Copertina
Autore Don DeLillo
Titolo Underworld
EdizioneEinaudi, Torino, 1999, Supercoralli , Isbn 978-88-06-14725-9
OriginaleUnderworld [1997]
TraduttoreDelfina Vezzoli
LettoreRenato di Stefano, 1999
Classe narrativa statunitense
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Pagina 3 [ inizio libro ]

Prologo


Il trionfo della morte


Parla la tua lingua, l'americano, e c'è una luce nel suo sguardo che è una mezza speranza.

E' un giorno di scuola, naturalmente, ma lui non c'è proprio, in classe. Preferisce star qui, invece, all'ombra di questa specie di vecchia carcassa arrugginita, e non si può dargli torto - questa metropoli di acciaio, cemento e vernice scrostata, di erba tosata ed enormi pacchetti di Chesterfield di sghimbescio sui tabelloni segnapunti, con un paio di sigarette che sbucano da ciascuno.

Sono i desideri su vasta scala a fare la storia. Lui è solo un ragazzo con una passione precisa, ma fa parte di una folla che si sta radunando, anonime migliaia scese da autobus e treni, gente che in strette colonne attraversa marciando il ponte girevole sul fiume, e sebbene non siano una migrazione o una rivoluzione, un vasto scossone dell'anima, si portano dietro il calore pulsante della grande città e i loro piccoli sogni e delusioni, quell'invisibile nonsoché che incombe sul giorno - uomini in cappello di feltro e marinai in franchigia, il ruzzolio distratto dei loro pensieri, mentre vanno alla partita.

Il cielo è basso e grigio, il grigio torbido della risacca.

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Pagina 18

Gleason ha due bicchieri schiumanti piantati ai suoi piedi e un hot dog di cui s'è dimenticato gli spunta alle estremità del pugno strizzato. Sta parlando contemporaneamente a sei persone che ridono e fanno domande, abbonati stagionali dei box, ammiratori di lunga data con le mogli rinsecchite. Vedono che è piuttosto brillo e ammirano la sua prontezza di spirito, le sue battute taglienti e offensive. Vogliono essere insultati e Jackie è felice di accontentarli, ignorando il proprio stato di ubriachezza per fare la riuscita imitazione di un beone. Socchiudendo gli occhi, come se avesse le palpebre pesanti, si mette a grugnire, prendendosi gioco del tupè a scopetta di uno dei suoi interlocutori e ridicolizzandone un altro per le toppe ai gomiti della giacca di tweed. Le donne si divertono un mondo e non ne hanno mai abbastanza. Guardano Gleason, lanciano un'occhiata a Sinatra per vedere come reagisce a Gleason, seguono la partita, ascoltano Jackie che cita vecchie battute del suo show televisivo, guardano la senape che gli cola lungo il pollice ma non hanno il coraggio di dirglielo.

Quando arriva al posto d'angolo di Mr. Hoover, Rafferty non rimane in piedi di fronte al Direttore, per parlargli, ma si dà la pena di accosciarsí nel corridoio di passaggio. Tiene senza parere la mano davanti alla bocca perché nessun altro capisca quello che dice. Hoover ascolta per un momento, dice qualcosa ai suoi compagni, poi si allontana con Rafferty su per i gradini finché trova un punto isolato a metà di una lunga rampa, dove l'agente speciale riferisce nei dettagli il suo messaggio.

Pare che l'Unione Sovietica abbia condotto un esperimento atomico in una località segreta all'interno dei propri confini. Hanno fatto esplodere una bomba, per dirla in parole povere. E i nostri dispositivi di rilevazione indicano che proprio di questo si tratta - è una bomba, un'arma, è uno strumento bellico, produce calore, radiazioni, shock. Non si tratta di un impiego pacifico di energia atomica applicata al riscaldamento domestico. E' una bomba rossa che produce un gran nuvolone bianco come un dio del tuono dell'antica Eurasia.

Edgar fissa la data odierna. 3 ottobre I95I. Registra la data. Se la imprime nella mente.

