Copertina
Autore Christine Denis-Huot
CoautoreMichel Denis-Huot
Titolo I signori della savana
SottotitoloLeopardi e ghepardi
EdizioneWhite Star, Vercelli, 2006, L'arte di essere... , pag. 220, ill., cop.ril.sov., dim. 275x307x22 mm , Isbn 978-88-540-0253-1
PrefazioneGianni Guadalupi
TraduttoreAdriana Raccone
LettoreElisabetta Cavalli, 2006
Classe natura , zoologia
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Indice


Il tempo dei pardi      14

Ambiente e anatomia     28

Socialità e solitudine  76

Cacciare per vivere     98

Specie contro specie   134

Figli della savana     150

Giovani felini         190


 

 

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Pagina 15

Il tempo dei pardi


Gli zoologi dell'Antichità credevano che il leopardo (leo-pardus) fosse frutto dell'accoppiamento impuro fra una lussuriosa leonessa e un pardo, nome con cui si indicava il maschio della pantera. Riprovevole connubio di cui il leone si accorgeva sovente fiutando l'infedele consorte, e se ne vendicava straziandola con le zanne e con gli artigli. Per questo motivo la leonessa peccatrice, una volta compiuto il misfatto, correva a lavarsi in un fiume e per qualche tempo non si accostava al "marito", seguendolo da lontano. Il pardo esalava infatti un odore particolarmente acuto e dolce, e si serviva di questa sua straordinaria qualità per attirare gli altri animali, ghermirli e sbranarli. Ma per portare a buon fine l'inganno, doveva tener nascosta la testa, il cui aspetto particolarmente feroce avrebbe spaventato la vittima, la quale, prima di cadergli fra le grinfie si sarebbe data alla fuga.

Frutto di un amore ibrido e adulterino, il leopardo non poteva godere di buona fama. È crudele e vizioso, dicono i naturalisti del Cinquecento, riprendendo le favole dei greci e dei romani: "I leopardi hanno grande bramosia di dilaniare gli animali onde suggerne il sangue; vivono a gruppi lungo i fiumi o nelle zone coperte da alberi o da cespugli, sono avidi di vino, e spesso si ubriacano, cadendo così vittime dell'uomo".

Queste belve alcoliste a volte si divorano a vicenda "e quando sono sazie vanno a riposare nei loro covi sino al momento in cui hanno finita la digestione. Se ingoiano erbe velenose, si salvano divorando un po' di sterco umano che agisce come contravveleno".

Konrad Gesner, uno dei massimi studiosi di storia naturale di quel secolo, riprende una storia riferita dal sofista Claudio Eliano, vissuto a Roma nel III secolo, secondo la quale i leopardi erano abilissimi nel catturare le scimmie: "Si sdraiano sul terreno, allungano le zampe, sbarrano gli occhi e trattengono il respiro fingendosi morti. Allora le scimmie, soddisfatte per la fine del loro nemico, si avvicinano; e qualcuna più audace, dopo un po' di esitazione, si china sul muso del leopardo per osservare bene gli occhi e la bocca e per avere l'assoluta certezza che non respiri più. Il leopardo continua a fare il morto. Tutte le scimmie, pienamente sicure, prendono allora a schernirlo. Il leopardo aspetta che siano stanche, poi balza loro addosso e ne uccide un gran numero, prendendo per il suo pasto le più grasse e grosse".

Gesner prosegue accumulando altre leggende tramandate dai testi classici: "Il leopardo partorisce di rado e mette al mondo un solo nato alla volta; il parto è accompagnato e seguito da gravissime doglie.

