Copertina
Autore Stefania Divertito
Titolo Toghe verdi
SottotitoloStorie di avvocati e battaglie civili
EdizioneAmbiente, Milano, 2011, Verdenero , pag. 176, cop.fle., dim. 13x18,6x1,3 cm , Isbn 978-88-6627-023-2
LettoreLuca Vita, 2011
Classe ecologia , diritto , paesi: Italia: 2000 , paesi: Italia: 2010
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Indice


PREFAZIONE                                        6
di Erri De Luca

PROLOGO                                           9

LA VALLE ASSETATA                                19

LA CAPITALE DELLE DISCARICHE                     55

I FUMI CHE ACCOMPAGNANO IL PO AL MARE            95

DA LATINA A NEW YORK                            115

LA CITTÀ DEL PETROLIO                           137

DUE BUONE NOTIZIE                               155

L'UOMO CHE SOGNA LA SUPER-PROCURA
CONTRO I CRIMINI AMBIENTALI                     165

GRAZIE A...                                     169

BIBLIOGRAFIA                                    171


 

 

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Pagina 13

In Italia si compie un delitto contro l'ambiente ogni 43 minuti, secondo i dati del 2010 del ministero dell'Ambiente, senza distinzione tra Nord e Sud.

Nei tribunali sono almeno trecento gli eco-avvocati, contando solo quelli del WWF, oltre mille ore l'anno di lavoro al servizio della società civile, duecentocinquanta udienze nel 2010 per difendere salute e ambiente.

Una truppa togata che in realtà è molto più consistente. Nei miei sedici anni di lavoro ne ho conosciuti tanti di avvocati di parte civile che per decenni hanno inseguito perizie, testimonianze, hanno studiato chimica, ingegneria meccanica, medicina, per poter dimostrare, accusare, ottenere giustizia. E tanti sono i magistrati che per anni hanno rincorso l'industriale di turno temendo lo scorrere del tempo, che quasi sempre vuol dire prescrizione.

Ci sono trecento processi ancora pendenti, mi informa il WWF: dalle industrie inquinanti, agli enti locali colpevoli di violazioni in materia di caccia, contro privati per salvare l'integrità dei boschi o dei fiumi, ma anche ricorsi per conto di cittadini o associazioni locali contro inquinamenti o espansione di cave, contro progetti deturpanti per il paesaggio o abusivi, opposizioni contro progetti di grande opere prive di Valutazione di Impatto Ambientale, costituzione di parte civile contro incendiari o bracconieri, e infine contro industrie ricomprese negli elenchi dei siti da bonificare colpevoli di inquinamenti illeciti e altri gravi reati ambientali.

Il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza, continuamente bacchetta il governo, di qualsiasi colore sia: "I reati ambientali continuano a rientrare tra le contravvenzioni, le sanzioni sono scarsamente deterrenti, i tempi di prescrizione bassissimi e non è stato previsto nulla per i reati nell'ambito del ciclo del cemento lasciando, di fatto, senza tutela il paesaggio e la fragilità geomorfologica e urbanistica dei territori. E paradossalmente, invece, si continua a 'proteggere' chi costruisce abusivamente, ex novo o parzialmente, perché per questi reati non è prevista la reclusione". L'Unione Europea ci ha richiamati ufficialmente, per l'ennesima volta, perché non abbiamo ancora introdotto il delitto ambientale nel nostro codice penale. C'è, è vero, uno schema di decreto legislativo firmato da questo governo, ma l'esercito delle toghe verdi fa spallucce, perché tale misura, viene detto, non risolverà il problema: non prevede, infatti, l'introduzione né di un inasprimento delle pene, né delle nuove e improrogabili fattispecie di reato connesse alla gestione dei rifiuti, per cui punire chi sversa veleni in mare, chi libera sostanze nocive nell'atmosfera e chi le sotterra, rimane difficile e farraginoso. Chi compie il reato di discarica abusiva, ad esempio, è punito con un'ammenda che va da 2.600 a 26.000 euro mentre chi realizza cave illegalmente rischia aI massimo 1.032 euro. Non introducendo poi nell'ordinamento italiano un testo unico per i reati ambientali, si è ancora costretti a fare riferimento a una giungla di articoli e commi, che rendono spesso molto complicati i procedimenti giudiziari anche in materia di disastri ambientali.

