Copertina
Autore Don DeLillo
Titolo Rumore bianco
EdizioneEinaudi, Torino, 1999 [1987], Tascabili Letteratura 613 , Isbn 978-88-06-14727-3
OriginaleWhite Noise [1984]
TraduttoreMario Biondi
LettoreRenato di Stefano, 1999
Classe narrativa statunitense
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Pagina 5 [ inizio libro ]

Le station wagon arrivarono a mezzogiorno, lunga fila lucente che attraversò il settore occidentale del campus. In fila indiana girarono con cautela attorno alla scultura metallica in forma di I, color arancio, dirigendosi verso i dormitori. I tetti delle auto erano carichi di valige assicurate con cura, piene di abiti leggeri e pesanti; scatole di coperte, scarponi e scarpe, cancelleria e libri, lenzuola, cuscini, trapunte; tappeti arrotolati e sacchi a pelo; biciclette, sci, zaini, selle inglesi e western, gommoni già gonfiati. A mano a mano che rallentavano fino a mettersi a passo d'uomo e infine fermarsi, saltavano fuori velocissimi gli studenti, che si precipitavano agli sportelli posteriori per cominciare a scaricare gli oggetti sistemati nell'interno: gli stereo, le radio, i personal computer; piccoli frigo e fornellini portatili; scatole di dischi e cassette; asciuga e arricciacapelli; racchette da tennis, palloni da calcio, mazze da hockey e da lacrosse, frecce e archi; sostanze illegali, pillole e strumenti anticoncezionali; junk-food ancora nei sacchetti della spesa: patatine all'aglio e alla cipolla, nachos, tortini di crema di arachidi, wafer e cracker, cicche alla frutta e popcorn caramellato; gazzose Dum-Dum, mentine Mystic.

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Pagina 6

Io sono preside del dipartimento di studi hitleriani presso il College-on-the-Hill. Sono stato io, nel marzo del '68, a inventare gli studi hitleriani in America del nord. Era una giornata fredda e luminosa, con venti intermittenti da est. Quando feci balenare nel rettore l'idea che avremmo potuto edificare un intero dipartimento attorno alla vita e all'opera di Hitler, fu lesto a coglierne le possibilità. Il successo fu immediato ed elettrizzante. Il rettore divenne consigliere per Nixon, Ford e Carter prima di morire su uno skilift in Austria.

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Pagina 12

Un vero e proprio edificio Hitler non esiste. Abbiamo sede nella Centenary Hall, oscura struttura in mattoni che dividiamo con il dipartimento di cultura popolare, ufficialmente nota come Ambienti americani. Curioso gruppo. Il personale docente è composto quasi unicamente di emigré, transfughi da New York, svegli, duri, pazzi del cinema, folli per i «trivia». Sono qui per decifrare il linguaggio naturale della cultura, per trasformare in metodo formale le splendide piacevolezze da loro conosciute nell'infanzia trascorsa all'ombra dell'Europa, un aristotelismo fatto di involucri di chewing-gum e di canzoncine dei detersivi. Il preside del dipartimento è Alfonse «Fast Food» Stompanato, fosco individuo dalle spalle larghe, la cui collezione di bottiglie di gazzosa anteguerra è esposta in permanenza in una nicchia. Tutti i suoi insegnanti sono di sesso maschile, portano abiti stazzonati, hanno bisogno di farsi tagliare i capelli, tossiscono senza mettersi la mano davanti alla bocca. Messi insieme sembrano una banda di camionisti riuniti per identificare il corpo di un collega fatto a pezzi. L'impressione che danno è di diffusa irritazione, sospetto e intrigo.

Parziale eccezione a quanto sopra è costituita da Murray Jay Siskind, ex giornalista sportivo, che una volta mi chiese di pranzare con lui in sala mensa, dove l'odore istituzionale di cibo vagamente definito risvegliò in me oscure e cupe memorie. Murray era nuovo alla Hill e aveva spalle curve, occhialetti rotondi e barba alla Amish. Era visiting professar di icone viventi e sembrava imbarazzato da ciò che era andato a spigolare in quegli anni dai suoi colleghi di cultura popolare.

- Capisco la musica, capisco i film, capisco persino come i fumetti possano insegnarci qualcosa. Ma in questo posto ci sono docenti ordinari che non leggono altro che le scatole dei cereali.

- E' l'unica avanguardia di cui disponiamo.

- Non che mi lamenti. Questo posto mi piace. Ne sono completamente innamorato. Abitare in una città piccola. Voglio stare alla larga dalle città grosse e dalle complicazioni sessuali. Calore. Ecco che cosa significano per me le città grosse. Si scende dal treno, si esce dalla stazione e si è presi dalla scalmana. Il calore dell'aria, del traffico, della gente. Il calore del cibo e del sesso. Il calore dei grattacieli. Il calore che esce dalla metropolitana e dalle gallerie. Nelle città grosse ci sono almeno cinque gradi di piú. Il calore si leva dai marciapiedi e cala dal cielo inquinato. Gli autobus sbuffano calore. Emana dalle folle di acquirenti e impiegati. Tutta l'infrastruttura si basa sul calore, lo usa disperatamente, ne produce altro. La definitiva morte per calore dell'universo, di cui gli scienziati amano parlarem è già ben avviata a verificarsi: in qualsiasi città di dimensioni grandi o medie si sente ovunque che si sta realizzando. Calore e umidità.

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Pagina 18

Quando i tempi sono incerti, la gente si sente costretta a mangiare in eccesso. Blacksmith è piena di simili adulti e bambini obesi, pance cascanti, gambe corte, che si muovono come anatre. Faticano a emergere dalle utilitarie, si mettono in tuta e corrono a famiglie intere in campagna; camminano per strada con il cibo dipinto in faccia; mangiano nei negozi, in auto, nei parcheggi, nelle code degli autobus e nelle sale del cinema, sotto la maestosità degli alberi.

Soltanto gli anziani sembrano al riparo dalla febbre del mangiare. Anche se talvolta appaiono assenti dal proprio dire e gestire, sono tuttavia magri e hanno un aspetto sano, le donne agghindate con cura, gli uomini vestiti bene e con criterio, intenti a prendere un carrello dalla fila in attesa fuori dal supermercato.

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Pagina 29

- Guarda il parabrezza, - replicai. - E' pioggia o no?

- Sto soltanto dicendo quello che ho sentito.

- Il semplice fatto che l'abbiano detto alla radio non significa che dobbiamo sospendere il giudizio sull'evidenza dei nostri sensi.

