Copertina
Autore Valeria delle Cave
Titolo Giuseppe Occhialini
SottotitoloBiografia di un fisico italiano
EdizioneMuzzio, Roma, 2009, Scienza , pag. 160, cop.fle., dim. 14,1x21x1 cm , Isbn 978-88-96159-02-6
LettorePiergiorgio Siena, 2009
Classe storia della scienza , fisica , biografie , paesi: Italia
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Indice


Introduzione                                      7
Ringraziamenti                                   11
Prologo                                          15

  I.  Antefatti                                  19
 II.  L'antimateria svelata                      39
III.  In difesa della libertà                    67
 IV.  Dentro il nucleo, fuori dal Nobel          85
  V.  Dalla small alla big science              101
 VI.  La politica della ricerca                 121
VII.  Gli ultimi anni                           135

Bibliografia                                    150
Indice analitico                                155


 

 

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Pagina 29

Guerra e pace


Quando Raffaele Augusto Occhialini sbarcò a New York il 27 giugno 1918, dichiarò all'ufficio di Ellis Island che era diretto a Washington per conto del governo italiano. Era salpato sulla nave a vapore Rochambeau nel porto di Bordeaux, provenendo da Pisa. L'impiegato annotò sul registro che aveva 39 anni, gli occhi grigi e i capelli scuri.

Battelli era morto nel dicembre del 1916, ma non la sua idea di istituire un Comitato nazionale delle invenzioni, un'assemblea di esperti che esaminasse i progetti di armamenti proposti da "non pochi insigni cultori delle scienze sperimentali e tecniche, i quali non possono per la età o per la salute offrire il braccio alla Patria, essi sono pronti invece ad offrirle la mente elettissima". Un'idea che era comparsa in forma di lettera l'11 luglio 1915 sul Giornale d'Italia, diretto dal matematico e senatore Vito Volterra. "La guerra - aveva scritto Battelli — sconvolge l'Europa e l'amore per la Patria. [...] Ho speranza che il Governo vorrà utilizzare anche l'opera degli uomini più illustri per il trionfo d'Italia." Volterra gli aveva accordato il suo impegno politico e agli inizi del 1916 aveva realizzato l'Ufficio delle invenzioni e della ricerca (UIR), un dipartimento del Ministero delle armi e munizioni di cui si era designato direttore. Tra i suoi migliori collaboratori spiccava Raffaele Augusto Occhialini.

A Washington l'UIR aveva un distaccamento presso la Missione di guerra italiana, sotto il nome di Ufficio di propaganda italiana, e curava gli scambi scientifici tra l'Italia e gli Usa, e favoriva la collaborazione con gli industriali di entrambi i paesi. Gli scopi furono militari durante la guerra, economici e scientifici dopo. L'astro-fisico Giorgio Abetti, che si trovava a Washington dal 1917, aveva iniziato il rapporto sulla mobilitazione scientifica in Italia per la guerra con l'affermazione: "Le varie manifestazioni dell'attuale guerra si sono fondate, per la maggior parte, sulla scienza applicata e sull'industria". Gli scienziati italiani infatti si erano dimostrati all'altezza delle aspettative, avevano prodotto: aerei stabili con motori leggeri, artiglieria di grande potenza, studi di balistica e proiettili, dirigibili, nuovi metodi di previsione meteorologica utili all'aviazione, fotografia con teleobbiettivo, acido borico estratto dai soffioni di Larderello in Toscana, nitrocloroformio da impiegare come lacrimogeno asfissiante, recipienti per gas compressi, analisi approfondita delle risorse energetiche e della geologia della penisola, siderurgia elettrica, comunicazione senza fili. "Lo scambio di idee e il progresso dei lavori comuni - concludeva Abetti — hanno portato i loro risultati."

Occhialini era diretto a Washington con il compito di approfondire la tecnica di produzione dei vetri ottici, di rendere noti gli studi dei colleghi italiani e di stringere accordi di cooperazione. Qualche mese dopo la sua partenza, in ottobre, a Londra, durante la prima Conferenza interalleata sull'organizzazione scientifica, Volterra avrebbe allacciato rapporti con inglesi, francesi, americani e altri rappresentati di paesi neutrali per la nascita dell'International Research Committee, una commissione capace di coordinare la ricerca scientifica a livello internazionale, promossa da George Ellery Hale direttore del California Institute of Technology (Cal-tech) di Pasadena e fondatore del National Research Council, l'equivalente statunitense dell'UIR.

