Copertina
Autore Cesare Della Pietà
CoautoreMarco Mastrorilli
Titolo Gufi e Civette
EdizioneMuzzio, Roma, 2008, Natura , pag. 176, ill., cop.fle., dim. 13x19x1,1 cm , Isbn 978-88-96159-05-7
LettoreRenato di Stefano, 2009
Classe natura , zoologia
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


Introduzione                                         5-7
Classificazione e sistematica                          8
Evoluzione                                            12
Anatomia e fisiologia                                 15
Adattamenti particolari                               22
Gli Strigiformi e l'uomo                              29
Minacce e strategie di conservazione                  34

Gli Strigiformi europei, specie per specie            39
Il barbagianni                                        41
L'assiolo                                             51
Il gufo reale                                         59
La civetta nana                                       71
La civetta                                            79
L'allocco                                             89
L'allocco degli Urali                                 99
Il gufo comune                                       107
Il gufo di palude                                    117
La civetta capogrosso                                125
Il gufo delle nevi                                   133
L'ulula                                              141
L'allocco di Lapponia                                149

Specie extraeuropee                                  156
Come contattare i rapaci notturni: il playback       162
Come aiutare i rapaci notturni: i nidi artificiali   166
Pronto soccorso per trovatelli                       170
I rapaci notturni in rete                            173
Crediti e ringraziamentii                            175


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 5

INTRODUZIONE



Sono debitore ai rapaci notturni di alcune delle mie più intense emozioni naturalistiche. Ricordo per esempio una notte, in un campeggio sulla costa toscana. Stanco del viaggio, finito di montare la tenda mi ero sdraiato, con tutte le intenzioni di farmi un buon sonno. Ma, appena sceso il buio, ecco uscire dalla chioma di un grande pino domestico, proprio sopra la mia testa, un suono, una nota flautata ripetuta incessantemente: il richiamo di un assiolo. Quella voce malinconica e penetrante continuò tutta la notte, quasi senza interruzioni, accompagnando come una ninna nanna un sonno che non riuscì più a essere profondo.

Oppure un crepuscolo, nella puszta ungherese dell'Hortobagy. L'indicazione era stata precisa: "Nella chiesa di Nagyvan ha il nido una coppia di barbagianni". Così eccoci lì, davanti al tozzo campanile di pietre squadrate che lentamente si offuscava a mano a mano che il cielo si scuriva, con gli occhi fissi sulla finestrella sotto la cuspide. Poi di colpo, senza preavviso, come materializzandosi dal nulla, il riquadro dell'apertura inquadrò una sagoma bianca, come un piccolo fantasma avvolto nel suo lenzuolo... Quasi diafano nell'inquadratura del binocolo, il bianco rapace scrutò tutt'intorno, ruotando il capo con deliberata lentezza, e poi via, fluttuando basso e leggero sull'erba, per la sua notte di caccia.

E ancora ricordo un giugno nello Yukon canadese, per un servizio giornalistico che doveva rievocare l'epopea dei cercatori d'oro. Nel pomeriggio avevamo girato in canoa su un piccolo lago; poi, mentre il fotografo, concluso il suo lavoro, tornava a terra, la mia guida mi aveva proposto un ultimo giro. Il sole era già tramontato, la canoa sembrava senza peso sull'acqua nera, come sospesa tra lago e cielo, una coppia di strolaghe faceva udire a intervalli il suo canto struggente. Mentre passavamo accanto a un isolotto coperto da un ciuffo di pini, all'improvviso ebbi la percezione di una presenza: un soffio leggero sopra la testa, e una sagoma enorme, un gufo della Virginia, passò sopra di noi, nulla più che un'ombra nera contro il cielo nero e uno spostamento d'aria quasi impercettibile.

