Copertina
Autore Renato De Fusco
Titolo Il codice dell'architettura
SottotitoloAntologia di trattatisti
EdizioneLiguori, Napoli, 2003 [1968], Domini , pag. 602, cop.fle., dim. 165x235x34 mm , Isbn 978-88-207-3405-3
LettoreRenato di Stefano, 2004
Classe architettura , storia dell'arte , storia della tecnica
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Indice

  1 Introduzione

  7 Vitruvio, De Architectura

113 Leon Battista Alberti, De re aedificatoria

189 Filarete, Trattato di architettura

251 Francesco Di Giorgio Martini, Trattato di architettura

339 Sebastiano Serlio, Trattato di architettura

485 Palladio, I quattro libri

595 Indice dei nomi

 

 

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Pagina 1

INTRODUZIONE

Pubblicata nel 1968 dalla E.S.I. nella «Collana di storia dell'architettura, ambiente, urbanistica e arti figurative» diretta da Roberto Pane, questa antologia ha avuto numerose ristampe che ora si traducono in una rinnovata edizione. Poiché ritengo ancora valida gran parte di quest'opera, riporto alcuni brani introduttivi tratti dalla prima edizione. «Che se io non giovaro alli curiosi di saper cose assai, et di tocare lo fondo di ogni cosa: giovaro almeno a quelli che san nulla o poco, che questa fu sempre la mia intentione». Così Serlio, oltre a polemizzare con gli «scientifici» contemporanei e ad esporre il suo intento didascalico, esprimeva soprattutto quel senso di disagio, avvertito da tutti gli autori, nell'affrontare un trattato d'architettura. Si può dire, infatti, che da Vitruvio in poi ogni introduzione a questo genere di letteratura manifesti l'esigenza dello scrittore di scusarsi degli errori ed omissioni presenti nella sua opera, inevitabili nello studiare una materia così vasta e composita; di mettere, per così dire, le mani avanti. La stessa esigenza si ripropone all'inizio di questo libro, il cui primo intento è quello di raccogliere e commentare in un solo volume una parte dei trattati di Vitruvio, Alberti, Filarete, Francesco di Giorgio, Serlio e Palladio, ossia dei principali teorici del Rinascimento insieme al loro modello antico. La letteratura sui trattatisti, com'è noto, costituisce uno dei capitoli più ricchi e complessi della storiografia architettonica; parte integrante delle monografie su singoli artisti, oppure oggetto di specifiche ricerche filologiche, essa presenta opere così approfondite su un singolo autore - si pensi alle annose fatiche di uno Zorzi per Palladio e di un Dismoor per Serlio - da rendere, a dir poco, temerario il mio tentativo di mettere insieme e studiare tante testimonianze in una volta sola. Ma a ridimensionare tale programma valgono le seguenti considerazioni, che servono anche ad indicare l'angolazione del libro. È stata da tempo affermata l'esigenza, soprattutto in campo didattico, di vedere in forma semplice ciò che è complesso e di cercare un principio comune in ogni costruzione, fra vari sistemi e in diverse esperienze; il che corrisponde, almeno in parte, ai propositi del metodo strutturalista. Nel nostro caso detto compito è agevolato dal fatto che, entro certi limiti, tutte le opere esaminate presentano una struttura costante: sul modello vitruviano, infatti, ogni trattato d'architettura è diviso in vari libri che, pur nella loro varietà ed autonomia, hanno una ricorrenza sistematica: c'è sempre un libro dedicato agli ordini, uno ai templi, uno alle abitazioni, talvolta in tutto o in parte alla città, ai metodi costruttivi etc. Inoltre, assai spesso, essi riassumono i dati precedenti, assicurando così, in pari tempo, continuità ed indipendenza alle parti della trattazione. Ancora, seguendo sempre l'autore romano, i trattatisti dichiarano le loro fonti, si rifanno al patrimonio delle fabbriche antiche illustrano le più significative opere contemporanee, narrano vicende storiche, eventi favolosi, miti eruditi e credenze popolari, offrono insomma sub specie architectonica un quadro interessante l'intera antropologia culturale. E solitamente queste parti di carattere più generale, teoriche, storiche e letterarie, si trovano nelle prefazioni dei singoli libri. Individuata questa sistematica struttura nei testi esaminati, non è stato difficile distinguere quei temi critico-estetici, iconologici, sociologici etc. dagli altri più propriamente manualistici, fatti cioè di pratiche norme che, pur riflettendo una certa concezione architettonica, ebbero un fine essenzialmente fattuale. Tuttavia, se è possibile distinguere il momento teorico da quello operativo, non è sempre opportuno dividerli, anche perché, nel caso particolare dei testi commentati, la fusione di questi due momenti acquista diverso grado ed accento da un autore all'altro. Pertanto, la scelta dei brani antologici è stata operata, oltre che dalla visuale critico-estetica, anche in relazione all'attualità che ciascun argomento presentava.