Il viaggio di Occhialini sarebbe stato funzionale all'accordo: bisognava stabilire le modalità di realizzazione della commissione. A Washington il funzionario americano di riferimento era il famoso fisico Robert Andrews Millikan.

Nel 1910 Millikan aveva misurato la carica dell'elettrone ispirandosi al metodo della camera a nebbia di Wilson; nel 1915 aveva dato la prima prova sperimentale dell'effetto fotoelettrico ipotizzato da Albert Einstein. Incontrare Millikan significava incontrare una parte dell'avanguardia scientifica di allora e del futuro: sotto la sua direzione, a partire dal 1921, il laboratorio di fisica del Cal-tech si sarebbe traformato in uno dei più importanti centri di fisica statunitensi. La guerra aveva insegnato a Millikan che la scienza è più produttiva se è organizzata bene e finanziata meglio; lui allora s'era reso un abilissimo raccoglitore di fondi.

Occhialini e Millikan si videro e parlarono più volte, anche dopo la chiusura dell'Ufficio di propaganda italiana, avvenuta con la firma dell'armistizio. Nel Natale del 1918 Augusto scrisse da Pittsburgh, su carta intestata William Penn Hotel (uno dei più eleganti hotel dell'epoca), una lettera al fisico e senatore Augusto Righi, riguardo la traduzione inglese del suo libro I fenomeni elettro-atomici sotto l'azione del magnetismo; e il rapporto con Millikan cui accennò, non era affatto formale.

[...] ho la convinzione che non s'incontri difficoltà alcuna a pubblicare il Suo libro in America. Il Prof. Michelson e il Prof. Millikan me l'hanno richiesto ripetutamente, una volta anche con segni d'impazienza. Ma la verità è che io non l'ho il libro, perché mia moglie, che crede che io torni da un giorno all'altro, m'ha scritto che è arrivato, ma non ha osato spedirlo.

Un rapporto di stima, basato su quella riverenza reciproca che nei primi anni del Novecento era consuetudine, ma non privo di spontaneità. Forse nemmeno di scontri: Millikan un religioso che teneva sermoni in chiesa, Occhialini un laico.

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Pagina 55

Scoperta del positrone


I tre mesi inglesi trascorsero velocemente. Beppe tornò a Firenze dove a marzo venne nominato assistente di ruolo alla cattedra di Rossi. Ottenne una seconda borsa di studio dal CNR e ritornò dal suo amico Pat al Cavendish. All'inizio dell'estate del 1932 la camera a nebbia comandata dal circuito a coincidenza fu pronta. "Mi ricordo ancora quel sabato mattina quando facemmo andare per la prima volta la nuova camera, vidi Blackett schizzare fuori dalla stanza scura con quattro piatti fotografici ancora gocciolanti e urlando in modo che tutto il Cavendish potesse sentire: "one of each, Beppe, one of each!", avrebbe raccontato vividamente Occhialini molto tempo più tardi. Su ogni lastra, una traccia utile: "al posto delle poche fotografìe di tracce prodotte dal metodo dell'espansione casuale, la camera controllata dal contatore produsse tracce cosmiche sull'80% delle fotografie". Ce l'avevano fatta. Era arrivato il momento di comprendere quale tipo di particelle componesse i raggi cosmici. Blackett scrisse:

Nel tardo autunno del 1932, Occhialini e io, usando il nostro nuovo metodo [...], accumulammo circa 700 fotografìe di raggi cosmici [...] Ben 23 particelle furono individuate in una singola fotografia, [e pareva chiaro che fossero] divergenti a partire da una regione al di sopra della camera. [Sembrava] che circa metà dei raggi fossero dovuti a particelle cariche positivamente e l'altra metà a particelle negative. Considerando la loro ionizzazione e la loro estensione, era evidente che la massa delle particelle positive non fosse molto diversa di quella delle particelle negative.

