Copertina
Autore Massimiliano De Menna
Titolo Aurora
EdizioneTullio Pironti, Napoli, 2007 , pag. 198, cop.fle., dim. 14x21x1,4 cm , Isbn 978-88-7937-396-8
LettoreGiovanna Bacci, 2008
Classe narrativa italiana
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Pagina 9

1


La bella Aurora



Aurora, a letto nella sua stanza in albergo, aveva trascorso la notte in un dormiveglia indolente. Si era scossa solo al mattino, ai tocchi leggeri alla porta e si era alzata per aprire; nuda nell'oscurità e quasi meccanicamente. Di nuovo sotto le lenzuola, la luce era esplosa nell'ambiente allorché l'infermiere aveva aperto gli scuri per applicarle la fleboclisi nutriente. Coprendosi il volto con un cuscino, in un batter di ciglia e per pochi minuti, si era addormentata sognando.


L'operatore, dopo averle inserito l'ago, sedeva accanto alla finestra. A intervalli precisi si accostava a lei e controllava che tutto procedesse regolarmente... in un balletto di mosse ed effluvi di deodorante scadente!

Il carattere della giovane donna, gentile, sempre pronto a cogliere bonariamente gli aspetti buffi delle circostanze, negli ultimi tempi era cambiato, si era inasprito. E in quelle occasioni Aurora aveva finito per detestare quella persona eccessiva nella sua professionalità, quasi fosse un chirurgo nell'atto di eseguire un intervento; si assicurava in modo maniacale che il tubicino diafano si svuotasse di tutto il contenuto del flacone.

"Il nutritore", a differenza delle mattine precedenti, in cui aveva sperato invano in una conversazione che facesse trascorrere più velocemente il tempo, quel giorno aveva portato con sé un settimanale. Aurora, sbirciandone la copertina, intravide una foto di donna abbracciata a un uomo in tuta sportiva e la riconobbe.

L'anno prima le era stata presentata a Milano. L'aveva giudicata un'oca e un'arrampicatrice sociale; e a dare peso a quella posa... ne aveva fatta di strada! Aurora, che aveva ingaggiato una sfida di silenzio con il suo torturatore mattutino, fin da subito giudicato invadente nella sua smania di darle ricette per la guarigione, cedette e si umiliò pregandolo di sfogliare il rotocalco.

L'esuberante ragazza, in più fotografie, era sempre avvinghiata al promesso sposo, un noto calciatore dalla pettinatura originale e dall'espressione ottusa. Il servizio era stato realizzato sulla Costa Azzurra, nella villa di un vecchio attore che aveva fatto la storia del cinema francese. C'era anche lui in qualche scatto e appariva in atteggiamento sornione; indossava pantaloni di gabardine chiara, una polo e un foulard à pois al collo. Due cani alani incorniciavano la sua figura che offuscava quelle dei suoi ospiti.

Aurora avrebbe voluto dedicarsi con calma al reportage; addirittura farselo lasciare in prestito dall'odioso intruso. E timidamente glielo chiese ma quello, per dispetto, finse di non aver sentito. Scattò su, misurò la mistura fisiologica residua e si mostrò impaziente di vederne esaurire l'ultima goccia. Alla fine sfilò l'ago con imperizia insolita e graffiò sotto pelle il dorso della sua mano.

Ripiegò il suo trespolo in un grosso astuccio e così come era venuto se ne andò, salutando con altrettanta reverenza.


La percezion del dolore per l'ago estratto malamente indusse Aurora a sperare in un'assoluzione dai sogni a occhi aperti che aveve fatto fin dalla sera prima, immaginando vassoi di frutta e torte, l'aveva illusa di aver recuperato il controllo di sé, delle sue voglie, consentendole di assopirsi perdonata. Rimase a letto sperando di recuperare parte del sonno perduto. Ma non fu così; all'apatia e al desiderio di dolci subentrò progressivamente una smania di attività.

In tarda mattinata stanca di fissare il soffitto, e assordata dal sibilo del condizionatore, decise di alzarsi.

Mise le gambe fuori dal letto con un'energia che avrebbe stupito il suo aguzzino quotidiano e strappandosi il cerotto si grattò dove la vena era gonfia fino a che ne scaturì del sangue. Osservandolo si eccitò; se ne chiese il perché e l'attribuì alla stasi notturna della sua vescica piena... bisognava misurarne il peso! Un palpito di panico la colse pensando alla sua bilancia portatile: non c'era, ordine tassativo del medico.

