Copertina
Autore Charles Darwin
Titolo L'evoluzione
SottotitoloL'origine della specie, L'origine dell'uomo e la selezione sessuale, I fondamenti dell'origine delle specie, Autobiografia
EdizioneNewton Compton, Roma, 1994, I Mammut 20 , pag. 1021, dim. 143x235x53 mm , Isbn 978-88-7983-396-7
OriginaleThe Foundations of the Origin of Species, On the Origin of Species by Means of Natural Selection, The Descent of Man, and Selection in Relation to Sex, The Autobiography of Charles Darwin
TraduttoreMirella Di Castro, Celso Balducci, Mario Migliucci, Paola Fiorentini, Luca Pavolini
Classe biologia , evoluzione , storia della scienza
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Indice


  7 Introduzione di Giuseppe Montalenti

 13 Nota biobibliografica


    I FONDAMENTI DELL'ORIGINE DELLE SPECIE

    a cura di Francis Darwin

 21 Introduzione all'Abbozzo del 1842 e al Saggio del 1844
    di Francis Darwin

 31 Abbozzo del 1842
 31     Parte prima
 43     Parte seconda

 63 Saggio del 1844
 63     Parte prima
102     Parte seconda. Sulle prove a favore e contro
        l'ipotesi che le specie siano razze formatesi
        naturalmente e originate da ceppi comuni

162 Appendice. Sulla tendenza delle specie a formare
    varietà e sulla perpetuazione delle varietà e delle
    specie per mezzo della selezione naturale.
    Comunicazione di Charles Darwin e Alfred R. Wallace
    letta il primo luglio 1858 alla Società Linneana


    L'ORIGINE DELLE SPECIE PER SELEZIONE NATURALE

177 Introduzione di Pietro Omodeo

191 Disegno storico sull'evoluzione del concetto di
    origine delle specie (fino alla pubblicazione
    del presente lavoro)

198 Introduzione

201 l.  La variazione allo stato domestico
220     Varianti della sesta ed. al cap.1
223 2.  La variazione in natura
231     Varianti della sesta ed. al cap.2
234 3.  La lotta per l'esistenza
244     Varianti della sesta ed. al cap.3
245 4.  La selezione naturale
272     Varianti della sesta ed. al cap.4
279 5.  Le leggi della variazione
298     Varianti della sesta ed. al cap.5
301 6.  Difficoltà della teoria
319     Varianti della sesta ed. al cap.6
344 7.  Istinto
362     Varianti della sesta ed. al cap.7
366 8.  Ibridismo
382     Varianti della sesta ed. al cap.8
388 9.  Imperfezione della documentazione
        geologica
404     Varianti della sesta ed. al cap.9
408 10. Successione geologica degli
        organismi viventi
425     Varianti della sesta ed. al cap.10
428 11. Distribuzione geografica
446     Varianti della sesta ed. al cap.11
449 12. Distribuzione geografica
        (continuazione)
463     Varianti della sesta ed. al cap.12
465 13. Affinità reciproche fra gli esseri
        viventi. Morfologia; embriologia;
        organi rudimentali
489     Varianti della sesta ed. al cap.13
496 14. Ricapitolazione e conclusione
512     Varianti della sesta ed. al cap.14

516 Glossario dei principali termini
    scientifici usati nel volume


    L'ORIGINE DELL'UOMO E LA SELEZIONE SESSUALE

525 Introduzione di Giuseppe Montalenti

535 Introduzione dell'Autore

538 Parte prima. La discendenza od origine dell'uomo
674 Note sulla rassomiglianza e sulla differenza nella
    struttura e nello sviluppo del cervello negli uomini
    e nelle scimmie (del prof. Huxley, membro della Royal
    Society)
681 Parte seconda. La selezione sessuale
931 Parte terza. Selezione sessuale in relazione all'uomo
    e conclusione


    AUTOBIOGRAFIA DI CHARLES DARWIN

    a cura di Francis Darwin

979 Prefazione di Luca Pavolini

983   Autobiografia di Charles Darwin
991   Cambridge, 1828-1831
997   Viaggio sul Beagle dal 27 dicembre 1831
      al 2 ottobre 1836
1001  Dal ritorno in Inghilterra (2 ottobre 1836)
      al matrimonio (29 gennaio 1839)
1002  Dal matrimonio (29 gennaio 1839) e dalla residenza
      in Upper Gower Street al trasferimento da Londra a
      Down (14 settembre 1842)
1006  Soggiorno a Down dal 14 settembre 1842 ad oggi, 1876
1007  Le mie molte pubblicazioni


 

 

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Riferimenti


Opere essenziali per la biografia di Darwin

M. LESSONA, Carlo Darwin, Sommaruga, Roma 1883.
G. ALLEN, Charles Darwin, trad. franc., De Guillaumin,
    Parigi 1886.
More Letters of Charles Darwin, a cura di F. Darwin e A.C.
    Seward, 2 voll., Murray, Londra 1903.
P. LIOY, Linneo, Darwin, Agassiz nella vita intima,
    Treves, Milano 1904.
Emma Darwin, Wife of Charles Darwin: A Century of Family
    Letters (1792-1896), a cura della figlia H.E. Litehfield
    2 voll., Cambridge University Press 1904;
    Murray, Londra 1915.
A. ALBERTI, Carlo Darwin, Formiggini, Roma 1922.
L. HUXLEY, Charles Darwin, 1927.
G.A. DORREY, The Evolution of Charles Darwin, 1927.
H. WARD, Charles Darwin, The Man and His Welfare,
    Murray, Londra 1927.
M. PRENANT, Darwin, Einaudi, Torino 1949.
The Autobiography of Charles Darwin (1809-1882) with
    Original Omission Restored, con un'appendice e note,
    a cura di Barlow, Collins, Londra 1958.
A. KEITH, Darwin,  Feltrinelli.  Milano 1959.
G. WICHLER, Charles Darwin: the Founder of the Theory of
    Evolution and Natural Selection,
    Pergamon Press, Oxford 1961.
G. DE BEER, Charles Darwin: Evolution by Natural Selection,
    Nelson, Londra 1963.

Sulla storia dell'evoluzionismo

Carlo Darwin e il darwinismo nelle scienze biologiche e
    sociali.  Scritti vari, raccolti e pubblicati a cura di
    E. Morselli, Dumoulard, Milano 1892.
A. DE QUATREFAGES, Charles Darwin et ses précurseurs
    français, Baillière, Parigi 1870.
I. ROMANES, Darwin and after Darwin, Londra 1892-97.
H.F. OSBORN, Dai Greci a Darwin, Bocca, Torino 1901.
C. FENIZIA, Storia della evoluzione, Hoepli, Milano 1901.
PH.G. FOTHERGILL, Historical Aspects of Organic Evolution,
    Philosophical Library, New York 1953.
R. MOORE, Uomo, tempo e fossili, Garzanti, Milano 1954.
W. IRVINE, Apes, Angels and Victorians,
    McGraw-Hill, New York 1955.
A Century of Darwin, a cura di S. A. Barnett,
    Heinemann, Londra 1958.
L.C. EISELEY, Darwin's Century, Doubleday, New York 1959.
B. GLASS (a cura di), Forerunners of Darwin,
    Johns Hopkins Press, Baltimora 1959.
P.R. BELL (a cura di), Darwin's Biological Work. Some Aspect
    Reconsidered, Cambridge University Press, 1959.

