Copertina
Autore Alexander K. Dewdney
Titolo La quadratura del cerchio
Sottotitolo... e altri grandi problemi che mostrano i limiti della scienza
EdizioneApogeo, Milano, 2005, Saggi , pag. 234, ill., cop.fle., dim. 135x210x14 mm , Isbn 978-88-503-2361-6
OriginaleBeyond Reason
EdizioneWiley, New York, 2004
TraduttoreFolco Claudi, Gianbruno Guerrerio
LettoreCorrado Leonardo, 2005
Classe matematica , fisica , scienze naturali
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Indice

Introduzione                               1

Dove la ragione non può arrivare           1

Due vecchie storie                         4


Matematica nel cosmo                      11


Capitolo uno — La dispersione di energia  13

Apprendisti e imbroglioni                 19
Prove d'impossibilità                     26
La fisica dice la sua                     30
La conservazione dell'energia             30
C'è un modo per aggirare il problema?     36

Capitolo due — Il limite cosmico          39

Velocità che non è possibile raggiungere  39
Catturare qualche raggio                  40
L'etere                                   44
Il terzo articolo                         50
La grande intuizione                      57
C'è un modo per aggirare il problema?     61

Capitolo tre — La cortina quantistica     63

Particelle inconoscibili                  63
L'esperimento della doppia fenditura      64
Alle radici della scoperta                66
Niels Bohr e la scuola di Copenhagen      68
La matematica dei quanti                  70
L'interpretazione di Copenhagen           75
Il teorema di Bell                        79
Il problema della misurazione             84
C'è un modo per aggirare il problema?     86

Capitolo quattro — Il confine del caos    89

Sistemi imprevedibili                     89
La "scienza" del caos                     92
L'equazione logica                        94
Attrattori strani                        102
L'attrattore di Lorenz                   107
Una tempesta in un bicchier d'acqua      109
Previsioni meteo                         112
C'è un modo per aggirare il problema?    116


Matematica nell'holos                    119


Capitolo cinque — La cripta circolare    121

Figure non costruibili                   121
La guerra per il p                       123
Il problema                              125
Numero e retta                           130
Numeri costruibili                       133
C'è un modo per aggirare Il problema?    142

Capitolo sei — Catene di ragionamenti    145

Teoremi indimostrabili                   145
Il fantasma dell'infinito                148
Coerenza                                 152
Il guastafeste                           157
Il guaio                                 159
C'è un modo per aggirare il problema?    168

Capitolo sette — La macina infinita      171

Programmi impossibili                    171
La macchina di Turing                    173
Il dizionario marziano                   181
C'è un modo per aggirare il problema?    186
Poscritto                                188

Capitolo otto — Il collo di bottiglia
                della grande O           191

Problemi intrattabili                    191
Algoritmi e programmi                    193
Cattive notizie da Berkeley              198
Riepilogo                                207
Algoritmi non-deterministici             208
Il grande algoritmo generale             209
C'è un modo per aggirare il problema?    212

Riferimenti bibliografici                217
Capitolo 1: La dispersione di energia    217
Capitolo 2: Il limite cosmico            217
Capitolo 3: La cortina quantistica       217
Capitolo 4: Il confine del caos          218
Capitolo 5: La cripta circolare          218
Capitolo 6: Catene di ragionamenti       218
Capitolo 7: La macina infinita           219
Capitolo 8: Il collo di bottiglia
            della grande O               219

Altre letture                            221

Indice analitico                         223

 

 

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Pagina 1

INTRODUZIONE

Dove la ragione non può arrivare


Tutti noi subiamo delle limitazioni, alcune naturali, altre codificate dalle regole sociali. Non possiamo volare senza un ausilio, e neppure possiamo battere un poker d'assi con un tris di donne.

Questo libro tratta limitazioni di tipo diverso, che stanno come pareti di granito a delimitare l'impresa scientifica e tecnologica. "Fin qui, e non oltre", sembrano intimare, riecheggiando un antico monito posto a tutela di un suolo sacro. Non si vedono strade per riuscire ad aggirare queste barriere, e per questo è possibile collocarle "oltre la ragione", anche se è proprio la ragione che le ha trovate.

Tra le possibili limitazioni vi potrebbe essere l'impossibilità di viaggi nel tempo, specialmente nel passato. Tuttavia, non conosco teorie matematiche né fisiche che vietino questi viaggi. D'altra parte, dovrà pur esistere una ragione per cui non si riesce a risolvere il problema dei numeri primi, anche se non si sa quale sia.

