Copertina
Autore Mike Davis
Titolo Cronache dall'impero
Edizionemanifestolibri, Roma, 2004, il manifesto americano , pag. 144, cop.fle., dim. 140x207x10 mm , Isbn 978-88-7285-375-7
PrefazioneBenedetto Vecchi
TraduttoreStefano Bonsignori, al.
LettoreRiccardo Terzi, 2004
Classe politica , storia contemporanea
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Indice

Introduzione di Benedetto Vecchi              7

    SCENARI DI GUERRA                        13

1.  Un deserto imperiale                     15
2.  Alla luce delle bombe                    23
3.  Ricordando Bill e Ivan                   27
4.  Il partito dello scalpo                  31
5.  In cammino verso Baghdad                 37
6.  La visuale dalla curva di Hubbert        43
7.  Nella giungla delle città                47

    GHETTI E FORTEZZE                        51

1.  L'urbanizzazione dell'impero.
    Megacittà e leggi del caos               53
2.  Le frontiere impalpabili dell'esclusione 61

    IL DIAVOLO E L'ACQUA SANTA               65

1.  Guardando Bush negli occhi               67
2.  La passione di un fondamentalista        73

    NUOVE SERVITÙ                            75

1.  Camicie fantasma                         77
2.  Un fronte contro Wal Mart                81

    I VIRUS DELLA POVERTÀ                    85

1.  Le vie del contagio                      87
2.  Caldo assassino?                         91

    SOGNANDO LA CALIFORNIA                   95

1.  L'ultimo atto dell'incubo californiano   97
2.  La politica e lo show                   103
3.  Nel giorno del giudizio                 109

    ECOLOGIA DEL FUOCO                      115

1.  Malibu brucia                           117
2.  Re Schwarzy tra le fiamme               133

    GENEALOGIE                              137

1.  Reagan III e il suo rivale              139

 

 

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Pagina 15

1. UN DESERTO IMPERIALE



Il Pentagono ha un «ufficio della storia»? C'è una stanza da qualche parte, in quel grande labirinto, dove ricercatori operosi come monaci si dedichino a riesumare dagli antichi archivi del potere la lezione di colonie conquistate e perdute, di imperi sorti e caduti? Ne dubito. L'interesse che il Pentagono nutre nei confronti della storia è probabilmente come la passione della Svizzera per il surf o l'entusiasmo dell'Arabia Saudita per l'hockey su ghiaccio. Alquanto ossimorico.

Peccato. Tanti massacri si sarebbero potuti evitare se Donald Rumsfeld - o, per parte sua, Tony Blair - si fosse degnato di leggere le lettere di Gertrude Bell e i diari di Winston Churchill. Gertie e Winnie conoscevano fin troppo bene la terra tra i due fiumi. Dopo tutto, loro sono quelli che hanno trasformato tre province dell'impero ottomano, prospere e distinte dal punto di vista etnico, in un infelice stato cliente britannico.

Immaginiamo che tipo di ricordi questi vecchi soldati dell'Impero possono avere tramandato ai loro discendenti cowboy. Un compendio, per così dire, dell'occupazione precedente.

Il racconto non sarebbe comunque più un vero e proprio «avvertimento». Dopo tutto, abbiamo già risalito troppo il fiume verso il cuore di tenebra. Prudenza e umanità sono già finite nelle body bags, ma il precedente britannico potrebbe indicare la direzione generale dell'arroganza imperiale. Anche gli inglesi avevano cominciato aspettandosi abbracci e baci, ma hanno finito per regalare bombe e massacri.


IL TÈ DI MISS BELL

Quello che Woodrow Wilson avrebbe in seguito definito «tutta la disgustosa mischia» per il Medio Oriente cominciò quando gli inglesi invasero la Mesopotamia nel 1914. Il War Office sapeva già che il XX secolo si sarebbe alimentato grazie al petrolio. Ufficialmente gli inglesi stavano solo proteggendo le loro proprietà petrolifere nella vicina Persia dalle inaspettate attenzioni turche o tedesche. Ufficiosamente stavano cercando il petrolio intorno a Basra.