Quest'ultimo criterio non riflette solo il noto assunto che la storia si scrive secondo la visuale di oggi - talvolta ovvio e talaltra abusato - ma soprattutto un carattere insito nella natura e negli scopi stessi del trattati, ossia la loro intenzione operativa, il loro rivolgersi agli architetti: «mi servirò di quei nomi, che gli artefici hoggidi comunemente usano» afferma Palladio.

[...]

Questi erano i pensieri che esprimevo nell'introduzione dell'antologia pubblicata oltre trent'anni or sono. Che cosa è cambiato da allora? Se riferiti all'odierno dibattito generale, alla vulgata degli «ismi» che si rincorrono senza sosta, molt'acqua è passata sotto i ponti, prevalentemente inondando piuttosto che irrigando i campi del nostro sapere e comunque rendendo anacronistici molti assunti di questo libro. Se invece li riferisco ad una più attenta riflessione, in particolare alla mia personale ricerca e a quella dei miei allievi, tali assunti si sono rivelati di grande utilità nello sciogliere molti nodi teorici e operativi della storiografia architettonica al punto che non ho cambiato nulla rispetto alla prima edizione dell'opera. In breve, quanto al carattere di sintesi del volume - il meglio della trattatistica in un solo libro - non mi risulta che siano stati effettuati analoghi tentativi. Quanto alla chiave interpretativa, segnatamente la metodologia della strutturalismo, e proprio in campo architettonico, dove è nata la nozione stessa di «struttura», s'è rivelata insuperata, resistendo facilmente al decostruzionismo che si è posto quale suo maggiore antagonista pochi anni or sono.

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Pagina 7

VITRUVIO

DE ARCHITECTURA


[...]

Deve l'Architetto saper la Gramatica per mettere in carta e rendere più stabile la memoria col notare. Il Disegno gli serve per poter cogli esemplari dipinti mostrare l'aspetto dell'opera, che vuol formare. La Geometria dà molto ajuto all'Architettura, e specialmente insegna l'uso della riga, e del compasso, coll'ajuto de' quali strumenti soprattutto si formano più facilmente le piante degli edificj, e si tirano le direzioni delle squadre, de' livelli, e delle linee. Parimente coll'Ottica si prendono a dovere i lumi negli edifizj da' dati aspetti del Cielo. Coll'Aritmetica si calcolano le spese degli edificj, si mettono in chiaro i conti delle misure, e col calcolo, e metodo aritmetico si sciolgono i difficili problemi delle proporzioni. Dee sapere molte Istorie, poichè stesso gli Architetti disegnano molti ornamenti nelle opere, de' soggetti delli quali debbono essi, a chi ne domanda, assegnare la ragione. Siccome se qualcuno in luogo di colonne adoprasse statue di marmo, rappresentanti donne vestite di stola, che si chiamano Cariatidi, e sopra le medesime ponesse i modiglioni, e le cornici: a chi ne domanda, darà questa ragione. Caria città del Peloponneso si collegò co' Persiani contra i Greci: finalmente i Greci vincitori essendosi gloriosamente liberati da questa guerra, di comun consiglio la intimarono a' Cariatidi. Presa quindi la città, ammazzati gli uomini, ed abolita la cittadinanza, ne menarono schiave le loro matrone; ma non permisero, che deponessero i manti, nè gli altri ornamenti da matrone, acciocchè non solo fossero per una volta sola menate in trionfo, ma con eterna memoria di schiavitù cariche di somma vergogna sembrassero pagare il fio per la loro città. (fig. 1) Quindi gli Architetti, che fiorivano allora, collocarono negli edificj pubblici le loro immagini destinate a regger pesi, acciocchè passasse anche a' posteri la memoria della pena del fallo de' Cariatidi. Parimente i Laconi sotto il comando di Pausania figliuolo di Cleombroto, avendo nella battaglia di Platea con poca gente vinto un infinito numero di Persiani, solennizzatone ricco trionfo e di spoglie, e di preda; eressero del bottino fatto con lode, e valore de' cittadini il Portico Persiano (fig. 2) per trofeo da tramandare alla posterità: ed ivi collocarono le statue de' prigionieri vestite alla barbaresca, che reggevano il tetto, acciocchè restasse così colla meritata vergogna punita la loro superbia, e gl'inimici si atterrissero dal timore della loro fortezza, e i cittadini riguardando quell'esempio di valore, animati dalla gloria fossero pronti a difendere la libertà. Quindi pure nacque, che molti usarono delle statue Persiane per sostenere gli architravi, e i cornicioni; e così con questi soggetti aggiunsero alle fabriche eccellenti ornamenti. Vi sono anche storie simili, le quali perciò dee saper l'architetto. (pp. 5-7)