Accostare viaggi nel tempo e numeri primi è precisa intenzione di questo volume. Tutti sanno che cosa si intende con "viaggi nel tempo", ma pochi sanno che cosa siano i numeri primi. Perciò chiarisco subito: si dice primo un numero che non può essere diviso da alcun altro numero intero tranne che da se stesso e da 1. Risolvere il problema dei numeri primi significa trovare quella che i matematici chiamano un'espressione in forma chiusa in una variabile n, che fornisce l'n-esimo numero primo quando a n si sostituiscono valori specifici. Non conosco alcuna teoria che vieti questa possibilità, ma il problema potrebbe non avere alcuna soluzione.

Questo libro riguarda anche i due modi di fare scienza: il primo induttivo, l'altro deduttivo. Il primo è molto più diffuso dell'altro, ma non potrebbe esistere senza quest'ultimo.

Sebbene nessuna teoria fisica attuale sembri vietare i viaggi nel tempo, la scoperta di un metodo che li renda possibili è sicuramente celata nei meandri del linguaggio matematico. Viceversa, una qualunque proibizione della possibilità sarebbe espressa in formule ed equazioni.

Č diventato di moda parlare della matematica come di un "linguaggio". In effetti la matematica ha molte delle caratteristiche di un linguaggio – soprattutto per la notazione che ai non addetti ai lavori appare come un geroglifico egizio – ma ci deve essere sotto qualcosa di più. Questa convinzione deriva dall'incredibile successo della matematica nel descrivere la realtà fisica. La precisione propria di un gran numero di teorie fa riferimento a una realtà più profonda, e porta a pensare la matematica come una struttura fondamentale dell'universo.

Nulla definisce una struttura meglio delle barriere. Ci sono cose che non possiamo sapere e cose che non possiamo fare, e il tutto è il risultato della struttura logica interna di questo campo. La limitazione non dipende in alcun modo dalle speranze e dalle paure dei singoli scienziati, e ancor meno dal loro retroterra culturale.

Con il termine holos, che significa "intero", potrei invocare l'intero universo della matematica, sia di quella nota che di quella ignota. La parola cosmos, in greco, ha pressappoco lo stesso significato ma, in questo contesto, indica l'universo fisico in cui viviamo e ci muoviamo. Con questa terminologia è possibile creare enunciati dal sapore mistico come "il cosmos è basato sull' holos". Ho solo un'idea molto vaga di che cosa possa significare, ma questa frase mette in luce lo scopo di questo libro: scoprire in che modo la realtà fisica dipenda dalla realtà matematica, ed esaminare in che modo la realtà matematica si manifesta.

Il mondo, così come viene descritto dalla fisica, ha una qualche configurazione matematica fantastica, considerata nel suo insieme. Una pietra lanciata nel vuoto segue una parabola con una precisione sufficiente a escludere una qualunque altra funzione polinomiale come possibile cammino. Galileo e Newton ci hanno lasciato questa eredità perché erano l'uno italiano e l'altro inglese? Perché erano espressioni di un desiderio di perfezione post-rinascimentale? O Galileo e Newton stavano semplicemente percorrendo il territorio mentale della ragione pura? Galileo avrebbe riconosciuto i pensieri di Newton? Se no, perché no? Entrambi erano esploratori dell' holos, e nessuno aveva molta scelta su ciò che potevano trovare o non trovare.

La scoperta delle barriere della conoscenza sta accelerando in qualche modo negli ultimi due secoli, tenendo il passo con la scienza stessa. Abbiamo appreso già alla fine del XIX secolo che non è possibile trovare la quadratura del cerchio, ma negli anni Venti abbiamo capito che esistono teoremi che non dimostreremo mai. Negli anni Quaranta, proprio mentre i computer emergevano dal fumo e dalla polvere della guerra mondiale, abbiamo scoperto le funzioni non computabili e l'irresolubilità del problema della fermata (halting problem). Ciò significava, tra le altre cose, che non saremmo mai stati in grado di scrivere programmi che effettuano debug (cioè trovano gli errori all'interno di altri programmi). Negli anni Settanta abbiamo compreso che anche le funzioni computabili potrebbero essere un problema. Ci sono letteralmente centinaia di ben noti e importanti problemi che si celano dietro ogni concepibile angolino e fessura della nostra infrastruttura tecnologica. Ci sono esempi di questi problemi che non possono essere risolti da alcun computer (non importa quanto veloce) prima che l'universo giunga alla fine.

Tutte le precedenti barriere sono state scoperte ragionando in termini puramente matematici. Sebbene molti fisici possano obiettare che sto facendo affermazioni che riguardano il loro territorio, si può dire che le altre barriere furono trovate grazie alla matematica applicata (o fisica, se volete). Sappiamo fin dalla metà del XIX secolo che non è possibile costruire una macchina per il moto perpetuo, ma solo dagli anni Venti che non viaggeremo mai nello spazio a velocità maggiore di quella della luce. Sempre negli anni venti, siamo rimasti sgomenti nel sapere che non saremmo mai stati in grado di misurare precisamente le più semplici proprietà delle particelle più piccole, come i fotoni e gli elettroni. Negli anni Ottanta il caos ha fatto la sua apparizione nel campo dei sistemi dinamici, con la scoperta che il comportamento di sistemi non troppo piccoli soffre di un'altra forma di impredicibilità. Non siamo in grado di prevedere il tempo meteorologico con assoluta accuratezza, e non saremo mai in grado di farlo.