Durante gli incontri del Kapitza Club, Beppe e Blackett discussero di quella che sembrava la scoperta di una nuova particella positiva con Paul Dirac, raffinato fisico teorico membro del club. Dirac e Blackett erano in confidenza in quegli anni e Dirac gli aveva parlato della sua teoria relativistica per l'elettrone, la quale prevedeva l'esistenza di "un nuovo tipo di particella con carica positiva e [...] con la stessa massa dell'elettrone. Una particella che in seguito venne chiamata positrone". Avevano discusso "la possibilità che quella teoria fosse giusta e che il positrone esistesse davvero. In una camera di Wilson un positrone avrebbe dato una traccia uguale a quella dell'elettrone, ma sarebbe stata curvata nella direzione opposta a causa dell'azione del campo magnetico". Era quello che Blackett e Beppe avevano osservato sulle loro lastre, ma non era sufficiente per convalidare la scoperta. "Se uno esaminava una singola traccia, non avrebbe potuto distinguere se si trattasse di un elettrone o di un positrone, perché non conosceva la direzione di ingresso nella camera". Avrebbero potuto supporla in base alle circostanze sperimentali, ma le supposizioni andavano verificate.

I due si misero a riflettere su come ripetere gli esperimenti in modo da evidenziare, senza dubbi, l'esistenza del positrone. In un primo momento usarono una sorgente radioattiva e notarono che alcune delle particelle emesse formavano le tracce cercate. "A me sembrò una prova definitiva", scrisse Dirac, "ma Blackett non era soddisfatto". Forse si trattava di tracce di elettroni rimbalzati indietro sulla sorgente. Così, invece di pubblicare i risultati, Blackett e Occhialini si misero a calcolare tramite distribuzioni statistiche il numero di elettroni che sarebbero potuti ritornare sulla sorgente radioattiva alterando le fotografie. Beppe imparò da Blackett quanto fosse importante non tralasciare alcun dettaglio. Attenzione e meticolosità, pazienza e piedi ben saldati per terra; l'estasi della scoperta andava trattenuta fino alla piena evidenza dei fatti. Diventato professore, ai suoi allievi insegnerà lo stesso atteggiamento: "non fate distinzione tra le cose importanti e i dettagli, tutto è importante". Lavorarono su quel problema per mesi; Beppe con meno costanza di Blackett, ma era un suo tipico approccio, dovuto a una vivacità che gli si leggeva anche nei modi. "Era un tipo concitato, camminava a passetti corti, parlava velocemente e lavorava sempre sull'urgenza", ci dice Degli Antoni. La passione per la montagna, poi, lo trascinava sul treno verso casa, verso le grotte delle Alpi Apuane. Un'esplorazione e via, di nuovo da Pat. Forse qualche volta abbandonò il Cavendish per raggiungere le montagne scozzesi - là dove Charles Wilson aveva visto l'ombra della sua testa circondata dall'aureola dei santi.

Nel maggio del 1932 Millikan e Anderson pubblicarono l'articolo che riportava le conclusioni espresse a Cambridge l'autunno dell'anno precedente: le tracce delle particelle positive indicavano la produzione di protoni ad alta energia da parte dei raggi cosmici. Protoni? Non sapevano nulla della teoria di Dirac, e a dire il vero, come Beppe confiderà a Lanfranco Belloni, anche a Cambridge nessun altro oltre a lui e a Blackett se ne era interessato.

Occhialini e Blackett avevano in qualche modo un vantaggio su Anderson: sapevano che cosa stavano cercando. Ma la scienza spesso procede in maniera inattesa. Il 9 settembre sulla rivista Science comparve un "articolo speciale", breve su due colonne, scritto da Carl D. Anderson e intitolato The apparent existance of easily defectable positives. Anderson dichiarava che alcuni studi sulle tracce cosmiche, realizzati durante il mese di agosto, gli avevano chiarito che "l'interpretazione di quelle tracce come causate da protoni andava esclusa. [...] La ionizzazione specifica è molto vicina a quella di un elettrone dalla stessa curvatura, perciò indica una particella carica positivamente equiparabile in termini di massa e di quantità di carica a un elettrone".

Ecco, l'annuncio dell'esistenza del positrone era stato fatto. E fece il giro del mondo. Ma si trattava ancora di un'apparente esistenza poiché mancavano le prove. Le prove le avevano raccolte Beppe e Pat. Erano sicuri. Lo comunicarono alla stampa in ottobre, mentre preparavano l'articolo definitivo. Il 7 febbraio 1933 il curatore dei Proceedings of the Royal Society of London ricevette un articolo intitolato Some photographs of the tracks of Penetrating radiation, firmato da P.M.S. Blackett e G.PS. Occhialini, da pubblicare. Rutherford ha assicurato la validità del contenuto e del metodo scientifico.