Il 2010 è stato l'anno nero per gli eco-delitti, ci ha raccontato Legambiente nel suo annuale rapporto sulle ecomafie: se si sommassero i rifiuti sequestrati solo nell'anno appena passato, si potrebbe formare una colonna di 1.117 chilometri. Più o meno la distanza tra Reggio Calabria e Milano. Questa, la lunga strada che 82.181 tir carichi di rifiuti potrebbero coprire. Un'interminabile autocolonna "immaginata" sommando i quantitativi (2 milioni di tonnellate) sequestrati solo in dodici delle ventinove inchieste per traffico illecito di rifiuti messe a segno dalle forze dell'ordine. Una strada impressionante eppure ancora sottostimata, perché viene normalmente individuata solo una parte delle merci trafficate illegalmente. 540 campi da calcio, invece, possono rendere l'idea del suolo consumato nel 2010 dall'edilizia abusiva, con una stima di 26.500 nuovi immobili. Una vera e propria cittadina illegale, con 18.000 abitazioni costruite ex novo e la cementificazione di circa 540 ettari.

Sono duecentonovanta i clan impegnati nel business dell'ecomafia censiti nel rapporto, venti in più rispetto al 2009; 19,3 miliardi di euro invece è il giro d'affari stimato per il solo 2010. Nel complesso, la Campania continua a occupare il primo posto nella classifica dell'illegalità ambientale, con 3.849 illeciti, pari al 12,5% del totale nazionale, 4.053 persone denunciate, 60 arresti e 1.216 sequestri, seguita dalle altre regioni a tradizionale presenza mafiosa: nell'ordine Calabria, Sicilia e Puglia, dove si consuma circa il 45% dei reati ambientali segnalati dalle forze dell'ordine nel 2010. Un dato significativo ma in costante flessione rispetto agli anni precedenti, in virtù della crescita, parallela, dei reati in altre aree geografiche. Si segnala, in particolare, quella nord-occidentale, che si attesta al 12% in virtù del forte incremento degli illeciti in Lombardia.

Complessivamente, in Italia i reati accertati nel 2010 sono stati 30.824, con un incremento del 7,8% rispetto al 2009: più di 84 reati al giorno, 3,5 ogni ora. Gli illeciti relativi al ciclo illegale di rifiuti e a quello del cemento (dalle cave all'abusivismo edilizio) rappresentano da soli il 41% sul totale, seguiti dai reati contro la fauna (19%), dagli incendi dolosi (16%), da quelli nella filiera agroalimentare (15%).


Il 2010 è un anno da record per le inchieste sull'unico delitto ambientale, quello contro i professionisti del traffico illecito di veleni (art. 260 D. Lgs. 152/06): sono state ben 29, con l'arresto di 61 persone e la denuncia di 597 e il coinvolgimento di 76 aziende. Altre sei inchieste di questo tipo si sono svolte nei primi quattro mesi del 2011, mentre in totale — cioè dalla sua entrata in vigore nel 2002 a oggi – sono salite a quota 183. Il fenomeno si è ormai allargato a tutto il Paese, consolidandosi in strutture operative flessibili e modulari, in grado di muovere agevolmente tonnellate di veleni da un punto all'altro dello stivale. I numeri e i dati relativi alle attività d'indagine svolte sui traffici illeciti non esauriscono l'azione di contrasto dei fenomeni di smaltimento illegale. Sempre nel corso del 2010, le forze dell'ordine hanno accertato circa 6.000 illeciti relativi al ciclo dei rifiuti (circa 1 reato ogni 90 minuti). Per quanto riguarda il ciclo del cemento, nel 2010 sono stati accertati 6.922 illeciti, con 9.290 persone denunciate, più di una ogni ora. A concludere affari con l'ecomafia è spesso un vero e proprio esercito di colletti bianchi e imprenditori collusi.