Opere moderne sull'evoluzione

M. CAULLERY, Le problème de l'évolution, Payot, Parigi 1931.
TH. DOBZHANSKY, Genetics and the Origin of Species, Columbia
    University Press, New York 1937; 21ed. 1941; 31ed. 1951.
G. COLOSI, La dottrina dell'evoluzione e le teorie
    evoluzionistiche, Le Monnier, Firenze 1945.
B. RENSCH, Neuere Probleme der Abstammungslehre -
    Die transspezifische Evolution,
    Enke, Stoccarda 1947; 22 ed. 1954.
V. MARCOZZI S.J., Evoluzione o creazione?  Le origini
    dell'uomo, Ambrosiana, Milano 1948.
G.L. JEPSEN, E. MAYR, G.G. SIMPSON,
    Genetics, Paleontology and Evolution,
    Princeton University Press, Princeton (N.J.) 1949.
P. LEONARDI, L'evoluzìone dei viventi,
    Morcelliana, Brescia 1950.
G.G. SIMPSON, The Major Features of Evolution,
    Columbia University Press, New York 1953.
G.G. SIMPSON, Il significato dell'evoluzine,
    Bompiani, Milano 1954.
G.O. HEBERER, Die Evolution der Organismen,
    Fischer, Stoccarda 1954.
J. HUXLEY, A.C. HARDY, E.B. FORD, Evolution as a Process,
    Allen & Unwin, Londra 1954.
W.E. LEGROS CLARK, The Fossil Evidence for Human Evolution,
    University of Chicago Press, Chicago 1955.
L. CUÉNOT, L'évolution biologique: les faits, les
    incertitudes, Masson, Parigi 1957.
D. LACK, Evolutionary Theory and Christian Belief: The
    Unresolved conflict, Methuen, Londra, 1957.
T.N. GEORGE, L'evoluzione oggi, Feltrinelli, Milano 1958.
G. MONTALENTI, L'evoluzione, Ediz. Radio Italiana, Torino
    1958; 2a ed. Einaudi, Torino 1965.
E. PADOA, Storia della vita sulla terra,
    Feltrinelli, Milano 1959.
AA.VV., Evoluzione e Genetica (colloquio internazionale)
    Accademia Nazionale dei Lincei, Quaderno n.47, Roma 1960
S. TAX (ed.), Evolution after Darwin, 3 voll.,
    Chicago University Press 1960.
PH. G. FOTHERGILL, Evolution and Christians,
    Longmans, Londra 1961.
H.U. SMITH, Dal pesce al filosofo, Boringhieri, Torino 1961.
I. ASIMOV, Evoluzione e genetica, Bompiani, Milano 1962.
TH. DOBZHANSKY, L'evoluzione della specie umana,
    Einaudi, Torino 1965.
V. GRANT, The origin of adaptations,
    Columbia University Press, New York 1963.
J. PIVETEAU, L'origine della forma umana,
    Boringhieri, Torino 1966.
G. DE BEER, Atlas of Evolution, Nelson, Londra 1964.
J. HUXLEY, Evoluzione: sintesi moderna, Ubaldini, Roma 1966.
N. BARLOW (a cura di), Darwin and Henslow.  The growth of an
    idea, University of Califomia Press, Berkeley &
    Los Angeles 1967.
E. MAVR, L'evoluzione delle specie animali,
    Einaudi, Torino 1969.
Il meglio in antropologia, a cura di Giorgio Celli,
    Longanesi, Milano 1971.
M.I. LERNER, Eredità evoluzione e società,
    Mondadori, Milano 1972.
J.M. SAVAGE, L'evoluzione, Zanichelli, Bologna 1965.
TH. DOBZHANSY, E. BÖSIGER, Idee per l'evoluzione,
    Boringhieri, Torino 1971.
JEAN-PIERRE LEHMAN, Le prove paleontologiche dell'evoluzione
    Newton Compton, Roma 1977.
JOHN MAYNARD SMITH, La teoria dell'evoluzione,
    Newton Compton, Roma 19853.
M. BARBIERI, La teoria semantica dell'evoluzione,
    Boringhieri, Torino 1985.
M. RIDLEY, Problemi dell'evoluzione, Laterza, Bari 1989.
M. CERUTI, La danza che crea, Feltrinelli, Milano 1989.
A. VITALE, Evoluzione e comportamento, Ediprint 1990.
S. PARKER, Evoluzione, Mondadori, Milano 1991.
E. HARTH, Alle soglie del terzo millennio. Una mente
    tecnologica in un cervello paleolitico: il gap
    evoluzionistico, Giunti, Firenze 1991.
S. ARCIDIACOMO, Evoluzione dopo Darwin. La teoria sintropica
    dell'evoluzione, Di Renzo, 1992.
V. MARCONI, Alla ricerca dei nostri predecessori,
    Edizioni Paoline, Roma 1992.


 

 

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Pagina 191

Disegno storico sull'evoluzione del concetto di origine delle specie
(Fino alla pubblicazione del presente lavoro)

Darò qui un breve quadro degli sviluppi delle opinioni scientifiche sull'origine delle specie. Ancora non molto tempo fa la maggior parte degli studiosi di scienze naturali considerava le specie come prodotti immutabili di creazioni distinte. Molti autori hanno sostenuto con competenza questo punto di vista. Peraltro non mancavano alcuni, sia pure pochi, che ritenevano che le specie vanno incontro a trasformazioni e che le forme attuali di vita discendono, attraverso un vero e proprio processo generativo, da forme che le hanno precedute. Tralasciando gli accenni degli autori classici, Buffon è stato il primo ad aver affrontato l'argomento in tempi moderni con spirito scientifico. Tuttavia le vedute di questo autore variano molto di tempo in tempo e, siccome non si è occupato del come e del perché delle trasformazioni delle specie, non stimo opportuno addentrarmi in particolari su di lui.

Il primo studioso, le cui argomentazioni in materia hanno destato molto interesse, è Lamarck. Questo naturalista, ben a ragione famoso, ha rivelato per la prima volta il suo pensiero nel 1801. In seguito ha molto ampliato la sua esposizione nella Philosophie zoologique (1809) e nell'introduzione alla Histoire Naturelle des Animaux sans Vertèbres del 1815. In queste opere egli sostiene la dottrina secondo la quale le specie, non escluso l'uomo, discendono da altre specie. Egli per primo ha reso il segnalato servizio di richiamare l'attenzione degli studiosi sulla possibilità che tutti i mutamenti, osservabili nel mondo organico, ed anche in quello inorganico, dipendano da una legge di natura e non da un intervento miracoloso. A quanto pare Lamarck è giunto a tali conclusioni, relativamente alla gradualità delle mutazioni delle specie, soprattutto a causa della difficoltà di distinguere le specie e le varietà, della gradualità quasi perfetta delle forme in certi gruppi e della analogia riscontrabile nei prodotti di allevamento. Quanto alle modalità delle mutazioni, egli le ha attribuite in parte all'azione diretta delle condizioni fisiche di vita, in parte all'incrocio con forme già esistenti e, in larga misura, all'uso ed al non uso, vale a dire alle conseguenze delle abitudini.

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Pagina 198

Introduzione

Mentre ero, in qualità di naturalista, a bordo del vascello di S. M. Britannica Beagle, rimasi profondamente colpito da certi fatti relativi alla distribuzione degli abitanti dell'America Meridionale ed ai rapporti geologici tra gli abitanti attuali e quelli antichi di detto continente. Mi sembrò che questi fatti contenessero qualche elemento riguardante l'origine delle specie, questo mistero dei misteri, secondo, l'espressione di uno dei nostri maggiori filosofi. Dopo il ritorno in patria, mi venne in mente, nel 1837, che forse si sarebbe potuto risolvere in parte il problema accumulando pazientemente ogni sorta di elementi aventi qualche rapporto con esso e riflettendo su questi. Dopo cinque anni di lavoro mi permisi qualche speculazione sull'argomento, riassunta in alcune brevi note, che ampliai nel 1844 abbozzando le conclusioni che, a quell'epoca, mi sembravano più probabili. Da allora ad oggi ho continuato a perseguire costantemente lo stesso scopo. Spero che si vorrà perdonare il fatto che mi intrattengo su questioni di ordine personale, in quanto valgono a dimostrare che non sono stato frettoloso nel giungere ad una conclusione.

Ora il mio lavoro è quasi terminato; però, per completarlo, mi occorreranno altri due o tre anni e, dato che la mia salute è tutt'altro che florida, sono stato spronato a pubblicare il presente compendio. Un motivo particolare per farlo consiste nel fatto che il sig. Wallace (che attualmente sta studiando la storia naturale dell'arcipelago malese) è pervenuto a conclusioni generali sull'origine delle specie praticamente identiche alle mie. L'anno scorso egli mi ha inviato una memoria sull'argomento con la preghiera di inoltrarla a sir Charles Lyell, che l'ha mandata alla Linnean Society facendola pubblicare nel terzo volume del giornale di detta associazione. Sir C. Lyell ed il dott. Hooker, i quali sono entrambi a conoscenza del mio lavoro (il secondo ha anche letto il mio abbozzo del 1844), mi hanno onorato ritenendo opportuno pubblicare, insieme con l'ottima memoria del sig. Wallace, alcuni brevi estratti del mio manoscritto.

[...]