L'elenco delle ragioni che inducono l'architetto ad occuparsi di varie discipline include motivi di vario ordine e grado. La necessità di alcune cognizioni risulta intuitiva e non richiede alcun commento anche perché molte di esse costituiscono l'insieme delle nozioni che tuttora sono necessarie alla formazione dell'architetto. Inoltre, fra quelle citate, come ad esempio i problemi delle proporzioni, ritorneranno in altre parti dei dieci libri. Qui interessa notare il fatto che Vitruvio, per la sua particolare esperienza di trattatista, fa precedere la conoscenza della grammatica addirittura a quella del disegno e la giustifica con la necessità appunto di annotare le memorie. Ovviamente però si può interpretare questo consiglio con l'intenzione di prescrivere all'architetto la conoscenza letteraria - che rimane sempre la più ricca d'informazioni - come quella propedeutica ad ogni altra esperienza. Più singolare risulta la necessità della conoscenza storica. E qui l'uomo pratico esemplifica due casi di avvenimenti storici direttamente connessi con un motivo architettonico, quello dei sostegni antropomorfici delle cariatidi e dei prigioni. Non importa in questa sede verificare l'attendibilità storica (cioè fattuale) delle vicende narrate dal vecchio scrittore romano in varie parti del suo trattato (in questo caso la sua esatta interpretazione della storia di Tucidide); infatti se siano storia o miti - rivissuti peraltro storicamente - è del tutto insignificante rispetto al fatto che Vitruvio tenti di indicare una ragione, un motivo, una favola che, a suo avviso, abbia generato l'uso e l'adozione di determinati elementi architettonici. Rifiutare questo suo metodo, in nome di uno storico rigore filologico, significa non solo ignorare il carattere di poetica (intesa secondo la moderna accezione) che caratterizza tutta la trattatistica, non solo trascurare l'enorme valore assunto dal mito nella storia della civiltà, ma perdere anche quegli elementi semantico-referenziali delle forme architettoniche, alle quali si deve la diffusione del linguaggio dell'architettura antica in tutta la sfera sociale e la sua comprensione quasi ad ogni livello di cultura. Oltre a quelle citate vi sono altre ragioni, per le quali l'architetto dev'essere edotto in molte discipline.