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Pagina 48

I colori della carne sanguinolenta e le cataste di corpi, questo è un censimento dei modi piú orribili di morire. Guarda il cielo fiammeggiante all'estremo orizzonte, al di là dei promontori sulla pagina di sinistra - la Morte altrove, la Conflagrazione diffusa, il Terrore dappertutto, cornacchie, corvi in silenziosa planata, il corvo appollaiato sulla groppa del cavallino bianco, bianco e nero per sempre. Edgar pensa a una torre solitaria che si erge nel Kazakistan, nella zona degli esperimenti nucleari, una torre armata con la bomba, e riesce quasi a sentire il vento che soffia sulle steppe dell'Asia Centrale, là dove vive il nemico in cappotto lungo e colbacco di pelo, parlando quella sua lingua antica, liturgica e grave. Che storia segreta stanno scrivendo? C'è il segreto della bomba e i segreti che la bomba ispira, cose che non riesce a indovinare nemmeno il Direttore - un uomo il cui cuore appartato racchiude tutti i purulenti segreti del mondo occidentale - perché queste trame si stanno sviluppando solo adesso. Ma una cosa sa per certo, ed è che lo spirito della bomba è impresso non solo nella fisica di particelle e raggi, ma nell'occasione che crea per nuovi segreti. Perché per ogni esplosione atmosferica, per ogni immagine fugace che riusciamo a cogliere della forza bruta della natura, quell'inquietante occhio senza palpebre che esplode sul deserto - per ciascuna di queste cose, Edgar immagina che almeno cento segreti vadano sotto terra, a moltiplicarsi e a tramare.

E qual è il rapporto tra Noi e Loro, quanti collegamenti troviamo nel labirinto neurale? Non basta odiare il proprio nemico. Bisogna capire che ciascuno dei due contribuisce alla completezza dell'altro.

Morti di lunga data che fottono morti recenti. Morti che dissotterrano le bare. Sulle colline, morti che suonano vecchie campane incrostate, rintocchi per i peccati del mondo.

Alza gli occhi per un momento. Distoglie lo sguardo dalle pagine - è uno sforzo di volontà lacerante - e guarda la gente sul campo. Quelli che sono felici e inebetiti. Quelli che corrono intorno alle basi gridando a squarciagola il punteggio. Quelli che sono talmente eccitati che stanotte non dormiranno. Quelli la cui squadra ha perso. Quelli che tormentano i perdenti. I padri che correranno a casa a raccontare ai figli quello che hanno visto. I mariti che faranno una sorpresa alle mogli portando fiori e cioccolatini. I tifosi ammassati davanti ai gradini degli spogliatoi che recitano in coro i nomi dei giocatori. I tifosi che fanno a pugni sul metrò tornando a casa. Gli urlatori e gli attaccabrighe. I vecchi amici che si incontrano per caso vicino alla seconda base. Quelli che illumineranno la città con la loro gioia.

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Pagina 76

- Anni fa passavo un sacco di tempo sulla costa del Maine. Ero sposata con un velista appassionato, parlo del mio secondo marito, un operatore finanziario spericolato che stava per andare in bancarotta ma non lo sapeva ancora. Aveva un bellissimo ketch e cosí andavamo lassú a navigare lungo la costa. La sera ci mettevamo seduti sul ponte sotto un cielo meravigliosamente limpido e a volte vedevamo una specie di aureola attraversare i campi stellari e ci chiedevamo cosa fosse. Aerei di linea sulla rotta del Nord Atlantico oppure Ufo? Sa, anche allora erano un argomento d'attualità. Un disco luminoso che passava lentamente. Altissimo in cielo e dai contorni sfumati. E io pensavo che volava troppo alto per essere un aereo di linea. Sapevo che i bombardieri strategici volavano a qualcosa come diciottoniila metri di quota, cosí decisi che doveva essere la luce riflessa da un oggetto molto piú in alto, e quella la forma circolare che assumeva. Perché volevo credere che proprio questo vedessimo, i B-52. La guerra mi spaventava, eccome, ma devo dire che quelle luci creavano una sensazione complessa. Quegli aerei sempre all'erta, sempre presenti, capisce, a pattugliare i confini sovietici, e ricordo che sedevo là fuori dondolando leggermente all'ancora in qualche piccola baia deserta e provavo un misto di soggezione e meraviglia simile alla sensazione di mistero, pericolo e bellezza che un bambino prova nel sonno. Penso che sia questo il potere. Penso che se si mantiene una forza nel mondo capace di entrare nel sonno della gente, si esercita un potere significativo. Perché io rispetto il potere. Ora che il potere è in frantumi o a brandelli e ora che quei confini sovietici non esistono piú come prima, be', è proprio adesso che secondo me riusciamo a capire, a guardare indietro, a vedere piú chiaramente noi stessi, e anche loro. Il potere aveva un significato, trenta, quarant'anni fa. Era una cosa stabile, localizzata, tangibile. Era grandezza, pericolo, terrore, tutte queste cose. E ci teneva insieme, i sovietici e noi. Forse teneva insieme il mondo. Si aveva una misura delle cose. Si poteva misurare la speranza e si poteva misurare la distruzione. Non che io desideri riesumarlo. E' finito, grazie al cielo. Ma il fatto è.