Ci sono persone tra noi che non tollerano barriere, insofferenti a ogni limitazione, come Dio avesse dato loro il diritto di essere Dio.

A parte i teologi, ci sono altri che, come me, proveranno meraviglia di fronte a queste barriere poste al pensiero e all'azione. Una barriera, tuttavia, ha il pregio di fornire anche una forma.

Come un territorio, la scienza ha spazi che possiamo percorrere liberamente, studiando i fenomeni e facendo progressi. Ma "rimbalziamo" sui muri che la ragione ha reso evidenti. In questo caso, "granitico" è un aggettivo fin troppo prudente. A differenza delle pareti di roccia e degli strapiombi, questi muri non possono essere penetrati con l'equivalente intellettivo di un buldozer o della dinamite. Si tratta di barriere insormontabili e impenetrabili. La ragione ha posto di fronte a noi diverse barriere che non può penetrare.


Due vecchie storie

Per molti secoli, si è pensato che qualcuno abbastanza intelligente avrebbe potuto quadrare il cerchio. Dato un cerchio su un foglio di carta, l'obiettivo è costruire un quadrato con la stessa area. La costruzione, ovviamente, deve essere euclidea: gli unici strumenti permessi sono un righello senza tacche e un compasso. Questi mezzi possono sembrare eccessivamente restrittivi, tuttavia con un righello e un compasso è possibile costruire un quadrato della stessa area di un triangolo, di qualunque altro quadrato (ovviamente), di un pentagono, di un esagono e di altri poligoni regolari. Ora: le figure in questa sequenza diventano sempre più simili a un cerchio. Chi può distinguere tra un cerchio e un poligono regolare con migliaia di lati? Ma quadrare il cerchio non è possibile.

Sebbene la quadratura del cerchio sia diventata sinonimo di progetto senza speranza, l'obiettivo non fu riconosciuto come impossibile fino alla fine del XIX secolo, quando il matematico Ferdinand Lindemann dimostrò questa impossibilità una volta per tutte. Prima della dimostrazione di Lindemann, alcuni dei matematici più capaci si cimentarono nella costruzione. Tutti fallirono.

Nel mondo fisico, barriere simili ci aspettano dietro l'angolo. Per molti secoli, alcune delle persone più ingegnose hanno cercato di costruire macchine per il moto perpetuo. La ricompensa sarebbe stata, ovviamente, enorme. Non solo la persona che fosse riuscita a costruire la prima macchina per il moto perpetuo sarebbe diventata la persona più riverita della storia (a parte alcuni leader spirituali), ma avrebbe anche avuto una buona possibilità di diventare la persona più ricca che fosse mai esistita sulla Terra. Fabbriche e officine avrebbero potuto funzionare con tali macchine e chiunque le avesse usate avrebbe dovuto pagare lo sfruttamento del brevetto. Con simili enormi ricompense, non è sorprendente che molti abbiano fatto finta di aver raggiunto un successo. Tutti in realtà fallirono.

[...]

Questo libro è diviso in due parti: la prima concerne le impossibilità di tipo fisico, la seconda quelle di natura matematica. La suddivisione è fatta non solo in base al cosmos e all' holos, ma anche a una dicotomia intrinseca alla prassi scientifica, che può essere induttiva o deduttiva. La scienza induttiva comprende la fisica, la chimica, l'astronomia e le altre scienze cosiddette sperimentali. La scienza deduttiva, invece, prende corpo nella matematica pura e in quella applicata, la teoria della computazione e nei campi correlati.

Il processo di induzione si basa sulla formulazione di regole che governano il comportamento dei sistemi fisici a partire da esempi particolari. Grazie a ciò, la conoscenza cresce per stratificazioni successive di concetti sempre più generali. Per esempio, le proprietà dei composti chimici, che in passato costituivano un confuso insieme di osservazioni particolari, divennero perfettamente comprensibili con la teoria atomica di Dalton, che permise di avere un quadro unificato della materia.

Il processo di deduzione, d'altra parte, opera su sistemi astratti definiti nella loro massima generalità di cui si conosce già tutto ciò che occorre per ricavare qualcosa. In tale ambito, la conoscenza si costruisce a partire dagli assiomi di un sistema, e il suo obiettivo è arrivare a tutti gli specifici teoremi che da esso è possibile ricavare. E, anche qui, la conoscenza si sviluppa per stratificazioni sempre più generali. Per esempio, ambiti apparentemente non correlati come sistemi di numeri, simmetrie di cristalli e permutazioni di lettere possono essere visti come gruppi (in senso matematico).