La Filosofia forma d'animo grande l'Architetto, e fa che non sia arrogante, ma più tosto alla mano, giusto, fedele, e quel ch'è più, non avaro: poiché non si può fare nessuna opera con puntualità, se non da chi è leale, ed incorrotto. Non deve essere avido, nè aver l'animo dedito a prender regali, ma con gravità sostenere il suo decoro, conservando il suo buon nome: e questo l'insegna la Filosofia. Tratta inoltre anche la Filosofia della natura delle cose, la qual parte in greco si chiama Fisiologia. Questa è necessario studiarsi bene, perchè contiene molti, e varj trattati naturali, specialmente concernenti a condurre l'acque: perocchè da' loro corsi, giri, e salite dal piano orizzontale si generano ne' tubi or in un modo, or in altro de' venti, all'urto de' quali non saprà rimediare, se non chi avrà dalla Filosofia appresi i principj delle cose naturali. Come parimente non potrà intendere il vero senso de' libri di Ctesibio, di Archimede, o degli altri, che hanno scritto di simili materie, se non chi sarà stato da' Filosofi istruito. (pp. 7-9)


Come si vede la parte della filosofia cui si riferisce Vitruvio è quella che riguarda la morale e altrettanto pratico è il suo interesse per la fisiologia, donde si ricavano leggi per risolvere concreti problemi tecnici.


Deve saper la Musica, per intendere le regole delle proporzioni canoniche e matematiche, ed in oltre dare la giusta carica alle baliste, catapulte, e scorpioni: imperciocchè ne' capitelli a destro, e a sinistra vi sono i buchi degli unisoni attorno a' quali cogli argani, peritrochj, o manovelle si stirano le funi di budella, le quali non si fermano, o legano, se non quando fan sentire all'orecchio dell'artefice tuoni eguali: perciocchè i bracciuoli, o bischeri così stirati egualmente dall'una, e dall'altra parte, scoccano diritto il colpo: ma se non saranno unisoni, faranno torcere dal diritto cammino i dardi. Parimente ne' teatri i vasi di metallo, i quali si situano nelle loro piccole camere sotto i gradini con proporzione matematica, e le differenze de' suoni, che i Greci chiamano echia, si regolano colle consonanze musicali, distribuiti poi intorno intorno nella quarta, e quinta, e nell'ottava ecc. in guisa tale, che la voce del suono, che parte dalla scena, giungendo a percuotere i corrispondenti rispettivi vasi, cresce col rimbombo, e va più chiara, e più dolce all'orecchio degli spettatori. Come anche senza le proporzioni musiche nessuno potrà formare né macchine idrauliche, nè altri simili. (p. 9)


Troviamo nel brano suddetto per la prima volta enunciato il rapporto tra architettura e musica destinato ad avere, grazie al comune riferimento matematico, una enorme risonanza in tutta la successiva critica architettonica. Il Barbaro osserva: «Certo è nella Musica, che la egualità del suono mostra egualità di spatio, et quella proportione che è tra spatio, et spatio, si truova anche tra suono et suono». Questa deve esser stata l'idea originaria del suddetto rapporto che tuttavia ai tempi di Vitruvio doveva avere già avuto un notevole sviluppo, sia perché egli parla direttamente in termini musicali (la quarta, la quinta, l'ottava), sia perché, dando per scontata l'analogia fra architettura e musica, della quale si occuperà analiticamente più avanti, giustifica in questo primo enunciato la necessità d'applicare nozioni musicali ad alcune attività, che pur rientrando nei compiti dell'architetto, non erano certo le sue principali occupazioni.


La Medicina è necessaria per conoscere quali aspetti del cielo, che i Greci chiamano climi, quali arie, quali acque siano sane, e quali dannose: poichè senza queste riflessioni, non si può fare abitazione salubre. È necessario ancora, che sappia quelle leggi, che regolano i muri esteriori,in riguardo al giro delle grondaje, alle fogne, e a' lumi. Lo scolo parimente delle acque, e cose simili debbono esser note agli Architetti, acciocchè prima di cominciare l'edificio prendano le dovute cautele, e non rimangano, dopo fatte le fabbriche, le liti a' padri di famiglia: ed acciocchè stabilendosi i patti, restino cautelati tanto chi dà, quanto chi prende in affitto: ed infatti se i patti saranno ben espressi, rimarranno senza inganno gli uni, e gli altri. Per mezzo dell'Astrologia si conosce l'Oriente, l'Occidente, il Mezzogiorno, il Settentrione, e tutta la disposizione del cielo, l'Equinozio, il Solstizio, e 'l corso delle stelle; e chi non sa queste cose, non saprà nè anche formar gli orologi a sole. Poichè dunque è questa scienza adornata tanto, e piena di molte, e varie erudizioni, non mi pare, che possa nessuno a ragione chiamarsi Architetto di botto, ma solo chi salendo da fanciullo per questi gradi di dottrine, e nutrito della cognizione di molte scienze, ed arti, giungerà all'ultima perfezione dell'Architettura. Recherà forse maraviglia agl'ignoranti, come si possa naturalmente apprendere tante dottrine, e ritenerle: lo crederanno però facile, se rifletteranno, che tutte le scienze hanno fra loro una corrispondenza, e comunicazione: imperciocchè la scienza Enciclica, o sia universale, è composta, come un corpo intero, da tutte queste membra. Quindi coloro che dalla tenera età apprendono gli erudimenti di tutte le scienze, imparano queste, e in oltre la reciproca connessione di esse tutte, e così poi più facilmente sanno di tutto. (pp. 9-11)

