Copertina
Autore Philip K. Dick
Titolo Vita breve e felice di uno scrittore di fantascienza
EdizioneFeltrinelli, Milano, 2001 [1997], UE 1658 , pag. 160, dim. 125x195x9 mm , Isbn 978-88-07-81658-1
OriginaleThe Shifting Realities of Philip K. Dick [1995]
PrefazioneLawrence Sutin
TraduttoreGianni Pannofino
LettoreRenato di Stefano, 2001
Classe fantascienza , critica letteraria , storia letteraria
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Indice


  7 SCRITTI AUTOBIOGRAFICI

  9 Due frammenti dal romanzo mainstream
    Gather Yourself Together (1949)
 13 Presentazione dell'autore (1953)
 15 Materiale biografico su Philip K. Dick
    (1968)
 17 Autoritratto (1968)
 26 Appunti notturni di uno scrittore
    di fantascienza stanco (1968, 1972)
 29 Materiale biografico su Philip K. Dick
    (1972)
 31 Materiale biografico su Philip K. Dick
    (1973)
 33 Memorie ritrovate sul retro di una ricetta
    veterinaria (1976)
 39 Vita breve e felice di uno scrittore di
    fantascienza (1976)
 48 Strane memorie di morte (1979, 1984)
 55 Philip K. Dick e la filosofta: breve
    intervista (a cura di Frank C. Bertrand,
    1980, 1988)

 59 Nota alla sezione Scritti autobiografici

 61 SCRITTI SULLA FANTASCIENZA
    E SU TEMI A ESSA LEGATI

 63 Pessimismo e fantascienza (1955)
 66 Sarà mai perfezionata la bomba atomica?
    E, se sì, che ne sarà di Robert Heinlein?
    (1966)
 72 The Double: Bill Symposium: risposte a un
    questionario per scrittori ed editori di SF
    professionisti (1969)
 77 Quella targa sulla Luna (1969)
 78 Chi è lo scrittore di SF?
 90 Rivalutazione dell'esperimento di Michelson
    e Morley (1979)
 91 Introduzione a Dr. Bloodmoney (1979, 1985)
 96 Introduzione a The Golden Man (1980)
111 Recensione al libro The Cybernetic
    Imagination in Science Fiction (1980)
114 La mia definizione di fantascienza (1981)
117 "Predizioni" di Philip K. Dick, comparse in
    The Book of Predictions (1981)
119 Artefici (e distruttori) di universi (1981)
123 Nota introduttiva a Beyond Lies the Wub

125 Nota alla sezione Scritti sulla
    fantascienza e su temi a essa legati

129 Postfazione
    di Lawrence Sutin

153 Bibliografia essenziale

 

 

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Due frammenti dal romanzo mainstream
Gather Yourself Together (1949)



Ecco cos'è successo alle cose uscite dall'umida terra, dal lurido fango e dalla polvere. A tutte le cose viventi, grandi e piccine. Hanno fatto la loro comparsa, divincolandosi a fatica da quell'umidità appiccicosa. E poi, dopo qualche tempo, sono morte.

Carl tornò a guardare quella giornata, la luce del sole e le colline. Sembrava tutto diverso, ormai, da come gli era apparso qualche istante prima. Forse era riuscito a vedere con maggiore chiarezza. Il cielo, blu e immacolato, si estendeva a perdita d'occhio. Ma ne cadevano sangue e piume. Il cielo era bello quando lui lo osservava da molto lontano. Ma quando lo guardava a distanza troppo ravvicinata non era affatto carino. Era spaventoso e aspro.

Il cielo era tenuto insieme da puntine da disegno e carta gommata. Si era rotto ed era stato aggiustato; si ruppe di nuovo e fu riaggiustato. Si sgretolava e cedeva, marciva e ondeggiava nel vento finché, come nelle favole, un pezzo di cielo non cadde sulla terra.

Carl continuò a camminare lentamente. Abbandonò la strada e si avviò su per una stradina sterrata. Subito si trovò a risalire a grandi passi un pendio erboso, con il respiro affannato. Si fermò un istante e si voltò indietro.

La Compagnia e le sue proprietà erano già rimpicciolite, sotto di lui. Ridimensionate, in procinto di svanire. Carl si sedette su un sasso. Il mondo, attorno a lui, era muto e immobile. Non si muoveva foglia. Il suo mondo. Il suo silenzioso mondo personale.

Ma lui non lo capiva. E, allora, com'era possibile che fosse il suo mondo? Era uscito per sorridere ai fiori e all'erba. Ma aveva trovato dell'altro, qualcosa cui era impossibile sorridere. Qualcosa di assolutamente sgradevole. Qualcosa che non gli piaceva, che lui non capiva e neppure voleva.