Qualche volta, il leopardo si incrocia con il lupo e allora nasce un ibrido che è chiamato "theos", con il mantello maculato e la testa eguale a quella dei lupi. Mentre il leone si può paragonare a un uomo giusto e nobile, il leopardo si può raffrontare a una femmina scaltra e cattiva. I leopardi mostrano un grande affetto per i figli, e a questo proposito Demetrio narra la seguente storia. "Un uomo incontrò una volta un leopardo il quale, invece di assalirlo, prese a strusciarglisi contro le gambe. L'uomo in un primo momento ebbe paura, poi credette di capire che l'animale volesse invitarlo a seguirlo e, rassicurato, lo accontentò. Allora il leopardo lo condusse presso una profonda fossa dove erano caduti i suoi piccoli. L'uomo li salvò, e il leopardo fece di tutto per mostrargli la sua riconoscenza". Vi fu anche un leopardo il quale rifiutò di cibarsi con le carni di un capretto che era stato allevato insieme con lui. Il leopardo è molto odiato dagli uomini i quali lo fuggono quasi fosse addirittura un drago, e a sua volta odia tanto gli uomini che ne distrugge perfino l'effigie; odia anche i galli e i serpenti. Al pari del leone, esso ritrae gli artigli perché durante la marcia non si consumino e diventino poco atti a straziare il nemico durante la lotta. I leopardi hanno paura delle iene e, quando le vedono, perdono tutta la loro forza. Plinio asserisce che se si attaccano l'una accanto all'altra una pelle di leopardo e una di iena, la prima perde tutto il pelo. Per tale ragione, quando gli egizi volevano dimostrare che un essere vile può vincerne uno valoroso, dipingevano assieme le due pelli di iena e di leopardo".

La denigrazione della povera belva dura a lungo; ancora nel 1873 la voce della Grande Enciclopedia Larousse a lei dedicata esprime giudizi al limite del vituperio: non è solo feroce e selvaggia, come del resto si conviene a una fiera, ma anche "poco accomodante, irritabile e perfida", nonché "malvagia e sanguinaria".

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Pagina 76

Socialità e solitudine


Di ghepardo o di leopardo che siano, le femmine adulte sono animali solitari quando non hanno piccoli da allevare.

Le femmine di leopardo hanno abitudini territoriali, mentre quelle di ghepardo menano una vita nomade, su un territorio talvolta smisurato.

Ciascuna femmina di leopardo controlla un proprio territorio, cioè una zona che utilizza per le attività quotidiane e che le fornisce l'essenziale per il sostentamento vitale: prede, acqua, nascondigli per potervi crescere i piccoli e l'occasione di incontrare dei maschi per l'accoppiamento.

Ogni felino utilizza in un certo periodo solo una parte del proprio territorio, in funzione della presenza o dell'assenza di prede e della densità degli altri predatori, come i leoni e le iene. Il territorio può comprendere zone inospitali che non vengono mai utilizzate. Così, Zawadi e Chui prima di lei hanno trascorso per un lungo periodo una gran parte del tempo nei pressi di Leopard Gorge. Poi, a causa della forte pressione esercitata dai pastori masai, Zawadi è stata costretta ad abbandonare questa zona.

I territori controllati dalle diverse femmine possono risultare sovrapposti parzialmente o completamente, sicché per le rispettive "proprietarie" è giocoforza incontrarsi, anche se in genere cercano di evitarlo. Gli incontri si risolvono generalmente in modo pacifico, tanto più che in molti casi le femmine di leopardo che vivono su territori limitrofi appartengono alla stessa famiglia: sono cugine, sorelle o figlie. Infatti, quando una figlia si stacca dalla madre, va a occupare in generale un territorio vicino, o anche una parte di quello della madre.

Le frontiere fra i territori che non sono definite rigidamente, si modificano a seconda delle figliate e dei rapporti di dominanza.

Gli scontri violenti tra femmine avvengono raramente, come si riscontra dal fatto che pochissime fra di loro presentano delle cicatrici. Comunque, una femmina gravida o con i cuccioli molto piccoli sarà nondimeno più aggressiva. Il rischio aumenta se gli animali che si incontrano non sono imparentati.

Ogni femmina marca costantemente il proprio territorio per segnalare alle femmine più giovani o a quelle che stanno migrando che la zona è occupata. Ed è per questo motivo che, quando diventa madre, lascia presto i piccoli da soli nel loro covo per il tempo necessario a perlustrare e contrassegnare l'area.