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Pagina 24

I, 2 - L'Architettura si compone di Ordinazione (che in greco si dice Taxis): Disposizione (i Greci la chiamano Diathesin) di Euritmia: Simmetria: Decoro: e Distribuzione (che i Greci chiamano OEconomia). (p. 15)


Il presente capitolo è tra i più complessi di tutta l'opera vitruviana; in esso appare evidente l'influenza di diverse fonti antiche che, secondo alcuni commentatori, sarebbero state scarsamente intese ed elaborate dallo scrittore romano. Comunque, poiché nelle sei suddette componenti è contenuto in nuce, quasi per intero, il pensiero critico-estetico di Vitruvio, bisognerà analizzarle, seguendo il suo esempio, separatamente, tenendo presente che in esse si mescolano criteri d'ordine teorico e motivi dedotti dalla manualità e dalla tradizione.


L'Ordinazione è un misurato comodo de' membri di una fabbrica presi separatamente, e 'l rapporto di tutte le sue proporzioni alla Simmetria: si regola questa dalla Quantità (che in greco si dice Posothes): la Quantità poi è la giusta distribuzione dei Moduli presi dalla stessa opera, e adattata a ogni membro di ciascuna parte della medesima. (p. 15)

[...]

La Disposizione è una propria situazione delle cose, e un vago effetto dell'opera negli accordi per cagion della Qualità. Le specie della Disposizione, le quali in greco si chiamano Idee, sono la Pianta, l'Alzato, e la Prospettiva. La Pianta è quel disegno in piccolo fatto con compasso, e riga, secondo il quale poi si formano le figure delle Piante in grande. L'Alzato è l'aspetto della facciata, e un disegno in piccolo colorito colle misure corrispondenti all'opera futura. La Prospettiva è il disegno ombreggiato della facciata e de' fianchi, che sfuggono, sì che concorrano tutte le linee visuali a un punto. Tutte tre queste nascono dal Pensiero, e dall'Invenzione. Il Pensiero è una riflessione piena di attenzione, applicazione, e vigilanza col piacere della felice riuscita nella cosa proposta. L'Invenzione poi è la soluzione de' problemi oscuri, e la ragione della cosa nuova ritrovata con vivacità. Queste sono le parti della Disposizione. (pp. 15-17)

[...]

L'Euritmia è il bello, e grato aspetto cagionato dalla disposizione delle membra. Si ha quando di dette membra corrisponde l'altezza con la larghezza, e la larghezza con la lunghezza, e in somma tutte le cose hanno la loro giusta proporzione. (p. 17)

[...]