Dunque, non era il suo mondo. Se fosse stato il suo mondo, lui l'avrebbe organizzato diversamente. Era stato assemblato male. Molto male. Assemblato in modi che lui non poteva approvare.

Un uccello silenzioso, morto in mezzo alla strada. Gli ricordava qualcosa. I suoi pensieri vagarono. Che cosa gli ricordava? Una strana sensazione alla deriva. Era già successo. Quell'identica cosa. Era uscito e aveva trovato qualcosa di terribile. Qualcosa che non aveva senso. Qualcosa che lui non sapeva spiegare né capire.

Dopo un po', gli sovvenne. Il gatto. Il vecchio gatto morente, con le sue orecchie lacere, privo di un occhio, il corpo smilzo e prosciugato e chiazze di pelo che venivano via. Il gatto e l'uccello. Altre cose. Le mosche svolazzanti all'intorno. File di formiche. Cose mortali, che scompaiono in silenzio, che vanno alla deriva. E nessuno che veda o se ne curi.

Non l'aveva mai capita, quella cosa da lui trovata nel vasto e caldo mondo. Non significava nulla. Non aveva alcun senso. C'era uno scopo? Una ragione?

Quando si era reso conto che il gatto era morto, era rientrato in casa, camminando lentamente, immerso nei pensieri. Una volta in casa, era andato nella sua stanza, alle sue cose. Il suo microscopio. I francobolli, le cartine geografiche, i disegni, i libri. Questo aveva senso. Uno scopo. La loro esistenza era giustificata. Poteva osservare quelle cose e capirle.

Carl si sedette sul pendio della collina e pensò alla sua infanzia. Non era poi passato così tanto tempo. Non dovette risalire a molti anni addietro. Sentiva i ricordi che sorgevano intorno a lui e filtravano da ogni lato. Immagini, odori. Gusti. Il suo passato era con lui. Era vicino, appena sotto la superficie. In attesa di emergere. La sua stanza. Il suo microscopio. I disegni che aveva fatto.

Si sedette e si abbandonò al ricordo.

I suoi seni lo stupirono. Non erano aggettanti e rivolti all'insù. Non erano sodi e prominenti come risultava dai disegni. Pendevano e, quando lei si piegò, ricaddero. Sobbalzarono e oscillarono, quando lei raccolse i vestiti e, rialzandosi e ripiegandosi, li indossò. Non erano affatto turgide coppe, bensì carne, come il resto del corpo di lei: soffice e pallida carne. Come otri penzolanti fuori dalle tende di villaggi mediorientali. Sacchi, sacchi di carne traballanti che forse, a volte, la intralciavano.

Si abbottonò i pantaloncini rossi e avvolse attorno a sé la blusa grigia. Si sedette per allacciarsi i sandali. A quel punto sembrava identica al solito, non bianca, nuda, tarchiata. I suoi seni erano tornati a essere curve sotto la blusa, non otri rigonfi penzolanti. Con quei pantaloncini e la blusa aderenti sembrava più alta e più magra.

Finì di vestirsi e se ne andò. Lui la perse di vista. Era scomparsa. Era tutto finito. Si rilassò. Il sangue si placò. Il cuore cominciò a tornare alla normalità, e il colore gli deflui dalle guance e dalle orecchie. Sospirò.

Era successo davvero? Si sentiva stordito. In un certo senso era deluso. Lei si era rivelata bianca e bassa, con dei rigonfiamento qua e là. Gambe per camminare e piedi su cui poggiare. Il corpo di lei era come tutti gli altri, una creazione fisica, uno strumento, una macchina: era venuto al mondo come ogni altra cosa, dalla polvere e dal fango viscido. Dopo un po' si sarebbe consumato e avrebbe ceduto, si sarebbe rotto e piegato, e lo scotch, la colla e le puntine da disegno l'avrebbero fatto ricadere al suolo, da dovera venuto.

Si sarebbe stracciato e rovinato. Sarebbe svanito e sarebbe stato dimenticato, come l'erba e i fiori e il grande abete che incombeva su di lui, come le colline e la stessa terra. Faceva parte del mondo ordinario, cosa materiale tra le altre cose materiali. Soggetto alle stesse leggi. Operante alla stessa maniera.