- I nostri sensi? Si sbagliano molto piú spesso di quanto abbiano ragione. E stato dimostrato in laboratorio. Non conosci tutti i teoremi secondo i quali nulla è come appare? Non c'è passato, presente o futuro fuori della nostra mente. Le cosiddette leggi del moto sono una grossa mistificazione. Anche il suono può ingannare la mente. Soltanto perché non lo si sente, non significa che non ci sia. I cani lo sentono. E anche altri animali. Ma sono sicuro che ci sono suoni che anche i cani non possono sentire. Tuttavia nell'aria ci sono, in forma di onde. Forse non si fermano mai. In tonalità alte, piú alte, sempre piú alte. Arrivati da chissà dove.

- Piove, - replicai, - o no?

- Preferirei non dover rispondere.

- E se qualcuno ti puntasse una pistola alla testa?

- Chi, tu?

- Qualcuno. Un uomo in trench e occhiali affumicati. Ti punta una pistola alla testa e dice: «Piove o no? Non devi fare altro che dire la verità e io metto via la pistola e sparisco».

- Che verità vuole? Quella di chi stia viaggiando quasi alla velocità della luce in un'altra galassia? Quella di chi sia nell'orbita di una stella neutrone? Magari, se potessero vederci attraverso un telescopio, potremmo apparirgli alti settanta centimetri e potrebbe star piovendo ieri invece che oggi.

- E' contro la tua testa che quell'individuo sta puntando la pistola. Quindi vuole la tua, di verità.

- A che cosa serve la mia verità? Non significa niente. E se invece questo tizio con pistola venisse da un pianeta di un sistema solare del tutto diverso? Ciò che noi chiamiamo pioggia, lui lo chiama sapone. E invece ciò che chiamiamo mele lo chiama pioggia. Che cosa dovrei dirgli?

- Si chiama Frank J. Smalley ed è di St. Louis.

- Vuole sapere se sta piovendo adesso, esattamente in questo istante?

- Qui e adesso. Esatto.

-Esiste un adesso? L'«adesso» viene e se ne va non appena lo si è pronunciato. Come faccio a dire che adesso piove, se il tuo cosiddetto «adesso» diventa «allora» non appena lo pronuncio?

- Ma se hai detto che non esiste passato, né presente, né futuro.

- Soltanto nei nostri verbi. E' l'unico posto dove li si trova.

- Pioggia è un sostantivo. C'è della pioggia qui, in questo preciso luogo, in qualsiasi momento nell'ambito dei due minuti successivi a quello che sceglierai per rispondere alla domanda?

- Se intendi parlare di un luogo preciso, mentre sei in una vettura in evidente movimento, allora penso che il problema di questa discussione stia proprio lí.

- Dammi una risposta e basta, Heinrich, d'accordo?

- Il massimo che posso fare è cercare di indovinare.

- O piove o no, - ribattei.

- Esattamente. Proprio quello che intendo io. Si tirerebbe a indovinare. Se non è zuppa è pan bagnato.

- Ma lo si vede che sta piovendo.

- Si vede anche il sole che si muove nel cielo. Ma è lui che si muove, o la terra che gira?

- Un'analogia che non accetto.

- Tu sei sicurissimo che si tratti di pioggia. Come fai a sapere che non è acido solforico proveniente dalle fabbriche oltre il fiume? Come fai a sapere che non sono i residui radioattivi di una guerra in Cina? Tu vuoi una risposta qui e adesso. Puoi dimostrare, qui e adesso, che quella roba è pioggia? Come faccio a sapere che quella che tu definisci pioggia lo è veramente? E comunque, che cos' è la pioggia?

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Pagina 34

Rientrammo sotto una luna color calendola. La nostra casa, in fondo alla via, aveva un aspetto vecchio e smorto, con la luce del portico a splendere su un triciclo di plastica, una catasta di ciocchi, tre ore di fiamma colorata, in segatura e cera. Denise stava facendo i compiti in cucina, tenendo d'occhio Wilder, che era sceso giú per sedersi sul pavimento e fissare lo sguardo oltre lo sportello della stufa. Silenzio nei corridoi, ombre sul prato in pendenza. Chiudemmo la porta e ci spogliammo. Il letto era un casino. Riviste, bacchette per tende, una calza infantile lurida. Babette catiticchiò un motivetto di uno spettacolo di Broadway, sistemando le bacchette in un angolo. Ci abbracciammo, cademmo sul letto di fianco ma in maniera controllata, poi ci sistemammo meglio, immergendoci nella carne l'uno dell'altra, cercando di allontanare a calci le lenzuola dalle caviglie. Nel suo corpo c'erano diverse cavità lunghe, luoghi dove la mano poteva fermarsi per studiare l'enigma nel buio, luoghi rallenta-tempo.

Secondo noi in cantina viveva qualcosa.

- Che cosa vuoi fare? - chiese Babette.

- Quello che vuoi tu.

- Io voglio fare quello che preferisci tu.

- Quello che preferisco è piacerti, - replicai.

- Io voglio farti felice, Jack.

- Lo sono quando ti piaccio.

- Voglio solo fare quello che vuoi fare tu.

- E io quello che preferisci tu.

- Ma tu mi piaci quando mi consenti di piacerti, - ribatte lei.

- In quanto maschio della coppia, ritengo che piacere sia responsabilità mia.

- Non capisco bene se è una dichiarazione di affettuosa sensibilità o un'afferrnazione sessista.

- E sbagliato che il maschio sia sollecito nei confronti della propria compagna?

- La tua compagna lo sono quando giochiamo a tennis, cosa che, tra l'altro, dovremmo ricominciare a fare. Altrimenti sono tua moglie. Vuoi che ti legga qualcosa?

- Ottima idea.

- Lo so che ti piace che legga roba sexy.

- Credevo che piacesse anche a te.

- Non è fondamentalmente la persona a cui viene letto qualcosa, quella che ne gode il beneficio e la gratificazione? Quando leggo al Vecchio Treadwell, non lo faccio certamente perché quei tabloid li trovo stimolanti.

- Treadwefl è cieco, io no. Credevo che ti piacesse leggere i brani erotici.

Se ti piacciono, allora ho piacere di farlo.

Ma devono piacere a te, Baba. Altrimenti come dovrei sentirmi?

A me fa piacere che a te piaccia la mia lettura.

Ho la sensazione che ci stiamo palleggiando un peso. Il peso di essere quello che prova piacere.