E a questo punto parve perdere il filo del discorso. Si fermò, si accorse che la sigaretta si era consumata. L'intervistatrice allungò una mano per prenderla e Klara gliela passò, delicatamente, dalla parte del filtro.

- Molte cose ancorate all'equilibrio del potere e all'equilibrio del terrore si sono sciolte, liberate, cosí sembra. Le cose non hanno piú limiti adesso. Il denaro non ha limiti. Non lo capisco piú, il denaro. Il denaro è scatenato. La violenza è scatenata, la violenza è piú facile adesso, è sradicata, incontrollabile, non ha piú una misura, non ha una scala di valori.

E si fermò di nuovo a pensare.

- Non voglio disarmare il mondo, - disse. - Oppure, sí, voglio disarmare il mondo, ma voglio che la cosa venga fatta in modo cauto e realistico e nella piena consapevolezza di quello a cui stiamo rinunciando. Noi rinunciammo alla barca. Quella fu la prima cosa a cui rinunciammo. Adesso sono riuscita ad avere questi aerei a terra e lontano dai cieli e li ho percorsi in lungo e in largo, ritta, piegata e a quattro zampe, dalla carlinga alle mitragliatrici di coda, li ho visti sotto ogni tipo di luce e ho pensato molto alle armi che trasportavano e agli uomini che accompagnavano le armi e non è una bella cosa a cui pensare. Ma le bombe non sono state sganciate. I missili sono rimasti sotto le ali, inesplosi. Gli uomini sono tornati e gli obiettivi non sono stati distrutti. Capisce. Tutti noi abbiamo cercato di pensare alla guerra ma non sono sicura che sapessimo come farlo. I poeti hanno scritto lunghe poesie piene di parolacce e questa, di fatto, è la cosa piú vicina a una reazione meditata a cui siamo arrivati. Perché avevano introdotto nel mondo qualcosa che andava al di là della capacità d'immaginazione della mente. Non sapevano neanche come chiamarla, la prima bomba. La cosa, l'arnese o roba del genere. E Oppenheimer disse, E' merde. Userò il francese. J. Robert Oppenheimer. E' merde. Voleva dire che una cosa che sfugge alla definizione è automaticamente relegata, sono parole sue, alla condizione di merda. Non si può darle un nome. E troppo grande o malefica o estranea alla nostra esperienza. E' merda anche perché è spazzatura, è materiale di scarto. Ma adesso sto facendo una geremiade. Per venire al punto, quello a cui voglio arrivare è la cosa in sé, nella sua normalità, la vita normale dietro la cosa. Perché questo è il cuore e l'anima di ciò che stiamo facendo qui.

L'ondeggiamento nella sua voce. E il modo in cui il suono usciva, come girando l'angolo, da un lato della bocca. Spaventava e affascinava, ci faceva pensare che avrebbe potuto trascinarsi in qualche incerto meandro. E le pause. Aspettavamo che finissero guardando il fiammifero tremolare quando si accendeva un'altra sigaretta.