Il 28 febbraio 1933 il curatore della Physical Review ricevette un articolo intitolato The positive electron, firmato da C. D. Anderson, da pubblicare. Millikan ha assicurato la validità del contenuto e del metodo scientifico. Venti giorni di vantaggio per Pat e Beppe. Quanto tempo poteva impiegare una pubblicazione a entrare in stampa? Si prepara la carta, si compone la pagina, si inchiostra, si fanno andare i rulli. Il 15 marzo fu lo scritto di Anderson ad essere pubblicato per primo, prima di quello di Pat e Beppe. La scoperta gli fu riconosciuta e nel 1936 Anderson ricevette il premio Nobel (condividendolo con Victor Hess).

La velocità di pubblicazione è misura del merito scientifico. Diventato professore, Beppe infatti insegnerà ai suoi allievi con sarcasmo: "L'importanza di una scoperta dipende dallo sforzo fatto per renderla nota". Pare che Patrick Blackett una volta abbia detto: "Se Occhialini non avesse preso una lunga vacanza, avremmo scoperto il positrone prima di Anderson". A quale vacanza si riferisse esattamente, non lo sappiamo; certo avrà riguardato la sua passione per la speleologia.

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Pagina 94

Premio Nobel? Non per lei Sig. Occhialini


Era la seconda volta che, collaborando con Occhialini, buoni ricercatori inglesi si trasformavano nei migliori del campo. Ormai bisognava aspettarsi che da Stoccolma giungesse la candidatura al premio Nobel. Sia la scoperta della coppia positrone-elettrone che quella del pione erano all'altezza di scoperte rivoluzionarie già premiate, così come l'invenzione delle emulsioni nucleari era confrontabile con l'invenzione della camera di Wilson. Occhialini venne sollecitato dall'Università di Bristol a richiedere in Italia il certificato di nascita, utile all'occasione.

In tutti gli articoli scritti sia con Powell che con Blackett, mio padre si era firmato G.P.S Occhialini, quindi c'era bisogno di un documento che certificasse l'identità di Giuseppe P.S. — ci racconta Etra con il sorriso sulle labbra - . Mio nonno non sapeva nulla del certificato di battesimo che mia nonna aveva nascosto nelle sue cose, così andò all'ufficio anagrafe e approfittò del fatto che durante la guerra tutti gli incartamenti erano stati dispersi o distrutti: chiese il rilascio di un certificato in cui GPS stava per Giuseppe Paolo Stanislao (sia Paolo che Stanislao sono nomi comuni in famiglia), in modo da non mettere a rischio la reputazione e quindi la candidatura del figlio!

Durante il 1947 e il 1948 Powell e Occhialini scrissero altri articoli, alcuni in coppia, altri con Lattes, altri da soli o affiancati da nuovi membri del gruppo del quarto piano. Il numero di pubblicazioni su riviste autorevoli è importante per guadagnare credito nella comunità scientifica, soprattutto se si è in odore di Nobel. Tra Beppe e Cecil sorsero dei dissapori proprio riguardo alle regole da seguire per la visibilità del loro lavoro: Occhialini voleva che i firmatari degli articoli comparissero in ordine alfabetico, ma che nel gruppo le responsabilità fossero assegnate secondo un criterio meritocratico; Powell preferiva l'ordine gerarchico, per cui il suo nome andava anteposto agli altri in quanto era responsabile dell'attività di ricerca, ma nello stesso tempo riteneva che nel gruppo non dovessero sorgere differenze, tutti erano uguali. La regola dell'alfabeto fu seguita quasi sempre, tranne che in un'occasione: la pubblicazione del libro che raccoglieva la storia di tutta la loro ricerca. Nuclear Physics in Photographs citava C.F. Powell prima di G.P.S. Occhialini. E questo a Beppe non andò giù, tanto da incominciare a pensare di lasciare Bristol. Nel maggio del 1948 accettò l'incarico di libero ricercatore presso il centro di fisica nucleare dell'Université Libre di Bruxelles, il cui direttore era l'amico Max Cosyns; ma la dipartita dall'Inghilterra non fu immediata. "Ma non ci capisco più niente, è a Bristol? O a Bruxelles? O fa la spola?" gli chiese un'amica in una lettera nel dicembre del 1949. Cesare Lattes invece era stato più risoluto, e già alla fine del 1947 si era trasferito a Berkeley, in California, dove in una sola settimana era riuscito a produrre artificialmente i pioni pur usando un ciclotrone di scarsa energia.