Il Decoro è un raffinato aspetto dell'opera, composto di cose approvate dalla ragione: questo si regola o dallo Statuto, che in Greco si dice Thematismos, o dalla Consuetudine, o dalla Natura. Collo Statuto, quando a Giove fulminante, al Cielo, al Sole, ed alla Luna si fanno tempj allo scoperto, e senza tetti: e questo perché gli aspetti, e gli effetti di questi Dei compariscono a cielo scoperto e lucente. A Minerva, a Marte, e ad Ercole si faranno edificj dorici: inperciochè a questi Dei convengono a cagion del loro valore edificj senza delicatezza. A Venere, a Flora, a Proserpina, e alle Ninfe de' fonti saranno proprj edificj Corintj, perché riflettendosi alla gentilezza di questi Dei, parrà che i lavori delicati, ed ornati di fiori, frondi, e volute accrescano il proprio loro decoro. A Giunone, a Diana, a Bacco e ad altri Dei di tal simiglianza si terrà al via di mezzo, facendo gli edificj jonici, i quali saranno proprj, perché partecipano della sodezza Dorica, e della dilicatezza Corintia. Sarà Decoro di Consuetudine, quando ad edificj magnifici nell'interno, si adatteranno anche entrate proporzionate, e magnifiche: che se l'interno sarà bello, e gl'ingressi all'incontro ignobili, e rozzi, non vi sarà il Decoro. Così parimente se ne' corniciami Dorici si scolpiranno dentelli nella cornice: o sopra capitelli, e colonne Joniche s'intagliassero triglifi nelle cornici, trasportando così le cose proprie di un ordine in un altro, si offenderà la vista, poiché sono già state ne' tempi addietro stabilite consuetudini diverse e proprie in ciascun Ordine. Il Decoro Naturale poi sarà questo; primo se per ogni tempio si sceglieranno siti di buona aria, con fonti d'acqua sufficienti, ed ivi si fabbricheranno: e questo specialmente se i tempj saranno di Esculapio, della Salute, o di altri Dei, colla medicina dei quali pare, che molti infermi si sanino. Imperciocchè trasportando i corpi infermi da un luogo infetto in uno salubre, e dando loro l'uso anche di acque salubri, si ristabiliranno più presto. Così avverrà che la Divinità ingrandirà con credito il suo nome per la natura del luogo. Parimente Decoro naturale sarà, se nelle camere, e nelle librerie si prenderanno i lumi dall'Oriente: ne' bagni, e nelle stanze d'inverno dall'Occidente jemale: nelle gallerie, ed ove si richiede un lume sempre uguale dal Settentrione; perché questo aspetto del Cielo non cresce, nè scema di lume nel corso del Sole, ma resta per tutto il giorno costante, ed immutabile. (pp. 17-19)

[...]

La Distribuzione è il comodo uso del materiale, e la parca spesa ne' lavori moderata dalla ragione. Questa si osserverà, se in primo luogo l'Architetto non s'impegnerà in quelle cose, le quali non si possono ottenere, e mettere in esecuzione senza grande spesa. Per esempio non in ogni luogo si trova l'arena di cava, la pietra, l'abete, e il suo fusto, il marmo ecc. ma quale nasce in un luogo, e quale in un altro, e queste cose non si possono avere se non con difficoltà, e dispendio; perciò bisogna servirsi dell'arena di fiume, o di quella di mare, ma lavata, quando manca quella di cava. Alla scarsezza d'abete, e del suo fusto, si riparerà con adoperare cipresso, pioppo, olmo, pino ec. e così del resto. Un'altra specie di Distribuzione è quella che dispone diversamente gli edificj secondo i diversi usi de' padri di famiglia, e secondo la quantità del danaro, o la decenza delle persone d'autorità: imperciocchè bisogna diversamente distribuire le case di città da quelle, ove si ripongono i frutti delle ville: diversamente quelle de negozianti da quelle de' benestanti, ed agiati: e per que' signori, i quali entrano nel governo della Repubblica, si distribuiranno secondo il bisogno ed in somma ogni distribuzione di casa si deve fare adattata a ciascuna persona. (pp. 19-21)

[...]

La Simmetria è un accordo uniforme fra le membra della stessa opera, e una corrispondenza di ciascuna delle medesime separatamente a tutta l'opera intera: siccome nel corpo umano vi è Simmetna fra il braccio, il piede, il palmo, il dito e le altre parti, così lo stesso è anche in ogni opera perfetta. E primieramente ne' Tempj si cava il Modulo dalla grossezza delle colonne, o dal Triglifo: nelle Baliste dal buco, che i Greci chiamano Peritreton: nelle navi dallo Interscalmio, il quale si chiama Dipechaice: così in tutte le altre opere da qualche membro si cava la misura della Simmetria. (p. 17)