D'un tratto, pensò ai propri disegni, alle pin-up che aveva copiato, a tutte le idee e le immagini che gli si erano affollate in mente, li seduto nella sua stanza soffocante, con il sole che filtrava tra le tende. Sorrise. Be', se non altro, aveva compreso un'altra cosa. Aveva perduto tutte le immagini e le illusioni più care, ma aveva capito qualcosa che fino ad allora gli era sfuggito. I corpi, il suo corpo, il corpo di lei erano praticamente tutti identici. Appartenevano allo stesso mondo. Nulla esisteva al di fuori del mondo, nessun grande regno dell'anima fantasma, la regione del sublime. Solo quello esisteva: quel che vedeva con i suoi occhi. Gli alberi, il sole, l'acqua. Lui, Barbara, tutti e tutto ne facevano parte. Non esisteva altro.

E non era come se il suo segreto mondo interiore, il mondo di spirito che lui aveva così a lungo alimentato, avesse improvvisamente cominciato a crollargli intorno. Non c'erano rovine e tristi reliquie da raccogliere. Al contrario, tutti i sogni e le idee che aveva coltivato così a lungo erano svaniti di colpo, in un batter d'occhio. In silenzio, come una bolla di sapone. Scomparsi per sempre. Come se non fossero mai esistiti.

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Pagina 78

Chi è lo scrittore di SF?



La gioia che dimostrano gli scrittori di fantascienza quando si incontrano di persona, alle convention o alle conferenze, costituisce un aspetto che li caratterizza tutti in egual misura, esordienti e vecchi professionisti. Si instaura sempre un rapporto d'intesa profondo, anche se le idee politiche espresse nei rispettivi lavori possono essere in netto contrasto tra loro: è come se le posizioni anche opposte - che, si potrebbe pensare, creano necessariamente barriere tra le persone - non avessero alcuna incidenza, e l'atmosfera, in occasione degli incontri di scrittori di SF, è sempre quella di una riunione di famiglia, di una rimpatriata tra vecchi amici e amici nuovi, con i quali c'è, di base, una sostanziale affinità di vedute o di mentalità. I rapporti sono quasi sempre improntati al reciproco rispetto personale, oltreché delle rispettive opere. Siamo come membri di un gruppo etnico un tempo strettamente uniti; poi dispersi e, infine, temporaneamente riuniti. Non ho mai avuto questa sensazione con alcun altro gruppo di persone: abbiamo un che di speciale che non solo ci accomuna, bensì ci lega, invece di separarci come succede negli ambienti dei cosiddetti "narratori newyorchesi", in cui la gelosia e l'invidia croniche e gli amari sfoghi impediscono i contatti personali. Per quel che ne so io, questo tipo di cameratismo e di rapporto è, almeno attualmente, unico nel mondo dell'arte. È indicativo di come siamo.

[...]

Direi, dunque, che lo scrittore di fantascienza condivide in una certa misura tanto le preoccupazioni scientifiche quanto quelle politiche. Gli scienziati approfondiscono le loro conoscenze passando molto tempo nei laboratori; gli attivisti scendono in strada e manifestano. Lo scrittore di SF apre squarci su altre totalità - alcune buone, altre cattive, altre ancora semplicemente bizzarre - e vuole attirare la nostra attenzione su di esse. Quindi è anche una figura letteraria, oltreché un po' politica e un po' scientifica: è tutte queste cose insieme e forse altro ancora. Quanto a considerare il suo lavoro come mera evasione, non c'è al giorno d'oggi idea della SF meno adeguata di questa. Nei suoi scritti egli parla della realtà con altrettanta passione e convinzione di quanta ne sia necessaria per ottenere la modifica di un cattivo piano regolatore. Questa è la sua forma, perché in fondo lui non si identifica con nessuno dei tre tipi summenzionati, essendone invece una mescolanza. A un certo punto della sua vita ha cominciato a pensare che le parole sono cose: possono esercitare una forza e divenire strumento per conseguire obiettivi desiderati. Questo, io credo, lo accomuna agli altri scrittori; ma se si aggiunge quest'ultimo elemento alla sua costituzione intellettuale quasi-scientifica e quasi-politica, si capisce immediatamente che quanto egli vuole fissare sulla carta, oltreché il suo movente, è totalmente diverso da quello che si incontra in autori dediti ad altri generi. Questi possono voler ritrarre un aspetto grazioso, pittoresco - cristallizzando l'immagine di un isolato nei bassifondi del Bronx e la vita che vi si svolge intorno al 1930 perché le generazioni future possano leggerla - ma lo scrittore di SF è interessato a cristallizzare non una scena, bensì una visione - anzi, una serie di visioni - che ha elaborato nella sua mente. Non esiste alcun mondo infantile reale, ormai lontano e ridotto al rango di ricordo, che lo tormenti: lui è libero e felice di scrivere di un'infinità di mondi, immune dalla tendenza a cristallizzare checchessia - la sua infanzia in una piccola città nickel-carbonifera, magari. Desidera mettere su carta tutte le possibilità che gli paiono degne d'essere registrate e poi, eventualmente, comunicate ad altri.