Nel considerare l'origine delle specie, è perfettamente ammissibile che un naturalista, riflettendo sulle reciproche affinità tra i viventi, sui loro rapporti embriologici, sulla loro distribuzione geografica e su altri fatti, pervenga alla conclusione che le singole specie non sono state create separatamente ma, al pari delle varietà, siano discese da altre specie. Cionondimeno, una conclusione del genere, anche se poggiante su salde basi, non ci soddisferà se non saremo in grado di dimostrare come si siano venute modificando le innumerevoli specie che vivono in questo mondo, fino ad acquisire quella perfezione strutturale e di adattamento reciproco che desta in noi una giustissima ammirazione. I naturalisti si appellano in continuazione alle condizioni esterne, quali il clima, l'alimentazione, ecc., considerate l'unica cagione ammissibile dei mutamenti. Come vedremo in seguito, questo può essere vero, entro limiti molto ristretti, però sarebbe erroneo attribuire, per esempio, alle sole condizioni ambientali, la struttura del picchio, uccello in cui i piedi, la coda, il becco e la lingua sono mirabilmente atti a scovare gli insetti sotto la scorza degli alberi. Anche nel caso del vischio - che trae il nutrimento da certi alberi, produce semi che devono essere trasportati da certi uccelli, possiede fiori a sessi separati che esigono l'intervento di determinati insetti per il trasporto del polline da un fiore all'altro - sarebbe altrettanto ingannevole spiegare la struttura di questo parassita, con i suoi molti rapporti con parecchi organismi distinti, in base all'influsso delle condizioni esterne, o dell'abitudine o di un atto di volizione dello stesso vegetale.

Suppongo che l'autore di Vestiges of Creation direbbe che, dopo un numero indeterminato di generazioni, un dato uccello ha generato un picchio e una data pianta ha generato un vischio, entrambi nella forma perfetta che conosciamo, però, a mio vedere, questo presupposto non spiega nulla, in quanto non accenna agli adattamenti reciproci degli esseri viventi né al loro modo di adeguarsi alle condizioni di vita, né cerca di renderne ragione.

Pertanto è sommamente importante comprendere il più chiaramente possibile le modalità dei mutamenti e degli adattamenti. Quando cominciai a raccogliere le mie osservazioni, mi sembrò che un accurato studio degli animali addomesticati e delle piante coltivate mi avrebbe offerto il modo migliore per venire a capo di questo oscuro problema. E non sono rimasto deluso: in questo, come in tutti gli altri casi imbarazzanti, ho scoperto invariabilmente che le nostre conoscenze sulle variazioni dovute all'addomesticamento, per quanto imperfette, offrivano le indicazioni migliori e più sicure. Per questo mi permetto di esprimere la mia convinzione che questi studi sono validissimi, anche se in genere i naturalisti li trascurano.

In conseguenza di queste considerazioni dedicherò il primo capitolo di questo estratto alla variazione nello stato domestico. Vedremo così come sia possibile ottenere quanto meno un gran numero di mutamenti ereditari; inoltre, cosa altrettanto o più importante, vedremo di quali grandi possibilità disponga l'uomo accumulando successive variazioni di piccole entità, grazie alla selezione. Quindi passerò alla variabilità delle specie allo stato di natura, ma, purtroppo, sarò costretto a trattar l'argomento con eccessiva stringatezza, dato che non lo si può affrontare adeguatamente se non si danno lunghe elencazioni di fatti. Cionondimeno avremo la possibilità di esaminare quelle circostanze che risultano maggiormente favorevoli alla variazione. Nel capitolo che segue sarà trattata la lotta per l'esistenza fra tutti i viventi ed in tutto il mondo, che scaturisce necessariamente dalla loro elevata capacità di moltiplicarsi in ragione geometrica. È, questa, la dottrina di Malthus applicata all'intero regno animale e vegetale. Gli individui di ciascuna specie, che nascono, sono molto più numerosi di quanti ne possano sopravvivere e quindi la lotta per l'esistenza si ripete di frequente. Ne consegue che qualsiasi vivente, che sia variato sia pure di poco, ma in un senso a lui favorevole nell'ambito delle condizioni di vita, che a loro volta sono complesse ed alquanto variabili, avrà maggiori possibilità di sopravvivere e, quindi, sarà selezionato naturalmente. In virtù del possente principio dell'ereditarietà, ciascuna varietà, selezionata in via naturale, tenderà a perpetuare la sua nuova forma modificata.

Nel quarto capitolo tratteremo abbastanza per esteso l'argomento essenziale della selezione naturale. Vedremo allora come la selezione naturale provochi quasi inevitabilmente l'estinzione delle forme di vita meno perfette ed induca quella che ho definito divergenza dei caratteri. Nel capitolo successivo affronterò le leggi, complesse e poco conosciute, relative alla variazione ed alla correlazione dello sviluppo. Nei quattro capitoli che seguono esporrò le più evidenti e gravi difficoltà della teoria, e precisamente: primo, le difficoltà inerenti alle trasformazioni, vale a dire la difficoltà di concepire come un organismo semplice, od un organo semplice, possano trasformarsi e perfezionarsi diventando un organismo altamente evoluto od un organo estremamente complesso; secondo, la questione dell'istinto o facoltà psichica degli animali; terzo, l'ibridismo, ossia la sterilità dei prodotti di incrocio di specie diverse e la fertilità dei prodotti di incrocio delle varietà; quarto, l'incompletezza dei dati geologici. In seguito prenderò in esame la successione geologica dei viventi attraverso il tempo; nei capitoli undicesimo e dodicesimo tratterò della distribuzione geografica dei viventi nello spazio; nel tredicesimo della loro classificazione, vale a dire delle loro reciproche affinità, sia dopo il completamente dello sviluppo, sia nella fase embrionale. Nell'ultimo capitolo riassumerò brevemente l'intera opera ed esporrò alcune osservazioni conclusive.

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Pagina 201

1. La variazione allo stato domestico

Cause della variabilità. Conseguenze dell'abitudine. Rapporti di crescita. Eredità. Carattere delle varietà domestiche. Difficoltà di distinguere le varietà e le specie. Origine delle varietà domestiche da una o più specie. Colombi domestici loro differenze ed origine. Sistemi di selezione applicati in passato e loro effetti. Selezione metodica e selezione inconscia. Origine ignota dei nostri prodotti domestici. Circostanze favorevoli al potere di selezione dell'uomo.

Quando osserviamo gli individui di una stessa varietà o sottovarietà di vegetali coltivati o di animali allevati dall'uomo fin dai tempi più remoti, la prima cosa che ci colpisce è il fatto che essi differiscono tra di loro molto più degli individui appartenenti a qualsiasi specie o varietà allo stato naturale. Se pensiamo al gran numero di piante coltivate e di animali allevati dall'uomo, che hanno subito mutamenti in tutti i tempi sotto i climi ed i trattamenti più diversi, penso che dovremo necessariamente concludere che questa maggiore variabilità è semplicemente dovuta al fatto che i prodotti dell'addomesticamento sono stati allevati in condizioni meno uniformi ed alquanto diverse da quelle, in cui si trovavano le specie originarie allo stato di natura. Forse qualche elemento di verità si trova anche nell'opinione avanzata da Andrew Knight, secondo il quale detta variabilità è riportabile in parte all'eccesso di cibo. Mi sembra evidente che gli organismi devono sottostare per più generazioni alle nuove condizioni di vita prima che si manifesti una variazione apprezzabile e che, se un organismo ha cominciato a variare, continuerà a variare per molte generazioni. Non si conosce alcun caso di un organismo variabile che abbia cessato di essere tale se sottoposto ad allevamento. Le più antiche piante coltivate, come il grano, producono assai di frequente nuove varietà; gli animali addomesticati da più lungo tempo sono tuttora capaci di rapidi perfezionamenti o mutamenti.

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Pagina 223

2. La variazione in natura

Variabilità. Differenze individuali. Specie incerte. Le specie più diffuse e comuni variano maggiormente. In tutti i paesi le specie appartenenti a generi più vasti variano maggiormente delle specie appartenenti a generi più piccoli. Molte specie appartenenti ai generi più grandi rassomigliano a varietà, essendo molto strettamente collegate tra di loro, sia pure in misura ineguale, ed avendo areali limitati.