La conquista della Mesopotamia doveva essere una processione trionfale, a fronte di una disarticolata resistenza turca. Nei fatti, fu una spedizione particolarmente infelice che si tradusse in tanto caldo, polvere, sete e morti. L'avanzata inglese si risolse in una ritirata ignominiosa e poi, nel 1916, nella catastrofe di Kut al-Amara.

Così gli inglesi furono costretti a organizzare una seconda spedizione molto più imponente. Alla fine, nel 1917, le giubbe rosse riuscirono a entrare a Baghdad e consentirono a Miss Bell di bere il suo tè sulle rive del Tigri.

Era convinzione generale che, ora che i cattivi turchi se n'erano andati, la popolazione avrebbe riversato sugli inglesi tutto il suo amore. «È una cosa meravigliosa sentire l'affetto e la fiducia di un intero popolo intorno a sé» dichiarava entusiasta Bell durante i primi mesi d'occupazione. Ufficialmente Segretaria Orientale (ossia, la residente sul posto esperta della «mentalità araba») nell'amministrazione britannica, l'erudita e avventurosa Miss Bell era una Paul Wolfowitz ante litteram: l'ideologa ottimista dell'occupazione felice.

Il suo piano non era diverso da quello rivelato dal viceministro alla difesa nell'inverno 2003. L'occupazione dell'Iraq, secondo Bell, sarebbe stata strettamente «prendi prima, paghi poi»: la ricerca del petrolio - ora raddoppiata, dato che gli inglesi nel 1918 si erano annessi illegalmente la regione di Mosul - avrebbe rimpinguato le finanze pubbliche che versavano in grosse difficoltà, mentre gli iracheni (sebbene non fossero ancora chiamati così) avrebbero gestito essi stessi l'ordine pubblico sotto la supervisione britannica. Liberati dal tallone di ferro del governo ottomano, i locali sarebbero stati lentamente formati ai valori della democrazia anche se, di fatto, il nuovo ordinamento si reggeva su arroganti sahib inglesi che governavano in combutta con una manciata di notabili sunniti mentre gli sceicchi kurdi venivano arrestati, i religiosi sciiti perseguitati, e i giacimenti petroliferi tribali confiscati.

La popolazione però mostrò di preferire il governo turco, con la sua apprezzata quota di autogoverno locale, all'occupazione britannica, con la sua pretesa spietata di efficienza. Specialmente nell'esazione delle tasse. Ad ogni modo, nonostante l'insofferenza aumentasse, Miss Bell continuava a stare sulle nuvole. «Stiamo aprendo il paese - scriveva nel 1918 - e nell'insieme questo alla gente piace.... Basra è in pace, e a Baghdad non abbiamo quasi avuto problemi». Il suo capo nonché predecessore di Paul Bremer, Sir Arnold Wilson, era altrettanto ottimista. «L'arabo medio, al contrario della manciata di politici improvvisati di Baghdad, vede un futuro di rapporti corretti e di progresso morale e materiale sotto l'egida della Gran Bretagna».

L'anno successivo, a Versailles, la più grande causa nazionale araba, al cui servizio Bell e il suo collega, il colonnello T. E. Lawrence, si erano messi all'inizio della guerra, fu ampiamente tradita dalla divisione anglo-francese del Medio Oriente che dette al sionismo la sua testa di ponte in Palestina e consegnò la Siria alla Francia. La Mesopotamia, nel frattempo, fu oggetto di una dura battaglia interna nel governo di Lloyd George. Da una parte c'erano gli «indianisti», che auspicavano una colonia vecchio stile con un mucchio di sinecure permanenti per aristocratici inglesi disoccupati; dall'altra gli «arabisti» come Bell, che volevano disperatamente un trono per accontentare la dinastia ascemita appena cacciata dalla Legione Straniera a Damasco. «Voi capirete - scrisse un funzionario britannico a un altro - che ciò che serve è un Re che si accontenti di regnare senza governare».

Che cosa la gente comune pensasse dei satrapi coloniali o dei monarchi stranieri destava scarso interesse. I kurdi erano particolarmente impazienti e nel maggio 1919 si sollevarono contro gli inglesi. Furono annientati. A Baghdad, Bell e altri pensarono che quella fosse la fine. A Londra erano preoccupati per le richieste degli americani e della Standard Oil, che voleva una parte della Mesopotamia.