- Ma io voglio davvero leggere qualcosa, Jack. Sul serio.

- Ne sei totalmente e completamente sicura? Perché altrimenti non lo si fa nel modo piú assoluto.

Qualcuno accese il televisore in fondo al corridoio e una voce di donna disse: - Si rompe facilmente a pezzetti, si chiama scisto. Quando è bagnato, odora di argilla.

Ascoltammo lo scorrere del traffico notturno, che andava lievemente scemando.

Dissi: - Scegli il secolo. Vuoi leggere storie di giovani etrusche schiave, di libertini georgiani? Credo che abbiamo qualche testo sui bordelli dove si praticava la flagellazione. E il Medioevo? Abbiamo incubi e succubi. Bizzeffe di suore.

- Quello che preferisci.

- Voglio che sia tu a scegliere. Cosí è piú sexy.

- Uno sceglie, l'altro legge. Non occorre un equilibrio, una sorta di dare e avere? Non è questo che lo rende piú sexy?

- Tensione, suspense. Ottimo. Scelgo io.

- E io leggo, - consentí lei. - Ma non voglio niente in cui ci siano uomini che hanno penetrato donne, tra virgolette, o che le stanno penetrando. «La penetrai». «Mi penetrò». Noi donne non siamo degli atri, né degli ascensori. «Lo volevo dentro di me», come se lui potesse entrare completamente, firmare il registro, dormire, mangiare eccetera. D'accordo? Non mi interessa quello che fanno, basta che non penetrino o non siano penetrate.

- D'accordo.

- «La penetrai e mi misi a pompare».

- Sono totalmente d'accordo, - convenni.

- «Penetrami, penetrami, sí, sí».

- Una mania idiota, assolutamente.

- «Entra, Rex. Ti voglio dentro, duro, fino in fondo, sí, adesso, oh!»

Cominciai ad avvertire un formicolio di erezione. Che stupidaggine, fuori contesto. Babette rideva delle proprie frasi. La Tv disse: - Finché i chirurghi della Florida non hanno applicato una pinna artificiale.

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Pagina 52

La retta, al College-on-the Hill, è di quattordicimila dollari, compreso il brunch della domenica. Secondo me c'è una connessione tra questa cifra imponente e il modo in cui gli studenti si sistemano fisicamente nelle zone di lettura della biblioteca. Stanno seduti su ampi sedili imbottiti, in varie sorti di stravaccamenti, chiaramente calcolati per costituire il segno distintivo di un gruppo di affini o di un'organizzazione segreta. Se ne stanno lí in posizione fetale, spaparacchiati, con le ginocchia valghe, inarcati, ingarbugliati, a volte quasi a gambe all'aria. Posizioni talmente studiate da attenere alla mimica classica. Vi è, in esse, qualcosa di ultraraffinato e congenito. A volte mi sembra di essere penetrato in un sogno da Estremo Oriente, troppo remoto per essere interpretato. Ma è soltanto un linguaggio da classe economica, quello che parlano, in una delle sue manifestazioni esterne ammissibili, come l'arrivo in massa delle station wagon all'inizio dell'anno.

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Pagina 82

- Perché?

- Perché soffriamo di svanimento cerebrale. Di quando in quando abbiamo bisogno di una catastrofe per spezzare l'incessante bombardamento dell'informazione.

- E' evidente, - intervenne Lasher, uomo minuto, dal viso teso e dai capelli tirati all'indietro.

- Il flusso è costante, - riprese Alfonse. - Parole, immagini, numeri, fatti, grafici, statistiche, macchioline, onde, particelle, granellini di polvere. Soltanto le catastrofi attirano la nostra attenzione. Le vogliamo, ne abbiamo bisogno, ne siamo dipendenti. Purché capitino da un'altra parte. Ed è qui che entra in ballo la California. Smottamenti, incendi nei boschi, erosione delle coste, terremoti, massacri di massa eccetera. Possiamo metterci lí tranquilli a goderci tutti questi disastri perché nell'intimo sappiamo che la California ha quello che si merita. Sono stati loro a inventare il concetto di stile di vita. Basta questo a condannarli.

Cotsakis spiaccicò una lattina di Pepsi dietetica, gettandola in un cestino della spazzatura.

- Il Giappone è una buona fonte di documentari sui disastri, - continuò Alfonse. - L'India invece rimane largamente poco sfruttata, pur disponendo di un potenziale tremendo con le sue carestie, i monsoni, i conflitti religiosi, le catastrofi ferroviarie, gli affondamenti di imbarcazioni eccetera. Ma sono disastri che tendono a non venire riferiti. Tre righe di giornale. Niente documentari fotografici, niente collegamenti via satellite. Ecco perché la California è cosí importante. Non soltanto godiamo di vederli puniti per il loro stile di vita sibarita e le idee sociali progressiste, ma sappiamo anche che non ci perdiamo niente. Le telecamere sono lí, sul posto. Nulla di terribile sfugge al loro esame.

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Pagina 102

- Do cinque dollari a chiunque in questa macchina, - disse Heinrich, - sappia dirmi la popolazione della Bolivia.

- Boliviani, - rispose mia figlia.

La famiglia è la culla della disinformazione mondiale. Nella vita di famiglia dev'esserci qualcosa che genera gli errori di fatto. L'eccesso di vicinanza, il rumore e il calore dell'essere. Forse anche qualcosa di piú profondo, come il bisogno di sopravvivere. Murray sostiene che siamo creature fragili, circondate da un mondo di fatti ostili. I fatti minacciano la nostra felicità e sicurezza. Piú a fondo investighiamo nella natura delle cose, piú incerta può sembrar diventare la nostra struttura. Il processo famigliare tende a escludere il mondo. Piccoli errori diventano capitali, le finzioni proliferano. Io gli replico che ignoranza e confusione non possono essere le forze motrici che stanno dietro la solidarietà famigliare. Che idea, che sovversione! Lui mi chiede perché mai, allora, le unità famigliari piú forti si trovano nelle società meno sviluppate. Il non sapere è lo strumento della sopravvivenza, sostiene. Magia e superstizione si ossificano a diventare la poderosa ortodossia di clan. La famiglia è piú forte là dove è piú probabile che la realtà oggettiva venga malintesa. Che teoria spietata, dico. Ma lui insiste che è vera.

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Pagina 154

Spensi la radio, non per aiutarmi a pensare, ma al contrario per impedirmi di farlo. C'erano vetture che sbandavano e slittavano. Qualcuno gettò dal finestrino l'involucro di una chewing gum e Babette si esibí in una conferenza indignata sugli sconsiderati che insozzano le autostrade e la campagna.