La generalità è uno degli obiettivi della conoscenza scientifica. Si può dire che quanto più una teoria è generale, tanto più può essere considerata scientifica. Non deve sorprendere che i campi più generali della scienza induttiva abbiano una forte componente matematica. Così, la fisica quantistica e la teoria della relatività sono quasi totalmente matematiche, pur mantenendo un sistema di riferimento interpretativo basato sulle osservazioni. Per contro, la biologia ha un contenuto matematico limitato, ma anche un gran numero di dati osservativi a cui ecologi e biologi stanno ancora tentando di dare un senso. Le due grandi scoperte della biologia – la teoria dell'evoluzione di Darwin e Wallace e la scoperta del DNA di Watson e Crick – sono tra gli argomenti più generali (e matematici) della biologia.

La teoria di Darwin-Wallace può essere vista come una semplice deduzione dagli assiomi che riguardano la riproduzione, la tendenza delle popolazioni a crescere senza limiti, e la sopravvivenza. La teoria di Watson-Crick, d'altra parte, descrive un codice matematico che costituisce la struttura di base di ogni creatura vivente. Dal punto di vista della matematica pura, né la deduzione né il codice sono di grande interesse, ma il loro significato per la scienza e l'umanità è immenso.

Con ciò non voglio sostenere che almeno una delle barriere possa rivelarsi illusoria, ma che ci possiamo aspettare che la maggior parte di esse sarà di fronte a noi ancora per lungo, lungo tempo. Questo punto di vista, che tiene sempre a disposizione una "porta sul retro", ha un certo grado di pusillanimità.

Come ha osservato correttamente Thomas Kuhn, di tanto in tanto le teorie vengono capovolte. Questo meccanismo era noto molto prima che Kuhn introducesse il termine "cambiamento di paradigma per indicare qualcosa di più di un semplice avvicendamento.

Fu Kuhn ad argomentare che le rivoluzioni scientifiche affondano le loro radici non tanto nei dati, quanto piuttosto in come essi vengono interpretati: le teorie sono "costruzioni sociali". Ciò è indubitabile, nel senso che le preferenze sociali sicuramente favoriscono una direzione di ricerca invece che un'altra o un sistema di riferimento concettuale piuttosto che un altro. I pregiudizi culturali possono far sì che uno scienziato non arrivi a un risultato, anche se qualcun altro probabilmente lo raggiungerà.

Ma sostenere che la scienza è una grande costruzione sociale equivale a buttare via il bambino insieme con l'acqua sporca. In effetti, l'interpretazione di Kuhn della rivoluzione copernicana, suo principale esempio di cambiamento di paradigma, non è corretta. La nozione tolemaica dei moti planetari, con il suo complicato sistema di epicicli, era semplicemente sbagliata. Molto prima di Copernico, pochi si trovavano a loro agio con gli epicicli e anche nel periodo post-tolemaico molti astronomi arabi erano certi che fosse scorretto.

Chiunque pensi che una costruzione sociale si celi nel lavoro di Keplero (che poggiò la teoria su solide basi con la scoperta delle orbite ellittiche) dovrebbe leggere la ricerca condotta da Tycho Brahe sulla base di dati esclusivamente osservativi. Si renderebbe conto così della frustrazione di Keplero quando scoprì che la costruzione sociale che cercava, il mysterium cosmographicum, era un triste fallimento. Semplicemente, non era in accordo con i dati.

Attualmente, nessuno dubita della teoria copernicana: è una teoria corretta. I piccoli cambiamenti introdotti dalla teoria della relatività generale non cambiano il fatto che la Terra gira intorno al Sole e non viceversa.

Si usa dire: "mai dire mai". Verranno mai penetrate, fatte saltare in aria o aggirate le barriere descritte in questo libro? Alla fine di ciascun capitolo, esaminerò quelle che appaiono come eccezioni all'affermazione iniziale e discuterò i progressi che possono indebolirla. Per esempio, per sbarazzarsi dei viaggi spaziali (poiché durerebbero milioni di anni, vincolati dal limite della velocità della luce) gli scrittori di fantascienza hanno inventato il motore di curvatura, un dispositivo che "ripiega" lo spazio. Due parti del continuo spazio-temporale, precedentemente distanti, possono essere portate in prossimità l'una dell'altra, e la nave Enterprise può saltare all'altro capo della galassia.

Ma state attenti: le limitazioni sono taalvolta sottili. Anche se disponessimo fin da ora di simili dispositivi, non potrebbero in realtà violare il limite di velocità cosmica. Dopo tutto, non viaggerebbero nello spazio, ma intorno a esso, per così dire.

