Copertina
Autore Daniel C. Dennett
Titolo Sweet Dreams
SottotitoloIllusioni filosofiche sulla coscienza
EdizioneCortina, Milano, 2006, Scienza e idee , pag. 188, ill., cop.fle., dim. 14x22,5x1,6 cm , Isbn 978-88-6030-052-2
OriginaleSweet Dreams. Philosophical Obstacles to a Science of Consciousness [2005]
TraduttoreAntonino Cilluffo
LettoreFlo Bertelli, 2007
Classe filosofia , scienze cognitive
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Indice

Prefazione                                          IX

1. L'Impressione Zombica:
   l'estinzione di un'intuizione?                    1

La svolta naturalistica                              1
I reazionari                                         7
Zombie imbarazzanti                                 12
Funzionalismo ampio e minimalismo                   15
Il futuro di un'illusione                           19

2. Un approccio in terza persona alla coscienza     23

Scienziati da Marte                                 23
Teorie del senso comune e filosofia                 29
L'eterofenomenologia rivisitata                     32
David Chalmers come soggetto eterofenomenologico    43
Il punto di vista in seconda persona                46

3. Spiegare la "magia" della coscienza              53

L'ingrato compito di spiegare la magia              54
Smontare lo spettacolo                              64
Il Mazzo Accordato                                  67

4. Sono i qualia che rendono la vita
   degna di essere vissuta?                         71

Il quale, una preda inafferrabile                   71
La cecità al cambiamento e una domanda sui qualia   76
I sogni d'oro e gli incubi di Mr Clapgras           84

5. Cosa sa RoboMary                                 97

Mary e la banana blu                                98
"Sicuramente" Mary sarà sorpresa                   101
Dovevate esserci!                                  110
RoboMary                                           116
RoboMary bloccata                                  120

6. Stiamo ancora spiegando la coscienza?           125

Combattere per il consenso                         125
Competere per il peso politico                     130
Vi è anche un Problema Difficile?                  136
Ma che cosa pensare dei qualia?                    144
Conclusioni                                        149

7. Una teoria della coscienza Eco di Fantasia      151

Fama Effimera                                      152
Replay istantaneo                                  159

8. La coscienza: quanto vale in moneta reale?      165


Bibliografia                                       171

Indice analitico                                   179

 

 

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Pagina 1

1
L'IMPRESSIONE ZOMBICA:
L'ESTINZIONE DI UN'INTUIZIONE?

La vignetta di Steinberg riprodotta nel controfrontespizio ci offre un buon punto di vista sul problema della coscienza. Se quella è la verità metaforica sulla coscienza, qual è allora la sua verità letterale? Che cosa accade nel mondo (presente in gran parte, presumibilmente, nel cervello del tizio) che rende così appropriata quell'eccellente metafora?


La svolta naturalistica

La nostra concezione attuale del problema della coscienza è straordinariamente diversa da quella che potevamo elaborare all'inizio del Novecento, grazie ai progressi davvero piccoli della filosofia e davvero grandi della scienza. La rappresentazione divisionista dell'uomo cosciente di Steinberg ci dà un elegante suggerimento sui principali avanzamenti nel modo di affrontare il problema che, per molti di noi, promettono di fare il salto di qualità. Ciò che oggi sappiamo è che ognuno di noi è un assemblaggio di trilioni di cellule di migliaia di generi diversi. La maggior parte delle cellule che compongono il vostro corpo discende dalla cellula uovo e dallo spermatozoo, la cui unione ha dato inizio alla vostra vita (c'è anche un numero elevato di batteri autostoppisti, provenienti da migliaia di ceppi diversi, stipati nel corpo) e, per dirla francamente, nessuna singola vostra cellula sa chi siete, né le importa saperlo.