- Vi dirò un'altra cosa che è già successa, - disse Heinrich. - Stiamo finendo la benzina.

La luce del pieno stava tremolando.

- C'è sempre la riserva, - ribatté Babette.

- Come è possibile che ce ne sia sempre?

- Dipende da com'è costruito il serbatoio. In modo che non si resti senza.

- Non è possibile che ci sia sempre una riserva. Se si continua ad andare, si resta senza.

- Non si continua all'infinito.

- Come si fa a sapere quando fermarsi? - chiese lui.

- Quando si arriva a un distributore, - replicai io, ed eccolo lí, spiazzo deserto e allagato dalla pioggia, con pompe orgogliosamente erette dietro una distesa di bandiere multicolori. Vi entrai, smontai dall'auto, l'aggirai per raggiungere le pompe, con la testa piegata sotto il colletto del soprabito. Non erano chiuse a chiave, il che significava che gli inservienti erano scappati all'improvviso, lasciando le cose com'erano, in maniera intrigante, come gli attrezzi e utensili di una civiltà pueblo, il pane nel forno, il tavolo apparecchiato per tre, un mistero lasciato lí per il tormento delle generazioni a venire. Sollevai la pompa della benzina senza piombo. Le bandiere sbatacchiavano nel vento.

Pochi minuti piú tardi, tornati sulla strada, assistemmo a una visione notevole e stupefacente. Comparve nel cielo davanti a noi, sulla sinistra, costringendoci ad abbassarci nel sedile e a piegare la testa per avere una visione piú chiara, rivolgendoci vicendevoli esclamazioni smozzicate. Era la nube grassa e nera, l'evento tossico aereo, illuminato dai raggi luminosi di sette elicotteri dell'esercito. Ne seguivano il moto provocato dal vento, tenendola in vista. In tutte le auto le teste si spostarono, i guidatori suonarono il clacson per avvertire gli altri, volti apparvero ai finestrini, con espressioni sintonizzate su toni di bizzarra meraviglia.

L'enorme massa scura si muoveva come la nave dei morti di una leggenda norrena, scortata nella notte da creature con armatura e ali a spirale. Non sapevamo bene come reagire. Era una cosa tremenda da vedere, cosí bassa, zeppa di cloruri, benzine, fenoli, idrocarburi o quale che ne fosse di preciso il contenuto tossico. Ma era anche spettacolare, parte della grandiosità di un evento travolgente, come la scena vivida dello smistamento, o la gente che trepestava sul cavalcavia con bambini, alimenti, beni, tragico esercito di espropriati.

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Pagina 179

- E' come se ci avessero ricacciato indietro nel tempo, - disse. - Siamo nell'Età della pietra: conosciamo tutte le cose che sono state prodotte da secoli di progresso, ma che cosa sappiamo fare per rendere piú agevole la vita di questa Età? Sappiamo forse fare un frigorifero? Sappiamo anche solo spiegare come funziona? Che cos'è l'elettricità? Che cos'è la luce? Sono cose che sperimentiamo ogni giorno della nostra vita, ma a che cosa serve tutto ciò se ci troviamo ricacciati indietro nel tempo e non siamo nemmeno in grado di spiegare alla gente i principi di base, per non parlare di fare effettivamente qualcosa che possa migliorare la situazione. Indicami una sola cosa che saresti capace di fare. Saresti capace di costruire un semplice fiammifero di legno, che produca fiamma strofinandolo su una roccia? Noi siamo convinti di essere tanto grandi e moderni. Atterraggi sulìa luna, cuori artificiali. Ma se fossimo coinvolti in un ribaltamento temporale e ci trovassimo a faccia a faccia con gli antichi greci? Sono stati loro a inventare la trigonometria. Facevano già autopsie e dissezioni. Tu che cosa potresti dire a uno di loro, senza che lui rispondesse: «Bella roba». Potresti parlargli dell'atomo? E' una parola greca. I greci sapevano già che gli eventi fondamentali del mondo non possono essere visti dall'occhio umano. Sono onde, raggi, particelle.

- Le cose non vanno poi cosí male.

- Stiamo qui seduti in questa stanza enorme e piena di muffa, altroché. E' come se ci avessero ricacciati indietro.

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Pagina 182

Gli dissi che avevo passato due minuti e mezzo esposto alla nube tossica. Quindi gli raccontai per sommi capi il colloquio con l'uomo della SIMUVAC.

- Quell'alito di Nyodene D. mi ha seminato la morte in corpo. Ormai, stando al computer, è ufficiale. Ho la morte dentro. E solo questione se riuscirò o meno a sopravvivere. Gli effetti hanno una loro durata. Trent'anni. Anche se non sarà direttamente il Nyodene D. ad ammazzarmi, probabilmente mi sopravvivrà dentro il mio corpo. Potrei morire in un incidente aereo e lui continuerebbe a prosperare nei miei resti inviati al riposo eterno.

- E' la natura della morte moderna, - considerò Murray. - Ha una vita indipendente da noi. Sta crescendo in prestigio e dimensione. Dispone di uno slancio mai conosciuto prima. Noi la studiamo obiettivamente. Possiamo predirne l'aspetto, seguirne il corso nel corpo. Possiamo ritrarla in sezione, registrarne su nastro tremori e onde. Non le siamo mai stati tanto vicini, mai abbiamo avuto tanta famigliarità con le sue abitudini e i suoi atteggiamenti. La conosciamo nell'intimo. Ma lei continua a crescere, ad aumentare in dimensione e portata, ad acquisire nuovi sbocchi, nuovi passaggi e mezzi. Piú ne apprendiamo, piú cresce. Che sia una legge della fisica? Ogni progresso in conoscenza e tecnica viene pareggiato da un nuovo tipo di morte, da una nuova specie. La morte si adatta, come un agente virale. Forse è una legge di natura. O forse una mia superstizione personale. Sento che i morti ci sono piú vicini che mai. Avverto che abitiamo la loro stessa atmosfera. Ricorda Lao Tse: «Non vi è differenza tra i vivi e i morti. Sono un unico canale di vitalità». L'ha detto seicento anni prima di Cristo. Ed è ancora una volta vero, forse piú che mai.