Prima di applicare agli organismi allo stato di natura i principi puntualizzati nel capitolo precedente, dobbiamo discutere brevemente il fatto se detti organismi vadano incontro a variazioni. Per trattare idoneamente l'argomento, occorrerebbe dare un lungo elenco di nudi fatti, che rimando alla mia opera futura. Qui non parlerò neppure delle varie definizioni del termine «specie» che sono state date finora. Per ora non vi è definizione che abbia soddisfatto tutti i naturalisti. In genere il termine contiene un elemento imponderabile, ossia un atto separato di creazione. Anche il termine «varietà» è quasi altrettanto difficile a definirsi, però in questo caso, anche se ben di rado è possibile comprovarla, si presume sempre una discendenza comune. Abbiamo poi quelle che vengono chiamate mostruosità, che però, tendono a diventare varietà. Secondo me per mostruosità si deve intendere una considerevole deviazione strutturale, limitata a qualche parte, dannosa o inutile per la specie e che, in genere, non si riproduce. Alcuni autori impiegano il termine «variazione» in un'accezione tecnica, intendendo una modificazione dovuta alle condizioni materiali di vita. Le «variazioni» in questo senso non dovrebbero essere ereditarie. Però chi potrebbe dire che non si possano trasmettere ereditariamente, almeno per qualche generazione, il nanismo dei molluschi delle acque salmastre del Baltico, quello delle piante delle vette alpine, o la folta pelliccia degli animali dell'estremo nord? Penso che, in questi casi, si debba parlare di varietà. Inoltre abbiamo molte piccole differenze che potrebbero essere definite differenze individuali, che, compaiono di frequente nei figli di una stessa coppia di genitori, o che possiamo ritenere che siano comparse in questo modo, dato che si osservano frequentemente negli individui della stessa specie che vivono in una stessa zona limitata. Nessuno pensa che gli individui di una stessa specie siano tutti conformi ad un solo modello. Queste differenze individuali sono importantissime per noi, in quanto forniscono materiali che possono essere accumulati dalla selezione naturale nello stesso modo in cui l'uomo può accumulare, secondo una direzione qualsiasi, le differenze individuali che compaiono nelle sue produzioni domestiche.

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Pagina 245

4. La selezione naturale

La selezione naturale. Suo potere in confronto alla selezione umana. Suo potere sui caratteri di minima importanza. Suo potere su tutte le età e su entrambi i sessi. Selezione sessuale. Generalità sugli incroci tra individui della stessa specie. Circostanze favorevoli e sfavorevoli alla selezione naturale, e precisamente incroci, isolamento, numero di individui. Azione lenta. Estinzione provocata dalla selezione naturale. Divergenze nei caratteri correlate con la densità degli abitanti di qualsiasi piccola area e con la naturalizazione. Azione della selezione naturale, tramite la divergenza dei caratteri e l'estinzione, sui discendenti di un progenitore comune. Essa spiega i raggruppamenti di tutti gli esseri viventi.

Come agisce nei confronti della variazione la lotta per l'esistenza trattata troppo succintamente nel capitolo precedente? Il principio della selezione, che abbiamo visto quanto sia potente in mano all'uomo, può valere in natura? Teniamo presente la capacità di presentare variazioni singolari, immensamente grande nei prodotti di allevamento e un po' più limitata nei viventi allo stato naturale. A buon conto si può dire che, allo stato domestico, l'intero organismo acquista una certa plasticità (1). Pensiamo all'infinita complessità ed alla perfetta reciprocità dei rapporti di tutti i viventi fra di loro e con le condizioni fisiche di vita (2). E allora, constatando che, senza dubbio, si sono verificate delle variazioni utili all'uomo, dovremmo ritenere improbabile che talvolta, nel corso di migliaia di generazioni, si possono verificare altre variazioni utili in qualche modo a ciascun vivente nella grande e complessa battaglia della vita? Se questo accade, possiamo dubitare (ricordando che nascono molti più individui di quanti ne possano sopravvivere) che gli individui che possiedono un vantaggio qualsiasi sugli altri, sia pure molto piccolo, abbiano migliori probabilità di sopravvivere e di propagare la loro discendenza? D'altro canto possiamo essere certi che qualsiasi variazione nociva, sia pure in minimo grado, verrebbe immancabilmente distrutta. A questa conservazione delle variazioni favorevoli ed all'eliminazíone delle variazioni nocive ho dato il nome di selezione naturale (3). Le variazioni né utili né dannose non dovrebbero subire l'influenza della selezione naturale e dovrebbero rimanere allo stato fluttuante, come vediamo, forse, nelle specie dette polimorfe (4).

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Riassunto del capitolo. Durante il lungo corso delle età e in diverse condizioni di vita, gli organismi variano in diverse parti della loro organizzazione, e questo, secondo me, non può essere messo in discussione. Ciascuna specie tende a moltiplicarsi secondo un'elevata ragione geometrica, per cui a una data età, stagione od anno deve esserci una dura lotta per la vita, e anche questo non può essere messo in dubbio. E allora, considerando l'infinita complessità dei rapporti di tutti gli organismi fra di loro e con le condizioni di esistenza, rapporti che determinano un'infinita diversità di struttura, costituzione ed abitudini, che dovranno tornare loro utili, ritengo che sarebbe quanto mai strano se non si fosse mai verificata una variazione giovevole al benessere di ciascun organismo, nella stessa maniera in cui si sono avute tante variazioni utili all'uomo. Ma se si verificano effettivamente delle variazioni utili ad un qualsiasi vivente, sicuramente gli individui che le possiedono avranno le più elevate probabilità di conservarsi nella lotta per la vita e, grazie al possente principio dell'ereditarietà tenderanno a produrre discendenti provvisti delle stesse caratteristiche. Per amor di brevità a questi principi della conservazione ho dato il nome di selezione naturale (53). La selezione naturale, in base al principio che alcune qualità sono ereditate in determinate età, può modificare l'uovo, il seme, od il piccolo, con la stessa facilità con cui modifica l'adulto. In molti animali la selezione sessuale presterà il suo aiuto alla selezione ordinaria, assicurando il maggior numero di discendenti ai maschi più vigorosi e meglio adattati. Inoltre la selezione sessuale conferirà caratteristiche utili ai soli maschi nelle loro lotte con altri maschi.