Una presenza elusiva, un volo silenzioso nell'oscurità, una voce che scaturisce dal profondo della notte; questi elementi catturano già tutta l'essenza dei rapaci notturni. Figure ambivalenti nell'immaginario collettivo, affascinanti ma inquietanti, simbolo di saggezza e nel contempo oggetto di superstiziosi timori; ma anche lasciando il piano delle sensazioni e delle emozioni per scendere su quello più concreto della scienza, questi uccelli conservano un interesse straordinario. Sono una famiglia di grandi specialisti, predatori che hanno conquistato per sé i territori del buio. Tutti, dall'imponente gufo reale capace di avere la meglio su una volpe al minuscolo assiolo che cattura farfalle notturne e coleotteri, hanno messo a punto nel corso dell'evoluzione straordinari strumenti che hanno permesso loro di scambiare il giorno con la notte. Sono loro i protagonisti di questo volumetto che, descrive aspetto e stile di vita delle 13 specie che fanno parte dell'avifauna europea, nonché di alcune specie extraeuropee.

Cesare Della Pietà

Con l'arrivo dell'oscurità gli uomini perdono molte delle loro certezze e nascono inquietudini e paure: le "grida" dei barbagianni e gli "ululati" degli allocchi sono la colonna sonora di questa miscellanea di sensazioni.

La mia ormai ventennale esperienza con gufi e civette mi porta a credere che questi straordinari uccelli notturni abbiano una capacità di comunicazione che va al di là dei semplici vocalizzi con i quali difendono il proprio territorio o segnalano una situazione di allarme.

Il playback è stato negli ultimi decenni lo strumento di connessione tra il mondo segreto degli strigiformi e la gente comune; aver accompagnato in serate di ascolto oltre duemila persone in tutta la penisola, con tutte le condizioni climatiche e in ogni scenario possibile, dalle Alpi al mare, dai boschi alle città, mi ha aiutato ad avvicinarmi alla comprensione della vera essenza di questi signori della notte.

Qualche tempo fa ho deciso di guidare un gruppo di non-vedenti per una speciale visita notturna in cerca di Strigidi: un'escursione tra i colli della città di Bergamo, ben popolati dalle civette che hanno fatto sentire la loro presenza con planate, voli e vocalizzazioni; e proprio con questo gruppo di persone che non potevano affidarsi alla vista ho avuto la conferma che le emozioni che questi animali sanno trasmettere sono dettate da valori che non si misurano nella semplice osservazione di un gufo o un barbagianni, ma sono legate a questo ancestrale rapporto tra l'oscurità e la loro scelta di sfruttarla per sopravvivere.

Dopo aver condiviso tante notti con questi splendidi predatori alati, ho cercato di riversare la mia passione infinita nelle pagine di questo libro. Sono convinto, infatti, che il miglior modo di salvaguardare queste specie passi attraverso la divulgazione. L'obiettivo che ci proponiamo io e Cesare è di regalare ai nostri lettori la chiave per entrare nel meraviglioso mondo dei signori della notte, trasmettendo almeno un po' dell'aura quasi magica che circonda questi uccelli che nel corso di milioni di anni hanno imparato a usare il buio come un'arma.

Allocchi, barbagianni, civette e gufi popolano le nostre città, le nostre campagne: spetta a noi imparare a conoscerli senza paure e diffidenze.

Marco Mastrorilli

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 12

EVOLUZIONE



Guardando un passero o una civetta, a nessuno verrebbe in mente di trovarsi di fronte a un moderno dinosauro. Eppure per i paleontologi, gli scienziati che si occupano delle forme di vita passate, che gli uccelli derivino dai dinosauri è ormai un fatto largamente accettato; anzi, la tendenza attuale è di considerarli veri e propri dinosauri pennuti, sopravvissuti quindi all'estinzione che circa 65 milioni di anni fa spazzò via i grandi rettili primitivi.

La prima intuizione di un possibile legame tra dinosauri e uccelli attuali si affacciò nel 1861, quando furono ritrovati in una cava di calcare tedesca i resti fossili di una penna e successivamente quelli di sei esemplari, perfettamente conservati, dell'animale al quale la penna era appartenuta: un piccolo dinosauro vissuto circa 140 milioni di anni fa e battezzato Archaeopteryx litographica. Erano gli anni immediatamente seguenti alla pubblicazione dell' Origine delle specie di Charles Darwin, e l'idea che le forme viventi discendessero per successive modificazioni da quelle passate cominciava ad affermarsi tra mille polemiche. Fu Thomas Huxley , darwiniano convinto, a mettere in risalto le affinità tra lo scheletro di Archaeopteryx e quello degli uccelli moderni e a ipotizzare un rapporto di parentela.