Mi piazzò le mani sulle spalle e mi guardò malinconicamente in faccia. Quindi mi disse nei termini piú semplici quanto fosse triste per ciò che era successo. Mi parlò della possibilità di un errore del computer. Ne fanno anche loro, disse. Possono essere provocate dalla carica elettrostatica di un tappeto. Uno sfilaccio, un pelo nei circuiti. Non ci credeva, e neanche io. Tuttavia ne parlava in tono convincente, gli occhi pieni di un'emozione spontanea, un sentimento vasto e profondo. Mi sentii stranamente ricompensato. La sua comprensione era adeguata all'occasione: una pietà e un dolore di livello imponente. La brutta notizia ne valeva quasi la pena.

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Pagina 211

- Ma quali mal di testa e fatica!, - riprese, masticando. - E i disturbi nervosi, il comportamento strano e violento in casa? Queste sí che sono effettive scoperte scientifiche. Da dove credete che saltino fuori tutti questi bambini deformi? Radio e Tv, ecco da dove.

Le ragazzine lo guardarono piene di ammirazione. Io avrei voluto replicare qualcosa. Avrei voluto chiedergli perché dovessi credere a quelle scoperte scientifiche e non ai risultati dai quali si deduceva che eravamo al sicuro da una contaminazione da Nyodene D. Ma che cosa botevo dire, visto il mio stato? Avrei voluto dirgli che prove statistiche del tipo di quelle che stava citando erano per loro natura non conclusive e fuorvianti. Avrei voluto dirgli che maturando avrebbe imparato a considerare con spirito equanime simili scoperte catastrofiche, uscendo dal suo letteralismo ristretto, sviluppando uno spirito di indagine informata e scettica, procedendo in conoscenza e giudizio equilibrato, invecchiando, declinando, morendo.

Ma mi limitai a dire: - I dati terrificanti ormai sono un'industria. Diverse ditte si trovano in competizione per vedere fino a che punto possono arrivare a farci paura.

- Allora seriti questa, - ribatté. - Il cervello di un ratto bianco, se esposto a onde di frequenza radio, emette ioni di calcio. Qualcuno dei presenti a questo tavolo sa che cosa significa?

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Tra di esse ebbi la sorpresa di vedere mia figlia. Era sdraiata in mezzo alla strada, sul dorso, un braccio disteso, la testa piegata dall'altra parte. Ne ressi a stento la vista. E' cosí che si vede all'età di nove anni? Già impegnata a migliorare le proprie qualità di vittima? Che aspetto naturale aveva, quanto appariva profondamente impregnata dell'idea di un disastro a largo raggio. E' questo il futuro che si aspetta?

Mi accostai e mi accosciai accanto a lei.

- Steffie? Sei tu?

Aprí gli occhi.

Non devi stare qui, se non sei una vittima, - disse.

Volevo solo accertarmi che stai bene.

Vado a finire nei guai, se ti vedono.

Fa freddo. Ti ammali. Baba lo sa che sei qui?

Ho accettato di farlo a scuola, un'ora fa.

Dovrebbero almeno darvi delle coperte, - dissi.

Chiuse gli occhi. Le rivolsi ancora qualche parola, ma non rispose. Nel suo silenzio non c era segno che volesse mandarmi via o che fosse irritata. Soltanto consapevolezza. Nel proprio stato di vittima aveva una tradizione di serietà.

Tornai sul marciapiede. La voce amplificata di un uomo rimbombò per la strada dall'interno del supermercato.

- Voglio dare il benvenuto a voi tutti per conto della Advanced Disaster Management, azienda privata di consulenze che elabora e mette in opera evacuazioni simulate. Siamo collegati con ventidue enti statali per portare avanti queste simulazioni avanzate di disastri. La prima, spero, di molte. Piú ne proviamo, piú al sicuro saremo di fronte alla realtà di un disastro. Del resto è la stessa vita che sembra procedere cosí, no? Si porta l'ombrello in ufficio per diciassette giorni di seguito, neanche una goccia d'acqua. La prima volta che lo si lascia a casa, via un diluvio record. Senza fallo, vero? E' il meccanismo che intendiamo applicare, tra gli altri. Benissimo, al lavoro. Quando dalla sirena arriveranno tre suoni lunghi, migliaia di evacuati scelti lasceranno le loro case e i luoghi di lavoro, saliranno sulle loro vetture e si dirigeranno verso ben attrezzati rifugi d'emergenza. I responsabili del traffico correranno alle loro stazioni computerizzate. Istruzioni aggiornate verranno diffuse attraverso il sistema di trasmissione della SIMUVAC. Persone incaricate di raccogliere campioni d'aria si schiereranno lungo la fascia di esposizione alla nube. Analizzatori dei prodotti caseari sottoporranno a test latte e alimenti scelti a caso per tre giorni nella fascia di ingestione. Oggi non stiamo sperimentando una fuoriuscita specifica. Potrebbe essere una fuoriuscita o un inquinamento qualsiasi. Vapore radioattivo, nuvolette chimiche, una foschia di origine ignota. L'importante è il movimento. Portare via questa gente dalla fascia. Durante la notte della nube grassa abbiamo imparato molte cose. Ma non c'è niente di meglio di una simulazione programmata. Se la realtà vi interferisce sotto forma di un incidente d'auto o di una vittima che cade dalla barella, è importante ricordare che non siamo qui per aggiustare ossa rotte o spegnere incendi veri. Siamo qui per simulare. Le interruzioni possono costare alcune vite in un'autentica situazione di emergenza. Se impariamo a evitare le interruzioni adesso, saremo capaci di evitarle piú tardi, quando sarà importante. Benissimo. Quando la sirena emetterà due lamenti lugubri, i responsabili di via faranno ricerche casa per casa, per trovare chi sia stato inavvertitamente lasciato indietro. Uccellini, pesciolini rossi, anziani, handicappati, invalidi, gente rimasta intrappolata e via dicendo. Attenzione, vittime: cinque minuti. Tutto il personale di salvataggio ricordi che non stiamo simulando un'esplosione. Quindi le nostre vittime sono sconvolte ma non presentano traumi. Tutte le loro amorose attenzioni le tengano da conto per la palla di fuoco di origine nucleare che avremo in giugno. Mancano quattro minuti e il conteggio procede. Zoppicate, vittime. E ricordatevi che non siete qui per strillare o discutere. Non abbiamo bisogno di vittime che facciano spettacolo. Non siamo a New York o a L. A. Basteranno dei leggeri gemiti.

