Copertina
Autore Francesca Del Rosso
CoautoreAlessandra Tedesco
Titolo La vita è un cactus
EdizioneSonzogno, Milano, 2007 , pag. 240, cop.fle., dim. 14,7x21,5x1,9 cm , Isbn 978-88-454-1395-7
LettoreElisabetta Cavalli, 2007
Classe narrativa italiana
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Pagina 7

Agosto
La quiete dopo la tempesta



Notate una preoccupante perdita di tono? Niente paura: è la normale reazione dopo la fioritura estiva.


Sono qui da più di dieci minuti appoggiata al davanzale della finestra nel mio soggiorno-angolo cottura (come recitava l'annuncio immobiliare). Chiunque si accorgerebbe dei segni di declino. Perdita di vigore, colorito spento. Certo, Milano non aiuta a mettere radici. Eppure ho seguito tutti i consigli degli esperti: una bella dose di sali minerali e molta attenzione ai raggi del sole.

Ormai sono nove mesi che se ne è andato. A dir la verità sono stata io a sbattergli in faccia la porta: lui è rimasto all'interno del bellissimo trilocale preso da poco in affitto, arredato con tanto amore e molte serate passate insieme con martello e cacciavite. E io, fuori da quella porta blindata, sono tornata con spazzolino, un cambio d'abiti e il kit di cosmetici d'emergenza nella mia casetta di ringhiera. Sei anni d'amore divisi per sempre da un rettangolo di legno massello due metri e venti per novanta.

"Voglio che tu sia la madre dei miei figli", mi ripeteva sempre. E per una come me, arrivata ai trenta e cresciuta a pane e Cicciobello, quelle erano parole magiche. Puntualmente però, cambiava idea dopo tre mesi di amore e passione. Per anni il copione era stato lo stesso, finché, messo di fronte a un appartamento con una cameretta in più si era affrettato a metterci la sua playstation.

Aveva paura di impegnarsi. Niente di più banale.

Del resto cosa potevo aspettarmi da un "Uomo Bonsai"? Pretende mille attenzioni, ma non cresce mai.

A quest'ora sarà a letto con qualcun'altra. Pensandoci, anche il mio futuro uomo starà facendo sesso. Certo, non sa ancora che sarà mio, quindi tecnicamente non è tradimento, ma la cosa mi fa andare in bestia lo stesso. Invece di passare da un letto a un altro potrebbe venire a cercarmi. O, almeno, preservarsi. Questo dovrebbe fare. Ne sono sicura, non lo sta facendo. E non mi consolo pensando che così matura esperienza.

Porca miseria! La devo smettere di ragionare in questo modo. Già la gelosia retroattiva non è ammessa dalla convenzione di Ginevra, figurarsi quella preventiva.

"Seghe mentali", così direbbe il mio analista. "Cara Ester, lei si fa troppe seghe mentali." E pensare che lo pago. Pure.

Mentre il mio futuro uomo sarà sdraiato su una spiaggia a spalmare olio di cocco a strafighe in bikini, io passo un'altra estate attaccata a una cuffietta del call center.

"Buon giorno, sono Ester, in cosa posso esserle utile?" Dunque, facendo due conti, da maggio a fine agosto, con una media di sei ore di lavoro al giorno, dieci chiamate all'ora... be', sì. avrò ripetuto questa frase 4.800 volte, in una sola estate. Sì, Milano è splendida ad agosto. Come no, non c'è traffico, si trova subito parcheggio. E allora tutti sui Navigli, e con tutti intendo me, le poche amiche rimaste e le zanzare. Ma domani si parte! Ore 20,25 aeroporto di Malpensa. Destinazione: Sicilia, ritorno alle origini. Sarebbe più trendy dire "Destinazione Caraibi", ma che ci vadano gli altri, tanto ad agosto piove sempre. Credo.

Seratina tranquilla: un po' di tv, organizzo i bagagli, magari riesco anche a fare una bella manicure e...

Il cellulare.

"Ciao, sono Roberto."

Roberto?! Roberto chi? Destasi? No, epoca elementari. Roberto... Roberto... il fratello di Giuditta. Ma no, perché dovrebbe chiamarmi e poi come fa ad avere il mio numero? Roberto...

"Ehi, sei viva? Non mi riconosci? Sono Roberto Rossetti. Roxy..."