Le limitazioni su ciò che si può conoscere o fare, siano esse reali o solo apparenti, hanno un effetto salutare nel portare avanti il processo scientifico e tecnologico. Sulla base della moltiplicazione dei risultati impossibili, sembra di poter prevedere con sicurezza che la scienza sarà sempre più collegata a cose non conoscibili e non realizzabili. La consolazione è forse che tutte le barriere, prese insieme, potranno disegnare in modo più netto i contorni del luogo in cui noi tutti ci troviamo a vivere.

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Pagina 89

CAPITOLO QUATTRO

Il confine del caos

Sistemi imprevedibili


Esistono alcuni sistemi classici (come il tempo meteorologico o i moti planetari) il cui comportamento a lungo termine non può essere previsto da alcuna legge matematica, né da un computer.

Ci sono pochi dubbi che il termine caos sia molto più eccitante di quanto lo sia la definizione "estrema sensibilità alle condizioni iniziali"; tuttavia si tratta di un nome un po' impreciso. Questa breve etichetta è stata applicata a un'ampia varietà di fenomeni prevedibili in linea di principio ma non in pratica. I fenomeni sono manifestazioni che riguardano quelli che i fisici chiamano sistemi dinamici, insiemi di oggetti fisici che, una volta posti in moto, seguono rigide leggi che dovrebbero rendere il comportamento dei sistemi stessi completamente prevedibili. Dov'è il problema?

Il comportamento di tali sistemi può dipendere in modo critico (e non solo approssimativo) dai loro stati in un dato istante (che per convenzione possiamo chiamare iniziale). Si dimostra infatti che una piccola variazione in uno stato iniziale può alterare completamente gli stati futuri in un tempo sorprendentemente breve. E la "piccola variazione" potrebbe essere talmente minuscola da non poter essere registrata da un computer.

Il mio esempio preferito di sistema dinamico caotico è una di quelle vecchie macchine per mescolare il caramello, quella con due barre a cucchiaio che stendono e ripiegano la prelibatezza continuamente, ogni due secondi circa. Quando una porzione di caramello viene stesa, due particelle del materiale (lasciatemele chiamare molecole di caramello) vengono in qualche misura allontanate. Quando i bracci di metallo ripassano nello stesso punto, una delle particelle può essere coinvolta nel movimento più di quanto avvenga per una particella vicina. Prima che possiate rendervene conto, le due particelle che prima erano vicine sono ora da parti opposte nella cavità di miscelazione. Questo, in breve, è il caos.

Ora se pensiamo a come viene utilizzato nel linguaggio ordinario questo termine, non c'è nulla di caotico nel processo di miscelazione. In effetti, si tratta di un sistema piuttosto ordinario. Sostituendo il caramello con un fluido viscoso ideale, proviamo a scrivere le equazioni che rappresentano il processo di miscelazione: non potremmo desiderare un sistema più deterministico di questo. Ma ugualmente non siamo in grado di prevedere sempre dove finirà una determinata particella, specialmente dopo ripetuti cicli di miscelazione.

Il problema riguarda non solo il processo in sé, ma anche il modo in cui lo rappresentiamo. Supponiamo di avere le coordinate in centimetri per la posizione di una particella ideale di caramello in un dato istante:

(21,2732; 51,3725; 0,8226)

Dove sarà esattamente la particella tra due secondi? Con tutte queste cifre decimali, dovremmo essere in grado di prevedere la sua posizione. Utilizzeremo un microscopio al computer.

Esaminerò anche una seconda particella, adiacente alla prima sotto il microscopio:

(21,2733; 51,3725; 0,8226)

Questa particella è distante solo un micron (un millesimo di millimetro) dalla prima nella direzione della prima coordinata. La questione ora diventa: dove saranno le due particelle tra due secondi? Mentre il caramello virtuale subisce il mescolamento al computer, potremmo trovare che dopo due secondi le due particelle sono distanti 3 micron. Se continua il lavoro del miscelatore matematico, il fluido virtuale verrà rimescolato in modo che, due secondi dopo, le particelle saranno distanti 5 micron. Ciò non è sorprendente, considerando che il caramello viene rimescolato ogni volta che passa la barra del miscelatore. Ma supponiamo che la prima particella di caramello si trovi piuttosto vicina al braccio del miscelatore, mentre la seconda è lontana, cosicché quando il caramello viene steso, la seconda particella finisca a circa 100 micron da quella che in precedenza era la particella vicina. Al successivo giro, le particelle potrebbero essere separate di un millimetro, poi di un intero centimetro. Dopo un numero sorprendentemente piccolo di cicli della barra, le due particelle potrebbero trovarsi da parti opposte della cavità di miscelazione.

Ma allora dov'è il caos?

