Copertina
Autore Simona Di Marco
Titolo Frederick Stibbert
Sottotitolo1838-1906. Vita di un collezionista
EdizioneAllemandi, Torino, 2008 , pag. 176, ill., cop.ril.sov., dim. 21,5x31,3x2 cm , Isbn 978-88-422-1688-9
LettoreGiovanna Bacci, 2009
Classe arte , musei , citta': Firenze , collezionismo
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Indice


  9 Introduzione

 11 La famiglia Stibbert

 21 L'educazione di Frederick

 4S Padrone di se stesso

 68 Tra pubblico e privato

105 Il mio museo

133 Il museo
    FOTOGRAFIE DI MASSIMO LISTRI


    APPARATI

167 Bibliografia

171 Fonti archivistiche

173 Indice dei nomi e dei luoghi notevoli


 

 

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Pagina 9

Introduzione


Il nome dì Frederick Stibbert è legato nella memoria di tutti al suo museo, esattamente come lui stesso avrebbe desiderato, ma sono in pochi a conoscere l'uomo, oltre che le sue realizzazioni.

Su Stibbert si è scritto molto, soprattutto in relazione alle sue raccolte, anche se nessuno sì è mai occupato di ricostruirne la vita, di farne emergere la personalità, tanto che su di lui si ascoltano spesso notizie imprecise o frutto di immaginazione: dal semplice equivoco che la famiglia fosse di origine svizzera o tedesca, derivato dalla sonorità del nome, fino a episodi fantasiosi e del tutto infondati, come il fatto che seppellisse nel parco le armature false o che allevasse un coccodrillo nel laghetto del tempio egizio, il quale passeggiando per il giardino mordeva ì piedi agli ignari visitatori. I cittadini fiorentini, molto legati al museo e alla memoria del collezionista angloitaliano, sono anche i principali artefici di queste colorite leggende, che affondano le loro radici nella curiosità che Stibbert suscitava con la sua complessa personalità e nell'interesse che si sviluppò intorno a questa famiglia, di origine inglese ma fortemente radicata a Firenze.

Il Museo Stibbert è un'istituzione ormai da cento anni; fu infatti fondato nel 1908, in esecuzione delle volontà testamentarie di Frederick, e da allora ci ricorda il grande impegno collezionistico del suo creatore e il progetto che improntò tutta la sua vita. Tuttavia, la figura di Stibbert richiede una conoscenza più approfondita, che metta in luce le molte sfaccettature della personalità di un uomo che fu per prima cosa legato al proprio tempo, espressione di quella borghesia ottocentesca che spaziava attraverso tutta l'Europa, collegando Italia e Inghilterra, oltre che Francia, Germania e Spagna, in una fitta rete di viaggi, di spostamenti, di partecipazione culturale, ideologica e politica.

Stibbert, di famiglia inglese ma nato a Firenze, figlio di un'italiana ma educato a Cambridge, fu una figura emblematica di quella cultura, che trae origine dalla grande ricchezza personale, ma che si nutre del confronto con il mondo e degli stimoli provenienti da ogni ambiente.

Cercheremo di far emergere l'importanza che ebbero le sue origini, e come la storia della famiglia abbia influito sulla sua formazione e sulla sua innegabile fortuna. Illumineremo le figure del nonno, il generale Giles, e del padre, ìl colonnello Thomas, che sono sempre rimaste in penombra nella grande vicenda stibbertiana, mentre ne sono antefatti essenziali. Daremo alla madre Giulia il giusto riconoscimento, di donna volitiva e determinata come effettivamente fu, vero centro aggregante all'interno del nucleo familiare. Guarderemo con particolare attenzione agli anni giovanili di Frederick, che non sono mai stati oggetto di infagine, e ci appassioneremo alle sue storie sentimentali, sinora ignorate da tutti.

Seguiremo i nostri personaggi per oltre un secolo, tra la metà del Settecento e i primi anni del Novecento; li vedremo attraversare ì grandi eventi storici con le loro vicende personali. E soprattutto cì faremo guidare da Frederick Stibbert, scoprendo un Ottocento privato e al tempo stesso universale; leggeremo attraverso di lui momenti significativi della storia d'Italia, ma vivremo con lui anche la vita di tutti i giorni, fatta di amicizie importanti e di amori clandestini, di mondanità e di profonda cultura.

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Pagina 105

Il mio museo


PREMESSE

La vicenda che condusse Frederick Stibbert alla creazione del museo è stata molte volte indagata da varie angolazioni, collezionistiche e museologiche, e richiederebbe da sola un intero lavoro specificamente destinato. In questa sede si vuole solo tracciare una sintesi di quegli eventi, con particolare attenzione non tanto agli aspetti artistici che le grandi raccolte richiamano, ma come sempre alla vicenda personale di Frederick, ai tempi e ai modi che lui volle dedicare a questo grandioso impegno e a quanta parte delle sue energie e del suo particolare slancio di carattere fu riversata in questa opera.

Il museo come oggi lo possiamo ammirare è il risultato del lavoro di tutta una vita, che Stibbert affrontò istintivamente sin da giovane, acquisendo progressivamente sempre maggior consapevolezza nel progetto che andava realizzandosi, e che si concluse soltanto al momento della sua morte, avvenuta nel 1906.

