Copertina
Autore Régis Debray
Titolo Fare a meno dei vecchi
SottotitoloUna proposta indecente
EdizioneMarsilio, Venezia, 2005, i grilli , pag. 76, cop.fle., dim. 122x204x7 mm , Isbn 978-88-317-8709-3
OriginaleLe plan vermeil. Modeste proposition
EdizioneGallimard, Paris, 2004
TraduttoreAlberto Folin
LettoreLuca Vita, 2006
Classe politica , sociologia
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Indice


    FARE A MENO DEI VECCHI.
    UNA PROPOSTA INDECENTE

 11 I problemi
 48 La soluzione?


 

 

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Pagina 9

La vecchiaia in Europa è un'idea nuova, e il declino della mente prospettiva ci preoccupa. Quando il lungo periodo scompare a vantaggio dell'emergenza, è anche il senso civico a scomparire, a vantaggio del dispotismo dolciastro dei buoni sentimenti.

Così Lei, Signor direttore, in accordo con il Consiglio economico e sociale, mi ha affidato un temibile compito: quello di sottrarmi alle emozioni quotidiane per riflettere sui mezzi con cui prevenire i naufragi che incombono su di noi. Mi consta che ciò sia avvenuto non solo per i miei dati anagrafici, né solo per una mia qualche propensione a difendere le cause perse – le sole degne di un gentiluomo -, ma perché un filosofo di formazione è più adatto di un altro, sociologo o storico, ad assumere sulla parte il punto di vista del tutto, e sul presente, quello dell'avvenire. Mi ha suggerito di fare il mio dovere ubbidendo solo alla ragione, basandomi sulle statistiche disponibili e attenendomi ai dati di fatto, senza cedere al vano desiderio di compiacere: un desiderio di cui conosciamo fin troppo bene gli esiti amari. Spero di non deludere le Sue aspettative su quest'ultimo punto, conscio che talvolta bisogna, sul breve periodo, scontentare alcuni per spianare la strada a una crescita sostenuta e benefica per tutti.

Lei ha l'alta missione di illuminare la scelta governativa troppo spesso miope e conciliante, inibita com'è dalla routine, dall'impulso del momento e dalla difesa dei diritti acquisiti. Il mio compito è certo più facile: tracciare una via d'accesso abbastanza decisa (senza condannare a priori pendii apparentemente meno ripidi) verso la società della libera scelta, chiamata società dei desideri, in cui ciascuno potrà vivere, lavorare e morire come vorrà, ma il cui approccio – sia ben chiaro – non sarà indolore. Quale parte di sacrifici accetteremo? Spetterà ai responsabili europei, nella politica sociale della vecchiaia che sottopongo alla vostra attenzione, distinguere ciò che è auspicabile da ciò che è possibile.

È un luogo comune che un buon visionario non sia anche un buon gestore, e viceversa. Non essendo né l'uno né l'altro, non mi esporrò a questo classico tormentone. Per la felicità di un cittadino fra tanti, basta portare il proprio mattone alla costruzione collettiva dell'avvenire, a scapito dei pregiudizi, degli interessi e delle convenienze che qualunque saggezza anticipatrice non può far a meno di colpire.

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Pagina 11

1. I problemi



Ottantadue anni per le donne, settantaquattro per gli uomini. Fino a che punto la nostra società spingerà l'incoscienza medica, l'irresponsabilità economica? Il nostro governo non fermerà la corsa verso il precipizio della pressione fiscale senza porre rimedio innanzitutto all'invecchiamento accelerato della popolazione, il cui peso intollerabile impedisce un qualunque ritorno ai grandi equilibri e a un dinamismo sociale perduto. Come «far arretrare la miseria e i maltrattamenti» se contemporaneamente la morte continua ad allontanarsi, se il tasso di crescita degli anziani inattivi continua a essere il doppio di quello degli attivi, se le decine di centenari ospitati dalla Francia del 1950 saranno centinaia di migliaia nel 2050? È la botte delle Danaidi. Riforma dell'assicurazione sulla salute, riforma degli importi compensatori, recupero delle casse pensioni, allungamento della durata dei contributi, libretto sanitario informatizzato: il maneggio dei bricolage di breve periodo elude la vera sfida: smorzare uno choc demografico che incombe. Stiracchiato, il tempo di vivere aumenta i deficit e influisce negativamente sulle prospettive di risanamento del bilancio. La chiave della ripresa ne è anche il catenaccio perché è un tabù. Se il suffragio universale non costringesse la classe politica a un puerile miscuglio di buona volontà e di malafede, già da tempo i cittadini saprebbero che il livello di guardia è stato raggiunto.