Disse: - Vede, noi stiamo dipingendo, manualmente in alcuni casi, stiamo mettendo mano, le nostre piccole mani, a enormi macchine da guerra, armi uscite dalle fabbriche e dalle catene di montaggio il piú simili possibile tra loro, milioni di componenti stampate, ripetute all'infinito, e stiamo cercando di rompere la catena della ripetizione, di trovare un elemento di vita vissuta, e forse in questo c'è una specie di istinto di sopravvivenza, l'istinto che produce graffiti... la volontà di violare i confini, di presentar- ci, di far vedere chi siamo. Come facevano i cosiddetti nose ar- tist, i ragazzi che dipingevano pinup sulla fusoliera. 79

Disse: - Alcuni degli aerei avevano segni distintivi dipinti sul muso, sul naso. Emblemi, insegne di reparto, figure, a vol- te, un animale mascotte che ringhia e sbava dalla bocca e dalle fauci. Fumetti meravigliosi, davvero. Nose art, la chiamano. E spesso sono figure di donne. Perché è tutta una questione di fortuna, giusto? La donna sexy dipinta sul naso è un talismano contro la morte. Potremmo esser tentati di relegare il tutto a un dimenticatoio per nostalgici ma in realtà gli uomini che pilotavano questi aerei... e qui si parla di livelli di massima vigilanza, di anticipazioni di pericolo a distanza, si parla di situazioni estreme... questi uomini, dicevo, secondo me vive- vano in un mondo chiuso, circoscritto, con i suoi presagi e i suoi simboli particolari, ed erano molto giovani e arrapati per giunta. E un giorno mi capitò sotto gli occhi uno degli aerei piú vecchi della formazione, molto segnato dal tempo, con un bel pezzo di nose art sbiadito e pieno di chiazze che ritraeva una giovane donna in gonna a balze e top con le bretelle. Era molto alta e molto bionda,- aveva un paio di gambe straordina- rie e teneva le mani sui fianchi in una posa che faceva molto aspirante pinup... però si capiva che non aveva la grinta per f arcela... e sotto il dipinto c'era il suo nome a grandi lettere: Long Tall Sally. Mi piace questa ragazza, pensai, perché non è né un'amazzone né una donna angelicata o troppo idealizzata. Pensai ancora un po' a lei e arrivai a questa conclusione: pen- sai, se anche dovremo passarle sopra una mano di vernice, e chissà, forse lo faremo o forse no, cercheremo in qualche modo di salvare il suo nome. La nostra opera porterà il suo nome, pensai, in ricordo di questa giovane donna, degli uomini che ne hanno dipinto l'immagine, e della canzone che li ha ispirati. La ricordo solo vagamente, la canzone. Ma una canzone c'era e pensai che probabilmente all'origine c'era anche una Sally in carne e ossa da qualche parte nel mucchio. Una Sally che aveva ispirato il compositore della canzone, o il pittore o l'equipag- gio che pilotava l'aereo. Forse faceva la cameriera in un bar di aviatori. 0 era la ragazza di qualcuno in una piccola città di provincia. 0 il primo amore di qualcun altro. Ma questa è una vita individuale. E io voglio che questa vita faccia parte del nostro progetto. Questo portafortuna, questo disegno contro 84

Mi spiegò di nuovo come arrivare al motel e partí. Tutti i veicoli avevano lasciato la zona e andai a cercare la mia macchina al buio.

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Pagina 84

E' interessante pensare alla grande esplosione del cielo che noi riduciamo a forme di animali e utensili da cucina.

Guardavo la tv nel mio motel.

Io vivevo nella realtà, in modo responsabile. Non accettavo questa storia della vita come invenzione, o qualunque cosa intendesse dire Klara Sax con la sua affermazione che la vita era diventata irreale. La storia non era una questione di minuti mancanti sul nastro. Non rimanevo inerme di fronte a essa. Mi conformavo al tessuto della conoscenza accumulata, mi fidavo del solido e vantaggioso materiale della nostra esperienza. Anche volendo credere che il carburante della storia sia il sangue umano - leggete i discorsi di Mussolini - si tratterà pur sempre di qualcosa che abbiamo sperimentato insieme. Un'unica corrente narrativa, non diecimila rivoli di disinformazione.

Un uomo era seduto su una poltrona anatomica in un soggiorno da set con un tavolino da tè di fronte e libri o simulacri di libri allineati sulla parete alle sue spalle.