Grandi delusioni stavano per bussare alla porta di Beppe. Nel novembre del 1948 il Comitato Nobel comunicò a Patrick Stuart Manyard Blackett che gli era stato assegnato il Premio Nobel per la fisica, in seguito alla scoperta della coppia positrone-elettrone e all'avanzamento della tecnica della camera a nebbia di Wilson. E Beppe? No, al Sig. Occhialini non spetta. Pat era contento per sé, ma molto dispiaciuto per l'amico, gli spedì un telegramma in Belgio: Scrisse anche ad Augusto, che quel premio lo aveva sognato per il figlio con l'amata moglie:

Caro Professore Occhialini, [...] sono molto felice e orgoglioso di avere ricevuto il premio, ma ne sarei stato molto più felice se anche Beppe ne avesse avuto l'onore nello stesso momento. Poiché fu sicuramente il suo arrivo a Cambridge che stimolò il mio interesse nel campo dei raggi cosmici.

Durante la prolusione di premiazione a Stoccolma, Blackett parlò al plurale: "Occhialini e io", citò anche Bruno Rossi, e poi, come un suggerimento per future nomine disse:

In anni recenti l'uso di speciali emulsioni fotografiche per registrare le tracce di particelle nucleari, prima usate con successo da [Marietta] Blau e [Hertha] Wambacher, e più tardi sfruttate con maggiori risultati a Bristol da Powell e Occhialini e i loro collaboratori, ha reso possibile lo studio di molti tipi di processi di collisione nucleari con una facilità maggiore di quella raggiunta con la camera a nebbia.

Beppe poteva ancora sperare per l'anno dopo. Ma qualche colpo sinistro gli arrivò da supposti amici italiani. Amici influenti. In quello stesso novembre 1948, Arnaldi chiese consiglio a Fermi per i nomi da proporre per il premio Nobel 1949. "Nomi possibili - scriveva Arnaldi — a me sembrano: Yukawa, Bloch, Rossi, Occhialini e Powell." Fermi rispose di aver proposto Powell "dopo matura riflessione", pur riconoscendo che il contributo di Occhialini, che si era trovato per la seconda volta a collaborare a una scoperta fondamentale, "[era] stato probabilmente di prima classe". Quali elementi contenesse la matura riflessione di Enrico Fermi, non lo sappiamo. Nel 1949 alcune istituzioni si esposero a supporto di Beppe. L'Accademia Nazionale dei Lincei gli consegnò il Premio Einaudi, l'Université Libre di Bruxelles la laurea honoris causa. L'Università di Genova lo nominò "per acclamazione" professore di Fisica superiore. Ma per Stoccolma fu la volta di Hideki Yukawa, che al ritiro del Nobel citò il lavoro di "Powell e altri" a conferma della sua teoria. "Powell e altri": il nome di Occhialini era scomparso.

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Pagina 110

A Milano contro le macchine


Il primo febbraio 1952 l'Istituto di Fisica dell'Università di Milano diretto da Giovanni Polvani, che era stato allievo e amico di Augusto, aveva nominato Giuseppe Occhialini Professore straordinario di Fisica Superiore. "Beppe arrivò a Milano in motocicletta, direttamente dal Belgio", ricorda Ugo Facchini. In Belgio vivevano ancora moglie e figlia, che lo raggiungeranno nel 1954. "Prima del suo arrivo ci occupavamo perlopiù di radioattività. Fu con Occhialini che incominciammo a studiare le particelle elementari tramite l'analisi dei raggi cosmici". In realtà già dal 1938 l'Istituto di Milano era attivo in ricerche in quel campo con osservazioni in alta montagna: a Pian Maison nel 1939, a Passo Sella dal 1940 al 1943, a Lago d'Inferno nel 1946 e 1947 e al Plateau Rosa dal 1948 in poi. Ma erano state condotte alla vecchia maniera: camera di Wilson e contatore di Geiger Muller. "[Solo] da circa un anno", scriveva Polvani al Presidente del CNR Gustavo Colonnetti, "[abbiamo] iniziato vari studi sperimentali con lastre nucleari i quali, con il recente trasferimento a Milano del prof. G. Occhialini, subiranno ulteriore incremento". Nel 1950 Milano aveva stretto un impegno con le Università di Padova e Pavia per l'analisi di "sandwich di lastre nucleari [...] esposti al Laboratorio della Testa Grigia" sul Plateau Rosa nel Cervino, l'arrivo di Beppe non rendeva che più solida e ampia la collaborazione.