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Pagina 113

LEON BATTISTA ALBERTI

DE RE AEDIFICATORIA


Proemio - Gli antichi nostri ci hanno lasciate molte, & varie arti, che giovano a bene, & commodamente vivere, acquistate da loro con grandissima industria, & diligenza. Le quali ancora che da per loro stesse tutte dimostrino quasi che a gara di andare a questo fine; cioè di giovare grandemente alla generatione humana: nientedimeno noi conosciamo che elle hanno un certo che, mediante il quale ciascuna da per se, pare che ne prometta particulare, & diverso frutto. Imperoche noi certo seguitiamo alcune arti per la necessità, & alcune approviamo per la utilità; & alcune sono in pregio, perche mediante lo operare di quelle, si viene in cognitione delle cose che dilettano; & quali siano queste arti, non fa mestiero che io dica; impero che elle sono manifeste. Ma se tu andrai bene esaminando infra il grandissimo numero di tutte le arti; non ve ne troverai pur una, che (sprezzati gli altri) non consideri, & vadia dietro ad alcuni suoi particolari, & proprii fini. O se finalmente ne troverai alcuna, la qual sia tale che tu non possa o in modo alcuno mancarne, o che ella pure da per se ti arrechi utilità, congiunta con dilettazione, & grandezza; non debbi (secondo il mio parere) dal numero di queste tor via la Architettura. Imperoche ella alcerto, se il tutto andrai diligentemente esaminando, & publicamente, & provatamente alla humana generatione è commodissima, & oltra modo gratissima: & per dignità non infima infra le prime. (p. 1)


L'Alberti inizia così il suo trattato anteponendo a qualsiasi definizione dell'architettura il valare sociale e la ragion pratica di essa.


Ma in anzi che io proceda piu oltre, giudico che sia bene dichiarare chi è quello, che io voglio chiamare Architettore: Percioche io non ti porrò inanzi un legnaiuolo, che tu lo habbi ad aguagliare ad huomini nelle altre scienzie esercitatissimi; colui certo che lavora di mano, serve per instrumento allo architettore. Architettare chiamerò io colui, il quale saprà con certa, & maravigliosa ragione, & regola, sì con la mente, e con lo animo divisare; sì con la opera recare a fine tutte quelle cose, le quali mediante movimenti di pesi, congiugnimenti, & ammassamenti di corpi, si possono con gran dignità accomodare benissimo allo uso de gli huomini. Et a potere far questo, bisogna che egli abbia cognitione di cose ottime, & eccellentissime; & che egli le possegga. Tale adunque sarà lo Architettore. (p. 1)

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Pagina 159

Sarà certo lo ornamento una certa luce adiutrice de la bellezza, & quasi uno suo adempimento. Mediante queste cose penso io che sia manifesto, che la bellezza è un certo che di bello, quasi come di se stesso proprio, & naturale diffuso per tutto il corpo bello, dove lo ornamento pare che sia un certo che di appicaticcio, & di attaccaticcio, piu tosto che naturale, o suo propio. Di nuovo ci resta a dir questo: Coloro che murano di maniera che voglino che le lor muraglie siano lodate, il che debbono voler tutti i savii, costoro certo son mossi da vera ragione. Appartiensi a l'arte adunque il fare le cose con ragione vera. La buona, & vera muraglia adunque chi negherà che si possa fare se non mediante l'arte? Et veramente questa stessa parte che si rivolge circa a la bellezza, & circa l'ornamento, essendo la principale di tutte, non sarà gran fatto se ella harà in se alcuna potente ragione, & arte, che chi se ne farà beffe, sarà sciocchissimo. Ma e' ci sono alcuni che non appruovano simili cose, & che dicono che ella è una certa varia openione, con la quale noi facciamo giudici de la bellezza, & di tutte le muraglie, & che la forma de gli edifici si muta secondo il diletto, & il piacere di ciascuno, non si ristrignendo dentro ad alcuni comandamenti de la arte. Comune difetto de gli ignoranti è il dire che quelle cose, che non sanno loro, non sieno. Io giudico che e' sia da levare via questo errore: non piglio già assunto, che io giudichi che e' si vadia dietro ad esaminare lungamente, da quali principii venissero le arti, da quali ragioni fussero ordinate, & per quali cose crescessero. Non sia fuore di proposito, che il padre de le arti fu il caso, & il conoscimento: Lo alunno di esse fu l'uso, & l'esperimento, & che crebbono mediante la cognitione, & il discorso. Cosi dicon che la Medicina fu trovata in mille anni da mille migliai d'huomini, e cosi l'arte del navigare, e quasi tutte l'altre arti essere cresciute da piccolissimi principii. (pp. 133-134)