Se la selezione naturale ha veramente operato in questo modo in natura, modificando e adattando le varie forme di vita alle diverse condizioni e sedi, è cosa che deve essere giudicata in base al complesso generale delle prove fornite nei capitoli che seguono. Però già vediamo come essa porti con sé l'estinzione e la geologia dimostra chiaramente la parte di primo piano so- stenuta dall'estinzione nella storia del mondo. La selezione naturale porta anche alla divergenza dei caratteri e infatti in una stessa regione possono sopravvivere animali in numero tanto maggiore quanto più divergono per struttura, abitudini e costituzione; vediamo la prova di questo fatto osser- vando gli abitanti di piccole regioni o i prodotti naturalizzati. Quindi, duran- te la modificazione dei discendenti di qualsiasi specie e durante la lotta in- cessante di tutte le specie, intesa all'accrescimento del numero, i discendenti di una specie avranno probabilità tanto maggiori di riuscire nella battaglia della vita, quanto più saranno modificati. Dunque le piccole differenze, che distinguono le varietà della stessa specie, tenderanno ad accrescersi costante- mente fino ad uguagliare le maggiori differenze esistenti fra le specie di uno stesso genere o persino di generi distinti. Abbiamo visto che le specie che variano di più sono le specie comuni, largamente diffuse, distribuite su una vasta area ed appartenenti a grandi generi. E queste specie tenderanno a trasmettere ai loro discendenti modifi- cati quella superiorità che ora le rende dominanti nel propri paesi. La sele- zione naturale, come è stato testé rilevato, induce alla divergenza dei carat- teri e ad una notevole estinzione delle forme di vita meno perfezionate ed interrnedie. Ritengo che, in base a questi principi, sia possibile spiegare la natura delle affinità [di tutti gli esseri organici] (54). Un fatto veramente me- raviglíoso - che non ci stupisce più, perché troppo familiare - è che tutti gli animali e le piante in tutti i tempi ed in tutti i luoghi devono essere correlati fra di loro formando gruppi subordinati ad altri gruppi, secondo un ordine costante (cioè, varietà di una stessa specie strettamente affini fra di loro, specie di uno stesso genere correlate fra di loro meno strettamente e con minore uniformità - fino a formare sezioni e sottogeneri -, specie di generi distinti correlati fra di loro molto più blandamente e generi aventi diversi gradi di correlazione, fino a formare sottofamiglie, famiglie, ordini, sotto- classi e classi). I diversi gruppi di una data classe non possono essere si- stemati secondo un ordine lineare, mentre sembrano piuttosto raggruppati intorno a dei punti, che a loro volta sono raggruppati attorno ad altri punti e via di seguito in cicli pressoché infiniti. Partendo dal principio che ciascu.ria specie sia stata creata indipendentemente, non vedo alcuna spiegazione pos- sibile di questo grande fatto della classificazione di tutti i viventi, mentre, secondo il mio giudizio più ponderato, trovo che è spiegabile con l'eredità e la complessa azione della selezione naturale, che comporta l'estinzione delle specie e la divergenza dei caratteri, secondo quanto è illustrato nel dia- gramma. Talora le affinità fra tutti gli esseri della stessa classe sono state rappresen- tate come un grande albero. Ritengo che questa analogia si avvicini molto alla verità. 1 ramoscelli verdeggianti e ricoperti di gemme possono rappre- sentare le specie esistenti, mentre i rami spuntati in ciascuno degli anni pre- cedenti rappresentano la lunga successione delle specie estinte. In ciascun periodo di crescita tutti i rami in via di sviluppo hanno cercato di espandersi in ogni direzione e di sovrastare ed uccidere i germogli ed i rami circonvicini, nello stesso modo in cui le specie ed i gruppi di specie hanno cercato di sopraffare le altre specie nella grande battaglia per la vita. Le raláficazioni maggiori di@ise in grandi rami, che, a loro volta si suddividono in rami sempre più piccoli, un tempo furono esse stesse, quando l'albero era piccolo, ramoscelli in germoglio. E questa connessione tra i germogli di un tempo e quelli attuali può ben rappresentare la classificazione di tutte le specie estinte e viventi in gruppi subordinati ad altri gruppi. Dei molti ramoscelli che verdeggiavano quando l'albero era semplice arboscello, due o tre sol- tanto, attualmente sviluppatisi in grossi rami, sopravvivono ancora e sosten- gono tutti gli altri rami. Così è delle specie vissute in periodi geologici tra- scorsi da molto tempo, ben poche delle quali hanno discendenti modificati tuttora viventi. Fin dai primi tempi dello sviluppo dell'albero, parecchie mo- dificazioni maggiori e minori sono morte e cadute e questi rami perduti, aventi diverse dimensioni, possono rappresentare tutti quegli ordini, famiglie e generi che attualmente non hanno rappresentanti viventi e che ci sono noti solo perché sono stati trovati allo stato fossile. Come in un albero vediamo qua e là qualche ramoscello isolato che, nato in una biforcazione a basso livello dei rami, per un caso fortunato è tuttora vegetante all'apice, così di tanto in tanto troviamo qualche animale, come l'ornitorinco o la sirena squa- mata, i quali entro certi timiti, con le loro affinità collegano due grandi rami della vita, e sono stati tenuti lontani dalla lotta mortale, essendo vissuti in luoghi riparati. Come i ramoscelli producono, sviluppandosi, nuovi ramo- 316 cinque dita adatti a camminare o afferrare; e Possiamo spingerci oltre e dire che le diverse ossa negli arti della scimmia, del cavallo e del pipistrello, che sono ereditate da un antenato comune, fossero particolarmente utili a questo progenitore o ai suoi antenati, ben più di quanto lo siano per questi animali aventi abitudini così differenti. [Pertanto possiamo dedurne che queste di- verse ossa sono state acquisite tramite la selezione naturale. asso2 ettata un

99 tempo, come ora, alle diverse leggi dell'ereditarietà, della reversione, della correlazione di sviluppo, ecc. Quindi, ogni particolare strutturale di ciascun vivente (facendo qualche piccola concessione all'azione diretta delle condi- zioni fisiche) può essere considerato utile a qualche forma ancestrale o utile attualmente per i discendenti di questa forma, sia direttamente, sia indiretta- mente tramite le complesse leggi dello sviluppo] (33).

La selezione naturale non può assolutamente produrre una qualsiasi modi- ficazione in una specie a esclusivo beneficio di un'altra specie, anche se, in tutta la natura, ciascuna specie trae continui vantaggi e approfitta della strut- tura di altre specie. Ma la selezione naturale può produrre, ed effettivamente produce, strutture direttamente destinate a danneggiare altre specie, come appare dal dente della vipera e dall'ovopositore dell'icneumone, che se ne serve per deporre le uova nel corpo vivente di altri insetti. Se fosse possibile provare che una qualsiasi parte della struttura di una qualsiasi specie si è formata esclusivamente per il bene di un'altra specie, la mia teoria verrebbe distrutta, perché un fatto simile non sarebbe provocato dalla selezione natu- rale. Nei libri di storia naturale si trovano molte affermazioni in questo senso, tuttavia io non ne trovo neppure una che mi sembri avere qualche peso. Si ammette che il crotalo ha un dente velenifero per sua difesa e per distruggere la preda, però taluni autori suppongono che questo serpente sia provvisto di un sonaglio, che gli è dannoso, perché serve a mettere sull'avviso la preda, che fugge. lo sarei quasi altrettanto propenso a credere che il gatto inarca la coda, quando si prepara al balzo, per avvertire il topolino della sua condanna. [Ma qui mi manca lo spazio per intrattenermi su questo e su altri casi] (34). La selezione naturale non produrrà mai in un organismo qualcosa che gli possa arrecare danno, in quanto la selezione naturale agisce esclusivamente tramite e per il vantaggio di ciascuno. Come è stato rilevato da Paley, non si formerà alcun organo destinato a procurare dolore o danni a chi lo possiede. Se facciamo un bilancio fra il bene e il male procurato a ogni singola parte, si troverà che nel complesso la situazione è vantaggiosa. Col passare del tempo e col mutamento delle condizioni di vita, se una data parte diventa dannosa, verrà modificata; in caso contrario il vivente si estinguerà, come se ne sono estinti a migliaia. La selezione naturale tende solamente a rendere ciascun essere vivente altrettanto perfetto (o leggermente più perfetto) quanto gli altri abitanti dello stesso paese con i quali deve lottare per l'esistenza. E noi vediamo che tale è il grado di perfezione raggiunto in natura. Per esempio,, i prodotti endemici della Nuova Zelanda sono perfetti se confrontati fra di loro, però attualmente stanno rapidamente cedendo di fronte alle legioni in marcia di vegetali e animali importati dall'Europa. La selezione naturale non produrrà la perfezione assoluta e, per quanto ci è possibile giudicare, in natura non troviamo mai un livello così alto. Le più attendibili autorità affermano che la correzione dell'aberrazione della luce non è perfetta neppure nell'occhio, che è il più perfetto di tutti gli organi (35). Se la ragione ci induce ad ammi- rare con entusiasmo un gran numero di inimitabili congegni esistenti in na- tura, questa stessa ragione ci dice, anche se possiamo errare facilmente in un senso o nell'altro, che certi altri congegni sono meno perfetti. Possiamo con- sid.erare perfetto il pungiglione della vespa o dell'ape che, una volta usato contro) gli assalitori, non può essere ritirato per via delle seghettature volte all'indietro e, in tal modo, provoca inevitabilmente la morte dell'insetto strappandogli le viscere? Se pensiamo che il pungiglione dell'ape in origine doveva esistere, in qualche rernoto progenitore, in funzione di trapano o di sega, come quello di tanti rnembri dello stesso grande ordine, e che si è modificato, ma non per- fezionato, per adempiere alle funzioni attuali attraverso un'intensificazione della 4ostanza tossica, che originariamente serviva a produrre le galle, forse capiremo perché l'uso del pungiglione provoca in molti casi la morte dell'in- setto. Infatti, nel complesso, la capacità di pungere è utile alla comunità e quindi risponde ai requisiti della selezione naturale, anche se può provocare la molte di qualche membro. Se ammiriamo le capacità olfattive veramente ineravigliose grazie alle quali i maschi di molti insetti trovano le femmine, possiamo ammirare la produzione, per questo solo scopo, di migliaia di fuchi, assolutamente inutili alla comunità per qualunque altro scopo, che fi- niscono uccisi dalle loro industriose e sterili sorelle? Anche se ci può riuscire difficile, dovremmo ammirare il selvaggio odio istintivo dell'ape regina, che la sprona a distruggere le giovani regine sue figlie appena nate o a perire nel combattimento, perché senza dubbio è per il bene della comunità, e l'amore materilo o l'odio materno - questo fortunatamente più raro - hanno lo stesso valore per il principio inesorabile della selezione naturale. Se ammi- riamo i vari, ingegnosi dispositivo, mediante i quali i fiori dell'orchidea e di molte altre piante sono fecondati grazie all'intervento degli insetti, possiamo considerare altrettanto perfetta la produzione, da parte dei nostri abeti, di dense nuvole di polline, destinate a fare in modo che qualche granello sia casualínente portato dalla brezza sugli ovuli?