Ecco, ho deciso di mettermi in viaggio per porgere il bicchiere d'acqua a chi si è macchiato di questi delitti. Lo faccio perché mi diverte l'idea di guardare loro negli occhi e poter dire, semplicemente, "ne beva".

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Pagina 38

Con il passare del tempo i comuni si fanno convincere della bontà dell'opera. Del progresso che attraversa la vallata. Le opere di compensazione fanno gola a tutti. Parcheggi, campi sportivi, circonvallazioni.

«Uno dei coltelli che si girano nello stomaco è vedere i cartelli con scritto "acque classificate a salmonidi", e uno si domanda quali acque?»

La disamina del magistrato ha analizzato tutti i danni. Quelli permanenti, «fiumi, fossi, corsi d'acqua si alimentano solo da acque meteoriche e non più con acqua di falda. È come se si fosse tolto il tappo in fondo, a una vasca, che pertanto si svuota e, una volta svuotata, anche se rimetti il tappo resta vuota lo stesso». È ovvio che pesci e crostacei nei fiumi intermittenti, cioè che ci sono solo quando piove, non possono vivere. E i danni morali. «Basta che ognuno provi a pensare di tornare a casa oggi e sentirsi dire che non c'è l'acqua corrente. Ma nessuno glielo ha detto prima. Aspetta. Forse torna. Telefona. Si informa. Sa che ci sono i lavori dell'Alta Velocità, prova ad andare al cantiere. E poi scopri, piano, piano, piano, ma sempre senza acqua, che l'acqua non tornerà. Non tornerà, ma non per un'ora, non per un giorno. Non tornerà mai più. E poi a protestare, a urlare. Se hai fortuna, ti portano le autobotti. Fornitura che dovrai sollecitare, chiamare, organizzare te. Perché una volta salta il turno, una volta il cantiere è in ferie, una volta è Natale. Le testimonianze delle persone offese ci hanno provocato uno sgradevole senso di disagio e di umiliazione nell'immaginarsi e nell'immedesimarsi di dover essere noi a chiedere, ad attivarsi, se necessario pietire, per riavere un surrogato di un qualcosa che avevamo e che ci è stato portato via con la forza.»

Ha ragione il magistrato. L'acqua nell'autobotte non è altro che un surrogato del bene prezioso che c'era da queste parti. E il carattere gioviale, sempre disponibile a un bicchiere di vino e un po' di formaggio dei cittadini del Mugello, non deve nascondere l'umiliazione subita, dal momento che il loro diritto è stato degradato in un favore da supplicare. «Non sono danni quelli di chi, per scelta di vita, si è trasferito in campagna sulla riva di un fiume o di un mulino con il piacere di sentire scorrere l'acqua e si ritrova un fosso in secca? C'è gente che aveva una piscina di acqua minerale. Bruciata. Non sono danni il non poter più pescare, fare una passeggiata e bere a una sorgente, un bagno nel Bosso che aveva polle di acqua purissima profonda anche quattro metri e ci si poteva tuffare anche di testa?»

Sono danni, dottor Tei, ha ragione: 110 milioni di euro di danno meramente economico alle risorse idriche e 741 milioni di euro il danno ambientale nel suo complesso.

Questi sono stati i conti della procura di Firenze.

Non mi sembra una cifra esagerata.