Tutte le cellule di cui siete fatti sono vive, ma la nostra attuale conoscenza della vita ci dice che ciascuna di esse è un meccanismo non pensante, un microrobot ampiamente autonomo, non più cosciente di una cellula di lievito. La pasta che lievita in cucina, in una ciotola, brulica di vita, ma niente nel contenitore è senziente o consapevole – e se anche lo fosse, questo costituirebbe un fatto notevole del quale, al momento, non possediamo la minima evidenza. Sappiamo, infatti, che i "miracoli" della vita – il metabolismo, la crescita, l'autoriparazione, il sistema immunitario e, ovviamente, la riproduzione – avvengono attraverso processi straordinariamente intricati, ma non miracolosi. Nessun supervisore consapevole è necessario per mantenere in funzione il metabolismo, nessun élan vital è richiesto per attivare l'autoriparazione e le incessanti nanofabbriche della replicazione sfornano i loro duplicati senza alcun riferimento a desideri spirituali o a speciali forze vitali. Cento chili di lievito non si fanno domande su Braque, né su altro, ma voi sì, e voi siete fatti di parti (cellule eucarioti) che sono fondamentalmente dello stesso genere delle cellule di lievito, anche se eseguono compiti diversi. Il vostro team di trilioni di robot è tenuto insieme in un regime magnificamente efficiente che non ha dittatore e che fa in modo di organizzarsi per respingere gli intrusi, bandire i deboli, applicare regole ferree di disciplina e fungere da quartier generale di un unico sé cosciente, di una sola mente. Queste comunità di cellule sono massimamente fasciste, ma i vostri interessi e valori non hanno niente da spartire, fortunatamente, con gli scopi limitati delle cellule che vi costituiscono. Alcune persone sono gentili e generose, altre crudeli, alcune sono dedite alla pornografia e altre dedicano la loro vita al servizio di Dio. Una delle tentazioni cui l'uomo nel tempo ha ceduto è stata di immaginare che tali evidenti differenze debbano essere dovute a specifiche caratteristiche di una qualche entità extra - l'anima - installata in qualche modo nel quartier generale del corpo. Fino a poco tempo fa, l'idea di un ingrediente magico extra era il solo candidato per una spiegazione della coscienza che almeno sembrasse aver senso. Per molti quest'idea (il dualismo) è ancora l'unica visione sensata della coscienza, anche se oggi vi è un ampio consenso tra scienziati e filosofi nel ritenere che il dualismo sia – debba essere – semplicemente falso: siamo fatti di robot inconsapevoli e nient'altro, non vi è alcun ingrediente non fisico o non robotico.

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Pagina 53

3
SPIEGARE LA "MAGIA"
DELLA COSCIENZA



A molte persone la coscienza sembra un mistero, lo spettacolo di magia più straordinario che si possa immaginare, un'interminabile sequenza di effetti speciali che sfida qualsiasi spiegazione. Penso che siano in errore: la coscienza è un fenomeno fisico, biologico – come il metabolismo, la riproduzione o l'autoriparazione – che è squisitamente ingegnoso nella sua operazione, ma non miracoloso, e tanto meno misterioso.

Parte del problema di spiegare la coscienza si deve al fatto che vi sono potenti forze che ci inducono a ritenere che essa sia più meravigliosa di quanto in realtà è. Come ho osservato nel capitolo precedente, da questo punto di vista la coscienza somiglia a uno spettacolo di magia, un insieme di fenomeni che sfruttano la nostra credulità e persino il nostro desiderio di essere ingannati, imbrogliati e intimoriti. Il compito di spiegare lo spettacolo di magia è, per certi versi, ingrato; la gente, di solito, detesta chi le rivela in cosa consista un trucco e lo considera un guastafeste. Spesso ho l'impressione che i miei tentativi di spiegare alcuni aspetti della coscienza incontrino una resistenza analoga: non sarebbe più bello se fossimo tutti liberi di sguazzare nei magici misteri della coscienza? O addirittura: se tu riuscissi a spiegare la coscienza, essi dicono, ci sminuiresti, trasformandoci in semplici robot proteici, mere cose.

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Pagina 64

Smontare lo spettacolo

Può sembrare che l'adozione del metodo eterofenomenologico lasci in sospeso un problema non da poco: considerare costitutiva la parola del soggetto sembra non toccare uno degli elementi più problematici – il pubblico che assiste all'esibizione del mago. Come ho discusso a lungo (in Dennett, 1991 e in molti saggi seguenti), questa supposta vetrina, il Teatro Cartesiano, dove qualsiasi cosa confluisce per la coscienza, deve essere smantellata. Tutto il lavoro svolto dal supposto homunculus nel Teatro Cartesiano deve essere distribuito tra le varie e minori agenzie nel cervello, nessuna delle quali è cosciente. Tuttavia, ogni volta che si compie un simile passo, il Soggetto svanisce, rimpiazzato da congegni privi di mente che eseguono inconsapevolmente i loro compiti. È questa la giusta direzione da seguire per una teoria della coscienza?