Oddio, Roberto Rossetti. Roxy per gli amici. Un nomignolo da checca, diciamolo, eppure a letto ci sapeva fare. Ai tempi credevo anche di aver trovato il vero amore.

Quanti anni sono passati? Dodici, tredici? Quattordici. Quattordici anni. Lui era il fighetto del gruppo e in un momento di crisi esistenziale era crollato fra le mie braccia. Che emozione! Roxy, il mio fidanzato... Be', tecnicamente lui non si considerava tale. Ma non facciamo i pignoli. In fondo era Roxy ed Ester, Ester e Roxy. Almeno lo era stato per un mese.

"Roxy! Ciao. Sono Ester... sì, lo sai, mi hai chiamata tu... ecco... cioè... qual buon vento?"

Qual buon vento? Che razza di frase ho tirato fuori? Neanche mia nonna, che ha ottantacinque anni.

"Qual buon vento?!"

Bastardo, potrebbe evitare di sottolinearlo.

"Sai... Ero qui in terrazza a pensare al passato e mi sei venuta in mente... Sono anni che non ho tue notizie, a parte le mail comunitarie che mandi a Natale. Te l'ho detto che ora anch'io vivo a Milano?"

Roxy era stato un piccolo genio. Studiava poco, ma rendeva moltissimo. Senza aprire libro, nelle versioni di greco e latino prendeva nove come se piovesse. Ci eravamo frequentati anche al primo anno di università quando, in un momento di follia, mi ero iscritta a Economia e commercio. Erano stati i miei, iperansiosi di vederci "sistemate", a spingere me e Carolina, la mia sorella minore, a scegliere questa strada. Peccato che al primo diagramma cartesiano le loro aspettative sulla figlia maggiore si fossero infrante.

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Pagina 48

Ottobre
Sottocoperta:
ultime e leggere bagnature



Mettere al riparo le cactacee. Se non si ha la fortuna di avere una serra, avvolgerle in teli di plastica trasparente.


"Ho deciso di comprare casa", esordisce Paoletta al telefono.

"Un'altra?"

"Ne voglio una più grande e con un terrazzo più vivibile."

"Praticamente vuoi una reggia." Ecco la solita milanese che pretende il terrazzo, ma d'estate non lo usa perché c'è l'invasione delle zanzare tigre, in primavera perché c'è il polline, d'inverno neanche a parlarne e in autunno no perché è zeppo di foglie secche.

"Guarda che casa mia non è grande come credi. Saranno un'ottantina di metri quadri calpestabili più una trentina di terrazzo. Poi ho messo via un po' di cash in questi ultimi due anni. Sai, da quando ho iniziato a lavorare anche con gli Stati Uniti."

Se non inserisce una parola in inglese ogni due frasi le viene una sincope. Proprio non ce la fa. Secondo me all'inizio cercava di darsi un tono: un inglese con pronuncia impeccabile fa sempre scena. Poi deve esserle entrato nel DNA e ora non riesce a smettere. Certo, quando la incontro tutta in tiro dopo una riunione di lavoro, l'inglese è la ciliegina sulla torta, quando la vedo immersa nel suo habitat naturale, tra mille pacchetti di Pall Mall, che mi parla di cash, mi fa drizzare i peli delle braccia.

Mi assale un'ondata di sana invidia. Poi mi vengono in mente le serate che potrei trascorrere nel suo nuovo appartamento e mi esalto: "Che bello, mi sembra una vera svolta. Hai già visto qualcosa?"

"No, se ti va vorrei coinvolgerti."

"Ma certo", le dico sincera. Intanto penso a quando mai potrò io trascinare lei a cercare un attico per me e il mio Bridgesii.

Il mio debutto fra i palazzi dell'upper class milanese è arrivato. Paoletta ha deciso che oggi mi porterà a vedere una casa che le interessa. Da come l'ha descritto deve essere un meraviglioso terrazzato. Tutto quello che si può desiderare.

L'appuntamento è in una viuzza vicino all'Arco della Pace, una delle zone più chic della città. L'ascensore è in ferro, a vista, con quel tipico rumore di motore e di funi che salgono e scendono.

Il piano è, naturalmente, l'ultimo.

L'agente immobiliare apre la porta e ci fa entrare.

Non sono brava in matematica, non so cosa siano un ettaro o un metro quadrato. Non saprei dire quanto è grande questo appartamento, in termini commerciali o calpestabili. So solo che per me è immenso.