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Pagina 25

Questa sventura è comprensibile. Non è mai stato facile essere contemporanei al proprio tempo. Mancheremmo il punto se non prendessimo in considerazione quattro fattori oggettivi che costringono qualunque responsabile politico a un cambiamento di punto di vista, nobiltà di sentimenti a parte.

1) Passaggio da una società di trasmissione, in cui il tempo è la dimensione cruciale, a una società di comunicazione immediata, in cui lo spazio tiene banco. Il rinnovamento accelerato delle conoscenze e il precipitato delle generazioni tecnologiche fanno sì che non ci voglia molto a trasmettere da monte a valle. La ruota delle generazioni umane ha cominciato a girare all'incontrario. Per l'adolescente esquimese in «Nike», con la sua x-box e i suoi video-games, il nonnino cacciatore di foche è un inutile marziano. L'adolescente protesizzato non ha bisogno di imparare a cacciare sulla banchisa perché non ha più bisogno di olio di foca per nutrirsi e per farsi luce. Il burro dietetico dei supermercati, aerotrasportato, costa di meno. Il gap generazionale appartiene a tutte le generazioni, ma quello che abbiamo di fronte non ha equivalenti nel passato: non è esistenziale ma onto- e tecno-logico. Non è tanto che si rifiuti il vecchio e ammuffito gioco, liberandosi della legge dei padri, facendo tabula rasa delle vetuste morali di obbedienza e di tradizione. È che con la console, la tastiera e il mouse, non c'è più niente di appetibile sulla tavola del nonno. Siamo la prima civiltà in cui la competenza acquisita è di ostacolo alle competenze da acquisire; in cui il giovane se la cava meglio del vecchio; in cui il piccolo è più dotto e più esperto del grande, che sbircia alle spalle del bambino per sapere come funzioni l'ultimo software. Esce di scena il vecchio uomo di legge, di studi o di scienze, dagli abiti fuori moda, con il berretto, davanti al leggio all'angolo del focolare, con i suoi in folio e i suoi astrolabi. Chi ispirava il rispetto suscita lo sberleffo – e pour cause. Il portatore della parola d'ordine tra i morti e i vivi si ritrova in disoccupazione tecnica.

2) Passaggio da una cultura del lavoro a una cultura di ozio. Si impara a lavorare, non s'impara a divertirsi. Niente più segreti del mestiere né passaggio di testimone, come un tempo avveniva tra l'apprendista o l'aspirante ebanista, fabbro o stuccatore e il maestro. Il tempo lungo dei Tour de France non ha più ragione di essere, quando basta pagare per distrarsi. Si scorre una cartina e si gira la manopola. La nostra civiltà del minore sforzo possibile per i massimi effetti gratificanti può fare a meno del portatore di fiaccola, salvo che negli spettacoli Son et Lumière o ai giochi olimpici, per fare scena.

[...]

3) Passaggio da un'età di speranza a un'età d'impazienza. Il vecchio è degustatore e se la prende comoda. L'aroma del Madera si assapora. Noi, invece, ingoiamo tutto d'un fiato. Non confidiamo più nel domani, cioè nella posterità; esigiamo storie brevi, ville prese in affitto a settimana e non a mese, chiamiamo pienezza la rivelazione istantanea di sé, e libertà la facoltà di reinventarci ogni giorno di nuovo, facendoci scoppiare. La consacrazione dell'istante, la giornata trascorsa nell'urgenza, il flash di attualità, la pazienza dei destini sacrificata alla fretta delle carriere sono tutti fattori che rendono insopportabile al pendolare del TGV, al frenetico dell'agenda che non ha più tempo per nulla, l'essere che invece dispone di tutto il tempo che vuole e che ha poco da fare (tanto più che quest'ultimo non cessa di assillare il primo con istanze manoscritte, richieste di appuntamenti, visite oziose ecc.).

[...]