Qui le opinioni divergono radicalmente. Da un lato vi sono coloro che, come me, riconoscono che se lasciate il Soggetto nella vostra teoria, non avete ancora cominciato! Una buona teoria della coscienza dovrebbe considerare la mente cosciente come una fabbrica abbandonata (pensate al mulino di Leibniz), piena di macchinari rumorosi e senza nessuno che vi sovrintende, ne dispone o li osserva.

Alcuni odiano quest'idea. Jerry Fodor, per esempio (1998, p. 207):

Se, in breve, c'è una comunità di computer che vive nella mia testa, allora sarebbe meglio che vi fosse un responsabile, e, per Dio, dovrei essere io.

Come spesso in passato, Fodor ha il merito di evidenziare e sostenere qui l'idea che è davvero all'origine di tutti i guai. Non è certo il solo a preoccuparsi della perdita del Sé prefigurata dallo smantellamento del Teatro Cartesiano, ma nessuno è pari a lui nell'abilità di articolare questo fuorviante timore con tanta chiarezza e senso dell'umorismo. Robert Wright esprime la stessa preoccupazione con un accento diverso (2000, p. 398):

Ovviamente, il problema qui è la tesi che la coscienza sia "identica" a stati cerebrali fisici. Più Dennett e soci cercano di spiegarmi ciò che vogliono dire con tale frase, più mi convinco che quello che realmente intendono dire è che la coscienza non esiste.

Si pensi al sarcastico commento di Siegel sulla "vera" magia (1991, p. 425):

"Sto scrivendo un libro sulla magia", spiego, e mi si chiede: "Vera magia?". Per vera magia la gente intende miracoli, atti taumaturgici e poteri soprannaturali. "No", rispondo, "io invento trucchi, non vera magia." La vera magia, in altre parole, si riferisce alla magia che non è vera, mentre la magia che è vera, quella che può essere effettivamente realizzata, non è vera magia.

La vera coscienza, Wright non può fare a meno di pensarlo, è qualcosa di diverso dagli stati cerebrali fisici (e di ben più affascinante). La coscienza "scenica" – il tipo di coscienza che può essere prodotto dalle attività della macchina cerebrale – non è vera coscienza. Jane Smiley, in un passo del suo libro A Year at the Races (2004a), osserva che alcuni hanno dubitato che i cavalli siano coscienti e aggiunge: "Di fatto, ci sono esperti di intelligenza umana, come Daniel Dennett, che sostengono che anche gli esseri umani non hanno coscienza – cha la coscienza umana è un falso sottoprodotto del lavorio del cervello" (Smiley, 2004b, p. 63). Non affermo, ovviamente, che la coscienza umana non esiste; dico, piuttosto, che essa non è ciò che le persone spesso pensano sia. L'insistenza sul fatto che la coscienza debba essere considerata qualcosa di inesplicabile, di irriducibile e di trascendente raggiunge talvolta un livello febbrile, come, per esempio, in Voorhees (2000, pp. 55-56):

Daniel Dennet è il demonio [...]. Non esistono testimoni interni, riconoscitori centrali del significato, e Sé, tranne un astratto "Centro di Gravità Narrativa", che in ultima analisi è solo una comoda finzione [...]. Per Dennet non è l'Imperatore senza vestiti, sono i vestiti, piuttosto, che sono senza Imperatore.

Ma è proprio questo il bello! In una vera teoria della coscienza l'Imperatore è non solo deposto, bensì nudo, mostrando di non essere altro che una scaltra cospirazione di operai di più basso rango, le cui attività comuni rendono conto dei suoi stessi poteri "miracolosi". Insieme all'Imperatore andranno bandite anche le cosiddette Proprietà Imperiali, e in particolare le due che sono le più misteriose: i Qualia Esperiti dall'Imperatore e gli Editti Imperiali della Volontà Cosciente.

Per coloro che trovano semplicemente inaccettabile questo modo di procedere vi è un comodo campione dell'opinione alternativa: se non lasciate il Soggetto nella vostra teoria, finirete per mancare la questione principale! Ecco quello che David Chalmers (1996) chiama il Problema Difficile. Egli afferma che qualunque teoria che si limiti a spiegare le interdipendenze funzionali, i macchinari dietro le quinte, le funi e le carrucole, il fumo e gli specchi, riuscirà a risolvere i problemi "semplici" della coscienza, ma lascerà intatto quello che egli definisce il Problema Difficile.