LA DOTTRINA CHURCHILL

Contemporaneamente, alcune delle menti più brillanti di Londra erano concentrate sul problema di come ridurre i costi dell'occupazione, che crescevano vertiginosamente. Nel febbraio 1920 Winston Churchill, che era Segretario di Stato per la guerra e l'aviazione, scrisse al capo della Raf Hugh Trenchard chiedendosi se la Gran Bretagna non potesse fare economia sostituendo le truppe di terra con l'aviazione. Churchill espresse interesse per le armi chimiche, come le bombe all'iprite che la Raf aveva usato contro i bolscevichi. Trenchard ne fu entusiasta e a marzo rispose con un piano dettagliato per il controllo della Mesopotamia basato sulle forze aeree. Il piano arrivò giusto in tempo.

Il primo maggio 1920, il Trattato di San Remo fece dell'Iraq un territorio sotto mandato britannico. Tre settimane dopo, quattro soldati britannici furono uccisi a Tel Afar, vicino Mosul, dopo l'arresto di uno sceicco locale. Uno squadrone di mezzi corazzati fu mandato a ripristinare l'ordine, ma subì un'imboscata e fu sterminato da ribelli locali. Era l'inizio di una sollevazione generale - proprio come quella che gli Stati Uniti potrebbero trovarsi a dover affrontare - da parte degli «affezionati» sudditi di Miss Bell.

In seguito Churchill si sarebbe cinicamente meravigliato, in privato, di come il suo governo era riuscito a unire gli iracheni contro di sé... «È una cosa straordinaria che l'amministrazione civile britannica sia riuscita in breve tempo ad alienarsi l'intero paese così tanto da fare accantonare agli arabi le faide sanguinose che avevano coltivato per secoli; le tribù sunnite e sciite ora stanno lavorando insieme. Lì sul posto ci è stato detto che il modo migliore di trasportare lungo il fiume i nostri approvvigionamenti sarebbe esporre la bandiera turca...».

I capi della ribellione provenivano dai quadri purgati del vecchio regime (ex funzionari e ufficiali ottomani) e dalla maggioranza sciita del sud, che era arrabbiata. (Vi suona familiare?). A metà luglio i combattimenti si erano estesi in tutto il basso Eufrate. Il generale di brigata Coningham perse 35 uomini che avevano preso d'assalto la cittadella insorta di Rumaitha, per poi scoprire che i ribelli se n'erano andati per conquistare la città di Kifl. Mentre marciava verso Kifl, il Reggimento Manchester fu sorpreso nel suo accampamento e quasi massacrato. Il generale di divisione Leslie perse 180 uomini (uccisi) più altri 160 (catturati).

Si sfiorò il panico, ma il governo a Londra era distratto dalla guerriglia in Irlanda oltre che dalla contro-rivoluzione in Russia. Dopo tutti i meravigliosi rapporti da Baghdad di Miss Bell e degli altri «arabisti», sembrava incredibile che 130.000 locali avessero veramente imbracciato le armi contro gli inglesi. Ma in agosto la crisi peggiorò e la sollevazione raggiunse l'alto Eufrate e la periferia di Baghdad.

Presto seguirono delle rivolte nel nord kurdo. I ribelli tagliarono i collegamenti ferroviari verso la Persia e catturarono molte città di importanza strategica tra cui Baquba e Shahraban, uccidendo tutti i funzionari inglesi su cui riuscirono a mettere le mani.

Churchill fece pressioni sulla Raf perché mettesse a punto le bombe con i gas («specialmente l'iprite») ma alla fine fu costretto a chiamare delle riserve indiane. Il vento cominciò a girare contro gli insorti. L'esercito britannico creò un precedente barbaro usando granate con gas venefici mentre la Raf lanciava bombe e, secondo lo storico David Omissis, «mitragliava donne e bambini che fuggivano dalle loro case». Il massacro fu indiscriminato e coincise con l'impiccagione dei prigionieri politici a Baghdad.

In settembre, T. E. Lawrence scrisse una lettera al Sunday Times protestando per la ferocia dell'occupazione «benevola» degli inglesi, che aveva preso la piega sbagliata. La lettera potrebbe benissimo essere ripubblicata oggi sul New York Times.