Ero convinto che fosse possibile sapere cosa ci stava succedendo. Non eravamo esclusí dalle nostre vite. Quella non è la mia testa sul corpo di qualcun altro nella fotografia che viene presentata come prova. Non credevo che le nazioni recitassero su vasta scala. Vivevo nella realtà. Gli unici fantasmi che lasciavo entrare erano fantasmi locali, fumose tracce di gente che conoscevo e il riflesso della mia ombra cupa, fantasmi di New York in ogni caso, il vecchio chiassoso Bronx, la vita precaria, pronunciato tra i denti rotti - lo scherno, la pernacchia.

L'uomo in poltrona disse: - Sindrome di Down. Il vostro numero verde è uno, ottocento, cinque uno cinque, due sette sei otto. Psicosi di Korsakoff. Uno, ottocento, tre uno tre, sette cinque otto uno. Morbo di Alzheimer. Chiamate il numero verde. Uno ottocento, otto uno tre, tre cinque due sette -. Disse: - Sarcoma di Kaposi. Ventiquattr'ore al giorno. Uno, ottocento, sei sette due, nove uno sei uno.

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Pagina 90

E' uscito a comprare le sigarette e non è piú tornato. E' una cosa che si sente dire a proposito degli uomini che spariscono. E' il mistero finale della famiglia. Tutti i misteri della famiglia raggiungono il loro apice nella passione finale dell'abbandono. Mio padre fumava Lucky Strike. Il pacchetto ha un disegno che si potrebbe facilmente definire un bersaglio ma forse no - non c'è un piccolo cerchio centrale, ovvero il centro del bersaglio. Il cerchio è grosso. C'è un grosso cerchio rosso con un bordo bianco, poi un bordo marrone piú stretto e infine un sottile bordo nero, per cui, a meno che non si estenda la definizione di centro del bersaglio o di bersaglio, probabilmente non si può chiamare bersaglio il logo Lucky Strike. Ma io lo chiamo bersaglio comunque, e affanculo le definizioni.

Marian è convinta che questo sia un elemento cruciale, da tener presente se si vuole che una persona si senta a casa sua. Se non le si danno abbastanza grucce per i vestiti, penserà di essere indesiderata.

La mia azienda si occupava di rifiuti. Noi manipolavamo rifiuti, trattavamo rifiuti, eravamo i cosmologi dei rifiuti. Viaggiavo fino alle pianure costiere del Texas e controllavo uomini in tuta spaziale che seppellivano bidoni di rifiuti pericolosi in giacimenti di sale sotterranei vecchi di milioni d'anni, i resti disseccati di un oceano mesozoico. Nel nostro mestiere era una convinzione religiosa, che questi depositi di salgemma non avrebbero lasciato trapelare le radiazioni. I rifiuti sono una cosa religiosa. Noi seppelliamo rifiuti contaminati con un senso di reverenza e timore. E' necessario rispettare quello che buttiamo via.

Ho visto un uomo in via della Spiga, fermo davanti a una colonna a specchio, ravviarsi i capelli, lisciandoseli con entrambe le mani, e il modo in cui lo faceva, il taglio dei suoi occhi, la pelle lievemente butterata, entrambe le mani che davano una piega alla capigliatura - mezzo secondo a Milano, un giorno - mi ha fatto venire in mente mille cose in un colpo solo, cose di molto tempo fa.

I gesuiti mi hanno insegnato a esaminare le cose alla ricerca di un secondo significato, di collegamenti piú profondi. Chissà se pensavano ai rifiuti? Eravamo i manager dei rifiuti, i giganti dei rifiuti, trattavamo i rifiuti universali. I rifiuti hanno un'aura solenne adesso, un aspetto di intoccabilità. Container bianchi di scorie di plutonio con cartellini gialli di avvertimento. Maneggiare con cura. Persino l'infima spazzatura domestica viene controllata attentamente. La gente adesso guarda in modo diverso alla spazzatura, vede ogni bottiglia e cartone schiacciato in un contesto planetario.