Una femmina di ghepardo non difende il territorio che sta momentaneamente occupando contro i consumili, anche se le capita di marcarlo con la propria urina e con gli escrementi. È per questa ragione che non parleremo di vero e proprio territorio, ma di dominio vitale. Se due femmine si avvistano durante i loro spostamenti nella maggior parte dei casi si siedono, si fissano, fine a che una delle due finisce per allontanarsi. Può anche darsi che due madri tengano i piccoli nascosti a poche centinaia di metri gli uni dagli altri, ma esse evitano il contatto diretto.

Contrariamente a quanto arcade con gli altri felini i territori delle femmine possono essere fino a cinque volte più grandi di quelli dei maschi, ma anche di più. Una volta indipendenti, le giovani femmine rimangono in genere a occupare lo stesso territorio appartenuto alla madre. Nel parco del Serengeti, la dimensione media del territorio delle femmine è pari a 833 chilometri quadrati.

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Pagina 151

Figli della savana


Da diversi giorni stiamo cercando Douma, che avevamo visto accoppiarsi quattro mesi prima. Sembra che abbia eletto domicilio nei pressi del confine con la Tanzania. Per gli animali la frontiera non costituisce un ostacolo, ma per noi sì: non possiamo seguirla in territorio tanzaniano, nel parco del Serengeti.

Un mattino, avvistiamo una femmina di ghepardo con le mammelle ingrossate che avanza tra l'erba alta. Non è Douma, ma un'altra femmina, Honey, che avevamo già osservato in passato. Vedendoci, si comporta in modo strano, si allontana rapidamente per poi fermarsi, con il pelo arruffato, mentre si sferza i fianchi con la coda. Evidentemente, è incerta sul da farsi. Decidiamo di aspettare, senza muoverci. Saggio comportamento perché, dopo alcuni lunghi minuti, la femmina si volge indietro e noi possiamo udire dei versi acuti, simili a un pigolio d'uccello. In mezzo alle erbe alte, in una depressione del terreno, i cuccioli la stanno chiamando. Honey si stende accanto a loro, protetta al nostro sguardo dalla vegetazione, e rimane là tutto il giorno. L'indomani, all'alba, tornando sul posto, riusciamo a distinguere cinque piccoli gomitoli di pelo al suo fianco.

I cuccioli, ancora ciechi, pesano appena 300 grammi. Avranno tre o quattro giorni. Il loro mantello, nerastro e argentato, non assomiglia affatto alla pelliccia della madre. Dopo un po', Honey si alza e parte per la caccia; noi la seguiamo da lontano. Mangia in fretta, poi abbandona quel che resta della preda per tornare dai suoi piccoli. Lindomani, quando arriviamo, il luogo è deserto. Honey ha spostato i cuccioli la sera prima o durante la notte. Non deve essere molto lontana ma, essendo ancora coricata, non riusciamo a individuarla nell'erba alta. Decidiamo di aspettare che si alzi. Un'ora più tardi, il suo muso compare al di sopra della vegetazione. La famigliola si trova a circa 400 metri dal precedente covo, dove non resta che l'erba calpestata a testimoniarne il passaggio. Honey ha mangiato gli escrementi dei piccoli; quindi li pulisce con la lingua rossa, che sembra molto grande rispetto a loro, e poi li allatta.

Alla fine li lecca nuovamente, per aiutarli a fare i loro bisogni. Le giornate trascorrono lentamente; non riusciamo a vedere granché, perché i piccoli restano nascosti tra l'erba alta, appena visibili. Nel pieno del pomeriggio, la madre si guarda intorno, fiuta il nascondiglio, fa qualche passo nei pressi, poi prende uno dei piccoli per la collottola e lo porta a un centinaio di metri di distanza. Quindi torna a prendere il secondo e il terzo. Dopo tre viaggi andata-e-ritorno, si corica; gli altri due piccoli la chiamano. Si decide quindi a tornare a cercarli. Poi fa anche una sesta corsa, annusa il precedente nascondiglio e si accerta bene di non aver lasciato indietro alcun cucciolo. I piccoli stanno appena cominciando a rizzarsi sulle zampette, ma cadono quasi subito.

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