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- La gente pensa che io sia stramba, - continuò. - E certamente ho una teoria stramba circa la paura umana. Immagina te stesso, Jack, uomo tutto casa e famiglia, persona sedentaria, che si trova improvvisamente a camminare nel folto di una foresta. Con la coda dell'occhio cogli aualcosa. Prima di avere ulteriori informazioni, sai che si tratta di qualcosa di molto grosso, che non trova posto nel tuo normale schema di riferimento. Un difetto nel quadro del mondo. Uno di voi due non dovrebbe essere lí. Poi la suddetta cosa diventa pienamente visibile. E un grizzly, enorme, di un bruno lucente, barcolla, cola bava dalle zanne scoperte. Tu, Jack non hai mai visto un animale grosso nella foresta. La visione di questo grizzly ti risulta cosí elettrizzantemente strana da darti un senso rinnovato di te stesso, un nuova consapevolezza dell'io nei termini di una situazione unica e orripilante. Vedi te stesso in un modo nuovo e intenso. Ti riscopri. Ti vedi in piena luce nell'imminenza di venire smembrato. La belva, retta sulle zampe posteriori, ti ha reso capace di vedere come sei veramente come per la prima volta, fuori dall'ambiente famigliare, solo, separato, integro. La definizione che diamo di questo complesso procedimento è: paura.

- La paura è autocoscienza portata a un livello piú elevato.

- Esatto, Jack.

- E la morte? - chiesi.

- L'io, l'io, l'io. Se la morte potesse essere vista come un fatto meno strano e privo di riferimenti, il tuo senso dell'io in rapporto con essa diminuirebbe, e con esso anche la paura.

- Ma che cosa posso fare per renderla meno strana? Come ci arrivo?

Non lo so.

Devo rischiare la morte correndo in auto su una strada piena di curve? Oppure pensi che debba andare a scalare montagne nei weekend?

- Non lo so, - ripeté. - Mi piacerebbe saperlo.

- Scalo la facciata liscia di un grattacielo di novanta piani, con tanto di imbracatura? Che cosa devo fare, Winnie? Mi siedo in una gabbia piena di serpenti africani, come il migliore amico di mio figlio? E' quello che fa la gente, al giorno d'oggi.

- Penso che quello che dovresti fare, Jack, sia dimenticare la medicina contenuta in quella pastiglia. Non c'è cura per questo male.

Aveva ragione. Avevano ragione tutti. Continuare la mia vita, tirare su i miei figli, insegnare ai miei studenti. Cercare di non pensare a quella figura elettrostatica, al Grayview Motel, che mette le sue incompiute mani su mia moglie.

- Continuo a essere triste, Winnie, ma tu hai dato alla mia tristezza una ricchezza e profondità mai co- nosciute prima.

Si girò da un'altra parte, arrossendo.

- Tu sei piú di un'amica delle ore liete, - continuai. - Sei una vera nemica.

Divenne incredibilmente rossa.

- Le persone in gamba non pensano mai alle vite che schiantano, proprio per il fatto di essere in gamba, - continuai.

La guardai arrossire. Usò entrambe le mani per tirarsi il berretto a maglia sugli orecchi. Data un'ultima occhiata al cielo, cominciammo a scendere.

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Pagina 306

- Non preoccupatevi per me, - disse. - Quel poco che zoppico non significa niente. Capita, alla gente della mia età. E' normale. E anche la tosse: non è niente. Fa bene, tossire. Si smuove la roba che si ha dentro. Non può fare del male, se non si blocca in un posto, restando lí per anni. Quindi la tosse va benissimo. E idem l'insonnia. Va benissimo. Che cosa ci guadagno, a dormire? Si arriva a un età in cui ogni minuto di sonno è un minuto in meno per fare qualcosa di utile. Come tossire o zoppicare. E non parliamo delle donne. Vanno alla meraviglia. Si affitta una videocassetta e si fa un po' di sesso. E' una cosa che pompa il sangue nel cuore. E anche le sigarette. Mi piace dire a me stesso che la passerò liscia. Lascia che siano i mormoni a smettere di fumare. Tanto crepano lo stesso. I soldi non sono un problema. Le mie entrate sono a posto. Niente pensione, niente risparmi, niente azioni e titoli. Quindi non c'è da preoccuparsi. Va tutto liscio. E non parliamo dei denti. Sono perfetti. Piú ballano, piú si può farli ballare con la lingua. Cosí ha qualcosa da fare anche lei. E non preoccupatevi del tremito. Prima o poi capita a tutti. E comunque è solo la sinistra. Per divertirsi, basta pensare che sia la mano di un altro. E l'improvviso e inaspettato calo di peso? Niente. Non ha senso mangiare quello che non si vede. E non preoccupatevi degli occhi. Possono sempre peggiorare. Quanto alla testa, poi, non pensiamoci neanche. Se ne va prima del corpo. Cosí dev'essere. Quindi non preoccupatevi della testa. Va benissimo. Pensiamo piuttosto alla macchina. Lo sterzo tira tutto da una parte. I freni sono stati rifatti tre volte. Sul terreno sconnesso il cofano salta su.

Impassibile. Secondo Babette quest'ultima parte era stata divertente. Quella dell'auto. Io rimasi lí interdetto, guardandola procedere in stretti cerchi in preda all'ilarità, dinoccolata, mentre i suoi timori e le sue difese si dissolvevano nella storia furtiva della voce di suo padre.

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- Preferiresti sapere data e ora esatte della tua morte?

- Assolutamente no. E' già abbastanza temere l'ignoto. Di fronte all'ignoto possiamo fingere che non esista. Le date esatte indurrebbero molti al suicidio, se non altro per farla in barba al sistema.

Attraversammo un vecchio ponte sull'autostrada, schermato, invaso da oggetti tristi e scoloriti. Seguimmo un sentiero lungo un torrentello, ci avvicinammo al bordo del campo sportivo della scuola superiore. Delle donne vi portavano i bambini a giocare nella fossa del salto in lungo.

Che cosa posso fare? - chiesi.

Potresti fidare nella tecnologia. Ti ha messo in questa situazione, può tirartene fuori. E' la sua ragione d'essere. Da una parte produce fame di immortalità. Dall'altra minaccia l'estinzione universale. La tecnologia è la lussuria estrapolata dalla natura.

- Davvero?

- E' ciò che abbiamo inventato per celare il terribile segreto del decadimento del nostro corpo. Ma è anche vita, no? La prolunga, fornisce nuovi organi in cambio di quelli consumati. Nuovi strumenti, nuove tecniche ogni giorno che passa. Laser, maser, ultrasuoni. Fida in lei, Jack. Credici. Ti inseriranno in un tubo luminoso, irradieranno il tuo corpo con il componente base dell'universo. Luce, energia, sogni. La stessa bontà di Dio.