Il salone è due volte casa mia, con vetrate a tutta parete che danno sul terrazzo. Sulla destra una cucina abitabile da una squadra di calcio. Una stanza da letto enorme e una un po' più piccola che l'agente definisce "studio". Naturalmente non poteva mancare la cabina armadio, che io ho imprudentemente chiamato "ripostiglio". Ma la vera chicca è il bagno: una vasca con i piedini a vista stile anni Trenta sistemata su due gradoni al centro della stanza.

"Che ne dici?" mi chiede Paoletta con ansia.

E cosa dovrei dire? Che è la casa dei miei sogni? Che dovrei lavorare al call almeno un secolo per potermela permettere?

"Ci organizzeremo delle feste meravigliose!" mi limito a rispondere.

Era quello che voleva sentirsi dire. Perché Paoletta è fatta così. A volte penso che non abbia il senso della ricchezza. Forse perché è cresciuta in quell'ambiente borghese che dice di detestare. E queste manie di grandezza le vengono così naturali da risultare quasi simpatiche. In qualunque altra persona non riuscirei a sopportarle.

"Forse è un po' troppo bianca", aggiungo per essere davvero convincente.

"Hai ragione, Ester. Se decidessi di prenderla, potrei fare la cucina gialla, la sala di diverse tonalità di arancio, mentre per la mia stanza sono indecisa fra l'azzurro e il porpora. Sempre che decida di prenderla."

"Cosa ti lascia perplessa?"

"Bah... in realtà niente. Non vorrei che sembrasse troppo borghese."

"Guardami negli occhi: non rompere! Firma il contratto e trasferisciti in questa casa. È una meraviglia. E poi non ti preoccupare, con te niente può essere troppo borghese."

Tornare nella mia casetta di ringhiera dopo questa immersione nel mondo immobiliare della Milano bene è un colpo al cuore. Tutto mi sembra così piccolo, quasi senz'aria.

Questo mi fa ricordare che dovrei chiamare il tecnico per il controllo della caldaia a gas. Sono due anni che me lo ripeto, ma non riesco mai a trovare il momento giusto. E poi con tutti gli spifferi che mi regalano gli infissi anteguerra non rischio certo di rimanere intossicata.

Giusto il tempo di preparare il borsone: ho il corso di teatro. Hans assegnerà le parti per la rappresentazione che faremo in primavera, liberamente tratta dal Gabbiano di Cechov. Incrocio le dita perché mi dia la parte di Nina.

Inizia la fase del riscaldamento, stasera però non riusciamo a rilassarci, si sente che c'è tensione. Siamo una piccola compagnia, ma lo spettacolo con pubblico pagante, anche se fatto per il novanta per cento da amici e parenti, è sempre un appuntamento atteso.

Ci siamo. Hans ci fa sedere in cerchio. Ora inizierà la solita predica sul fatto che tutte le parti sono importanti, anche se alcuni personaggi dicono solo poche battute.

La mia rivale per la parte di Nina è una ragazza che avrà a malapena ventidue o ventitré anni. Dal punto di vista anagrafico è perfetta per interpretare una giovane russa innamorata del teatro, ambiziosa e che fa battere più di un cuore. Ma dal punto di vista teatrale non c'è storia: lei è poco più di una pivellina. E poi non posso certo interpretare l'Arkadina, un donnone cinquantenne, madre di un malato mentale che finisce per spararsi un colpo in testa.

Ecco, ci siamo.

"Per signora Arkadina ho pensato che attrice giusta è Monica." Bravo, Hans, anch'io avrei scelto lei. Ha già di suo uno sguardo altero.

"Per te Ester ho pensato a una parte speciale..."

Sì, Hans, dillo. Sarò Nina, la giovane e bellissima Nina. Sarò un gabbiano. So già la parte a memoria: "Per la felicità di essere scrittrice o artista, sarei pronta a sopportare il malanimo dei parenti, il bisogno, la delusione, a vivere in una soffitta, mangiando solo pane di segale, accetterei di soffrire l'insoddisfazione, la coscienza dei miei difetti, ma in cambio potrei anelare alla gloria... all'autentica, alla strepitosa gloria..." Ah, che meraviglia!

"... credo tu Ester puoi fare bene personaggio di Mascia."