Nel caso vi stiate chiedendo perché io abbia pedantemente specificato tutte le cifre, la dura verità vi verrà subito svelata. Se avessi specificato solo tre cifre decimali invece di quattro, le due particelle sarebbero state indistinguibili per quanto riguarda le loro rispettive posizioni iniziali. Dunque come potrebbe un computer che abbia registrato così tante cifre aver previsto dove la particella in quella posizione possa essere finita dopo molti cicli, quando la differenza di un'unità alla quarta cifra decimale può aver determinato una differenza così ampia? La risposta, in breve, è che non avrebbe potuto fare tale previsione con il grado di accuratezza desiderato.

Nel caramello ideale, non esiste limite al numero di cifre decimali che occorrono per prevedere dove possa essere finita una data particella in un istante successivo del funzionamento della macchina. In effetti, se ci fosse concessa la possibilità di una espansione decimale infinita per esprimere la posizione dei punti nel caramello virtuale le equazioni di mescolamento potrebbero fornire previsioni accurate. Ma i computer, ovviamente, non sono progettati per utilizzare sviluppi decimali infiniti, e neppure potrebbero esserlo.

Il punto cruciale in cui le particelle cominciano per la prima volta a separarsi drasticamente esemplifica quella che viene chiamata l'estrema sensibilità alle condizioni iniziali”, o "caos" per farla breve. Nella maggior parte dei sistemi dinamici capaci di comportamento caotico, ciò non si verifica sempre, ma solo occasionalmente. Ma, quando si verifica, tutte le previsioni vengono buttate al vento. Il fenomeno è talvolta chiamato "effetto farfalla", una metafora che esprime la presenza di caos nei sistemi meteorologici. Così, una farfalla che batta le ali in qualche luogo della foresta pluviale amazzonica oggi potrebbe fare la differenza, fra una settimana nei Paesi Bassi, tra una giornata soleggiata e un temporale.

Si può dubitare fortemente del fatto che una farfalla possa avere quest'effetto negli equilibri del pianeta - ma chi può dirlo con certezza? Come vedremo, i sistemi meteorologici appaiono caotici proprio in questo senso. Così è possibile che una brezza di zefiro che si è sviluppata lungo le coste dell'India, se fosse stata solo un poco più leggera, non avrebbe contribuito all'insorgere di un pericoloso tifone in Indonesia quattro giorni più tardi.

Nel processo di miscelazione appena descritto, non solo le particelle si separano ma possono anche tornare vicine. I sistemi caotici sono stati caratterizzati dal matematico statunitense Stephen Smale come costituiti da due operazioni: stiramento e ripiegamento.


La "scienza" del caos

Sebbene sia stata chiamata scienza, sarebbe più appropriato definire la teoria del caos una "branca della" scienza. La ricerca in questo campo consiste nella scoperta di nuovi sistemi dinamici caotici, così come nello sviluppo di teorie generali sulla loro struttura e il modo di rilevarli. Per questo la teoria del caos può essere ospitata all'interno della fisica, sebbene, come accade per molti ambiti di questa disciplina, tenda ad avere un carattere fortemente matematico. Una delle principali caratteristiche di questo nuovo campo è il ruolo degli esperimenti. La maggior parte delle scoperte sono state fatte senza utilizzare sistemi reali, ma solo simulazioni al computer. La struttura logica del modello in ogni caso ha prodotto fenomeni che i ricercatori ritengono si verifichino anche in natura. Il computer, nel frattempo, gioca a fare il cattivo della situazione. Se solo potesse maneggiare numeri con un numero infinito di cifre!

A differenza di altri campi, la teoria del caos ebbe origine in diversi luoghi e in diversi momenti, nell'arco degli anni Sessanta e Settanta del XX secolo. Una manciata di ricercatori in molti campi diversi ha studiato il nuovo fenomeno dell'estrema sensibilità alle condizioni iniziali, e pochi di loro erano consapevoli degli altri contributi al nuovo campo di studi. Nelle prossime sezioni descriverò il lavoro svolto da due di questi ricercatori negli anni Sessanta: Edward Lorenz del Massachusetts Institute of Technology e Robert May del Princeton Institute for Advanced Study. Lorenz studiava i modelli dei sistemi dinamici, mentre May si occupava del comportamento del modello preda-predatore, un modello apparentemente semplice.

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Pagina 121

CAPITOLO CINQUE

La cripta circolare

Figure non costruibili


Non è possibile costruire, con riga e compasso solamente, un quadrato di area pari a quella di un cerchio assegnato.

Vi vengono dati un foglio di carta bianca, un compasso e un righello senza tacche. Sul foglio qualcuno ha tracciato un cerchio. Siete in grado di costruire, utilizzando solamente il righello e il compasso, un quadrato che abbia la stessa area del cerchio? Se sì, non solo sarete la prima persona a risolvere il problema, ma anche la prima ad aver mai contraddetto un'intera branca della matematica, quella che implica che il compito è impossibile.