Nei decenni successivi, il susseguirsi di nuove scoperte confermò quella prima sommaria ipotesi e delineò un legame sempre più stretto degli uccelli con piccoli dinosauri carnivori, a stazione bipede (che cioè procedevano sulle due zampe posteriori) e con lunghi arti anteriori dotati di una mano prensile; il ritrovamento di fossili di dinosauri accovacciati sulle loro uova come in un nido non fece che rendere sempre più convincente l'ipotesi. Negli ultimi anni del secolo scorso, poi, in una regione della Cina sono venuti alla luce numerosi fossili di piccoli dinosauri coperti di strutture identificabili come penne primitive. Quale sia stata la prima funzione di questo rivestimento è una questione dibattuta: c'è chi ha ipotizzato che la presenza di penne sull'arto anteriore servisse a facilitare la cattura delle prede, chi invece preferisce pensare che aumentasse l'isolamento termico e garantisse quella temperatura corporea elevata necessaria ad animali di piccole dimensioni e dalla vita molto attiva. In seguito la funzione delle penne si sarebbe evoluta assumendo un ruolo nella comunicazione visiva (per esempio nelle parate nuziali) e consentendo di planare da un albero all'altro. Il volo battuto, tipico degli uccelli, sarebbe stata una conquista ancora successiva. Se il percorso che ha portato dai piccoli dinosauri agli uccelli appare oggi abbastanza chiaro, meno facile è invece delineare le tappe successive che dagli uccelli primitivi hanno portato alle specie attuali. I reperti di fossili di uccelli sono relativamente scarsi in confronto a quelli di rettili, pesci e mammiferi, soprattutto perché le loro ossa sono più leggere e fragili e resistono meno bene ai processi di fossilizzazione. Fossili risalenti a circa 88 milioni di anni fa, come Ichthyornis e Hesperornis, assomigliano nella struttura scheletrica alle forme attuali ma presentano ancora mascelle munite di denti e una lunga coda; il primo era in grado di volare e ricordava grosso modo una sterna, il secondo era invece un grosso uccello tuffatore simile a una strolaga ma incapace di volare.

È difficile dire con ragionevole certezza quando si possa cominciare a parlare di Strigiformi. I resti fossili più antichi attribuiti a rapaci notturni risalgono al continente americano e a circa 60 milioni di anni fa; è quindi possibile che i primi gufi abbiano assistito alla scomparsa dei dinosauri. Nel corso del Paleogene (tra 65 e 25 milioni di anni fa), gli Strigiformi primitivi sembrano aver occupato differenti nicchie ecologiche sviluppando le caratteristiche che contraddistinguono l'ordine oggi. Intorno a 25 milioni di anni fa, i Titonidi (la famiglia degli attuali barbagianni) erano probabilmente il gruppo dominante, ma progressivamente gli Strigidi presero il sopravvento. Quanto alle attuali specie di uccelli notturni, la maggior parte di esse sembra essersi originata nel corso del Pleistocene, il periodo che inizia meno di 2 milioni di anni fa e termina con le ultimi glaciazioni, 10-12 mila anni or sono: quattordici delle specie oggi esistenti sono state trovate in Europa come fossili risalenti a questo periodo, anche se con una distribuzione differente da quella attuale. Per esempio, l'allocco di Lapponia,

oggi confinato alla foresta boreale nordeuropea e nordamericana, era presente in Romania, mentre in Sardegna sono stati trovati resti fossili del gufo reale maculato (Bubo africanus), una specie oggi confinata nell'Africa a sud del Sahara e nella penisola arabica, e in una grotta del Veneto sono stati ritrovati i resti di un gufo delle nevi, la cui distribuzione attuale è limitata alle regioni artiche. In Italia sono state trovate diverse specie fossili di Strigiformi oggi estinti: nel Gargano, due distinte specie (a lungo si era dibattuto se fosse una sola, ma recenti studi confermano che si tratta di due specie diverse) chiamate Tyto robusta e Tyto gigantea, in Sicilia una civetta, Athene trinacriae,

e nel comprensorio sardo-corso un endemismo fossile insulare, denominato Bubo insularis.