Irritata, l'attimo dopo, immaginò di essere stata ingravidata dal grasso dell'omuncolo che se ne era andato appagato della sua copula filiforme. Morse la mano nel punto dolorante e succhiò; sputò il sangue in un fazzoletto... sarebbe bastato a bilanciare in grammi la grevità dei fluidi di quel tale?

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«Sì, te l'ho detto, era una tipa boriosa. Era fissata con il self control. Ma veniamo al bello. La Magnifica aveva visto la preda che aveva cercato per tutta la vita ma il suo potente fucile le era sembrato niente di fronte alla bestia che le era apparsa, inghiottendola e rigettandola più volte, lasciandola alla fine atterrita; come digerita ed espulsa da un viscere tronco... così disse esattamente».

«Non ho capito, che pesce era?

«Non era uno: era un branco di grossi pesci grigi striati di rosso e di marrone, di un metro circa... un numero impressionante, ci disse. All'inizio le era sembrato uno scoglio, una montagna. Poi si era trovata dentro e si era spaventata. Sono innocui. Lei li aveva attaccati e, ovviamente, quanto più aveva tentato di centrarne uno, tanto più si era confusa. Disse che lo spettacolo era strabiliante e che erano sotto la barca a milioni e si muovono come una creatura sola, come una balena argentata. E subito dopo come un condotto rosso cupo che l'aveva ingoiata, e poi sputata via... parole sue! Quando ne aveva uno sotto tiro, ne apparivano altri; poi una moltitudine incalcolabile».

«E aveva perso il controllo, è evidente».

«Sì, per via della tecnica difensiva del branco. Aveva avvertito il loro essere come se fosse l'essere di tutti. I repentini mutamenti di rotta all'unisono dei pesci le avevano confuso lo scenario intorno. Sono cose che un professionista sa: il branco ti avvolge, ti confonde e ti fa perdere l'orientamento. Infatti Adèle disse che non avrebbe saputo più dire dove fosse la superficie e il fondo. Aggiungeva che a tratti gli erano sembrati scaglie di specchi e subito dopo schegge scarlatte. Così era andato in affanno e aveva bevuto presa dal panico. Noi ci sporgemmo per vedere sotto la barca... "Vi dico che sono sotto di noi, e sono a milioni!", ripeteva. Ti sto annoiando?»

«No, per niente. Mi piace il tuo modo di raccontare ma... ritornando alla Magnifica Adèle e alle sue perversioni, dimmi, che centrano le pinne di pescecane con tutto questo?»

«Aspetta che arrivano. Proprio in quel momento una forte folata di vento ci distrasse dal racconto della grande pescatrice. All'orizzonte si affacciavano nubi minacciose spinte dal monsone che si era rinforzato all'improvviso. D'un tratto, piccole onde in superficie presero a tinteggiare di bianchi spruzzi il mare, e a screziarsi di triangoli neri, pinne veloci che le resecavano sicure e diritte come le forbici quando la mano è ferma e il tessuto uniforme. Un branco di squali, sputato dalla burrasca che si avvicinava, dirigeva verso di noi e si immergeva sparendo sotto la barca. L'immenso animale che Adèle aveva visto apparve allora alla luce, come smembrato e centrifugato da sotto la chiglia in diversi branchi tutt'intorno alla nave. Invano i grossi pesci schizzavano alti dal mare. Gli squali assestavano morsi invalidanti e lasciavano impedite le vittime per poi lanciarsi su altre ancora».

«È orribile! – esclamò Aurora. Era davvero stupita dall'abilità di Nem. Andando avanti nel racconto era come se si fosse trasformato. Descrizioni, fatti, emozioni venivano espresse da lui in un linguaggio letterario e incisivo, senza esitazioni; come se recitasse pagine scritte nella sua memoria – È orribile ma non ti fermare!»

«Sì – esclamò lui eccitato. L'acqua cominciò a colorarsi di rosso e a riempirsi di pesci fatti a brani e ancora agonizzanti. In un punto, là dove c'erano le piccole schiume delle onde, si apriva un ribollente vortice di sangue, e in quel nodo sanguigno, simili a enormi vermi, gli squali brulicavano contorcendosi furiosamente».

«Continua, ma ti avverto che una signora alle nostre spalle ha mostrato segni di intolleranza al tuo racconto. Abbassa la voce».