«Il nostro governo è peggiore del vecchio sistema turco. I turchi avevano nelle loro forze armate 14.000 coscritti locali, e uccidevano una media annuale di 200 arabi per mantenere la pace. Noi abbiamo 90.000 uomini, più aeroplani, autoblindo, cannoniere e treni blindati. Nella rivolta di quest'estate abbiamo ucciso circa 10.000 arabi.... Per quanto tempo permetteremo che milioni di sterline, migliaia di soldati imperiali e decine di migliaia di arabi siano sacrificati per difendere un'amministrazione coloniale che non può beneficiare nessuno tranne che i suoi amministratori?».

Grazie a bombardieri, gas venefici e autoblindo, gli inglesi alla fine riconquistarono il controllo del paese nel settembre 1920. Tipi tosti dell'Ufficio Indiano imposero una pace cartaginese. Per tutto il periodo di Natale, le spedizioni punitive percorsero le zone ribelli bruciando i villaggi, giustiziando i sospetti, confiscando il bestiame e imponendo multe punitive.

Churchill, che di lì a poco sarebbe stato promosso Ministro delle colonie, continuò a propugnare il terrore aereo come il modo più economico ed efficace di governare «vulcani ingrati» come l'Iraq e altre colonie musulmane. Nel marzo 1921 la Raf dette gli ultimi ritocchi a un piano di «controllo aereo» che prevedeva otto flottiglie aeree, incluse due di bombardieri, più sei compagnie di blindati della Raf, che dovevano sostituire la gran parte delle divisioni dell'esercito.


IL LABORATORIO DEL DIAVOLO

In sostanza, spiegò il comandante di stormo Chamier, la strategia consisteva nel fatto che la rappresaglia non doveva mai essere tiepida. La Raf doveva ispirare un terrore assoluto. «Deve essere raccolta tutta l'aviazione disponibile; l'attacco con le bombe e i mitragliatori deve essere inesorabile e implacabile e va condotto senza sosta giorno e notte sulle case, sugli abitanti, sui raccolti e sul bestiame».

La stessa Miss Bell, assieme ad alcuni notabili arabi, assistette a una dimostrazione impressionante della Raf sulle nuove armi incendiarie che essa si proponeva di usare su villaggi ribelli e tribù recalcitranti. «È stata ancora più notevole dell'ultima che abbiamo visto alla parata della Air Force perché era più reale. Avevano creato un villaggio immaginario a circa un quarto di miglio da dove sedevamo, sul Kiala dyke, e le prime due bombe lanciate da 3.000 piedi sono cadute proprio lì in mezzo dandolo alle fiamme. È stato meraviglioso e orribile. Poi hanno lanciato bombe tutto attorno, come per colpire i fuggitivi, e infine bombe incendiarie che anche in pieno sole sprigionavano lingue di fuoco nel deserto. Esse bruciano il metallo e l'acqua non riesce a spegnerle. Alla fine sono usciti i blindati, che dovevano dare la caccia ai fuggitivi con i mitragliatori».

La morte dal cielo divenne la punizione impartita non solo per le ribellioni armate ma, ancor più di frequente, per il mancato pagamento delle tasse. Come ha detto, usando parole gentili, uno dei biografi di Churchill, all'inizio del giugno 1921 «era stata intrapresa un'azione aerea sul basso Eufrate non per sopprimere una rivolta, ma per convincere certi villaggi a pagare le tasse». Quando Churchill espresse dei dubbi sulla opportunità di usare i bombardieri per esigere le tasse, Sir Percy Cox rispose che lui stava semplicemente mettendo in pratica la dottrina Churchill e chiese retoricamente se il Ministro della Guerra e dell'Aria volesse in realtà «soffocare nella culla il bambino dell'aviazione». Churchill immediatamente replicò: «credo molto nella forza aerea e la sosterrò in tutti i modi».

La conseguenza fu che bombardare e mitragliare a bassa quota diventò una politica fiscale e amministrativa, oltre che militare. L'Iraq, per così dire, divenne il laboratorio del diavolo per il nuovo esperimento dell'Ufficio coloniale nell'uso della forza aerea per controllare le popolazioni coloniali. Come Jonathan Glancey ha ricordato recentemente ai lettori del Guardian: «bombardamenti per spargere il terrore, bombardamenti notturni, bombardieri pesanti, bombe a effetto ritardato (particolarmente letali contro i bambini) furono tutti messi a punto durante i raid contro villaggi di fango, pietra e canne, durante il mandato alla Gran Bretagna della Lega delle nazioni».

