tentò di fondare la fisica su un gruppo di leggi dell'urto quanto mai discutibili e, nel 1638, dimostrò di non aver compreso la profondità e l'ampiezza della fisica dei Discorsi. Egli scrisse infatti una lunga lettera a Marin Mersenne a proposito di questo libro. e sin dalle prime righe appare la divergenza enorme che separa la scienza di Galileo da quella di Cartesio. Le pagine dei Discorsi apparivano imperfette a Cartesio perché non individuavano quelle «cause prime» che, secondo la tradizione. rappresentavano l'obiettivo più importante della ricerca sui fenomeni e che invece Galileo aveva scelto di non trattare. A Mersenne, infatti, Cartesio così scriveva del nuovo libro: «Mi sembra assai imperfetto poiché compie continue digressioni e non si ferma affatto a spiegare completamente un argomento; questo mostra che egli non ha esaminato le cose con ordine, e che senza aver considerato le cause prime della natura, ha cercato soltanto le ragioni di alcuni particolari effetti e pertanto ha costruito senza fondamento».

A questa critica di natura generale Cartesio aggiungeva poi altre critiche particolari. Tra queste ultime, due meritano d'essere citate per aiutarci a cogliere la distanza che separa Cartesio da Galileo.

La prima riguarda la gravitazione, ed è quanto mai esplicita. Cartesio dichiara che «tutto quanto» Galileo «afferma sulla velocità dei corpi che scendono nel vuoto ecc.. è costruito senza fondamento, perché egli avrebbe dovuto prima determinare che cosa è la gravità; e se conosceva la verità, avrebbe saputo che nel vuoto è nulla». La seconda critica è notevole proprio perché fa riferimento al tema dei moti parabolici e, di conseguenza, si collega alla nozione cartesiana sul moto che, secondo alcuni studiosi, conterrebbe un soddisfacente enunciato del principio di inerzia. Sappiamo bene, ormai, che Galileo risolve l'enigma del moto parabolico mediante l'idea che il moto dei proiettili sia il risultato di due moti, l'uno dei quali procede orizzontalmente con accelerazione nulla. Ebbene, se Cartesio avesse avuto in mente l'inerzia, l'idea galileiana non lo avrebbe certamente sorpreso negativamente. Cartesio invece scrive che, una volta accettate le ipotesi di Galileo, un corpo dovrebbe davvero seguire una traiettoria parabolica. Purtroppo, però, «le ipotesi sono false»: è particolarmente sbagliata, dal punto di vista cartesiano, proprio l'ipotesi «che i corpi scagliati in aria vanno con uguale velocità in direzione orizzontale».

Come spiegare, allora, l'atteggiamento antigalileiano di Cartesio? La chiave interpretativa di tale atteggiamento sta nel fatto che Cartesio individua, come ragion d'essere della ricerca, la determinazione delle cause e non l'enunciazione di leggi. In questa prospettiva egli pone Dio come causa di ogni cosa, nel senso che Dio è l'autore di tutti i movimenti. Questi movimenti sono rettilinei e gli stati della materia li rendono irregolari e incurvati in varie forme. Cartesio espone, pertanto, alcune regole metafisiche la cui validità dipende dal fatto che esse sarebbero deducibili dalla circostanza per cui Dio agisce sempre nello stesso modo. La prima regola stabilisce che ogni porzione di materia si conserva nel proprio stato sino a quando altre porzioni la urtano e la modificano. La seconda stabilisce che, nell'urto, le quantità di movimento cedute o sottratte si conservano. La terza, infine, stabilisce che le singole parti di un corpo hanno una tendenza a muoversi in linea retta, e che tale tendenza è del tutto diversa dal movimento osservabile, che è quasi sempre incurvato dall'azione di altre porzioni di materia.

L'analisi dettagliata di un singolo fenomeno, da questo punto di osservazione metafisico, fa parte di uno studio che si concentra, come leggiamo nella lettera a Mersenne. solo su «alcuni particolari effetti». La meccanica di Galileo, di conseguenza. appare a Cartesio come una costruzione «senza fondamento», mentre la fisica di Cartesio apparirà, a Newton, come una dannosa metafisica.

Un'altra forte differenza deve essere segnalata tra l'approccio galileiano e quello cartesiano. Il primo punta a trovare leggi di natura, si basa sull'assunto che sia impossibile raggiungere una spiegazione completa e definitiva del più piccolo fenomeno osservabile, e presume che la trattazione matematica abbia bisogno di controlli sperimentali nell'ambito di ragionevoli tecniche di approssimazione.

Il secondo, invece, punta a trovare le cause generali di ogni singolo fenomeno su una fondazione di tipo teologico, ritiene che sia necessaria una descrizione qualitativa ed esauriente di tutti i fenomeni, non usa mai la matematizzazione e pone le fondamenta di una visione meccanicistica dell'universo.

Galileo non fu un meccanicista, anche se non è raro, al giorno d'oggi, che qualche dotto dica che la scienza del Seicento fu una scienza meccanicista e galileiana. Il meccanicismo non è una scienza, ma una metafisica, e il padre del meccanicismo seicentesco fu l'antigalileiano Cartesio, e cioè colui che scrisse uno dei più grandi capolavori della storia della matematica - La géometrie - ma che elaborò una fisica romanzata per dame e filosofi in libris.

Il contrasto fra la fisica dei Discorsi e la metafisica meccanicista di Cartesio è esemplare per cogliere il senso profondo della rivoluzione galileiana. Una rivoluzione che, detto senza retorica, non poteva certamente essere bloccata da un processo o da pregiudizi filosofici. Con Galileo veniva alla luce non un nuovo metodo, inteso come un gruppo di regole rispettando le quali si fa buona scienza, ma un gruppo di scoperte teoriche e sperimentali che distaccavano l'impresa scientifica dalla meditazione metafisica e aprivano quindi, per la filosofia, nuovi orizzonti di ricerca. Dopo il Sidereus Nuncius, il Dialogo e i Discorsi, la filosofia doveva infatti rinnovarsi se voleva operare sulle frontiere della conoscenza umana. In fin dei conti potremmo ammettere che tutto il metodo galileiano sta in una frase che il grande scienziato scrisse in una lettera elaborata negli ultimi anni della sua vita, confessando di non poter «dar quiete» al suo «inquieto cervello».

Galileo morì a Firenze nel 1642, ai primi di gennaio. In dicembre, nel giorno di Natale, nasceva a Woolsthorpe, nel Lincolnshire, un bambino che si chiamava Isaac Newton.

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