«Sì! Una forma di insana eccitazione, dunque, distrasse tutti allo spettacolo della carneficina. Adèle si sporse dal bordo del panfilo e impugnando il suo potente fucile, liberata l'asta dalla sagola, senza che gli altri nemmeno avessero il tempo di accorgersene, fulminò con un colpo preciso uno squalo più grosso proprio sotto la barca. L'animale prese a vibrare e a nuotare in cerchio, e questo fu il segnale per gli altri che non gli lasciarono il tempo di morire e di affondare».

«E come?»

«Si lanciarono su di lui e lo fecero a pezzi e, in una forma di parossistica famelicità, cominciarono a sbranarsi l'uno con l'altro. Credimi, fui sicuro di vedere uno squalo che mordeva e sputava la sua stessa coda dalla sua pancia sventrata».

«Ma è mostruoso... oltretutto mi sembra inverosimile. Anche se, sinceramente, mi ricorda una pagina... Moby Dick, Melville».

«Dici? Comunque io l'ho visto. Ora, la trappola degli squali che ingabbiava i grossi pesci copriva tre lati; il quarto era costituito dalla tempesta che avanzava. Un'onda anomala procedeva sotto prima di ingrossarsi in superficie. Noi ci attivammo con le vele ma gli squali, indifferenti, continuarono a pasteggiare fino a che tutto il mare intorno a noi fu un'immensa chiazza di sangue che si gonfiò all'improvviso come un'enorme bolla schiumante spinta dall'onda sotto che ci aveva raggiunto passandoci accanto, fortunatamente».

«È finito?»

«No, purtroppo... appena il mare fu calmo, La Magnifica pretese che una barca fosse calata a mare e, armatasi di un fucile da caccia e di alcune fiocine che non so dove aveva trovato, vi saltò dentro come un'ossessa. Arturo e io fummo costretti a seguirla per evitare che le succedesse qualcosa. Le sarebbe bastato perdere l'equilibrio per essere sbranata da quelle tagliole di denti dappertutto. Iniziò una carneficina che finì per coinvolgere anche me. E quando al tramonto fummo stanchi di ferire e uccidere ci trovammo immersi in un atmosfera irreale, il cielo e il mare erano un inferno cupo rosso sangue... più o meno del colore di questo budino – si interruppe Nem affondando con un espressione curiosa il cucchiaino nel dessert che avevano servito – Il giorno dopo andammo via da quel posto. Non dormii per più di una notte: avevo tradito il mio rispetto per il mare. Mi ero lasciato andare a una febbre di sterminio. Per parecchio tempo, quando mi immergevo, mi assaliva all'improvviso la paura che uno squalo mi attaccasse... e così fu in effetti. Ma questa è un'altra storia!» – concluse Nem perso nel ricordo dell'avventura e con una nota di stanchezza nella sua voce.

«Eh... cos'è?» – esclamò Aurora rompendo il silenzio che per qualche secondo era piombato su di loro.

«Cosa?»

«Il tuo racconto... è una terapia d'urto?» – incalzò lei al termine di quella cruenta esposizione che molti avrebbero giudicato fuori luogo in una cena intima, ma che invece l'aveva affascinata e tenuta con il fiato sospeso fino alla fine; con il pathos di quell'ultima sentita confessione che ancora trapelava dall'espressione pensierosa di Nem.

«Prego?»

«Sì, hai notato che non mangiavo nulla e mi hai voluto distrarre con una storia da niente, a dir poco sconvolgente anche se ben detta, più che ben detta... comunque la terapia d'urto con me non funziona».

«Però hai bevuto il vino e hai mangiato il dessert».

«È vero! Era molto buono: era una mousse di cacao puro e peperoncino. Un bomba! – disse Aurora perplessa e poi, in un moto di stizza – Ma poi, come si chiamava l'atollo dove è successo questo?»

«Bah, non lo ricordo, sai quei posti sono tutti uguali, drink, palme e pesci colorati – rispose lui frettolosamente e si dedicò alla mousse che aveva trascurato per via del racconto. Le diede fondo con veloci cucchiaiate e, con ancora la bocca piena: «A proposito – farfugliò – dimenticavo: ho un regalo per te... ma non l'ho comprato con i soldi tuoi, puoi controllare, in albergo ci sono tutte le ricevute».

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Il passato



"La bella Aurora", ora, era ancorata al largo della favolosa tenuta "Academy", di proprietà del famoso regista americano e Aurora e Nem si erano provvisti di potenti binocoli per curiosare.