Ancora controversa è comunque la definizione di un albero genealogico che delinei i rapporti di parentela con gli altri raggruppamenti della classe degli Uccelli; la teoria predominante oggi è quella che avvicina gli Strigiformi ai Caprimulgiformi, un ordine che comprende uccelli di abitudini crepuscolari e notturne e dal piumaggio criptico come i succiacapre, i podargi, i nittibi e i boccadirana; di recente sono state sottolineate alcune affinità tra i gruccioni e gli assioli, mentre quelle con i predatori diurni sono oggi ritenute il risultato di processi di convergenza evolutiva tra uccelli appartenenti a gruppi ben separati.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 29

GLI STRIGIFORMI E L'UOMO



I rapaci notturni si possono annoverare tra gli uccelli di maggior fascino del pianeta, ma nel contempo la loro elusività e le loro particolarità (morfologica ed etologica) si prestano a interpretazioni ambivalenti, fino a farne da un lato simboli di saggezza e portafortuna, dall'altro potenze diaboliche e messaggeri di morte o di sventura.

Le conoscenze naturalistiche del passato erano molto sommarie e i comportamenti dei rapaci notturni avvaloravano alcune convinzioni, basate peraltro su grossolane calunnie etologiche. Forme strane, occhi grandi, canti lugubri emessi nell'oscurità, abitudini notturne: facile intuire le origini di superstizioni che sono state tramandate fino ai giorni nostri. Persino la sistematica si è lasciata tentare da questo alone di sventura: l'ordine di appartenenza dei rapaci notturni, infatti, è stato chiamato Strigiformes che letteralmente, tradotto dal latino, suona come "uccelli dalla forma di strega"!

Dare un quadro completo del rapporto tra l'uomo e i rapaci notturni è impossibile, perché mille sono i modi come questi uccelli sono stati visti nelle varie culture e nel corso dei tempi. Gli Ainu del Giappone, per esempio, veneravano il grande gufo pescatore di Blakiston (Bubo blakistoni) come una divinità. I Kwakiutl della costa pacifica nord-americana ritenevano che i gufi fossero le anime delle persone, e che ucciderne uno avrebbe causato anche la morte della persona di cui era l'anima. Per gli Hopi, la civetta delle tane era nello stesso tempo dio della morte e dio della prosperità, perché faceva germinare i semi sottoterra. Nella cultura Zuni degli Stati Uniti sud-occidentali, le madri mettevano una penna di gufo accanto ai loro bimbi perché dormissero meglio. In gran parte dell'Africa, i rapaci notturni sono associati alle streghe e temuti come esseri demoniaci. Alcune convinzioni corrono attraverso i tempi e i paesi. In Cina, l'effigie di un gufo posta a ogni angolo della casa la proteggeva dai fulmini, mentre i Buriati della Mongolia inchiodavano una pelle di gufo per tenere lontani gli spiriti maligni. Analogamente, fino alla fine dell'Ottocento, in Inghilterra era viva l'usanza di inchiodare un barbagianni sulla porta per tener lontani fulmini ed eventi negativi, e questa credenza doveva essere diffusa anche in Italia, come testimonia per esempio il quadro "Il ritorno dalla caccia", dipinto nel 1894 dal piemontese Giovanni Battista Quadrone. Non mancano comunque testimonianze decisamente più divertenti: nella cultura popolare gallese: quando un rapace notturno cantava tra le case del villaggio, annunciava che una ragazza nubile aveva perso la sua verginità!

Limitandoci alla nostra cultura occidentale, di matrice greco-latina, nel corso dei secoli si assiste a un vero rovesciamento del modo di guardare questi uccelli. Nell'antica Grecia, infatti, la civetta era venerata, in quanto sacra ad Atena, la dea della saggezza. Capace di muoversi al buio, di vedere nella notte quando gli uomini non riuscivano a distinguere nulla, il piccolo rapace era un perfetto simbolo della forza della scienza e del sapere. L'avvistamento di una civetta era un presagio di vittoria per l'esercito in battaglia, e l'effigie compariva su molte monete della Grecia antica, come del resto sulla moneta da un euro della Grecia odierna.