Cosa? Mascia? Quella sfigata innamorata del suicida che però è innamorato di Nina che a sua volta è innamorata dell'amante dell'Arkadina? No, no e poi no.

E va bene che Cechov è deprimente e angosciante, ma Mascia no! È troppo.

Sulla mia testa deve essere comparsa la nuvola del fumetto perché Hans inizia a giustificare la sua decisione, cercando di convincermi che Mascia è un personaggio bellissimo e pieno di sfumature.

Certo. Dal grigio all'antracite, tendente al nero.

Mentre continua ad assegnare le parti, prendo il copione e cerco le mie battute. La prima? Alla domanda "Perché va sempre vestita di nero", la sventurata risponde "È il lutto per la mia vita. Sono infelice".

Il teatro non fa più per me.

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Pagina 102

Lo spirito natalizio si sta impossessando di me. Lo sento. Entro in una libreria, con il gusto di chi ha tempo per cercare. Mi piace curiosare fra gli scaffali, sfogliare i volumi, anche i più improbabili, tipo Vita e avventure di un moscerino. A volte mi chiedo se certi libri riescano a venderli.

Un volumetto attira la mia attenzione: è Canto di Natale di Charles Dickens. Un libro si sceglie per il titolo, per la copertina, per l'incipit o per destino. Apro una pagina a caso e leggo: "Pensate alle gioie presenti, ognuno ne ha molte, non alle disgrazie passate, tutti ne hanno qualcuna. Riempite di nuovo il bicchiere con volto radioso e cuore pago. Mi ci gioco la testa che il vostro sarà un Natale allegro e un anno nuovo felice".

Non ci penso due volte. Lo compro, lo tengo stretto fra le braccia e provo una profonda sensazione di gioia interiore. Anche se so che dovrò lavorare a Natale, Santo Stefano e Capodanno.

Porca miseria! L'effetto buonista si infrange contro un'improvvisa certezza: ho pensato a tutti, ma non a Mr V. Si merita di trovare qualcosa sotto l'albero. Cosa? Niente di troppo personale: è vero che conosce molto di me, ma in fondo non siamo intimi. I regali agli uomini sono sempre un dramma. Cosa so di lui? Innanzitutto che dipinge, però non posso certo comprare tela e colori. Sarebbe come regalare a un fumatore di cubani una scatola di sigarilli aromatizzati alla vaniglia. Potrei scovare qualche catalogo d'arte prestigioso... dubito di avere le risorse economiche sufficienti.

Vorrei qualcosa di diverso, che abbia un significato particolare. Forse è arrivata la volta buona di un cactus anche per lui. È deciso: faccio un salto dal signor Wang.

Entrare nel vivaio cactaceo è un paradiso. Questo mi ricorda che il Bridgesii non se la passa molto bene. Se esiste vita per le succulente sul pianeta terra, perché il mio cactus è agonizzante?

"Salve, signor Wang, come sta?"

"Molto, molto occupato, signolina. Allivo subito."

Meglio tallonarlo, sotto Natale anche il vivaio è preso di mira.

"Mah, mi sembra misero..." dice una signora con un'espressione di schifo stampata sulla faccia mentre il signor Wang le mostra una Espostoa Nana.

Mai dire una cosa del genere a un cactusofilo. Non si può scegliere una pianta in base alla grandezza, semmai in base all'armonia delle dimensioni. Vedo che il signor Wang si sta trattenendo dall'esplodere. La signora insiste: "Voglio qualcosa di grande, grande. Molto grande".

Oh, no! Fa che non lo dica, prego con la forza del pensiero.

"Glande! Glande! Voi donne volele glande subito."

L'ha detto.

Mentre serve un altro cliente, mi mimetizzo fra i cactus. Meglio iniziare la caccia per Mr V. Devo cercarne uno adatto alla sua personalità. Sulla settantina, grande creatività come pittore dilettante, poetico, tenero, comprensivo, equilibrato, saggio...

Uff! Non è facile. Un' Aloe Humilis? Sarà pure Humilis, ma con quei dentini così appuntiti non ha un aspetto dimesso. Non mi sembra il tipo da Mr V.

Oh, questa è carina. È bella cicciotta e stabile, cespitosa al punto giusto. Vediamo come si chiama... Mammillaria Parkinsonii. Oddio, meglio di no. Per un uomo della sua età non è di buon auspicio. Vediamo questo... Echinocereus Rigidissimus. Be', forse è troppo ottimista.