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[Riassunto del capitolo] (36). In questo capitolo abbiamo trattato alcune difficoltà e obiezioni che potrebbero essere avanzate contro la mia teoria. Molte sono assai gravi, però io penso che la discussione abbia fatto luce su diversi fatti che, secondo la teoria degli atti indipendenti di creazione, rimangono assolutamente oscuri. Abbiamo visto che, in qualsiasi periodo, le specie non variano all'infinito e non sono collegate insieme da un'infinità di gradazioni intermedie, in parte perché il processo di selezione naturale sarà sempre lentissimo e, in ogni tempo, opererà solo su pochissime forme, e in parte perché proprio il principio della selezione naturale comporta la quasi continua sostituzione ed estinzione delle gradazioni precedenti e intermedie. Specie strettamente affini, che ora vivono in una zona ininterrotta, in molti casi devono essersi formate quando la zona non era continua e quando le condizioni di vita non andavano mutando insensibilmente da una parte all'altra. Quando, in due distretti di un'area continua, si formano due varietà, spesso si formerà una varietà intermedia, adatta a una zona intermedia. Però, per le ragioni di cui sopra, la varietà intermedia esisterà abitualmente in minor numero rispetto alle due forme che collega. Di conseguenza, queste due, nel caso di ulteriori modificazioni, acquisteranno un grande vantaggio sulla varietà intermedia meno numerosa (perché esse sono in gran numero) e in genere riusciranno a scalzarla ed annientarla.

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14. Ricapitolazione e conclusione (1)

Ricapitolaztone delle difficoltà riguardanti la teoria della selezione naturale. Ricapitolazione delle circostanze generali e speciali a suo favore. Cause della diffusa credenza nell'immutabilità delle specie. Estremi ai quali può essere estesa la teoria della selezione naturale. Effetti della sua adozione sullo studio della storia naturale. Note conclusive.

Siccome quest'opera non è che una sola, lunga trattazione, il lettore potrà trarre giovamento da una breve ricapitolazione dei fatti principali e delle deduzioni.

Contro la teoria della discendenza con modificazioni, determinate dalla selezione naturale, si possono sollevare gravi obiezioni, che io non intendo negare. Anzi ho cercato di esprimerle con tutto il vigore possibile. A prima vista non vi è niente di più difficile che credere che gli organi e gli istinti più complessi si siano perfezionati non tramite mezzi superiori, ma analoghi, alla ragione umana, bensì tramite l'accumulo di infinite, leggere variazioni, ciascuna utile al suo possessore individuale. Cionondimeno, questa difficoltà, anche se alla nostra ragione sembra insuperabilmente grande, non può essere considerata reale a patto di ammettere le seguenti proposizioni, e cioè: che esistono attualmente, o possono essere esistite, varie gradazioni nella perfezione di qualsiasi organo od istinto che si possa immaginare, buona, ciascuna, nel suo genere; che tutti gli organi ed istinti sono variabili, sia pure in grado minimo; infine, che esiste una lotta per l'esistenza che porta alla conservazione di ciascuna deviazione della struttura o dell'istinto, purché utile. Non penso che si possa mettere in discussione la verità di queste proposizioni.

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La selezione naturale opera esclusivamente accumulando leggere variazioni favorevoli, che compaiono successivamente, per cui non può provocare all'improvviso grandi modificazíoni, mentre può operare esclusivamente a passi molto brevi e lenti. Da qui l'adagio «Natura non facit saltum», che appare sempre più rigorosamente corretto a mano a mano che le nostre conoscenze si arricchiscono di nuovi elementi e che, grazie alla nostra teoria, è facilmente spiegabile (15). Possiamo capire agevolmente perché la natura è prodiga di varietà, ma avara nelle innovazioni. Tuttavia nessuno è in grado di spiegare perché questa debba essere una legge di natura valida per tutte le specie, se si ammette che le specie siano state create separatamente.

Secondo me molti altri fattori possono essere spiegati con questa teoria piuttosto strano che un uccello, avente la forma di un picchio, debba essere stato creato per catturare insetti sul suolo; che le oche di montagna, che non nuotano mai o solo raramente, debbano essere state create con i piedi palmati; che un tordo debba essere stato creato per tuffarsi e nutrirsi di insetti acquatici, e che una procellaria debba essere stata creata con abitudini e struttura adatte alla vita di un'alca o di un colimbo! E così via in un'infinità di casi. Però, partendo dal principio che ciascuna specie cerca costantemente di aumentare di numero, e che la selezione naturale è sempre pronta ad adattare i discendenti, in lenta mutazione, in modo da renderli atti ad occupare i posti rimasti vuoti o poco occupati nella natura, questi fatti cessano di essere strani o forse avrebbero potuto persino essere previsti (16).

Poiché la selezione naturale agisce per competizione, essa produce, negli abitanti di un dato paese, un grado di adattamento strettamente commisurato al grado di perfezione delle altre specie conviventi. Per questo non c'è da meravigliarsi se gli abitanti di ciascun paese, sebbene secondo la dottrina generalmente accettata risultino specificamente creati e quindi adatti a detto paese, rimangono sconfitti e sono sostituiti dai prodotti naturalizzati provenienti da altre regioni. Nemmeno ci dobbiamo meravigliare se, in natura, i vari adattamenti, per quanto ci è possibile giudicare, non sono perfetti in senso assoluto, tanto che alcuni sono in netto contrasto col nostro modo di considerare la perfezione. Non ci dobbiamo meravigliare se il pungiglione provoca la morte dell'ape; se i fuchi sono prodotti in gran numero per compiere un atto unico e quindi sono massacrati dalle loro sorelle sterili; se gli abeti producono immense quantità di polline; se l'ape regina prova un odio istintivo per le proprie figlie feconde; se gli icneumoni si nutrono del corpo vivente dei bruchi; non ci dobbiamo meravigliare di tanti altri casi. Invece, attenendoci alla teoria della selezione naturale ci si deve stupire se non si sono osservati ancora altri casi di mancanza di perfezione assoluta.

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Quando le opinioni sostenute in questo libro, od altre opinioni analoghe, saranno ammesse dalla generalità degli studiosi, si può prevedere oscuramente che vi sarà una grande rivoluzione nella storia naturale. I sistematici saranno in grado di condurre il loro lavoro come ora ma non saranno incessantemente tormentati dal pensiero se questa o quella forma sia o meno una specie nella sua essenza. Sono certo, parlo per esperienza, che sarà un non piccolo sollievo. Cesserà l'interminabile disputa sul fatto se le circa cinquanta specie di rovi britannici siano o meno vere specie. I sistematici dovranno soltanto decidere se (e non si tratta di un compito facile) una data forma sia abbastanza costante e distinta dalle altre forme, al punto da poter essere definita e, se definibile, se le differenze siano sufficienti a giustificare il rango di specie. Quest'ultimo punto diventerà un criterio molto più importante di quanto lo sia attualmente: infatti le differenze tra due forme, che non siano collegate da gradazioni intermedie, anche se leggere, sono considerate dalla maggioranza dei naturalisti come sufficienti ad elevare entrambe le forme al rango di vere specie. Da allora in poi saremo costretti a riconoscere che l'unica distinzione fra le specie e le varietà ben definite è che queste ultime sono, o si crede che siano, collegate attualmente da gruppi intermedi, mentre le specie lo furono in passato. Quindi, senza respingere affatto la considerazione dell'esistenza attuale di gradazioni intermedie fra due forme, saremo indotti a soppesare con maggior cura ed a valutare maggiormente l'entità attuale della differenza che intercorre fra di esse. È perfettamente possibile che forme che ora sono generalmente considerate come semplici varietà, in avvenire siano giudicate degne di un nome specifico, come avviene con la primula e la primula odorosa e, in questo caso, il linguaggio scientifico e quello comune si troveranno d'accordo. In breve, dovremo trattare le specie come i naturalisti trattano i generi, ammettendo, come fanno, che i generi sono semplici combinazioni artificiali fatte per comodità. Può essere una prospettiva poco allettante, ma almeno saremo liberati dalla vana ricerca dell'essenza nota ed ignota del termine specie.