- Non credo che per un po' avrò voglia di vedere nessun medico, Murray.

- In questo. caso puoi sempre sconfiggere la morte concentrando la tua attenzione sulla vita a venire.

- E come dovrei fare?

- E' evidente. Leggi libri sulla reincarnazione, sulla trasmigrazione, sull'iperspazio, sulla resurrezione dei morti e cosí via. Sono credenze su cui si basano dei sistemi splendidi. Studiale.

- Tu ci credi?

- Milioni di persone ci credono da migliaia di anni. Buttatici. La fede in una seconda nascita, in una seconda vita, è praticamente universale. Deve pur significare qualcosa.

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Pagina 346

Murray riaccese la pipa, dando poderose tirate al bocchino.

- Abbiamo parlato dei modi per aggirare la morte, - disse. - Abbiamo già discusso come tu ne abbia provati due, che si sono annullati a vicenda. Abbiamo parlato di tecnologia, di disastri ferroviari, della fede in un aldilà. Ma ci sono anche altri metodi, e vorrei parlare di almeno uno di essi.

Attraversammo la strada.

- Io credo, Jack, che al mondo ci siano due tipi di persone. Chi assassina e chi muore. Nella stragrande maggioranza apparteniamo al secondo dei due. Non abbiamo la disposizione, la furia o quel che sia, che occorre per essere assassini. Lasciamo che la morte arrivi. Ci mettiamo lí e moriamo. Ma pensa cosa si prova a essere un assassino. Pensa quant'è eccitante, in teoria, ammazzare un altro in un confronto diretto. Se muore l'altro, non puoi morire tu. Ucciderlo significa guadagnare credito vitale. Piú gente si uccide, piú credito si accumula. E' la spiegazione di qualsiasi massacro, guerra, esecuzione.

- Stai dicendo che l'uomo, nella storia, ha sempre cercato di guarire dalla morte uccidendo gli altri?

- E' evidente.

- E la definisci una cosa eccitante?

- Sto parlando in teoria. In teoria la violenza è una forma di rinascita. Colui che muore soccombe passivamente. L'assassino continua a vivere. Che equazione meravigliosa. Piú una banda di predoni ammassa cadaveri, piú ammassa forza. Forza che si accumula come un favore degli dèi.

- Ma tutto questo che cosa c'entra con me?

- E' teoria. Siamo un paio di accademici che stanno facendo una passeggiata. Ma immagina lo shock viscerale di vedere l'avversario insanguinato nella polvere.

- Pensi che ciò aumenti la riserva di credito dell'altro, come una transazione bancaria?

- Il nulla ti sta fissando in faccia. Oblio totale ed eterno. Cesserai di essere. Di essere, Jack. Chi muore lo accetta e muore. L'assassino, in teoria, tenta di sconfiggere la propria morte ammazzando gli altri. Compera tempo, compera vita. Guarda gli altri contorcersi. Vede il sangue scorrere nella polvere.

Lo guardai, sbalordito. Tirava beato la sua pipa, producendo rumori sordi.

- E' un modo per tenere sotto controllo la morte. Un modo per conquistare il sopravvento definitivo. Essere per una volta l'assassino. E lasciare a un altro la parte di quello che muore. Lasciarsi, teoricamente, sostituire da lui in quel ruolo. Se muore lui, non puoi essere tu. Lui muore, tu vivi. Non vedi com'è meravigliosamente semplice?

- Vuoi dire che è quello che si fa da secoli?

- E si continua a farlo. Lo si fa su piccola scala privata, lo si fa per gruppi, folle e masse. Si ammazza per vivere.

- Mi sembra una cosa terribile.

Parve scrollare le spalle. - Il massacro non avviene mai a caso. Piú gente si ammazza, piú potere si ottiene sulla propria morte. Negli assassinii piú selvaggi e indiscriminati agisce una forma di segreta precisione. Parlarne non significa fare pubbliche relazioni per l'assassinio. Siamo due accademici in un ambiente intellettuale. E' nostro dovere esaminare correnti di pensiero, indagare il significato del comportamento umano. Ma pensa quant'è eccitante riuscire vincitore in una lotta mortale, guardare quel bastardo dell'avversario che spande sangue.

- In altre parole mi stai dicendo di tramare un assassinio. Ma ogni trama è in realtà un assassinio. Tramare significa morire, che lo si sappia o no.

- Tramare significa vivere, - ribatté.

Lo guardai. Esaminai il suo volto, le sue mani.

- Cominciamo la vita nel caos, nel balbettio. Poi, a mano a mano che ci eleviamo nel mondo, cerchiamo di elaborare una forma, un progetto. Tutto ciò ha una sua dignità. Tutta la vita è una trama, un piano, un diagramma. Un piano fallito, ma questo non c'entra. Tramare significa affermare la vita, cercarne una forma e il controllo. Anche dopo la morte - anzi, soprattutto dopo la morte - la ricerca continua. I riti funebri sono un tentativo di completare lo schema, in termini rituali. Immaginati un funerale di stato, Jack. E' tutto precisione, dettaglio, ordine, disegno. La nazione trattiene il fiato. Gli sforzi di un governo immenso e potente in azione su una cerimonia che elimina l'ultima traccia di disordine. Se tutto va bene, se essa viene portata a compimento, si osserva una legge naturale della perfezione. La nazione è liberata dall'ansia, la vita del defunto è redenta, la vita stessa è rafforzata, riaffermata.

- Ne sei sicuro? - chiesi.

- Tramare, mirare a qualcosa, dare forma a tempo e spazio. E cosí che facciamo progredire l'arte della coscienza umana.

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Pagina 378

Dissi alla mia suora: - Che cosa dice la chiesa, oggi, a proposito del paradiso? E' ancora quello di una volta, cosí, in cielo?

Si voltò a guardare il ritratto.

- Pensa che siamo stupide? - sbottò.

La veemenza della replica mi sorprese.

- E allora che cosa sarebbe il paradiso, secondo la chiesa, se non è la dimora di Dio, degli angeli e delle anime dei salvati?

- Salvati? Ma che cosa si salva? Ma senti questo testone, che viene qui a parlare di angeli. Me ne faccia vedere uno. La prego. Voglio vedere.