«Ora gli aeroplani sono veramente temuti» osservò con soddisfazione Churchill verso la fine del 1921, dal suo nuovo e più alto punto d'osservazione nel Colonial Office. Egli continuò a propugnare l'uso di gas venefici in Iraq e altrove. Quando un certo colonnello Meinertzhagen, che conosceva bene l'orrore degli attacchi con il gas sul fronte occidentale, mise in discussione il ricorso a questo «barbaro metodo di combattimento» nei confronti della popolazione civile araba, egli fu aspramente redarguito da Churchill: «Sono pronto ad autorizzare la fabbricazione di tali bombe immediatamente».


BOMBE SUI CIVILI

«Il controllo dei cieli» rimase la politica ufficiale per tutti gli anni '20, sotto governi sia Labour che Tory. Una delle peggiori atrocità avvenne tra la fine dell'autunno e l'inverno 1923-24, quando il gruppo tribale Bani Huchaim nella zona irachena di Samawa non fu in grado di pagare le tasse. Sul punto di morire di fame per una grave siccità, i Bani Huchaim si dichiararono indigenti. Come sottolinea uno storico, «non ci fu alcuna segnalazione che nell'area si fossero verificati casi di insubordinazione o disordini». Nonostante ciò, fu dato loro un ultimatum di 48 ore e poi arrivarono i bombardieri. La Raf registrò ufficialmente il massacro di 144 persone, tra cui donne e bambini.

Anche se in Gran Bretagna alcuni, come George Landsbury, denunciarono occasionalmente «questo metodo unno e barbaro di guerra contro persone disarmate», esso gettò le fondamenta per il trono fantoccio su cui gli inglesi posero lo straniero Faisal, un principe ascemita, nel 1921. La sua «elezione» da parte del 96% dei suoi nuovi sudditi - il trionfo della causa «arabista» di Mrs. Bell - fu un plebiscito montato ad arte e orchestrato da notabili e sceicchi corrotti sotto i pattugliamenti della Raf. I veri vincitori furono la Iraq Petrolium Company e i suoi azionisti londinesi.

Come osservò nel 1925 un veterano dell'Impero, stanco del mondo: «se una ordinanza di Re Faisal ha effetto in tutto il suo regno, ciò si deve interamente agli aerei inglesi. Se gli aerei domani fossero tolti, l'intera struttura crollerebbe inevitabilmente».

Questa storia, probabilmente sconosciuta alla maggior parte dei membri del Congresso, sia democratici che repubblicani, che hanno approvato l'attacco Usa all'Iraq, resta naturalmente un ricordo velenoso per tutti gli iracheni. Più in generale, le persone comuni del mondo musulmano ricordano di essere state le cavie originali su cui le potenze coloniali europee, cominciando in Libia nel 1911-12, perfezionarono il bombardamento finalizzato a terrorizzare le popolazioni civili. La strada per Guernica, Varsavia, Dresda e Hiroshima è cominciata sulle rive dell'Eufrate e sui fianchi dell'Atlante. Oltre che all'Iraq, negli anni '20 la Raf ha inflitto la «dottrina Churchill» ai civili egiziani, palestinesi, somali, sudanesi, yemeniti (Aden) e afghani. Nello stesso decennio, gli spagnoli e i francesi hanno bombardato e gassato i villaggi ribelli del Rif marocchino. Chi erano i «terroristi» allora?

(ottobre 2003)

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3. RICORDANDO BILL E IVAN



La battaglia decisiva per la liberazione dell'Europa iniziò nel giugno di sessanta anni fa quando un esercito di guerriglia sovietico uscì dalle foreste e dalle paludi della Bielorussia con un coraggioso attacco a sorpresa alla retroguardia della Wehrmacht. Le brigate partigiane, compresi migliaia di combattenti ebrei ed evasi dai campi di concentramento, distrussero le linee ferroviarie che collegavano il Quartier generale dell'esercito alle basi in Polonia e nella Prussia orientale.