Devo aggiungere subito che la parola "teoria" è qui usata in senso stretto. Non si tratta di un'opinione o di una congettura, ma di un fatto ineludibile. Dall'età dell'antica Grecia fino a XIX secolo inoltrato, matematici e filosofi — per non dire della miriade di dilettanti appassionati — hanno pensato che la quadratura del cerchio fosse un problema difficile, ma non impossibile. Molti, in effetti, hanno supposto che i matematici avessero manifestato una specifica patologia. I sintomi principali di questa malattia, chiamata morbus cyclometricus, sono l'offuscamento della vista, l'insonnia, numerose punzecchiature (causate dallo scivolamento del compasso) e, naturalmente, cerchi sotto gli occhi. Non è nota alcuna cura.

Dal 1882, quando il matematico tedesco Ferdinand Lindemann dimostrò finalmente l'impossibilità del compito, la "quadratura del cerchio" è diventata sinonimo di impresa senza speranza.

La storia che si cela dietro il problema ha molte facce. C'è, prima di tutto, il notevole sviluppo della matematica greca, iniziato intorno al 600 a.C. e proseguito fino al 350 d.C., un periodo che si estende per quasi mille anni. Se la matematica greca avesse un'anima, essa sarebbe divisa fra il concetto di numero e quello di retta, due poli senza una "terra di mezzo". I greci compresero che numero e retta erano, in certo grado, aspetti di una stessa realtà sottostante. All'inizio del millennio greco, e per un centinaio di anni circa, essi pensarono che tutti i numeri fossero razionali, ossia rapporti fra interi (cioè, frazioni). In questa prospettiva matematica universalmente accettata, la retta consisteva di punti e ogni punto corrispondeva a un numero razionale. In altre parole, ogni punto su una retta giace a una distanza razionale da un punto dato. L'idea, se ci pensate, è decisamente affascinante. E rappresentava indubbiamente uno dei gradini grazie ai quali Pitagora e i suoi seguaci speravano di ascendere all'Olimpo delle idee. Il sapere matematico, un sapere generale, era affine allo sviluppo spirituale. Purtroppo, ciò che è bello non sempre è vero, a dispetto del poeta Keats.

La prima crisi della matematica greca, intorno al 530 a.C., fu la scoperta da parte di Pitagora dei numeri irrazionali. La sua dimostrazione che radq(2) non può essere espressa da alcun numero razionale costituisce uno dei maggiori risultati della matematica greca, e non perché sia un risultato difficile (qualsiasi studente delle medie può comprendere la dimostrazione), ma perché ha colpito nel profondo lo spirito matematico greco. L'ideale cristallino era incrinato. Sia il numero sia la retta erano ben più complessi di quanto nessuno avesse fino ad allora sospettato. Non c'è migliore illustrazione del fatto che la matematica non è "costruita".

Un altro aspetto della storia riguarda lo sviluppo di ciò che i matematici moderni chiamano la "retta reale". Si tratta sostanzialmente della stessa retta considerata dai greci, la quale – si è però scoperto – possiede una struttura incredibile. Se i greci disponevano dei numeri razionali e di una manciata di quelli irrazionali, i matematici moderni hanno individuato una struttura profonda all'interno degli stessi numeri irrazionali. Oltre alle radici di interi come radq(2) e radq(5), che ovviamente ne fanno parte, hanno scoperto i cosiddetti numeri algebrici, che possono manifestarsi solo come radici di equazioni polinomiali a coefficienti interi, due concetti che spieherò fra breve. Come se non bastasse, hanno scoperto numeri che non sono neppure algebrici, chiamati numeri trascendenti, forse perché trascendono, vanno oltre per così dire, la mera algebra. Uno dei numeri che di recente si è rivelato trascendente è pi.greco, il rapporto fra la circonferenza di un cerchio e il suo raggio. La nostra storia gira intorno a pi.greco.

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CAPITOLO SETTE

La macina infinita

Programmi impossibili


Ci sono alcune domande a risposta sì/no, perfettamente definite, alle quali nessun computer, per quanto potente e veloce sia, può rispondere.

Nell'attuale clima mediatico di "tutto-è-possibile", molte persone sono state indotte a credere che non ci sia nulla che i computer non possano fare. Ma, come vedremo in questo capitolo e nel prossimo, ci sono alcune cose, veramente importanti, che i computer non possono fare. Di più, non possiamo neppure sviluppare un progetto generale per la produzione di computer illimitatamente potenti, che si tratti di macchine a parallelismo massiccio, computer quantistici, a DNA o quel che volete. Ognuna di queste possibilità può dar luogo a computer più veloci, ma ciò che non è computabile, non è computabile. Da questo punto di vista la velocità non vuol dire nulla. Potreste anche disporre di un computer che raddoppia la sua velocità ogni secondo che passa, ma non farebbe alcuna differenza.