- Ma lei è una suora. In queste cose le suore ci credono. Quando ne vediamo una, è una visione che rallegra. E' tenero e divertente che ci venga ricordato come ci sia ancora qualcuno che crede agli angeli, ai santi, a tutte le cose tradizionali.

- E lei sarebbe talmente testone da crederci?

- Non è ciò in cui credo io, a contare,,ma ciò in cui crede lei.

- Questo è vero, - ammise. - I non credenti hanno bisogno dei credenti. Hanno un bisogno disperato che qualcuno creda. Ma mi faccia vedere un santo. Mi dia un solo pelo del corpo di un santo.

Si chinò su di me, l'arcigno viso incorniciato dal velo nero. Cominciai a preoccuparmi.

- Noi siamo qui per prenderci cura di malati e feriti. Nient'altro. Se vuole parlare del paradiso, bisogna che vada a cercare un altro posto.

- Altre suore si mettono abiti normali, - replicai in tono conciliante. - Voi invece vi vestite ancora all'antica. La veste, il velo, le scarpe grosse. Dovete credere alla tradizione. Il vecchio paradiso con il suo inferno, la messa in latino. Che il papa è infallibile. Che Dio ha creato il mondo in sei giorni. Le vecchie grandi cose in cui si credeva una volta. Che l'inferno è pieno di laghi di fuoco, di diavoli con le ali.

- E lei arriva qui dalla strada, coperto di sangue, a dirmi che ci sono voluti sei giorni per fare l'universo?

- Il settimo Lui riposò.

- Per parlare di angeli? Qui?

- Qui, certo. Dove, sennò?

Ero deluso e perplesso, prossimo a gridare.

- E perché non degli eserciti che si batteranno in cielo alla fine del mondo?

- Perché no? Altrimenti, perché lei fa la suora? Perché tiene quel ritratto sulla parete?

Si tirò indietro, con gli occhi pieni di un disprezzo goduto.

- E per gli altri. Non per noi.

- Ma è ridicolo. Quali altri?

- Tutti. Quelli che passano la vita a credere che noi crediamo ancora. E il nostro compito nel mondo, credere in cose che nessun altro prende sul serio. Abbandonando tali credenze, il genere umano morirebbe. E' per quello che siamo qui. Una minuscola minoranza. Per dare corpo a vecchie cose, vecchie credenze. Diavolo, angeli, paradiso, inferno. Se non fingessimo di crederci, il mondo andrebbe a rotoli.

- Fingere?

- Fingere, proprio. Crede che siamo stupide? Fuo- ri di qui.

- Lei non crede nel paradiso? Una suora?

- Se non ci crede lei, perché io?

- Se lo facesse lei, forse ci crederei anch'io.

- Se lo facessi io, non dovrebbe crederci lei.

- I soliti vecchi garbugli, - dissi. - Fede, religione, vita eterna. Le vecchie grandi ingenuità dell'uomo. Vuole dire che non le prendete sul serio? Che la vostra devozione è una finzione?

- E' la nostra finzione a essere una devozione. Qualcuno deve dare l'impressione di credere. La nostra vita non è meno seria che se professassimo una fede autentica, un vero credere. A mano a mano che la fede diminuisce in questo mondo, la gente trova sempre piú necessario che ci sia qualcuno che crede. Uomini dallo sguardo folle rintanati in grotte. Suore in nero. Monaci che non parlano. Restiamo noi, a credere. Scemi, bambini. Quelli che hanno smesso di credere devono continuare a credere in noi. Devono sempre esserci dei credenti. Gli scemi, gli idioti, quelli che sentono voci, quelli che parlano in lingue incomprensibili. Siamo i vostri mattoidi. Cediamo la nostra vita per rendere possibile la vostra mancanza di fede. Voi siete sicuri di essere nel giusto, tuttavia non volete che la pensino tutti come voi. Non c'è verità senza gli scemi. E le vostre sceme siamo noi, le matte che si alzano all'alba per pregare, che accendono candele, che invocano buona salute e lunga vita dalle statue.

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Pagina 388 [ fine libro ]

Gli scaffali del supermercato sono stati risistemati. E' successo un giorno, senza preavviso. Le corsie sono pervase da agitazione e panico, i volti dei vecchi clienti da smarrimento. Procedono in frammentario stato di trance, si fermano e riprendono ad andare, gruppi di figure ben vestite immobili nelle corsie, cercando di capirne la struttura, di individuarne la logica sottesa, cercando di ricordare dove hanno visto la pappa di cereali. Non ne capiscono il motivo, non ne scoprono il senso. Gli strofinacci per il pavimento adesso stanno con il sapone per le mani, i condimenti sono dispersi. Piú anziani sono, uomini o donne, piú accuratamente sono vestiti e azzimati. Uomini con pantaloni eleganti e magliette colorate. Donne dall'aspetto incipriato e meticoloso, dall'aria insicura, pronte per un evento carico d'ansia. Svoltano nella corsia sbagliata, scrutano lungo gli scaffali, a volte si fermano di botto, facendosi investire dagli altri carrelli. Soltanto gli alimenti generici sono rimasti dov'erano, confezioni bianche dalle etichette comuni. Gli uomini consultano elenchi, le donne no. Ora vi è un senso di sperdutezza, un umore di incertezza e tormento, di gente dal carattere mite portata all'esasperazione. Esaminano le minuscole scritte sulle confezioni, timorosi di un secondo tradimento. Gli uomini studiano le date, le donne gli ingredienti. Molti hanno qualche problema a distinguere le parole. Stampa alonata, immagini fantasmagoriche. Negli scaffali modificati, nel ruggito dell'ambiente circostante, nel banale e spietato fatto del proprio declino, cercano di farsi strada nella confusione. Ma alla fine non importa che cosa vedono o credono di vedere. Le casse sono attrezzate di cellule fotoelettroniche, che decodificano i segreti binari di ogni articolo, senza fallo. E' il linguaggio delle onde e delle radiazioni, ovvero quello per il cui tramite i morti parlano con i vivi. Ed è lí che aspettiamo, tutti insieme, a dispetto delle differenze di età, i carrelli stracarichi di merci colorate. Una fila in movimento lento, gratificante, che ci dà il tempo di dare un'occhiata ai tabloid nelle rastrelliere. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno, che non sia cibo o amore, lo troviamo nelle rastrelliere dei tabloid. Storie di fatti soprannaturali ed extraterrestri. Vitamine miracolose, le cure per il cancro, i rimedi per l'obesità. Il culto delle star e dei morti.

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