Gli altri e più generali capitoli della storia naturale aumenteranno notevolmente di interesse. I termini, usati dai naturalisti, di affinità, parentela, comunanza di tipo, paternità, morfologia, caratteri di adattamento, organi rudimentali ed abortiti, ecc., cesseranno di essere metaforici ed acquisteranno un significato positivo. Quando non guarderemo più gli esseri viventi come un selvaggio guarda un bastimento, cioè come si guarda qualcosa che trascende completamente la comprensione; quando contempleremo ogni prodotto della natura considerandolo come qualcosa che abbia avuto una storia; quando considereremo qualsiasi struttura complessa e qualsiasi istinto come la somma di molti elementi, ciascuno utile al suo possessore, pressappoco come, osservando una grande invenzione meccanica, la consideriamo come la somma delle fatiche, dell'esperienza, della ragione e persino degli errori di molti operai; quando, dunque, considereremo in questo modo ciascun essere vivente, quanto (parlo per esperienza) diventerà più interessante lo studio della storia naturale!

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È interessante contemplare una rigogliosa ripa fluviale, coperta di molte piante appartenenti a molti tipi, con gli uccelli che cantano tra i cespugli, i diversi insetti che svolazzano intorno e con i vermi che strisciano nel terreno umido, e riflettere, che queste forme dalla struttura così complessa, tanto differenti le une dalle altre e dipendenti le une dalle altre in modo talmente complicato, sono state tutte prodotte dalle leggi che operano attorno a noi. Queste leggi, prese in senso generale, sono lo sviluppo con riproduzione, l'eredità praticamente insita nella riproduzione, la variabilità legata all'azione indiretta e diretta delle condizioni esterne di vita e all'uso e non uso, un ritmo di incremento numerico talmente alto da portare alla lotta per la vita e conseguentemente alla selezione naturale, che a sua volta comporta la divergenza dei caratteri e l'estinzione delle forme meno perfezionate. Dunque dalla guerra della natura, dalla carestia e dalla morte, nasce la cosa più alta che si possa immaginare: la produzione degli animali più elevati. Vi è qualcosa di grandioso in questa concezione della vita, con le sue molte capacità, che inizialmente fu data a poche forme o ad una sola e che, mentre il pianeta seguita a girare secondo la legge immutabile della gravità, si è evoluta e si evolve, partendo da inizi così semplici, fino a creare infinite forme estremamente belle e meravigliose.

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L'ORIGINE DELL'UOMO
E LA SELEZIONE SESSUALE
1871

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PARTE PRIMA
La discendenza od origine dell'uomo


l. Prove della discendenza dell'uomo da alcune forme inferiori

Natura delle prove riguardo all'origine dell'uomo. Strutture omologhe nell'uomo e negli animali inferiori. Punti diversi di corrispondenza. Sviluppo. Strutture rudimentali, muscoli, organi sensori, capigliatura, ossa, organi riproduttori, ecc. L'importanza di queste grandi classi di fattori nell'origine dell'uomo.

Chi voglia decidere se l'uomo sia il discendente modificato di qualche forma preesistente, probabilmente dovrebbe prima appurare se egli muta, sia pure leggermente, nella struttura fisica e nelle facoltà mentali. In caso positivo, se i mutamenti sono trasmessi alla sua discendenza in conformità alle leggi che vigono per gli animali inferiori. Inoltre, per quanto la nostra ignoranza ci permette di valutare, dovrebbe appurare ancora se tali variazioni siano il risultato di alcune cause generali e siano regolate da quelle stesse leggi generali che valgono per gli altri organismi, per esempio la correlazione, gli effetti ereditari dell'uso e del disuso, ecc.; e se l'uomo sia soggetto agli stessi difetti di conformazione conseguenti ad uno sviluppo interrotto, raddoppiamento delle parti, ecc., e dimostri in alcune delle sue anomalie un'involuzione verso qualche precedente ed antico tipo di struttura. Naturalmente si potrebbe anche vedere se l'uomo, come molti altri animali, abbia dato origine a varietà o sotto-razze diversificate l'una dall'altra solo di poco o a razze differenti a tal punto da essere classificate come specie dubbie. Come sono distribuite queste razze nel mondo? E quando si incrociano, come reagiscono una sull'altra nella prima e nelle successive generazioni? E via dicendo per molti altri problemi.

Lo studioso dovrebbe poi arrivare al punto importante: se l'uomo tenda a moltiplicarsi in misura tale da provocare occasionali e dure lotte per l'esistenza che mantengano le variazioni vantaggiose sia fisiche che mentali, eliminando quelle dannose. Le razze o le specie umane, qualunque sia il termine appropriato, possono subentrare e sostituirsi le une alle altre, in modo che alla fine qualcuna si estingua? Vedremo che a tutte queste domande sarà risposto in senso affermativo, come per gli animali inferiori, il che d'altronde è naturale per la maggior parte di esse. Le diverse ipotesi cui si è fatto riferimento possono essere momentaneamente tralasciate senza inconvenienti. E per prima cosa vedremo quanto la struttura fisica dell'uomo riveli tracce remote, più o meno evidenti, della sua derivazione da qualche forma inferiore. Nei capitoli successivi verranno prese in considerazione le capacità intellettuali dell'uomo in rapporto a quelle degli animali inferiori.

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Sommario degli ultimi due capitoli. Non può esservi dubbio che la differenza tra la mente dell'uomo inferiore e quella dell'animale superiore sia immensa. Una scimmia antropomorfa, se potesse dare un'opinione spassionata del proprio caso, ammetterebbe che, sebbene essa possa formulare un piano ingegnoso per saccheggiare un giardino, sebbene sia in grado di usare pietre per combattere o per spaccare noci, tuttavia il pensiero di modellare una pietra in utensile è del tutto al di là dei suoi mezzi. Ancor meno dovrebbe ammettere di poter seguire la catena di un ragionamento metafisico o risolvere un problema matematico o riflettere su Dio o ammirare una grande scena naturale. Alcune scimmie tuttavia probabilmente dichiarerebbero di poter ammirare e di ammirare in effetti la bellezza della pelle e della pelliccia dei compagni con cui si accoppiano. Ammetterebbero che, sebbene possano far comprendere con grida alle altre scimmie alcune delle loro percezioni e dei desideri più semplici, il concetto di esprimere idee definite con suoni definiti non ha mai attraversato la loro mente. Potrebbero sostenere di esser pronte ad aiutare i loro simili della stessa tribù in molti modi, a rischiare la vita per loro, a prendersi cura dei loro orfani, ma sarebbero costrette a riconoscere che l'amore disinteressato per tutte le creature viventi, il più nobile attributo dell'uomo, è del tutto oltre la loro comprensione.

Nondimeno, la differenza mentale tra l'uomo e gli animali superiori, per quanto sia grande, è certamente di grado e non di genere. Abbiamo visto che i sensi, le intuizioni, le varie emozioni e le facoltà, come l'amore, la memoria, l'attenzione, la curiosità, l'imitazione, la ragione, ecc. di cui l'uomo si vanta, si possono trovare in una condizione incipiente, o anche talora ben sviluppata, negli animali inferiori. Essi sono anche capaci di alcuni miglioramenti ereditari, come vediamo nel cane domestico paragonato al lupo o allo sciacallo. Se si potesse provare che alcuni elevati poteri mentali, come la formazione di concetti generali, l'autocoscienza, ecc. sono assolutamente peculiari all'uomo, il che sembra estremamente dubbio, non sarebbe improbabile che queste qualità apparissero come il risultato incidentale di altre facoltà intellettuali altamente avanzate e queste ancora principalmente il risultato dell'uso continuo di un linguaggio perfetto. A quale età il neonato possiede il potere di astrazione, o diviene autocosciente, o riflette sulla propria esistenza? Non possiamo rispondere; neppure possiamo rispondere riguardo alla scala organica ascendente. La semi-arte, il semi-istinto, del linguaggio ancora portano l'impronta della loro evoluzione graduale. La nobile fede in Dio non è universale fra gli uomini, e la credenza in agenti spirituali deriva naturalmente da altre capacità mentali. Il senso morale forse costituisce la migliore e più elevata distinzione tra l'uomo e gli animali inferiori, ma non ho bisogno di dire nulla su questo punto, in quanto ultimamente mi sono sforzato di dimostrare che gli istinti sociali - il primo principio della costituzione morale dell'uomo - con l'aiuto dei poteri attivi intellettuali, e gli effetti delle abitudini, naturalmente portano alla regola aurea: «Fa agli altri ciò che vorresti che gli altri facessero a te», e questo si trova a fondamento della moralità.