E cosa abbiamo qui? È proprio carino. Tutti questi peli lanosi e bianchi, così morbidi. Cephalocereus Senilis, detto anche "Testa di vecchio". Ottimo! Quello che cercavo. So che sarà abbastanza ironico da sopportare l'affronto.

Sul cartellino c'è scritto che ha una crescita lenta e questo si accorda ai modi tranquilli e pacati del mio amico virtuale. Mai una sbavatura nelle sue mail, mai un atteggiamento ostile e per quello che vedo dalla finestra deve essere un uomo accomodante anche con la moglie. Il Cephalocereus Senilis regge bene le temperature basse, come Mr V i miei cali d'umore. Ha un fusto colonnare coperto di peli bianchi e setosi che nascondono poche spine dure e pungenti.

"Grazie, signor Wang, ho trovato quello che cercavo."

"Contento pel lei. Ottima scelta. Come sta il suo Blidgesii?"

"Mica tanto bene. Si è un po' ristretto alla base, poco, però", mento.

"Uhm... senza vedele non è possibile fale diagnosi. Ma attenta al malciume. Se c'è funghi o batteli cactus all'implovviso si suicida: si piega e muole. E dentlo tlovi acqua scula e malcia."

Che bella prospettiva.

"Ma no. Mi sembra ancora lontano dal momento dell'harakiri. Comunque grazie e a presto."

Preferisco non commentare le parole del signor Wang. Anche i guru sbagliano.

Non ho il coraggio di consegnargli il Senilis di persona: ci guardiamo dalla finestra, ci scriviamo, ma non abbiamo mai avuto un faccia a faccia.

Aspetto che la moglie esca per la spesa e mi precipito giù per le scale. Salgo quelle del suo palazzo, arrivando agonizzante (perché non faccio palestra?), e lascio il cactus infiocchettato davanti alla sua porta. Torno rapidamente a casa, stavolta prendo l'ascensore, e gli scrivo: "C'è un regalino per te. Vai ad aprire la porta. So che sei abbastanza uomo da sopportare l'oltraggio!"

Poi con un fischio dalla finestra attiro la sua attenzione e gli faccio cenno di accendere il pc. Lui legge la mail, si avvia con passo calmo alla porta e poco dopo torna in studio ridendo di gusto. Sapevo che gli sarebbe piaciuto.

A gesti mi chiede di aspettare. Forse è tutta una finta e vuole lanciarmi addosso le arance, perché le arance fanno più male dei pomodori. Invece prende il cavalletto dove è appoggiata la tela su cui sta lavorando e la gira verso di me.

È semplicemente meraviglioso. Quella sono io.

Il regalo più bello.

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Pagina 169

La sveglia. Mi alzo e guardo fuori dalla finestra: c'è il sole! Un bel giorno per festeggiare il compleanno. Accendo il cellulare e trovo un messaggino di mia madre: inviato alle 7,30, l'ora in cui sono nata. Me la prendo comoda, tanto sono in ferie. Colazione da regina con caffè lungo, biscotti e anche un pezzetto di cioccolata fondente, gentilmente fornita dal pacco dono dell'azienda di Miriam. Favorisce il buon umore.

Ancora messaggini di auguri: evvai! Non si sono dimenticati di me. E stasera non voglio deluderli, dovrò essere fantastica. A pranzo un pasto leggero e niente cibi che gonfiano la pancia. Nel pomeriggio una piccola pennichella che non guasta mai. Alle nove passa a prendermi Miri: vuole farmi ubriacare e quindi non posso guidare. È una vera amica.

Il posto che ha scelto è stupendo: si respira la tipica atmosfera messicana. Fra l'etnico e il moderno, con tavolini di legno e maioliche bianche e blu, divanetti dai colori sgargianti e un mare di cuscinoni. Pesanti tende di cotone separano i privé e in ogni angolo ci sono enormi piante grasse in vasi variopinti. Addossati alle pareti, tavoloni con un grande assortimento di piatti messicani da acquolina in bocca: tacos, empanada, burritos, pollo con salse piccanti e colorate, ciotole con peperoncini freschi, fichi d'india pelati, riso e nachos. I piatti di portata e addirittura i tovaglioli sono decorati con immagini di succulente. E al centro del locale, oltre a un gigantesco cactus, c'è una piccola pista da ballo.