Il Mazzo Accordato

Non c'è modo di conciliare queste due posizioni alternative. Nessun compromesso è possibile. Una delle opzioni in campo è chiaramente sbagliata. Ho cercato di mostrare che, per quanto affascinante, l'intuizione a sostegno della posizione di Chalmers deve essere abbandonata; l'allettante idea che vi sia un Problema Difficile è semplicemente un errore. Non posso provarlo e alcuni di quelli che amano il Problema Difficile trovano la mia tesi così incredibile che, con qualche ilarità, ammettono di non poterla prendere sul serio. Per questo non voglio compiere l'errore tattico di tentare di scacciare con un'argomentazione razionale una convinzione che è al di là della ragione. Sarebbe una gran perdita di tempo per tutti. Per contro mi concentrerò su un paragone che spero inquietante, tratto dal mondo delle carte da gioco: Il Mazzo Accordato.

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Pagina 165

8
LA COSCIENZA:
QUANTO VALE IN MONETA REALE?



La coscienza sembra spesso essere totalmente misteriosa. Sospetto che la causa principale di questo sconcerto sia un errore di contabilità tipo quelli generati da comuni sequenze di sfide e risposte. Ecco una versione semplificata di un tale cammino verso misterilandia:

FIL: Che cos'è la coscienza?

PSI: Diciamo che alcune cose – come le pietre e gli apriscatole – sono del tutto prive di qualsiasi punto di vista, di qualsiasi soggettività, mentre altre – come voi e io – hanno punti di vista: modi privati, prospettici e interiori di essere informati su alcuni aspetti limitati del mondo esterno e delle relazioni dei nostri corpi con esso. Conduciamo le nostre vite, soffrendo e gioendo, decidendo e scegliendo le nostre azioni, guidati dall'avere questo accesso in "prima persona". Essere cosciente significa essere un agente con un punto di vista.

FIL: Ma sicuramente vi è di più di questo! Un albero di ciliegie ha un accesso limitato alla temperatura ambientale sulla sua superficie e può essere (falsamente) guidato a fiorire inopportunamente da un clima caldo fuori stagione. Un robot con telecamere per "occhi" e microfoni per "orecchie" può driscriminare e rispondere in modo adeguato a centinaia di differenti aspetti del suo mondo circostante; il mio sistema immunitario può avvertire, distinguere e rispondere appropriatamente (per la maggior parte dei casi) a milioni di differenti eventualità. Ognuno di questi è (più o meno) un agente (più o meno) con un punto di vista, ma nessuno di essi è cosciente.

PSI: Sì, vi è certo qualcosa in più. Noi esseri coscienti abbiamo facoltà che mancano a quegli agenti più semplici. Non solo ci accorgiamo di determinate cose e rispondiamo di conseguenza, ma ci accorgiamo di accorgerci di quelle cose. Più precisamente, tra i molti stati discriminativi che il nostro corpo può assumere (compresi gli stati dei sistemi immunitari, dei sistemi nervosi autonomi, dei sistemi digestivi, e così via), un sottoinsieme di essi può essere discriminato a sua volta da discriminazioni di livello superiore, che successivamente diventano fonti guida per attività di controllo di livello superiore. In noi questa capacità ricorsiva di automonitoraggio non manifesta chiari limiti — oltre quelli di disponibilità di tempo e di energia. Se qualcuno ti lancia un mattone, lo vedi arrivare e ti abbassi immediatamente. Ma puoi anche discriminare il fatto che discrimini visivamente il proiettile, e poi che sei in grado di discriminare il fatto ulteriore che puoi distinguere (usualmente) le discriminazioni visive da quelle tattili, quindi proseguire riflettendo sul fatto che sei anche capace di richiamare alla mente recenti discriminazioni sensoriali con parecchi dettagli, e che vi è una differenza tra sperimentare qualcosa e richiamare alla mente l'esperienza di qualcosa, e tra pensare alla differenza tra il ricordare e l'esperire e pensare alla differenza tra vedere e ascoltare, e così via... finché è ora di andare a letto.