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Pagina 173

Brian si diresse a nord, in cerca di un segnale che lo guidasse verso il ponte. Una navecisterna di liquame scendeva lungo il fiume, stramba, arrugginita e bassa sull'acqua. Il solito cattivo presentimento lo attanagliò. Non era universalmente noto, solo alcuni sapevano che Brian stava malissimo ogni volta che attraversava un ponte. Piú era lungo e alto, piú aumentava l'affanno, il terrore dell'abisso. E questo era un ponte importante su un vasto e storico corso d'acqua. La verità è che i ponti gli davano la sensazione di finire in un anello di Moebius, di diventare unilaterale, di perdere ogni nozione di nome e di luogo, di gusto del cibo e weekend con i suoceri - di stare sospeso come non nato nello spazio generico.

Poi lo vide in lontananza, gettarsi sulla scogliera dell'altra sponda con le travi e i cavi d'acciaio. Seguí i segnali, imboccò il raccordo e incominciò la traversata, scegliendo il livello superiore perché cosí faceva la lunga Lincoln grigia davanti a lui. Lincoln e Washington, portatemi in salvo. La radio sparava a tutto volume voci di gente che telefonava, stanno brontolando, sprizzando saliva, è la salva e il rap da marciapiede, e Brian immaginò una lunga coda di anime sotterranee in attesa di entrare nella banda radiofonica e parlare in incognito. Ascoltò con solenne gratitudine. Era un clamore cosi forte da costituire una forza vitale, da trasportare il ragazzo dell'Ohio oltre la sua ansia livida e oltre il ponte fino alla sponda del Jersey.

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Pagina 192

Immaginò di osservare la costruzione della grande piramide di Giza - solo che questa era venticinque volte piú grande, con autobotti che spruzzavano acqua profumata sulle strade circostanti. Per Brian era una visione ispiratrice. Tutta questa industriosa fatica, questo sforzo delicato per far entrare il massimo dei rifiuti in uno spazio sempre minore. Le torri del World Trade Center erano visibili in lontananza e Brian percepí un equilibrio poetico tra quell'idea e questa. Ponti, gallerie, chiatte, rimorchiatori, bacini di carenaggio, navi di container, tutte le grandi opere di trasporto, commercio e collegamento, alla fine erano dirette al culmine di questa struttura. Ed era una cosa organica, perennemente in crescita e mutamento, la cui forma veniva tracciata al computer di giorno in giorno, di ora in ora. In capo a qualche anno sarebbe stata la montagna piú alta della costa atlantica tra Boston e Miami. Brian ebbe un attimo di illuminazione. Guardò tutta quella spazzatura in perenne aumento e per la prima volta capí in cosa consistesse il suo lavoro. Non in progettazione o trasporto o riduzione alla fonte. Lui si occupava di comportamento umano, delle abitudini e degli impulsi della gente, dei loro incontrollabili bisogni e innocenti desideri, forse delle loro passioni, sicuramente dei loro eccessi e delle loro debolezze ma anche della loro gentilezza, della loro generosità, e la domanda era come impedire a questo metabolismo di massa di sopraffare l'umanità.

La discarica gli mostrava senza mezzi termini come finiva il torrente dei rifiuti, dove sfociavano tutti gli appetiti e le brame, i grevi ripensamenti, le cose che si desideravano ardentemente e poi non si volevano piú. Brian aveva visto centinaia di discariche ma nessuna altrettanto vasta. Sí, notevole, e inquietante. Sapeva che probabilmente il vento portava il puzzo in ogni sala da pranzo nel raggio di miglia. Chissà se la gente, sentendo un rumore di notte, si chiedeva se la montagna stesse franando, scivolando verso le case, come una creatura onnivora da film dell'orrore che avrebbe tappato porte e finestre?

Il vento portò la puzza attraverso il canale.