"Happy birthday, vecchiona", mi urla da lontano Paoletta.

"Ehi, miss gioventù bruciata, ricordati che sono più piccola di te e sarà sempre così!" le rispondo sorridendo.

"Sia chiaro: non tornerai a casa prima delle sette. E stanotte ti farò sballare come si deve. Almeno per una volta nella vita!"

"Mi sa che è quella giusta..."

"Scusami, Ester, ma non ho fatto in tempo a comprarti il regalo che volevo. In compenso un mio amico si porta dietro due boys. Per ora accontentati di questo."

"Se sono come quello di Gaia andiamo bene..." Tanto non può sentirmi, è con Federico al buffet. Stasera niente caccia all'uomo. Preferisco essere un'attraente preda. E se nessuno mi fila, pazienza: non sa quello che si perde! Nel giro di un'ora il locale è pieno. C'è un allegro casino. Dopo la musica di atmosfera, il dj vira sul latino americano e tutti si lanciano in balli sfrenati. Cami è avvinghiata a uno sconosciuto, Paoletta è appena tornata dalla pausa fumo.

"Che ha Miri? L'ho vista pallida come un cencio", le chiedo.

"Non si sente molto bene. Ha vomitato un paio di volte. Forse troppi Negroni! Comunque don't worry, ora le chiamo un taxi e a casa ti riporto io, ma non prima dell'alba, come promesso."

Uffi, ha organizzato tutto e ora non può godersi la festa. E poi è la mia migliore amica.

"L'accompagno in taxi, magari ha bisogno di una mano."

"Non rompere, Ester, è solo una sbronza. È ancora in grado di salire su una macchina. Tu sei la festeggiata e rimani qui."

Mi metto a bordo pista sorseggiando un cocktail che Paoletta mi ha messo in mano. Mi piace guardare gli altri che si divertono, è segno che la festa sta riuscendo.

Nella bolgia di gente che salta, ride e si struscia, vedo i suoi occhi. Scuri, marroni, persi un po' nel vuoto, come lo sguardo magnetico delle persone miopi. Forse ho bevuto un po' troppo, forse è la musica... mi sento la testa vuota, leggera, e il cuore che batte a mille. Un attacco di panico? No, un colpo di fulmine. Non avevo mai provato prima d'ora un'attrazione così immediata. La mia faccia parla per me visto che Paoletta si avvicina. "Che hai, darling? Sembra che hai appena visto il mostro di Loch Ness!"

"Al contrario..." balbetto.

"Cioè? Vuoi dirmi che hai puntato qualcuno?"

"Sai chi è quel tipo con la maglietta grigia a maniche lunghe e i jeans?"

"Stai scherzando?" mi chiede sgranando gli occhi.

"No... È sposato, ho capito. Oppure è decisamente gay e io come al solito non ho capito niente."

"Ester!" mi urla Paoletta. "Quello è Tommy. L'amico che ti ho portato come regalo!"

"Non prendermi per il culo! Ne approfitti perché sono al secondo o terzo strawberry daiquiri."

"Giuro che non è una cazzata. È Tommy. Trentaquattro anni. Single, appena uscito da una storia tormentata, ma ti assicuro che ha chiuso definitivamente. Fa il ricercatore di filosofia alla Statale. Hai puntato bene, darling."

"E tu avevi un amico del genere e non mi hai mai detto niente?!"

"Mah... pensavo fosse troppo figo per te! Dai scherzo, è che prima era impegnato, ora c'è via libera."

Mentre io e Paoletta confabuliamo, lui, il ragazzone dagli occhi miopi si avvicina: "Sei tu la festeggiata?"

Rimango zitta per un po', forse solo qualche secondo, ma mi sembrano minuti.

"Sì, è lei!" mi anticipa Paoletta scuotendo i ricci con l'entusiasmo di una bambina.

"Auguri, allora", dice lui abbracciandomi e schioccandomi due baci sulle guance. Oltre che carino, è anche educato.

Paoletta si allontana con nonchalance e io sento che sono partita in quarta. Lo guardo e gli sorrido con sincera allegria. Non so perché, ma capisco che con lui nascerà qualcosa.

"A proposito, io mi chiamo Tommy. Tu Ester, vero?"

Si è ricordato il mio nome. Glielo avrà detto Paoletta. Lo guardo di nuovo e sono contenta.

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