Tre giorni dopo, il 22 giugno - il terzo anniversario dell'invasione dell'Unione Sovietica da parte di Hitler - il maresciallo Zhukov diede l'ordine di un attacco massiccio. Ventiseimila cannoni e lanciarazzi disintegrarono in pochi minuti le fortificazioni tedesche sulla linea del fronte.

I sinistri sibili dei Katyushas precedevano puntualmente i rombi di 4000 carriarmati e le grida di battaglia di 1.6 milioni di soldati sovietici.

Ma che cosa hanno mai sentito gli americani della Operazione Bragation? Per loro il giugno 1944 significa Omaha Beach e non l'attraversamento del fiume Dvina.

E ancora l'offensiva sovietica dell'estate risultò quasi di un intero ordine di grandezza superiore alla Operazione Overlord (l'invasione della Normandia) sia in termini di forze impiegate che di danni inflitti direttamente dalla Germania.

Alla fine dell'estate, l'Armata Rossa (che comprendeva contingenti interamente Polacchi e Cechi) aveva raggiunto le porte di Varsavia così come gli alti passi dei Carpazi.

I carri armati sovietici, in una sbalorditiva guerra lampo, avevano preso in una morsa d'acciaio il quartier generale dell'esercito tedesco e lo avevano distrutto.

L'esercito tedesco perse più di 300.000 uomini solo in Bielorussia. Un altro imponente esercito tedesco era stato accerchiato e sarebbe stato rapidamente annichilito sul fronte Baltico.

La strada verso Berlino era stata aperta.

Grazie Ivan.

Non è l'intento di sminuire gli uomini coraggiosi che morirono nelle sinistre trincee della Normandia o nella fredda foresta nei pressi di Bastogne, che ci fa ricordare che l'80% dell'esercito della Wehrmacht trovò la propria sepoltura nelle steppe russe e non nei campi francesi. Circa quaranta «Ivan» persero la vita per ogni «Soldato Ryan» nella lotta contro il nazismo.

Inoltre il soldato sovietico ordinario - il meccanico d'aerei di Samara, l'aspirante attore di Orel, il minatore del Donetz, o persino la studentessa delle superiori di Leningrado - è invisibile nell'attuale celebrazione e mitizzazione della «Generazione più Grande». È come se il nuovo secolo americano non sarebbe potuto nascere pienamente senza esorcizzare il ruolo centrale sovietico nella vittoria epocale dell'ultimo secolo.

In realtà la maggior parte degli americani sono sorprendentemente ignari dei rispettivi prezzi pagati in termini di combattimenti e morti nella Seconda guerra mondiale. Persino la minoranza che comprende qualcosa dell'enormità del sacrificio sovietico tende a vederlo nei termini di rozzi stereotipi sull'Armata rossa: un'orda di barbari guidata da sete di vendetta e primitivo nazionalismo russo.

Solo «i soldati Joe e Tommy» vengono visti come i reali paladini degli ideali civili di libertà e democrazia.


E così vale la pena ricordare che - nonostante Stalin, il NKVD e il massacro di un'intera generazione di leader Bolscevichi - l'Armata rossa manteneva ancora forti elementi di fraternità rivoluzionaria.

In base al suo stesso punto di vista e a quello di coloro che furono liberati dalla oppressione di Hitler, essa rappresentava il più grande esercito di liberazione della storia.

Inoltre, l'Armata rossa del 1944 era ancora un esercito sovietico. I generali che condussero l'eccellente superamento delle linee nemiche sul Dvina erano un ebreo (Chernyakovskii), un armeno (Bagramyan), e un polacco (Rokossovskii). Al contrario delle forze americane divise per classe e segregate per razza, l'accesso al comando nell'Armata rossa si presentava come una opportunità ardua da perseguire ma aperta a tutti.

Chiunque abbia dubbi sulla vivacità rivoluzionaria e sulle caratteristiche di umanità della truppa dell'Armata rossa dovrebbe leggere le straordinarie memorie di Primo Levi (Il Risveglio - The Reawakening) e di K.S. Karol (Tra due mondi - Between two worlds). Entrambi odiavano lo stanilismo ma amavano il soldato sovietico ordinario e percepivano in lei/lui i segni di un rinnovamento del socialismo.