Sin dagli anni trascorsi a studiare in Inghilterra, si manifestarono in lui i germi della futura grande passione collezionistica, e non deve stupirci la precocità di tali interessi. L'Inghilterra degli anni cinquanta del XIX secolo, e più in particolare Londra, era attraversata da fermenti culturali molto stimolanti per chi avesse avuto attenzione per tali fenomeni. L'evidente passione di Frederick per le arti applicate corrispose a un generale revival di queste manifestazioni artistiche, che nei secoli erano state geniale espressione di tutti quegli artigiani che avevano saputo fondere le esigenze estetiche con le necessità pratiche, realizzando oggetti d'uso di particolare bellezza.

Nel 1851 la Grande Esposizione allestita al Crystal Palace di Londra, appositamente costruito, celebrava la grandezza industriale ed economica dell'Impero britannico, ma sanciva anche definitivamente la dignità delle cosiddette arti minori. Dal grande successo dell'esposizione, che fu visitata da sei milioni di persone, emerse la volontà di istituire, per la prima volta in Inghilterra, un vero e proprio museo delle arti applicate, sotto gli auspici dello stesso principe Alberto, che scelse l'ubicazione nella zona di South Kensington, dove doveva sorgere un'intera città dedicata alle arti, alle scienze e all'industria.

Il South Kensington Museum vide la luce nel 1852, e nel 1857 fu trasferito nella sua attuale sede, dove poi prese il nome di Victoria and Albert Museum, a testimonianza dell'impegno profuso dai regnanti nella sua realizzazione e della perfetta coerenza del messaggio trasmesso dal museo con l'indirizzo culturale dell'età vittoriana.

In questa Londra postromantica che riscopriva il fascino del passato e la suggestione che da esso emergeva per l'attività del presente, il giovane Stibbert, scolaro disattento ma sensibile ai fenomeni artistici, vedeva nascere le proprie future grandi passioni. E il resto dell'Europa risuonava di simili richiami, nella riscoperta del fascino del Medioevo che già aveva segnato la nascita del Musée de Cluny a Parigi, sviluppatosi intorno alla collezione di un grande privato, Alexandre du Sommerard, poi acquisita dallo Stato francese per trasformarlo in museo nazionale del Medioevo.

Poco tempo dopo, all'inizio degli anni sessanta, quando anche Firenze si pose il problema di istituire un museo di arti minori, la scelta si orientò sul Bargello e fu fortemente sostenuta dagli intellettuali stranieri residenti in città. Il comitato che si occupò dell'organizzazione della prima grande mostra lì allestita per il centenario della nascita di Dante, nel 1865, aveva tra i suoi membri, oltre a William Blundell Spence che si era già impegnato nella formazione delle raccolte del South Kensington, anche il «cavalier Federigo Stibbert», solo ventisettenne, che prestò alcune delle armi e armature antiche di sua proprietà e fece parte della commissione per la scelta delle opere presentate dai privati, confermando un ruolo già riconosciuto in città al giovane collezionista. Questa attiva partecipazione gli valse, tra l'altro, la nomina a cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro (fig. 18), in riconoscimento dei meriti culturali.

Per offrire una migliore comprensione del grande impegno che Stibbert riservò alla creazione del proprio museo, è forse bene dare qui una descrizione del suo attuale stato, per valutarne pienamente la consistenza. Quando si parla di «collezioni Stibbert», infatti, si intende un patrimonio di oltre sedicimila numeri di inventario, che comprende al suo interno sia oggetti singoli (un elmo) sia insiemi complessi (un'armatura composta di molte parti e un servito di porcellana di decine di pezzi). È stato calcolato approssimativamente che le raccolte contino nel complesso oltre trentamila oggetti, compresi quelli attualmente in deposito; ai tempi di Stibbert alcuni di questi facevano da corredo all'esposizione e sono stati rimossi dopo la sua morte, quando la casa-museo si volle trasformare in «museo» e molto dell'allestimento stibbertiano fu considerato superfluo e indegno dell'esposizione.

Nel complesso, l'edificio della villa contava alla morte di Frederick oltre sessanta tra sale espositive, ambienti abitativi e di servitù. L'ingresso centrale che si affacciava sul parco divideva l'edificio nelle sue parti principali: il museo a sud, le stanze di rappresentanza verso nord, quelle private al primo piano e quelle di servizio all'estremità settentrionale, verso la scuderia. Il complesso del Museo Stibbert comprende anche la limonaia del Poggi, la scuderia e il grande parco di tre ettari.

Questa descrizione può essere utile per valutare l'estensione della proprietà e la destinazione degli spazi al suo interno, ma molto più importante e complesso è descrivere la varietà delle raccoltes.

Il nucleo centrale, e più noto, è costituito dalla famosa armeria, che si suddivide nelle tre sezioni europea, islamica e giapponese. Una delle principali caratteristiche delle raccolte di Frederick Stibbert è infatti quella di non limitarsi all'attenzione per l'arte occidentale, ma di porre grande interesse anche nelle culture «altre» e di arricchirsi proprio dal confronto tra mondi diversi. Così, nelle grandi sale si avvicendano le armi e le armature del Rinascimento europeo e dei secoli successivi, seguite da quelle dei grandi Paesi dell'Islam, dalla Turchia alla Persia, all'Afghanistan fino all'India Moghul, per giungere all'Estremo Oriente giapponese.

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