Quello che mi sembra esagerato è il comportamento arrogante di chi ha stravolto la vita del Mugello. Ha rubato acqua, ha perforato le montagne senza nemmeno prendere in considerazione le alternative. O peggio, senza studiare attentamente il territorio e prevederne i danni. Proprio come ha ammesso al processo l'architetto Costanza Pera, che nel 1995 era direttore generale per la Valutazione di impatto ambientale e l'informazione ai cittadini del ministero dell'Ambiente, e nel 2009 dirigente generale del ministero delle Infrastrutture. Riferendosi all'accordo procedurale sottoscritto il 28 luglio 1995 dai presidenti delle regioni Emilia-Romagna e Toscana con i ministeri interessati ha testimoniato: «L'accordo fu scritto a seguito di un'istruttoria estremamente prolungata, che durò alcuni anni, sul progetto e ci si rese conto che la procedura di Valutazione di impatto ambientale non era in condizione di sciogliere tutti i nodi di un progetto di enorme complessità e anche di grande protrazione nel tempo, per cui noi saremmo intervenuti con un parere e un giudizio di compatibilità rispetto a un'opera che aveva poi uno sviluppo temporale molto lungo in un ambiente fisico le cui caratteristiche andavano precisate in corso d'opera».

Dice proprio così l'architetto, le sue parole sono agli atti del processo di primo grado.

In sostanza procedevano a tentativi.

Il Carzola vuoto. Tentativo fallito.

Castelvecchio assetato. Fallito.

Borgo San Lorenzo, Paterno, Vaglia, Firenzuola.

Avete fallito, signori tecnici.

E ancora, il teste Pera: «La procedura di VIA (Valutazione impatto ambientale), disciplinata dalla legge, prevedeva che si facesse uno studio di impatto ambientale allegato al progetto a cura del proponente l'opera e che il ministero dell'Ambiente avesse 90 giorni di tempo per esprimersi di concerto col ministero dei Beni Culturali. Ora, questa procedura poteva andare bene per, non so, un inceneritore di rifiuti piuttosto che... Che poi non andava bene nemmeno in quel caso, non per un'opera di questo genere».

Però la applicano, la procedura, per l'Alta Velocità. E vanno a tentativi. Fallendoli.

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Pagina 55

LA CAPITALE DELLE DISCARICHE


                        Le stelle stanno in cielo e i sogni non lo so
                                                so solo che son pochi
                                              quelli che si avverano.

                                            Ridere di te, Vasco Rossi



Ho davanti a me gli occhi di Anthony Hopkins. Gli stessi spilli azzurri conficcati su un sorriso accennato. Stessa espressione arguta, ma senza la cattiveria di Hannibal Lecter. Piatti di rame alle pareti, tappeti colorati di ogni dimensione, un odore vagamente familiare di spezie, o forse di qualche tipo di tè nero. Non so. Sto cercando di decifrarlo quando Sergio Apollonio entra con due bicchieri di succo di pera. «Sei stato in Bosnia?»

«Anche», mi risponde porgendomi il biglietto da visita. Mi fa sorridere: la scritta "United Nations consultant" è stata sbarrata a penna e corretta con la dicitura "Comitato Malagrotta".

Non meno importante, per lui, come incarico, anzi forse di più. Perché quello era lavoro, questa è vita.

Sul tetto della sua casa immersa nel verde c'è un impianto fotovoltaico installato da pochi giorni. Sta lavorando a regime, macina raggi solari e produce elettricità. Le magnolie giganti e i pini che circondano la villetta non fanno ombra ai pannelli. Mi viene voglia di restare ancora un po' qui, mi rilassa questa casa, e anche le chiacchiere di Sergio. Capisco perché dopo aver girato il mondo ha scelto questo fazzoletto di terra per godersi la pensione e i nipoti. «Ho un fantastico trattorino acquistato da poco» e il racconto è accompagnato da un sorriso ampio, un'ascesa di rughe che incorniciano il viso già scuro di sole «così riesco a occuparmi del giardino. È divertente».

È già molto caldo nonostante siano appena le dieci del mattino. Chissà se oggi pomeriggio pioverà come è accaduto per tutta l'ultima settimana di questo giugno dal carattere variabile.