Così, come George W. Bush richiama la memoria del D-Day per trovare un sostegno ai suoi crimini di guerra in Iraq e in Afghanistan, io ho deciso di celebrare la mia personale forma di commemorazione.

Per primo richiamerò alla memoria mio Zio Bill dall'animo gentile, commerciante di Colombo, sebbene sia difficile immaginare un animo tanto gentile in un giovane soldato fortemente determinato in Normandia. Per secondo - dato che sono sicuro che mio Zio Bill l'avrebbe desiderato - il suo commilitone Ivan.

L'Ivan che ha condotto il suo carrarmato attraverso le porte di Auschwitz e si è fatto strada verso il bunker di Hitler.

Due eroi ordinari: Bill e Ivan.

Credo sia pazzesco celebrare il primo senza alcuna commemorazione per il secondo.

(giugno 2004)

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2. LE FRONTIERE IMPALPABILI DELL'ESCLUSIONE



Quando abbatté il muro di Berlino nel 1989, la folla in delirio ebbe un'allucinazione: un millennio di libertà senza confini sarebbe stato a portata di mano e la globalizzazione avrebbe inaugurato un'era di mobilità fisica e virtual-elettronica senza precedenti. Il capitalismo neoliberista ha invece puntualmente costruito la più grande barriera della storia per impedire la libera circolazione. Questa «grande muraglia» del capitale, che separa alcune dozzine di paesi ricchi dalla maggioranza povera della terra, eclissa completamente la vecchia cortina di ferro. Essa cinge la metà del pianeta creando un cordone di almeno 12.000 chilometri di confini terrestri, ed è molto più micidiale per i disperati che tentano di oltrepassarla.

A differenza della grande muraglia cinese, il nuovo muro è solo parzialmente visibile dallo spazio. Anche se include bastioni tradizionali (il confine messicano degli Stati Uniti) e terreni minati circondati dal filo spinato (tra la Grecia e la Turchia), oggi i controlli sulle frontiere avvengono in gran parte dal mare e dal cielo. Inoltre i confini sono ormai digitali oltre che geografici.

Prendiamo, ad esempio, la «fortezza Europa», dove un sistema integrato di dati con il sinistro acronimo di Prosecur (che andrà ad aggiungersi alla rete di Shengen già esistente, con sede a Strasburgo) diventerà la base per un sistema comune di polizia di frontiera affidato al nuovo «Corpo europeo di polizia di frontiera».

L'Unione europea, inoltre, ha già speso centinaia di milioni per rafforzare la cosiddetta «cortina elettronica» sui suoi estesi confini orientali e per perfezionare il Sive (Sistema integrale di vigilanza esterna) che dovrebbe tenere a freno l'Africa.

Il premier inglese Tony Blair ha recentemente chiesto ai suoi colleghi della Ue di estendere le difese delle frontiere dell'Europa bianca nel cuore del terzo mondo. Egli ha proposto le cosiddette «zone di protezione» in settori chiave dell'Africa e dell'Asia dove potenziali profughi potrebbero essere messi in quarantena per anni in uno squallore indicibile.

Il suo modello ovviamente è l'Australia, dove il primo ministro di destra John Howard ha dichiarato guerra aperta ai disgraziati profughi kurdi, afghani e timoresi.

Dopo l'ondata di scontri tra forze dell'ordine e attivisti antirazzisti dell'anno scorso e gli scioperi della fame da parte di immigranti detenuti a tempo indeterminato in luoghi infernali nel deserto come Woomera nel sud dell'Australia, Howard ha usato la marina per intercettare le navi in acque internazionali e costringe i profughi in campi ancor più da incubo a Nauru o sulla malarica Manus Island al largo di Papua Nuova Guinea.

Allo stesso modo Blair, secondo The Guardian, ha scoperto il ricorso alla Royal Navy per intercettare i trafficanti di profughi nel Mediterraneo e quello alla Raf per rimpatriare i migranti.

Se la difesa delle frontiere oggi si è spostata a largo delle coste, essa è approdata anche nel cortile delle case di tutti. Chi abita nel Southwest degli Usa ha sopportato a lungo gli ingorghi di traffico ai checkpoint di «seconda frontiera» lontanissimi dal vero confine. Ora fermare e controllare le persone, come si è sperimentato in Germania, sta diventando una operazione comune all'interno della Ue.