Nel mondo latino, invece, gufi e civette erano più che altro temuti per la loro capacità di attirare sventure; atteggiamento che dà inizio a quel lungo processo di mistificazione e demonizzazione che ne ha fatto le icone della sfortuna e della stregoneria. In particolare il Medioevo, con l'avvento dei "bestiari" fantastici e la diffusione della stregoneria, accentuò alcune iconografie e definì i ruoli di alcune "bestie". Una zampa di assiolo legata con fili d'erba era un ottimo rimedio contro i morsi di serpenti, le uova di gufo guarivano le affezioni della chioma e lo stesso uovo dato a un bambino aveva il potere di impedire che una volta adulto diventasse un ubriacone!

Pozioni magiche e rituali contro il "male" fecero proseliti e i gufi trovarono, come animali iettatori, buona compagnia in rospi, pipistrelli, lupi "mangiatori d'uomini", serpenti.

Più vicino ai nostri tempi, i rapaci notturni sono stati spesso accomunati a presagi di morte e questo giudizio denigratorio trova la sua origine in alcuni comportamenti etologici male interpretati. I cimiteri di campagna, per esempio, visti con gli occhi del naturalista sono habitat perfetti per i rapaci notturni: abbondanza di piccoli roditori e insetti e tanta tranquillità giustificano la presenza in questi luoghi sacri di nidi di civetta e barbagianni e persino di roost di gufi. Anche la diffusa superstizione che il canto di una civetta o di un allocco annunci una morte imminente è probabilmente legata all'abitudine (soprattutto in passato e nelle aree rurali) di fare veglie funebri in luoghi aperti o, in estate, con le finestre aperte, così che diventava facile associare l'evento luttuoso al canto territoriale di una civetta, in una visione ovviamente priva di qualsiasi fondamento scientifico.

Anche nel linguaggio di tutti i giorni sono entrati luoghi comuni che hanno per protagonisti i rapaci notturni. Così si dice "gufare" nel senso di "fare discorsi di malaugurio" o "portare sfortuna" e il termine "allocco" ha il valore di "sciocco", "stupido", probabilmente per l'aspetto intontito dell'omonimo rapace sorpreso alla viva luce del giorno. Quanto alla definizione di "civetta" per una donna dal comportamento sottilmente provocante nasce presumibilmente da una tecnica venatoria, molto antica e sopravvissuta fino a pochi anni or sono anche nel nostro Paese, che utilizzava la civetta come zimbello.

Alla vista di una civetta legata a un palo, allodole e altri piccoli uccelli si avvicinavano con un comportamento aggressivo, chiamato mobbing; posandosi sui rami vicini, imbrattati di vischio, finivano intrappolati, oppure venivano catturati con reti o fucilati. La civetta, inoltre, assume spesso atteggiamenti buffi e ammiccanti che, con una deformazione antropomorfica, possono essere interpretati come ammalianti o seduttivi.

D'altra parte, soprattutto nel mondo anglosassone, il gufo o la civetta sono il simbolo per eccellenza dello studioso, come testimoniano migliaia di ex libris nuovi, vecchi e antichi che spiccavano in università, biblioteche, librerie e collezioni di grandi autori. Soprattutto nella letteratura per l'infanzia, il gufo ha spesso il ruolo del saggio consigliere. Valga per tutti Edvige, il gufo delle nevi che assiste il maghetto Harry Potter nella fortunatissima serie di libri e di film che lo vedono protagonista.

E forse la sintesi migliore di questa duplicità a cui i rapaci notturni sembrano condannati, e che attraversa i tempi e le distanze, è nelle credenze dei Newuk, un popolo nativo della California, secondo i quali i guerrieri coraggiosi dopo la morte si reincarnavano nel grande e fiero gufo della Virginia, mentre i malvagi erano condannati a diventare, più prosaicamente, dei barbagianni.

| << |  <  |