"Flessibilità" è la parola chiave, qui: è la creazione di multiversi, più che di un universo, ad affascinarlo e ad attrarlo. "E se?..." è il suo costante punto di partenza. Un po' scienziato, un po' attivista politico, ma con la fede nel potere magico della parola scritta, con la sua inquietudine, la sua impazienza; metterà in moto per voi un mondo nuovo dopo l'altro, data una serie di fatti o anche un solo fatto da cui partire. Si interessa delle possibilità, non della realtà in atto. Ma, come ho detto, le sue possibilità non hanno nulla a che fare con l'evasione (anche se, di nuovo, molta SF da quattro soldi è davvero pura e semplice evasione, soprattutto quando tende verso i deliri di potenza) perché la loro fonte è saldamente radicata nella realtà. È un sognatore con un occhio aperto, sempre intento a valutare con freddezza quel che sta succedendo. E però pensa: "Non deve essere necessariamente così. E se un giorno ci svegliassimo e scoprissimo che tutti gli uomini sono sterili tranne?...". Lo scienziato che è in lui gli farà preferire possibilità plausibili, a differenza delle storie sugli hobbit e sugli specchi magici. Prendendo a prestito le parole con cui Santayana definiva la nostra vita durante la veglia, lo scrittore di SF "sogna sotto il controllo dell'oggetto": d'accordo, ma questi, per quanto l'oggetto sia potente, mostra anche una capacità, che è l'aspetto per me più emozionante: riesce speculativamente a sottrarci alla presa immobilizzante da parte dell'oggetto. Questo ci tiene ancora in pugno, ma non più così saldamente. Lo scrittore di SF è in grado di dissolvere il normale carattere assoluto degli oggetti (del nostro ambiente, della nostra vita quotidiana): egli ci trasporta in un terzo spazio, che non è quello concreto e neppure quello astratto, bensì qualcosa di diverso che è collegato a entrambi e quindi importante. Così, veniamo trasportati altrove, ma senza perdere il legame che ci rende coscienti di vivere in una particolare società, in una data epoca; nessuno scrittore di SF vorrebbe farcene dimenticare, o distrarci dai reali problemi che ci circondano. Lui dice semplicemente: "Ehi, m'è venuto in mente che se succedesse la tal cosa o la talaltra, allora...", ed è questo "allora" che introduce la narrazione, perché l'evento di cui si parla (Washington spazzata via da una misteriosa alta marea, o qualsiasi altro antefatto si voglia inventare) non è successo, e probabilmente non succederà - cosa a cui peraltro noi non vi chiediamo di credere. È solo che la quotidiana tirannia del nostro mondo concreto - cui generalmente soccombiamo, abbandonandoci passivi nelle sue mani, accettandone l'immutabilità -, la tirannia della realtà immediata crolla.

Spesso lettori e scrittori di SF vengono considerati affetti da una specie di sindrome che induce alla fuga dalla realtà, come nel caso degli schizofrenici. Ci si immagina un adolescente disturbato chiuso nella sua stanza a leggere avidamente "Spicy Science Fiction Horror Tales" e a rifugiarsi in orrende fantasie come modo per risolvere i problemi della società. Ma un carattere primario dello schizofrenico è la sua incapacità di pensare in termini astratti, al punto che i suoi processi mentali si legano involontariamente a stimoli immediati, al cosiddetto pensiero concreto. La creazione di grandi storie di società future su altri pianeti non trae alcun vantaggio da una condizione di schizofrenia incipiente; ma, se anche dovessi sbagliarmi, è evidente che la tv sta sfruttando la schizofrenia molto meglio della SF.

Il vero e proprio corpus fantascientifico, composto dalle opere degli scrittori davvero importanti (ma credo che la maggior parte di noi lo sia), non costituisce un'alternativa allo sguardo sulla realtà, perché, fondamentalmente, ha a che fare con la realtà, a differenza del genere fantasy, e gli scrittori non sono clinicamente disturbati: ho conosciuto molti, moltissimi colleghi, nel corso degli anni, e ho scoperto persone geniali, calorose e amichevoli, che detestano l'isolamento imposto dalla necessità tragicamente solitaria di doversi rinchiudere - per un anno, magari - nel proprio studio, per scrivere un romanzo senza essere interrotti... Scrivere è una professione solitaria - o, almeno, così è per me. Ecco cosa rimprovero al mio lavoro: non di indurmi alla fuga nelle "fantasie" dei miei romanzi, bensì di separarmi da mia moglie, dai miei bambini, dagli amici.