Il risultato è che stanno rapidamente scomparendo anche i confini teorici tra controllo delle frontiere e politiche interne, o tra politiche di immigrazione e «guerra al terrorismo». In Europa, attivisti «no border» hanno da tempo lanciato l'allarme sul fatto che gli orwelliani sistemi di dati usati per rintracciare e rimpatriare gli stranieri non appartenenti all'Ue saranno inevitabilmente sfruttati anche contro i movimenti anti-globalizzazione locali.

Negli Stati Uniti, allo stesso modo, i sindacati e i gruppi di base latinos guardano spaventati e disgustati le proposte repubblicane di addestrare fino a un milione di sceriffi e poliziotti locali per operare il controllo sull'immigrazione. (Programmi pilota sono stati già autorizzati dal Congresso in Alabama e Florida.)

Nel frattempo il tributo umano al nuovo ordine mondiale cresce inesorabilmente. Secondo i gruppi per i diritti umani, dal 1993 sono morti ai cancelli d'Europa quasi 4000 migranti e profughi: affogati, saltati sui campi minati o soffocati nei container. Altre centinaia, forse migliaia, sono morti attraversando il Sahara.

L'American Friends Service Committee, che fa il monitoraggio della carneficina lungo il confine Usa-Messico, stima che negli ultimi dieci anni un numero analogo di migranti (3000-5000) siano morti nei deserti infuocati del Southwest.

In un contesto così disumano, la proposta della Casa Bianca - teatralmente annunciata alla vigilia delll'ultimo Summit delle Americhe - di offrire uno status temporaneo di ospite-lavoratore agli immigrati privi di documenti e ad altri, potrebbe sembrare un gesto di compassione in contrasto con la spietatezza dell'Europa o con il quasi fascismo dell'Australia.

In realtà, come hanno prontamente fatto osservare i gruppi che difendono i diritti degli immigrati e il lavoro, si tratta di un'iniziativa che combina un sublime cinismo con un crudele calcolo politico. La proposta Bush, che ricorda l'infame programma Bracero dell'inizio degli anni '50, legalizzerebbe una sottocasta di lavoratori sottopagati senza fornire ai lavoratori privi di documenti oggi presenti negli Stati Uniti - che si stima siano dai 5 ai 7 milioni - un meccanismo per ottenere la residenza permanente o la cittadinanza.

Naturalmente, avere dei lavoratori senza diritto di voto né domicilio permanente è l'utopia dei Repubblicani. Il piano Bush fornirebbe a WalMart e a MacDonalds' un'offerta stabile e pressoché infinita di manodopera in condizioni di asservimento.

Il piano getterebbe anche una ciambella di salvataggio al neoliberismo a sud del confine. Come ormai ammettono anche alcuni dei suoi ex sostenitori, il North American Free Trade Agreement (Nafta, il patto nord-americano per il libero commercio), vecchio di dieci anni, si è rivelato una beffa crudele, distruggendo tanti posti di lavoro quanti ne ha creati.

L'economia messicana ha bruciato posti di lavoro per quattro anni consecutivi, e le prospettive di impiego per il futuro sono state definite dalla stampa economica «pessime». La proposta della Casa Bianca «neo-Brecero» offre al presidente Vincente Fox e ai suoi successori una cruciale valvola di sicurezza economica.

Essa tra l'altro darebbe modo a Bush, il prossimo novembre, di corteggiare i voti oscillanti dei latinos del Southwest. Senza dubbio Karl Rove (l'eminenza grigia del presidente) calcola che la proposta scatenerà un meraviglioso conflitto nel sindacato e tra i latinos liberal gettandoli nella confusione.

Infine - e questa è la trovata veramente sinistra - l'offerta di una legalità temporanea sarebbe un'esca irresistibile per far venire allo scoperto i lavoratori privi di documenti. In questo modo il Dipartimento della sicurezza interna potrebbe identificarli, etichettarli e tenerli sotto controllo. Lungi dall'aprire una crepa nella «grande muraglia», essa sanerebbe una falla assicurando un controllo poliziesco ancora più sistematico e intrusivo sulla diseguaglianza umana.

(febbraio 2004)

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