Brian tirò un respiro profondo, si riempí i polmoni. Questa era la sfida che bramava, l'assalto al suo autocompiacimento e al suo vago senso di vergogna. Capire tutto questo. Penetrare questo segreto. La montagna era lí, esposta, ma nessuno la vedeva o ci pensava, nessuno sapeva della sua esistenza salvo i tecnici, gli operai di squadra e gli abitanti del luogo, un deposito culturale unico, cinque milioni di tonnellate una volta che fossero arrivati alla sommità, l'avessero scolpita e modellata, e nessuno ne parlava eccetto gli uomini e le donne che cercavano di gestirla, e per la prima volta Brian si vide come il membro di una setta esoterica, un ordine di adepti e veggenti, che davano forma al futuro, pianificatori di città, manager dei rifiuti, tecnici del concime, architetti del paesaggio che un bel giorno avrebbero costruito in quel posto giardini pensili, creato un parco valendosi di ogni tipo di oggetto del desiderio, usato, smarrito ed eroso.

I piú grandi segreti sono quelli spalancati davanti a noi. Cosí aveva detto Marvin Lundy, riempiendogli la testa con quella voce asciutta ed elettrica che sembrava uscire da un'incisione chirurgica alla gola.

Il vento portava il lezzo della montagna di rifiuti.

Granelli, scintille e squarci di colore facevano capolino nella massa stratificata del terriccio superficiale, pezzi di stoffa residui dell'industria dell'abbigliamento, o forse quella cosa dai colori cangianti è un bikini appartenuto a una segretaria di Queens, e Brian scopre che può evocare un'infatuazione lampo, lei ha gli occhi scuri e legge rotocalchi, si dipinge le unghie e mangia dentro contenitori di polistirene, lui le dà regali, lei gli dà preservativi, e tutto finisce qui, giornali, limette di carta, mutandine sexy, dolcemente schiacciato nell'altorilievo dai bulldozer roboanti - pensa alla sua numerosa progenie di spermatozoi con la loro storia di fronte alta in famiglia, sepolti nelle guaine marca Ramses, cadaverini compressi dai rulli al calduccio giú in fondo ai rifiuti.

Guardò uno stormo di gabbiani che planavano e ne vide altre centinaia arroccati su un pendio, tutti girati dalla stessa parte, immobili, attenti, uniti nella concentrazione, nella loro splendida e vuota natura di uccelli, in attesa del segnale per spiccare il volo.

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Pagina 220

- Ogni tanto studio teoria. Leggo qualcosa sulla storia del gioco. La personalità del gioco. E un gioco estremamente ostile.

- Sono arrivato a odiarne il linguaggio, - disse Matt. - A scacchi, l'avversario lo schiacci. Non è che vinci o perdi. Lo schiacci. Lo annienti. Lo spogli della sua dignità, della sua virilità o femminilità, lo distruggi, lo smascheri pubblicamente come un essere inferiore. E poi godi alla faccia sua. Tutte le cose che mi davano un piacere cosí scoperto, ho incominciato a odiarle.

- Perché hai incominciato a perdere.

Era vero, naturalmente, e Matt rise. Tutto quel potere concentrato, la vita implosiva della scacchiera, bianca e nera, la bellezza autocratica della vittoria, la vampata di orgoglio che ti gonfiava il petto, impossibile da nascondere - aveva sconfitto uomini, ragazzi, vecchi e saggi, vigorosi e veloci, i poeti bohémien da caffè, cordiali e puzzolenti. Ma poi, a dieci o undici anni, aveva visto la propria perspicacia annebbiarsi, aveva subito qualche sconfitta, aveva sofferto consistenti rovesci che gli provocavano nausea e spossatezza.

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Pagina 231

Quanto è profondo il tempo? Fino a quale punto dobbiamo calarci dentro la vita della materia prima di capire che cos'è il tempo?

Il vecchio professore di scienze, Bronzini, avanzava nella neve, sguazzando, trascinandosi allegramente, con la sua scatola di sigari sottobraccio - le forbici, i pettini e la tosatrice elettrica per rifinire la nuca di Eddie.

Ci lanciamo nello spazio, sfidiamo lo spazio, stabiliamo la finestra di lancio e decolliamo, facciamo un girotondo intorno al mondo. Ma il tempo ci lega alla carne che invecchia. Non che gli dispiacesse invecchiare. Ma per curiosità, in teoria soltanto, si chiedeva cosa avrebbe scoperto spingendosi piú a fondo dentro strutture al di sotto del modello standard, giú sotto il quantum, un milione di miliardi di volte piú piccolo del vecchio atomo greco.

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