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Pagina 339

SEBASTIANO SERLIO

TRATTATO DI ARCHITETTURA

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Benigno lettore, havend'io apparecchiato alcune regole ne l'Architettura, presupponendo, che non per gli elevati ingegni l'habbiano ad intendere, ma ogni mediocre anchora ne possa esser capace, secondo che piu e meno sara egli a tal'arte inclinato: le quali regole sono in sette libri divise, si come qui di sotto sara notato; poi che'l suggetto il comporta, ho voluto incominciar da questo quarto libro a mandarle fuori, che è piu a proposito, e piu necessario de glialtri per la cognition de le differenti maniere de gli edificij, e de i loro ornamenti. Di tutto quello, che voi trovarete in questo libro che vi piaccia, non darete gia laude a me, ma si bene al precettor mio Baldessar Petruccio da Siena: il qual fu non solamente dottissimo in quest'arte e per theorica, e per pratica; ma fu anchor cortese, e liberale assai; insegnandola a chi se n'è dilettato: e massimamente a me, che questo, quanto si sia, che io so, tutto riconosco da la sua benignità, e col suo essempio intendo usarla anch'io con quelli, che non si sdegneranno apprenderla da me: affin che ciascuno possa haver qualche cognition di quest'arte, che non è men dilettevole a l'animo, pensando a quel, che si ha a fare, che ella si sia a gliocchi, quando ella è fatta. La qual arte per la virtu de i famosi, et eccellenti ingegni, che ho nominati, cosi fiorisce in questo nostro secolo, come si facesse la lingua latina al tempo di Iulio Cesare, e di Cicerone. Prendete adunque con animo allegro, e gentile, se non l'effetto; almen la volontà, che certo ho havuta grandissima, di satisfarvi in questa fatica: e dove conoscerete; che le mie forze deboli non habbian potuto sopportar tanto peso, pregarete i piu robusti, che per me lo sostengano, e suppliscano in quella, dov'io sarò mancato. Nel primo libro tratterò de i principij de la Geometria, e de le varie intersecation de linee, in tanto che l'Architetto potrà render buon conto di tutto quello, ch'egli opererà. Nel secondo dimostrerò in disegno, et in parole tanto di prospettiva, che volendo egli, potrà aprir il suo concetto in disegno visibile. Nel terzo si vedrà la Icnographia, cioè la pianta: la Orthographia, che è il diritto: la Sciographia, che viene a dir lo Scorcio de la maggior parte de gli edificij, che sono in Roma, in Italia, e fuori, diligentemente misurati, e postovi in scritto il luogo dove sono, e'l nome loro. Nel quarto, che è questo si tratterà de le cinque maniere de l'edificare, e de gliornamenti suoi: Thoscano, Dorico, Jonico, Corinthio, e Composito, e con queste s'abbraccia quasi tutta l'arte per la cognitione de le cose diverse. Nel quinto dirò de i modi de i tempij disegnati in diverse forme, cioè rotonda, quadrata, di sei faccie, di otto faccie, ovale, in croce, con le lor piante; i diritti, et i scorzi diligentemente misurati. Nel sesto diremo di tutte le habitationi, c'hoggidi si posson usare: incominciando da la più vil casipula, o capannetta che vogliamo dirla, e di grado in grado seguendo fino al più ornato palazzo da Prencipe, cosi per la villa, come per la città. Nel settimo, et ultimo si finirà ne i molti accidenti, che possono occorrer a l'Architetto in diversi luoghi, et istrane forme di siti: e ne li restauramenti, o restitutioni di case: e come habbiamo a far per servirci de gli altri edifici, e simili cose che siano, e siano ancho state altra volta in opera. (p. IIIr)

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