4) Passaggio dalla grafosfera alla videosfera. È un dato di fatto: laddove il vecchio viene onorato, l'immagine ne soffre. Quando lo shock delle immagini smorza il peso delle parole, sono tempi duri per i burgravi. Il narcisismo fotografico, televisivo e cinematografico è più diretto di quello delle pagine di scrittura: esige plastiche irreprensibili e pelli lisce (con o senza fotoshop).

Le politiche assistenziali tendendo a fare dei nostri rottami uomini come gli altri, e dell'umano avariato un senior citizen dalle tempie argentate (avveduto ma indipendente e arzillo), le diverse gestioni della «terza età» – questo allegro ma non troppo finale del «percorso di vita» – sono state istituite in Francia all'inizio del dopoguerra prima dell'avvento della videosfera. Quest'ultima produce un clima di vita crudele, dove ciò che non si vede è come se non esistesse. Di qui la Sophie's choice del vecchiaccio post-moderno: o possiede un'immagine e fa schifo, o non la possiede e viene archiviato. Invisibile in quanto destino collettivo, il soggetto usato, che infastidisce i suoi consimili, è ancora in grado di funzionare solo come esemplare fisico, adatto unicamente, per sua disgrazia, a riflettere raggi luminosi su una superficie fotosensibile.

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Pagina 48

2. La soluzione?



È chiaro che la questione vecchiaia, ipoteca fatale, non troverà risposta adeguata all'interno degli schemi acquisiti. Occorre dunque andare oltre gli atti mancati dell'epoca per schizzare, sia pure a grandi linee, un abbozzo di soluzione ideale. Ben sapendo che l'utopia di oggi costituirà, come sempre, la realtà del domani. Anche se gli eterni brontoloni, davanti alla nostra proposta — niente meno che una repubblica nella Repubblica — preferiranno alla nobile parola «utopia», compresa da tutti, quella di «distopia», che designa, presso i nostri quaquaraquà, le chimere della sventura.

Fino ad ora le raccomandazioni concernenti «l'accompagnamento della fine della vita» sono state parlamentari: consensuali ma non professionali. Generose e vaghe. E tanto più condivise — è la regola — quanto meno operative. La Missione incaricata dal presidente dell'Assemblea nazionale di trovare la quadratura del cerchio propone, nel rapporto intitolato Rispettare la vita, ma accettare la morte, di modificare marginalmente qualche articolo dei codici in vigore (codice penale, di salute pubblica, di deontologia medica) al fine di limitare l'accanimento terapeutico senza legalizzare per questo l'eutanasia. Questi rattoppi avallano il «lasciar morire» senza uscire dalla panacea del «piano canicola». Mezze misure, incompatibili con una politica chiara e volontaristica. La chiave del problema non è nei codici, ma nei modi, cioè in un campo di azione troppo limitato. A grandi mali, grandi rimedi.

Il più grande male è la solitudine umana dovuta alla dispersione dei pazienti in tutto il paese e al costoso sparpagliamento dei centri di trattamento, che incita del resto ai maltrattamenti gli addetti alle cure più impulsivi e intralcia il controllo da parte dei servizi abilitati. Prima risposta: il raggruppamento. Non in un supercentro ospedaliero e neppure in una cittadella sanitaria ma in un territorio appropriato. Fuori dei centri urbani dunque (gli ospizi sono in generale extra moenia), e non in periferia: il bucolico è necessario.