Credo che una sera mi farò invitare qui. Sergio Apollonio è una di quelle persone che le conosci e ti vien voglia di restare nella sua cerchia di amici. Di trascorrere insieme alla sua famiglia una domenica pomeriggio. Una braciata, un bicchiere di rosso, tante risate. Nella zona è una celebrità: intervistato in televisione e sui giornali, il suo nome è inscindibilmente legato alla battaglia che da anni lega la valle al suo nemico, la discarica.

Mentre osservo petunie colorate e uccelli che si poggiano sui rami di un enorme abete, non riesco a immaginare che al di là degli alberi ci possa essere un mostro che ha divorato la vita di questa fetta di Roma.

Malagrotta è solo una delle frazioni della valle Galeria, a nord della capitale, dove molte strade hanno i nomi di matematici ed economisti: c'è via Fibonacci, via Tullio Ascarelli e il mio preferito, via Pietro Fermat. Inutile cercarlo su Wikipedia, non esiste, perché era francese e il suo nome è stato indebitamente italianizzato da Pierre de Fermat: fu grande studioso dei numeri primi, amico di Pascal e uno dei padri della teoria probabilistica. Enunciò un teorema che fu dimostrato solo trecento anni dopo la sua esistenza, nel 1994. In quell'anno, accanto a una strada che porta il suo nome, era già in opera quella che diventerà la più grande discarica di rifiuti d'Europa. Ci sono un'arteria principale che attraversa i centri abitati, le villette a schiera costruite di recente e quelle che hanno trenta o quarant'anni e che erano già qui quando la collina di rifiuti era soltanto poco più che una buca.

«Su via di Casal Lombroso passano ogni giorno 1.300 camion che infilano sui fianchi di questa cupola crescente 5.000 tonnellate di rifiuti della città di Roma, Fiumicino, Ciampino e dello Stato del Vaticano.» Sergio è una miniera di informazioni. «Esiste, Malagrotta, soltanto grazie a proroghe di proroghe: nel 1999 l'Unione Europea stabilì che le discariche ospitassero solamente i rifiuti non altrimenti riciclabili. Invitava i Paesi membri a ridurne il numero, ridimensionarle, addirittura eliminarle.»

Malagrotta è invece cresciuta, sempre di più. La buca si è dapprima ingrandita, poi è stata colmata, poi si è innalzata. Oggi sovrasta la valle, l'hanno definita l'ottavo colle di Roma, e la sua altezza non è ancora definitiva. Ogni anno diventa sempre più grande. Un gigante famelico e onnivoro che si nutre degli scarti delle nostre vite.

Con la mano l'ex consulente delle Nazioni Unite indica qualche punto al di là degli alberi.

«Un corretto ciclo dei rifiuti prevederebbe che la selezione fosse effettuata a monte, nelle nostre case, con i bidoncini colorati a seconda del tipo di immondizia: carta, plastica, vetro, metalli, frazione umida, indifferenziato secco. Solo quello che non può essere riciclato, o ridotto in energia attraverso impianti di compostaggio e gassificatori, deve giacere per sempre in discarica. Funziona così quasi dappertutto. Ma a Roma no.»

A Roma funziona che la discarica è piena, ma un pezzo di carta firmato dalla regione e avallato dal governo nella legge Finanziaria stabilisce che qualcosa ancora vi si può infilare, e la si proroga di altri sei mesi. L'ultima carta bollata che ha regalato un altro po' di respiro a Malagrotta – e agli amministratori della città – è del 30 giugno 2011 e ha offerto alla politica altri sei mesi di tempo per trovare una vera soluzione al problema. Il presidente della regione Renata Polverini ha promesso che sarà davvero l'ultima proroga, e che in questi sei mesi metterà a punto un piano di piccole discariche vicino agli impianti di trattamento dei rifiuti. Ha riempito la zona nord di Roma di manifesti verdi in cui annuncia che finalmente Roma ha risolto il problema più complesso delle nostre modernissime città, ma non può essere vero.