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Tuttavia, se osserviamo le razze umane così come sono distribuite nel mondo, dobbiamo dedurne che le loro differenze caratteristiche non si possono spiegare con l'azione diretta di diverse condizioni di vita, anche dopo un'esposizione molto prolungata. Gli esquimesi vivono esclusivamente nutrendosi di animali, si vestono con folte pellicce e sono esposti a un freddo intenso e a un'oscurità prolungata. Tuttavia non differiscono in modo così patente dagli abitanti della Cina meridionale, che si nutrono esclusivamente di vegetali e che si espongono quasi nudi a un clima caldo e arido. I fuegini vivono nudi cibandosi dei prodotti marini delle loro spiagge inospitali; i botocudos del Brasile vagano per le calde foreste dell'interno e vivono soprattutto di prodotti vegetali, tuttavia queste tribù si somigliano talmente che i fuegini a bordo del «Beagle» erano scambiati da qualche brasiliano per botocudos. Inoltre i botocudos, come tutti gli altri abitanti dell'America tropicale, sono completamente diversi dai negri che abitano le coste opposte dell'Atlantico, sono esposti a un clima quasi uguale e seguono quasi le stesse abitudini di vita.

Né le differenze tra le razze umane si possono spiegare con gli effetti ereditari dell'aumento o della diminuzione dell'uso delle parti, se non a un livello quasi insignificante. Gli uomini abituati a vivere in canoe possono avere le gambe più corte; quelli che abitano regioni elevate hanno il torace più ampio e quelli che usano costantemente certi organi sensori possono avere le cavità in cui questi si trovano di ampiezza maggiore con conseguente modificazione delle loro fattezze. Nelle nazioni civili, la diminuzione delle mascelle per il minore uso - poiché il movimento abituale dei diversi muscoli serve ad esprimere diverse emozioni - e l'aumento della grandezza del cervello per una maggiore attività intellettuale, hanno congiuntamente determinato un considerevole effetto sul loro aspetto generale, paragonato a quello dei selvaggi. Probabilmente l'aumento della statura, senza un aumento corrispondente del cervello, può aver fornito ad alcune razze (a giudicare dai casi summenzionati dei conigli) un cranio allungato del tipo dolicocefalo.

Infine, il poco compreso principio dello sviluppo correlato sarà in qualche modo entrato in gioco, come nel caso del grande sviluppo muscolare e della forte sporgenza delle prominenze sopraorbitali. Il colore della pelle e dei capelli è strettamente correlato come lo è il tipo di capelli con il loro colore nel caso dei mandani dell'America settentrionale. Anche il colore e l'odore della pelle sono in qualche modo connessi. Nel caso della razza delle pecore, il numero di peli in un dato spazio e il numero dei pori escretori sono in relazione. Se possiamo giudicare dall'analogia con i nostri animali domestici, molte modificazioni di struttura dell'uomo probabilmente vanno sotto questo principio di sviluppo correlato.

Abbiamo appena visto che le differenze esterne caratteristiche tra le razze umane non si possono spiegare in modo soddisfacente con l'azione diretta delle condizioni di vita, né con gli effetti dell'uso prolungato di parti, né con il principio di correlazione. Siamo pertanto costretti a vedere se qualche piccola differenza individuale, cui l'uomo sia particolarmente soggetto, non sia stata conservata ed aumentata nella lunga serie di generazioni per mezzo della selezione naturale. Ma qui incontriamo subito l'obiezione che solo le variazioni benefiche possono essersi conservate; e per quanto possiamo giudicare, sebbene sempre soggetti ad errare su questo argomento, nessuna delle differenze tra le razze è di qualche utilità diretta o particolare per l'uomo. Le facoltà intellettuali e morali o sociali naturalmente debbono esser lasciate fuori da questa osservazione. La grande varietà di tutte le differenze esteriori tra le razze umane dimostra parimenti che esse non possono essere di grande importanza; perché, se lo fossero, si sarebbero già da molto consolidate e conservate o sarebbero scomparse. Da questo punto di vista l'uomo assomiglia a quelle forme che i naturalisti chiamano proteiche o poliformi, rimaste estremamente variabili, a quanto sembra a causa del fatto che tali variazioni sono di natura indifferente e che in tal modo sono sfuggite all'azione della selezione naturale.

Tutti i nostri tentativi per spiegare le differenze tra le razze umane sono così andati a vuoto; ma rimane ancora un importante fattore, la selezione sessuale, che sembra aver agito fortemente sull'uomo e su molti altri animali. Non intendo affermare che la selezione sessuale potrà spiegare tutte le differenze tra le razze. Rimarrà sempre un residuo inspiegabile, su cui, nella nostra ignoranza, potremo solo dire che, poiché alcuni individui nascono con il capo più rotondo o stretto, con il naso un po' più lungo o più corto, tali piccole differenze potrebbero diventare stabili e uniformi, se gli agenti sconosciuti che le determinano agissero in modo più costante, aiutati da un lungo e continuo incrocio. Tali variazioni si collocano in quella classe provvisoria, cui si è accennato nel secondo capitolo, che per mancanza di un termine migliore sono spesso chiamate spontanee. Non pretendo neppure di indicare con precisione scientifica gli effetti della selezione sessuale, ma si può dimostrare che sarebbe ben strano il fatto che l'uomo non fosse stato modificato da questo agente, che sembra aver agito fortemente su numerosi animali. Inoltre si può dimostrare che le differenze intercorrenti tra le razze umane, come il colore, la capigliatura, le fattezze, ecc. sono del tipo che ci si deve aspettare per il fatto di essere stato sottoposto all'influenza della selezione sessuale. Per poter trattare questo argomento in modo adeguato mi è sembrato necessario passare in esame tutto il regno animale, cui ho perciò dedicato la seconda parte di quest'opera. Alla fine tornerò sull'uomo e, dopo aver tentato di dimostrare fino a che punto egli possa essere stato modificato dalla selezione sessuale, riassumerò brevemente i capitoli di questa prima parte.

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21. Sommario generale e conclusione

Conclusione fondamentale che l'uomo discende da qualche forma inferiore. Modo di sviluppo. Genealogia dell'uomo. Facoltà intellettuali e morali. Selezione sessuale. Osservazioni conclusive.

Un breve sommario sarà sufficiente a riportare alla mente del lettore i punti più salienti di quest'opera. Molte delle ipotesi prospettate sono essenzialmente teoriche, e senza dubbio alcune si riveleranno erronee; ma in ogni caso ho spiegato le ragioni che mi hanno indotto ad accettare un'opinione piuttosto che un'altra. Sembrava che valesse la pena di vedere fino a che punto il principio dell'evoluzione potesse far luce su alcuni dei più complessi problemi della storia naturale dell'uomo. Notizie false sono nocive ai progressi della scienza, poiché spesso si sono credute per lungo tempo; ma ipotesi erronee, se surrogate da qualche prova, fanno poco danno, in quanto chiunque si può prendere il piacere di dimostrare la loro falsità; e ciò fatto si chiude un sentiero che porta all'errore, mentre contemporaneamente si apre spesso la via alla verità.

La conclusione principale cui siamo giunti, ora sostenuta da molti naturalisti capaci di formulare un giudizio valido, è che l'uomo sia disceso da qualche forma meno organizzata. Le fondamenta su cui poggia questa conclusione non saranno mai rimosse, in quanto la stretta somiglianza tra l'uomo e gli animali inferiori, sia durante lo sviluppo embrionale, che in numerose parti della struttura e della costituzione di enorme o di irrilevante importanza, i rudimenti che egli mantiene, e le regressioni anormali cui è occasionalmente suscettibile, sono fatti che non possono essere messi in discussione. Benché noti da tempo, solo recentemente ci hanno fornito notizie sull'origine dell'uomo, e adesso, alla luce della conoscenza di tutto il mondo dell'uomo, il loro significato è indiscutibile. Se questi gruppi di fatti vengono considerati in connessione con altri, come le mutue affinità tra membri di uno stesso gruppo, la loro distribuzione geografica passata e presente e la loro successione geologica, il grande principio dell'evoluzione appare chiaro e fermo. È incredibile che tutti questi fatti dicano il falso. Chi non si contenta di guardare, come fanno i selvaggi, i fenomeni della natura in modo slegato, non può più pensare che l'uomo sia un atto separato di creazione. Costui sarebbe costretto a riconoscere che la stretta somiglianza di un embrione umano con quello per esempio di un cane - la struttura del cranio, delle membra e di tutto lo scheletro su una base uguale a quella degli altri mammiferi, indipendentemente dall'uso cui sono adibiti - la riapparizione occasionale di diverse strutture, per esempio di parecchi muscoli, che l'uomo normalmente non possiede, ma che sono comuni ai quadrumani - e una serie di fatti analoghi - portano tutti nel modo più evidente alla conclusione che l'uomo è discendente, insieme ad altri mammiferi, di un progenitore comune.

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