Ma oltre ad avere un valore scientifico inestimabile, la presenza di Occhialini aveva anche un significato politico: serviva a introdurre l'Istituto di Polvani in quel centro interuniversitario per la ricerca nei raggi cosmici voluto dal CNR nel 1949, da cui era stato escluso.

Durante la seconda guerra mondiale i pochi fisici nucleari rimasti attivi in Italia si erano trovati di fronte a due linee di ricerca possibili: continuare gli eccellenti studi di Enrico Fermi sulla fissione nucleare iniziati a Roma o avanzare nella ricerca dei raggi cosmici impostata a Firenze dagli arcetrini e a Padova da Bruno Rossi. Nel primo caso si sarebbero resi complici della costruzione della bomba atomica da parte dei nazisti, che, come Giancarlo Wick aveva avuto modo di apprendere in un viaggio in Germania nel 1942, non erano molto lontani dal realizzarla. I fisici romani, allora, i quali simpatizzavano più per i partiti della Resistenza anziché per il regime nazi-fascista, avvisati da Wick, in una riunione clandestina di cui non lasciarono verbali, presero la decisione strategica di concentrarsi sui raggi cosmici e abbandonare l'eredità di Fermi. Guide del gruppo erano Edoardo Amaldi e Gilberto Bernardini.

Quando nell'agosto del 1945 le due bombe nucleari esplosero in Giappone, i fisici italiani non solo capirono di avere operato la scelta giusta, ma anche che la fisica delle particelle non era più una mera ricerca di base, ma fortemente applicativa. Amaldi aveva dunque chiesto al CNR la creazione a Roma di un Centro per lo studio della fisica nucleare, in modo da convogliare gli sforzi di tutti i laboratori in un'unica finalità che non fosse soggetta ad alcun tipo di influenza militare.

Il Centro era nato nel 1946. L'anno seguente Amaldi aveva ottenuto il finanziamento per la costruzione di un laboratorio di osservazione dei raggi cosmici sul monte Cervino, a 3480 metri, il laboratorio della Testa Grigia. Poi Bernardini aveva mandato Franzinetti da Occhialini a Bristol per imparare le nuove tecniche, e uno dopo l'altro gli altri studenti.

Al comparire dei primi acceleratori di particelle americani, l'esigenza di coordinamento e sviluppo italiano si fece più forte, e così, il 19 settembre 1949 durante una riunione a Torino, Colonnetti aveva promosso la nascita di un Centro interuniversitario tra Roma, Padova e Torino, riguardo le ricerche sui raggi cosmici. Centro che si era inserito, come abbiamo visto, per necessità nella collaborazione internazionale pianificata da Beppe a Bruxelles. Inoltre, gli sforzi politici a livello nazionale trovavano un corrispettivo a livello europeo, dove ormai la maggior parte dei centri di ricerca scientifici in fisica nucleare si stavano adoperando per la creazione di un Istituto di ricerca transnazionale. Amaldi, Bernardini e Occhialini stessi nutrivano un forte senso europeista e orchestravano i rapporti internazionali dell'Italia affidandosi alle loro amicizie personali. Il 24 ottobre 1951 Colonnetti scriveva al consiglio di presidenza del CNR: "L'Italia ha un interesse notevole a che il Centro atomico internazionale possa essere realizzato". Qualche anno dopo a Berna sarebbe stato fondato il Consiglio Europeo per le Ricerche Nucleari (CERN), con sede a Ginevra. L'esclusione di Milano dal circuto del CNR significava allora rimanere fuori dalle ricerche nucleari in senso generale. E questo Polvani non avrebbe mai potuto permetterlo; scrisse a Colonnetti il 14 febbraio 1952:

Poiché, come Ella mi diceva, si tende da parte sua alla costituzione imminente di un Istituto (o Commissione) nazionale per lo studio e le applicazioni della Fisica nucleare, il quale [...] possa organizzare le ricerche di Fisica nucleare in Italia, credo di poterLe segnalare come, a far parte del costituendo nuovo Istituto, dovrebbe essere chiamato anche l'Istituto di Fisica dell'Università di Milano.

L'Istituto che stava per nascere era l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), e Polvani chiedeva a Colonnetti di farne parte e, come richiesto ripetutamente, di essere adeguatamente finanziato. Il prestigio e le capacità di Occhialini giocavano a favore, avrebbero trainato Milano nell'INFN e, di conseguenza, nel CERN. E così fu.

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