Finché non sarà realizzata una vera raccolta differenziata, spinta al massimo, con la separazione del secco dall'umido e con una filiera del riciclo dei materiali differenziati, il ciclo dei rifiuti non potrà mai dirsi completo e anzi ci sarà bisogno di nuove discariche, sempre più grandi e sempre più numerose, per poter smaltire tutti i nostri scarti.

«Non ci sarà Malagrotta due e addirittura non ci saranno più cattivi odori», ha detto la Polverini.

Il problema è che esiste Malagrotta uno, a dir la verità.

E i cattivi odori sono solo uno degli aspetti problematici. Il mostro discarica colpisce in maniera ben più subdola e pericolosa.

Mi accoccolo sul divano di velluto beige, e ascolto con calma tutte le parole di Sergio Apollonio. «A Roma, secondo dati ufficiali e tuttavia ottimistici, la raccolta differenziata non va oltre il 20%. L'80% di tutti i rifiuti prodotti finisce in discarica. Il tal quale, hai presente? Tutto quello che ciascuno di noi è capace di infilare in un sacchetto di plastica colorato. Ci può essere dentro qualsiasi cosa. Sostanze riciclabili e sostanze tossiche. Non abbiamo la cultura del riciclo, differenziare è ancora una novità per la maggior parte dei cittadini e in quei sacchetti colorati la gente può averci infilato di tutto, batterie, plastica, oli, sostanze cancerogene, metalli. Ora io ti chiedo: chi può pensare che una discarica costruita per contenere i rifiuti della capitale d'Italia e dei comuni limitrofi vada bene ancora oggi, dopo dieci anni di proroghe, al ritmo di quasi 5 tonnellate al giorno sversate, senza sosta, festivi inclusi?»

Nel bicchiere, sul tavolino di legno intarsiato, il succo di pera è diventato caldo. Devo andare via. Lo voglio vedere di persona, questo mostro che inghiotte tutti gli avanzi delle nostre vite.

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L'UOMO CHE SOGNA LA SUPER-PROCURA CONTRO I CRIMINI AMBIENTALI


La procura di Torino è un fascio di luce bianca in mezzo al buio delle difficoltà giudiziarie italiane. Come quei palazzi di marmo che spiccano, mentre tutto intorno è grigio di smog e di cemento.

Raffaele Guariniello è la punta di diamante della procura di Torino ed è forse uno dei più noti magistrati d'Italia. Semmai ci fosse qualcuno a contenderne il primato.

La toga ben calzata sulle spalle, non sbilenca, come osano alcuni suoi colleghi, quasi come se non avessero voglia di infilarsela. No, lui, in piedi davanti al microfono, mentre legge la sua requisitoria con il solito tono pacato, ha la toga ben dritta, che scende in maniera equilibrata da entrambi i lati. La mano sinistra che tocca i fogli, il microfono, poi si ferma. Sta pronunciando la sua accusa a uno dei processi più importanti per la storia ambientale d'Italia, quello contro i magnati della Eternit che hanno seminato morte a Casale Monferrato e nel resto del Paese. In aula sono passate le immagini atroci dell'argine del Po imbiancato e modificato nella sua orografia dai depositi e gli scarti della fabbrica. Sono state ascoltate le testimonianze dei superstiti. Delle mogli di operai che non ci sono più. Si sono costituite più di 700 parti civili. Tra pochi mesi, e quindi nell'autunno del 2011, potrebbe esserci la sentenza di primo grado. Tutto questo accompagnato dalla costante presenza dei cittadini, dei comitati e delle associazioni che non si sono persi neanche una delle udienze.

C'è tutto questo, e lui, pacato, tranquillo, nascondendo la rabbia e la sua passione dietro le consonanti leggere, quasi invisibili, pronunciate alla piemontese, lancia la sua accusa.

Logica, quasi matematica, incontrovertibile.