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Pagina 114

La mia definizione di fantascienza (1981)



Tenterò inizialmente di definire la fantascienza per ciò che non è. Non può essere ridotta a "racconto (o romanzo o dramma) ambientato nel futuro", perché esiste già il genere delle avventure spaziali, che è ambientato nel futuro ma non è SF. Si tratta semplicemente di avventure, lotte e guerre spazzali ambientate nel futuro, con l'uso massiccio di tecnologia superavanzata. Perché, allora, non è fantascienza? Sembrerebbe esserlo, e Doris Lessing (per esempio) ne è convinta. Le avventure spaziali, però, mancano della nuova idea caratteristica che ne è l'ingrediente essenziale. Inoltre, può esserci fantascienza ambientata nel presente, come nei racconti e romanzi sui mondi alternativi. Dunque, se distinguiamo la SF dall'ambientazione nel futuro e dalla tecnologia superavanzata, quali elementi ci restano ai fini della sua definizione? Il primo è dato dalla creazione di un mondo fittizio, di una società che non esiste realmente, ma che è basata sulla nostra, la quale funge da trampolino per quella fittizia: questa deriva da quella reale - magari ortogonalmente, come nel caso dei romanzi o racconti sui mondi alternativi. È come un mondo trasposto a opera dello sforzo mentale dell'autore, un mondo trasformato in qualcosa che non è, o non è ancora diventato. Questo mondo deve differire da quello reale per almeno un aspetto, che sia sufficiente a giustificare gli eventi che non potrebbero accadere nella nostra società né in quelle conosciute, presenti e passate. Alla base di questa trasposizione dev'esserci un'idea coerente; cioè, la trasposizione devessere fondata e non volgare o semplicemente bizzarra. Questa è l'essenza della fantascienza: una trasposizione fondata nella società in modo da far emergere, nella mente dell'autore, una società nuova che, trasferita su carta, produce nella mente del lettore uno shock convulsivo, lo shock del riconoscimento negativo [shock of dysrecognition]. Questi sa che non è del suo mondo reale che si tratta.

Invece, distinguere la fantascienza dalla fantasy è impossibile, e se ci si pensa un attimo si capisce il perché. Prendete il caso della parapsicologia, o i mutanti che troviamo in Nascita del superuomo, stupendo romanzo di Ted Sturgeon. Se il lettore crede nell'esistenza di questi mutanti, allora considererà il romanzo di Sturgeon un'opera di fantascienza. Se invece crede che tali mutanti, come fate e draghi, non esistano e non esisteranno mai, allora lo considererà fantasy. La fantasy tratta di ciò che il senso comune ritiene impossibile; la fantascienza tratta invece di ciò che il senso comune considera possibile, date particolari condizioni. Questa affermazione, in essenza, è arbitraria, dato che il possibile e l'impossibile [non possono essere] conosciuti oggettivamente e sono, piuttosto, una credenza soggettiva del lettore.

Passiamo ora a definire la buona fantascienza. La trasposizione fondata - cioè l'idea nuova - dev'essere davvero nuova (o quantomeno una variazione sul tema di un'idea vecchia) e deve risultare intellettualmente stimolante per il lettore: deve invadergli la mente e risvegliare la possibilità di qualcosa a cui fino a quel momento non aveva pensato. Dunque, la "buona fantascienza" è un concetto limite, più che un qualcosa di oggettivo; eppure, sono oggettivamente certo dell'esistenza di una buona fantascienza.

Credo che il dottor Willis McNelly, della California State University di Fullerton, abbia detto bene, quando ha affermato che il vero protagonista di un racconto o di un romanzo di SF è un'idea, non un personaggio. Se si tratta di buona SF, l'idea è nuova e stimolante, e probabilmente - cosa ancor più significativa - innesca una serie di reazioni a catena che producono una proliferazione di idee nella mente del lettore; in un certo senso, essa spalanca la mente del lettore in modo che questa, come la mente dell'autore, sia in grado di cominciare a creare.

Dunque la SF è creativa e stimola la creatività, cosa che alla narrativa mainstream, perlopiù, non riesce. A noi lettori di SF (parlo come lettore, non come scrittore) piace leggerla perché adoriamo far l'esperienza intellettuale di quella reazione a catena innescata da una nuova idea incontrata in un libro che abbiamo letto. Insomma, la migliore fantascienza dà origine a una collaborazione tra autore e lettore, nell'ambito della quale entrambi creano, divertendosi: la gioia è l'ultimo e indispensabile ingrediente della fantascienza - la gioia data dalla scoperta del nuovo.

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