FIL: Ma certo vi è molto di più di questo! Anche se gli odierni robot possono non avere risorse sufficienti per un simile automonitoraggio ricorsivo, è facile immaginare che tale capacità possa essere aggiunta a qualche robot del futuro. Ma per quanto rapidamente possano esibire la loro capacità di generare e di reagire appropriatamente alle analisi "riflessive" dei loro soggiacenti stati discriminativi, tali robot non sarebbero coscienti - non nel modo in cui lo siamo noi.

PSI: sei sicuro di poter immaginare tutto ciò?

FIL: Oh, sì, assolutamente sicuro. Potrebbe forse darsi un qualche punto di vista esecutivo definibile tramite l'analisi del potere che simili robot avrebbero di controllare se stessi sulla base di queste capacità reattive, ma una tale soggettività robotica non sarebbe che una pallida ombra della nostra. Quando pronunciano qualcosa come "così mi sembra...", il loro proferimento non significherebbe nulla — o almeno, essi non intenderebbero quello che intendo io quando ti racconto che cosa si prova a essere me, come le cose sembrano a me.

PSI: Non so come tu possa essere sicuro di questo, ma, in ogni modo, hai ragione quando affermi che vi è qualcosa di più nella coscienza che questo. I nostri stati di discriminazione non solo sono discriminabili, ma hanno anche il potere di indurre in noi delle preferenze. Non siamo indifferenti alle possibili scelte, ma queste preferenze sono a loro volta sottili, variabili e fortemente dipendenti da altre condizioni. Vi è un tempo per il cioccolato e uno per il formaggio, un tempo per il blu e uno per il giallo. In breve (e semplificando all'estremo), molti, se non tutti, i nostri stati di discriminazione hanno quella che potremmo chiamare una dimensione di valenza affettiva. Ci curiamo degli stati in cui ci troviamo, e questa cura è riflessa nella nostra disposizione a cambiare stato.

FIL: Ma sicuramente vi è molto di più di questo! Quando contemplo il dolce tepore della luce solare che cade su quel vecchio muro di mattoni, non è solo perché preferisco guardare i mattoni piuttosto che il marciapiede sporco sottostante. Posso facilmente immaginare di dotare i nostri immaginari robot di preferenze innate per ogni possibile sequenza dei loro stati interni, ma essi non avrebbero ancora niente di simile al mio cosciente apprezzamento della visione poetica di quei mattoni scoscesi e rosati.

PSI: Sì, sono d'accordo, vi è qualcosa di più. Per un verso, tu hai metapreferenze; forse desideri poter fermare l'interferire di quelle associazioni sessuali con il tuo più nobile apprezzamento del tepore della luce solare sui mattoni, ma nello stesso tempo (grosso modo) sei felice della persistenza di quegli intrusi impertinenti, per quanto disturbanti essi siano, ma... che cosa era quello cui stavi cercando di pensare? Il tuo flusso di coscienza è riempito da un'apparentemente ininterrotta fonte di associazioni. Come ogni transitorio occupante della posizione di maggiore influenza fa posto ai suoi successori, così qualsiasi tentativo di bloccare questa disordinata parata e di monitorare i dettagli delle associazioni non fa che generare un successivo diluvio di stati evanescenti e cosi via. Coalizioni di temi e progetti possono succedersi nel dominare "l'attenzione" per alcuni utili e altamente produttivi lassi di tempo, respingendo per un certo periodo aspiranti divagazioni e creando il senso di un sé o ego duraturi che prendono il comando dell'intera operazione. E così via.

FIL: Ma sicuramente vi è molto di più di questo! E ora inizio a vedere cosa manca alla tua volutamente evasiva lista di aggiunte. Tutte queste disposizioni e metadisposizioni a entrare in stati di metastati di meta-metastati di riflessione sulla riflessione possono essere implementate (posso facilmente immaginarlo) da qualche robot. La traiettoria dei suoi commutatori di stato interno potrebbe, suppongo, sembrare eccezionalmente simile ai resoconti "in prima persona" che posso dare del mio personale flusso di coscienza, ma quegli stati del robot sarebbero del tutto privi di un reale sentire, di proprietà fenomeniche! Stai ancora lasciando fuori quello che i filosofi chiamano qualia.