Ecco chi è Raffaele Guariniello. Il suo nome è stato spesso legato a inchieste che hanno subìto una visibilità nazionale, come quella sulla SLA e i suoi legami con il mondo del calcio, oppure l'inchiesta sulla morte dei sette operai della ThyssenKrupp che ha portato a una sentenza definita storica: la Corte d'Assise di Torino ha condannato i dirigenti dell'azienda ma anche, a sedici anni e mezzo per omicidio volontario, l'amministratore delegato della ThyssenKrupp utilizzando la figura giuridica del dolo eventuale. "Si tratta di una forma di dolo indiretto" come la definisce Gianvito Rutigliano nel suo articolo in Diritto di critica. "Nel caso dell'amministratore delegato del colosso dell'acciaio, parliamo della volontaria omissione nel mancato adeguamento delle strutture di sicurezza (intenzionale) che ha provocato la morte dei sette operai in quel terribile 6 dicembre 2007 (l'evento indiretto ma possibile al punto da 'correre il rischio')."


Procuratore, per un processo che si compie e che va a buon fine, tantissimi altri restano impigliati nelle maglie di una burocrazia giudiziaria che affossa le sentenze, annulla gli sforzi degli inquirenti e avvilisce le vittime. E molti di questi sono processi che riguardano disastri ambientali. L'impunità di questi crimini ci riguarda tutti come cittadini.

Certo, perché spesso sono anche vicende che richiedono lunghe e approfondite indagini, molto specifiche. E non sempre le procure hanno la preparazione adeguata, anzi, quasi mai.


Sarebbe necessario, secondo associazioni ambientaliste e giuristi, introdurre il delitto ambientale nel codice penale.

Guardi, non servono leggi nuove, il problema semmai è applicare quelle esistenti. Già da alcuni anni è stata introdotta la responsabilità amministrativa degli enti, con delle estensioni nel 2007-2008. Il testo unico sulla sicurezza del lavoro, in tema di infortuni e malattie, ha ampliato la risposta sanzionatoria e questo è avvenuto per numerose fattispecie di crimini che riguardano l'ambiente. Coinvolgere nelle responsabilità amministrative i vertici della società interessata sensibilizza per gioco forza alla prevenzione. Una delle applicazioni di questa norma è stata appunto la sentenza Thyssen. Speriamo che sia possibile ampliare ancora di più tale spettro sanzionatorio.


Le prescrizioni sono in agguato. La sentenza di appello del processo contro la TAV nel Mugello ha dovuto certificare la prescrizione di alcuni reati. Restano i danni idrogeologici sull'Appennino. E questo è solo un esempio. Cosa si può fare?

Bisogna innanzitutto mettere in luce le carenze degli organi di vigilanza ma anche della stessa magistratura. Non possiamo negarcelo. In molte procure proprio non si affrontano i processi per l'ambiente, mentre altrove vengono intentati, però poi quasi sempre arriva la prescrizione. Si diffonde quindi un senso di impunità che è devastante, per noi tutti.


Mi dia la sua ricetta.

Quella immediata è presto detta: servono più risorse a disposizione, per pagare, ad esempio, gli straordinari per le udienze pomeridiane, ma ci sarebbe anche un aspetto più a lungo termine.


Dica.

Una riorganizzazione giudiziaria. Occorrono specializzazioni ad alto livello. È inutile lasciare processi complessi, con indagini molto specifiche e metodologie investigative tutte da apprendere, in procure piccole, dove ci sono un paio di magistrati che fanno quello che possono. Così si sprecano tempo e risorse.


Sta suggerendo di spostare le competenze?

Di più. Il mio sogno è una superprocura nazionale specializzata in tematiche ambientali. Solo così possono essere messe a frutto le competenze acquisite, affinate le tecniche investigative e si può arrivare in breve tempo al processo, sconfiggendo il fantasma della prescrizione, che aleggia su tutti noi e che rischia di vanificare anni di sforzi e soprattutto di lasciare impuniti reati che spesso hanno contribuito alla rovina del nostro territorio, e della nostra salute.

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