C'è un motivo di fondo per questa limitazione. Tutti i computer sono creati uguali, in un senso importante del termine: una volta che un computer (di qualsiasi tipo) è completamente programmabile, arriva a una soglia oltre la quale non può progredire. Per "completamente programmabile" intendo che il computer in questione sia in grado di eseguire un programma in un linguaggio che include istruzioni per la memorizzazione e il recupero di numeri e l'esecuzione, su di essi, delle operazioni aritmetiche fondamentali. La maggior parte dei linguaggi di programmazione va, ovviamente, ben oltre queste semplici operazioni, ma ciò non fa differenza per il tipo di potenza che qui prendiamo in esame.

Qualsiasi computer completamente programmabile può simulare qualsiasi altra macchina di questo tipo, il che significa semplicemente che quello che è capace di fare una macchina, sono capaci di farlo tutte, anche se la velocità varia in modo enorme. Al converso, se esistesse un compito di fronte al quale un computer fosse votato a fallire, pur avendo a disposizione un tempo lungo a piacere, allora fallirebbero tutti i computer. Questa limitazione ha tuttavia una curiosa lacuna in sé: non è realmente un teorema, ma una congettura. Anche se questa tesi si rivelasse errata, i limiti dei computer, quali li intendiamo oggi, resterebbero. Significherebbe solo che esiste un tipo completamente differente di computer che riesce a superare queste limitazioni.

La congettura è nota come tesi di Church, dal nome del logico americano Alonzo Church. Ed è quasi certamente vera per una ragione molto profonda: tutti i tentativi di arrivare a una definizione di ciò che significa calcolare, o computare, sembrano dar luogo a macchine equivalenti. Ci sono tre famosi risultati, scoperti tutti verso la metà degli anni Trenta, ciascuno dei quali descrive uno schema computazionale molto differente dagli altri. Tutti e tre gli schemi si rivelano essere, però, facce diverse di un unico schema. Tutti, infatti, descrivono esattamente la stessa classe di funzioni. L'unica proprietà che li distingue è che procedono per passi di un certo tipo o di un altro.

Nel corso degli ultimi cento anni, matematici e logici erano divenuti via via più consapevoli che la stessa struttura della matematica era un buon argomento di ricerca. Era divenuto sempre più importante disporre di una descrizione del ragionamento matematico; non tanto del lato creativo, quando la comprensione arriva come un lampo accecante, quanto del faticoso procedere passo passo con cui la scoperta matematica deve essere scritta (e controllata) per essere sicuri che sia corretta. Questo processo, catturato dal formalismo di Hilbert, Gödel e molti altri matematici, ha un parallelo con l'algebra, nella quale una formula conduce a un'altra attraverso manipolazioni algebriche.

Le parole per riferirsi al processo di sviluppo passo passo di un'idea, certo non mancano: "processo mentale", "procedura effettiva", "algoritmo". L'ultima è quella più comunemente usata e non ha una vera e propria definizione, in quanto viene normalmente impiegata in modo informale. Ma corrisponde alla nozione di qualsiasi processo che (a) sia definito e chiaro, (b) proceda passo passo, e (c) alla fine termini con una risposta. La tesi di Church dice, in effetti, che comunque si tenti di definire la parola "algoritmo", la definizione conduce a uno schema computazionale che è logicamente equivalente agli altri schemi fino ad ora proposti. Probabilmente non c'è modo di dimostrare la tesi di Church, solo di confutarla. Č una situazione peculiare, poiché non sappiamo se qualcuno un giorno non sarà in grado di venir fuori con la descrizione di un processo algoritmico che vada al di là di quella soglia uniforme che chiamiamo "computabilità". Fino a che non avverrà, continueremo a credere in essa.

Il resto del capitolo elaborerà questi semplici concetti in modo da portarci al cuore di ciò che chiamiamo calcolare. Al centro della nostra attenzione sarà l' Entscheidungsproblem; una formidabile parola tedesca che indica il "problema della decisione". Non c'è in realtà un problema della decisione, ma molti. Ciascun problema della decisione non fa nulla di più che fornire una risposta "sì" o "no". Un problema di decisione per gli interi sarebbe quello di stabilire, per ogni intero arbitrario, se è primo o no. Per questo problema della decisione l'algoritmo esiste, sicché il problema è decidibile. Un problema della decisione per la formula logica studiata da Gödel (si veda il capitolo precedente) dovrebbe decidere, data una formula arbitraria, se essa possiede una dimostrazione o no. Come Gödel ha effettivamente mostrato, non esiste un algoritmo per risolvere questo problema della decisione, sicché il problema è indecidibile.

Nei paragrafi successivi descriveremo la nascita concettuale del moderno computer in un mondo di concetti astratti che, a prima vista, sembra molto lontano da quello in cui queste stupefacenti macchine oggi operano.

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