PSI: Effettivamente, sto lasciando fuori un mucchio di proprietà. Ho appena cominciato a riconoscere tutte le ipersemplificazioni della mia storia, ma adesso tu sembri volere anticipare qualsiasi mia aggiunta ulteriore insistendo che vi sono proprietà della coscienza che sono completamente diverse dal tipo di proprietà qui descritto. Pensavo di aver aggiunto proprietà "fenomeniche" in risposta alla tua sfida, ma ora mi dici che non ho nemmeno cominciato. Prima però di poter dire se sto effettivamente lasciando fuori quelle proprietà, devo sapere cosa sono. Puoi darmi un chiaro esempio di una proprietà fenomenica? Poniamo che in passato mi piacesse una particolare sfumatura di giallo, ma che per alcune esperienze traumatiche (supponiamo che sono andato a sbattere contro una macchina di quel colore) quella sfumatura ora mi renda alquanto infelice (ricordandomi esplicitamente o implicitamente l'incidente): ciò potrebbe essere sufficiente a cambiare le proprietà fenomeniche della mia esperienza di quella sfumatura di giallo?

FIL: Non necessariamente. La proprietà disposizionale che ti rende infelice non è in se stessa una proprietà fenomenica. Le proprietà fenomeniche sono, per definizione, non disposizionali, bensì intrinseche e accessibili solo da un punto di vista in prima persona...


Siamo così giunti a misterilandía. Se definite i qualia come proprietà intrinseche di esperienze considerate isolate da tutte le loro cause e da tutti i loro effetti, logicamente indipendenti da tutte le proprietà disposizionali, allora è garantito che essi eluderanno qualsiasi analisi funzionale – ma questa è una vittoria di Pirro, poiché non vi sono ragioni per credere che tali proprietà esistano realmente. Per avere un'idea più chiara della cosa, confrontiamo i qualia dell'esperienza con il valore della moneta. Alcuni americani, piuttosto ingenui, non riescono a togliersi dalla testa che i dollari, a differenza di franchi, marchi e yen, abbiano un valore intrinseco ("Quanto costa questo in moneta reale?"). Essi sono contenti di "ridurre" il valore delle altre divise in termini disposizionali ai loro tassi di cambio con i dollari (o di beni e servizi), ma credono istintivamente che i dollari siano diversi. Ogni dollaro, dichiarano, ha qualcosa di logicamente indipendente dal suo potere di scambio funzionale, che potremmo chiamare la sua forza. Così definita, la forza di ogni dollaro potrebbe eludere per sempre le teorie degli economisti, ma non abbiamo ragioni per credere in essa – a parte le loro sincere intuizioni, che possono essere spiegate senza per questo essere accettate.

Alcuni partecipanti al dibattito sulla coscienza non fanno altro che esigere che le loro intuizioni sulle proprietà fenomeniche siano un punto di partenza non negoziabile per qualsiasi scienza della coscienza. Una simile convinzione deve essere considerata un sintomo interessante, meritevole di una diagnosi, un dato che qualsiasi scienza della coscienza deve spiegare, nello stesso spirito con cui gli economisti e gli psicologi possono cominciare a spiegare il motivo per cui tante persone soccombono alla potente illusione che la moneta abbia un valore intrinseco.

Vi sono molte proprietà degli stati coscienti che potremmo e dovremmo sottoporre a ulteriore indagine scientifica così che, una volta comprese, potrebbero soddisfarci come spiegazioni di cosa sia la coscienza. Dopotutto, questo è quello che è successo nel caso dell'ormai ex mistero di cosa sia la vita. Il vitalismo — l'insistenza che vi è qualche grande, misterioso ingrediente extra in tutte le cose viventi — si è rivelato essere non un'intuizione profonda, bensì una mancanza di immaginazione. Ispirati da questa felice storia di successo, possiamo procedere con la nostra esplorazione scientifica della coscienza. Se arriverà il giorno in cui la ricerca avrà compiuto il suo lavoro e vedremo chiaramente che qualcosa di grande è stato omesso (e se è davvero importante non potrà non essere assai evidente), allora quelli animati da intuizioni incrollabili potranno affermare che ce l'avevano detto. Ma fino a quel giorno devono preoccuparsi di come respingere la diagnosi di essere stati, al pari dei vitalisti che li hanno preceduti, portati fuori strada da un'illusione.

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