Due vantaggi: per l'Amministrazione, uno straordinario risparmio, a tutti i livelli: formazione del personale addetto alle cure (si tratta di professioni difficili, sempre a rischio di burn out), vigilanza, mutua sorveglianza, integrazioni delle piattaforme tecniche (radiologi, anestesisti. interventi, cremazioni), esecuzione coordinata dei protocolli. Migliore inquadramento dunque, e inquadramento ottimizzato. È razionale che un medico attraversi in lungo e in largo la campagna per verificare la pressione arteriosa di un diabetico di novant'anni? O che un semplice controllo del dosaggio dell'antigene della prostata mobiliti un grande specialista? Pensiamo alla mancanza di mezzi e alla penuria del personale ospedaliero (in particolare dei volontari con cornetta, conseguenza spiacevole della scristianizzazione), che impediscono ai medici esperti di dedicarsi al loro specifico lavoro. Per i malati cronici in fin di vita, e in particolare per l'immensa sottocategoria dei vecchi insolventi, la concentrazione, su grande scala, attenuerà le invidie sociali (che tendono a risorgere con l'età) e soprattutto assicurerà a tutti una protezione migliore, sottraendoli alle vessazioni diffuse del giovanilismo scapestrato («Su, nonnino, fatti da parte»). La vecchiaia cessa di essere una malattia socialmente invalidante, non appena non ci sono più metropolitane o autobus da prendere, né giovani che ti insultino (al di fuori del personale di servizio). Meglio. Per prevenire l'indolenza, fattore classico di depressione, sarà approntata un'ampia gamma di attività produttive (un po' come negli istituti benedettini o francescani). Lo stato di abbandono del vecchio dipende infatti molto dalla sua esclusione dal circuito produttivo (non sottovalutiamo la felicità di sgranare i fagioli in fondo al giardino), alla quale questo ritiro senza pensione dovrebbe poter rimediare al minimo costo. Sicurezza, volontariato e prossimità si danno una mano l'un l'altro.

Il territorio autonomo che invochiamo, a un tempo festivo e funzionale, esclusivamente dedicato alla pianificazione profilattica di un happy end, dovrebbe poter accogliere almeno un milione di persone all'anno, per rotazione (in funzione dei risultati raggiunti). Sarà dotato di un vero progetto fondativo: una nitida rotazione, all'interno di un quadro giuridico chiaro e anche scientificamente illuminato. Chi potrebbe essere il beneficiario di questa offerta eccezionale?

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Pagina 55

Il suo nome? Bioland. I suoi check-points alle frontiere avranno una sola insegna di benvenuto: Welcome to the bio age!


La città, che è artificio, ci allontana dall'essenziale, dal biologico. È solo l'immersione nella natura, la partecipazione ai lavori della campagna – allevamento, raccolto, transumanza –, a poter ridare ai cittadini occidentali, prigionieri della loro gabbia di vetro e acciaio, il senso totalmente perduto che gli indù e i buddisti hanno saputo conservare tanto bene. Morte e rinascita... vivere e morire in campagna! Lasciare il regno dei bruti per la schiettezza dei giorni e per il circolo delle stagioni: per il mondo degli dei! Riaprire il Libro immemoriale delle saggezze, quello scritto ogni sera, con un tratto di penna, dagli uccelli nascosti tra il fogliame quando non possono più volare, dai cavalli sdraiati sulla paglia quando non possono più galoppare... La scelta di un ambiente rurale, sereno, ma non abbandonato, non troppo inaccessibile, ma pur sempre a una certa quota, ci sembra indispensabile per facilitare la reintegrazione mentale del vecchio nei grandi ritmi cosmici, nell'armonia inalterabile e distensiva del «se il grano non muore» evangelico.

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La lapide coperta di muschio che ci impedisce di respirare e blocca la nostra marcia in avanti verso la luce senza notte ha tre spessori: i vecchi, i libri e i morti. Questi anacronismi complici compongono la società di conservazione che non riusciremo mai a oltrepassare se non la affronteremo nei suoi tre aspetti. Non possiamo lottare separatamente contro la tirannia dei morti e contro quella dei libri. Non fermeremo l'invasione dei nostri aeroporti, dei nostri centri commerciali e delle nostre liste elettorali da parte dell'età senile senza ridurre il posto dei cadaveri nelle nostre metropoli, delle librerie nei nostri centri urbani e dei racconti nella nostra vita. C'è un che di necrofilo nel divoratore di pagine e qualcosa del divoratore di libri nel flaneur dei cimiteri. Sepoltura, lettura e malinconia legano bene fra loro. Gli americani lo hanno compreso: loro che, stando a numerosi studi, seppelliscono e leggono sempre di meno. Tra il 1982 e il 2002, il numero dei lettori è sceso negli USA del 10%, e il numero dei cremati è salito del 10%. Un americano su due non legge più libri. E la metà degli altri legge digests, riassunti. Il Nuovo Mondo trascina l'Antico nella buona direzione, ma sarebbe presuntuoso credere che la partita sia vinta. Ci sono ancora fossili che vogliono insegnare ai bambini d'Europa il latino e il greco. E gente – presto imbalsamata – che reclama a Bruxelles le traduzioni dall'inglese all'olandese, all'italiano o al francese.

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