La spiaggia era protetta da due chele di scogli che si protendevano nel mare e dalle secche che impedivano, a chi non le conoscesse, la possibilità di approdare. La villa, in un parte selvaggia dell'isola, era raggiungibile solo da mare. Si scorgeva in alto l'eliporto.

Quando in serata Stan fece ritorno in barca, Aurora e Nem furono pregati da lui di seguirli nel suo studio; sembrava un altro.

Scuro in volto, entrò subito nell'argomento.

«Ci sono cose che si preferirebbe non sapere. E che una volta sapute si vorrebbero dimenticare. Ho tentato, poi ho deciso di lasciare a voi le decisioni che ne potrebbero scaturire. Io sono semplicemente amareggiato, e anche mortificato. Ho incontrato De Longhi, credo sia andato oltre i suoi compiti. C'è un film — disse mettendo a tacere Aurora che voleva intervenire. E, tenendola a distanza con un gesto deciso della mano, aprì un dossier - un film hard che mi è stato consegnato senza che io abbia fatto niente per averlo. Nem ha un ruolo ragguardevole in questo film».

«Come hai potuto – replicò Aurora infuriata – chi ti ha dato il diritto di fare indagini su Nem...»

«Calma! Lo sai, non è nel mio stile. È stata una iniziativa di De Longhi. Io non ne sapevo nulla. De Longhi, incuriosito dall'influenza positiva che Nem ha avuto sul tuo risanamento e dai racconti dettagliati che tu gli hai fatto dei tuoi incontri con lui, di sua iniziativa si è messo a indagare. E ci ha messo poco a sapere qualche cosa di te, Nem, con cui mi scuso, al di là della sostanza inquietante di quello di cui sono venuto a conoscenza. Ma, credimi Nem, malgrado quello che ho saputo, la mia simpatia e il mio affetto per te sono invariati».

«Se volete io esco» — disse Nem.

«No, non ce n'è bisogno. Per mestiere do poco importanza alla colpevolezza o all'innocenza degli accusati. Importante è vincere. Ma come, in questo caso? In questo caso Aurora deve sapere, e tu devi sapere che lei sa. Poi deciderete, dopotutto la vita vi appartiene».

«Io me ne frego di filmini pornografici, hai capito? Sono allibita di come hai mortificato Nem. E me ne frego di belle parole e di scuse!»

«Il problema è che c'è dell'altro — aggiunse Stan sfogliando un dossier — C'è una denuncia per il furto di una collana; ma la denuncia è stata poi ritirata. Una querela per aggressione e estorsione da parte di un vecchio-bambino di una famiglia di importanti industriali che Nem avrebbe compiuto proprio nei giorni nei quali era con te in albergo... la data, più o meno, era quella della prenotazione al Gavinus: querela e denuncia ritirata; anche in questo caso! E poi: pettegolezzi; oserei dire calunnie... come se non si potessero avere gusti particolari in materia di donne. Donne di una certa età intendo, e benestanti. Il tutto condito da qualche grammo di cocaina... poca roba in effetti. Se si escludono le ombre su una giovinezza a dir poco sventurata; testimoniata da fotocopie di ritagli di vecchi giornali».

«E cosa vuoi che me ne importi di tutto questo. Nem non è un ladro, io lo so bene, e se qualcuno meritava una lezione ben gli sta! Le donne poi... ti rendi conto di quello che mi hai voluto dire. Fino a questo punto mi disprezzi? E la cocaina! Ma con che faccia! Ma guarda da che pulpito viene la predica!»

«Aurora, figlia mia... anche se non importa a te, sarei molto deluso, anzi preoccupato se non importasse al tuo amico. Nem, ricordi che i primi giorni che venisti a bordo ti consegnai un fax che ti invitava a prendere contatto con un ospedale in Sardegna? A giudicare dalle date che ho visto, tu sei stato ricoverato in questa clinica circa una settimana prima di imbarcarti su "La Bella Aurora"? Il tono del fax mostrava una certa urgenza. Ma io non so se tu lo hai fatto; e io non ci ho più pensato. Ora è fra le mie mani una cartella con la documentazione in fotocopie delle cure e delle indagini alle quali fosti sottoposto e la segnalazione agli organi competenti della tua scomparsa da quel posto. Anche là sono successe cose... Nem, debbo continuare?»

Nem a queste parole uscì dalla stanza, e si chiuse a chiave nella sua cabina.

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