Autore Carl Djerassi
Titolo Dalla pillola alla penna
EdizioneDi Renzo, Roma, 2004, I Dialoghi Scienza , pag. 110, cop.fle., dim. 140x210x9 mm , Isbn 978-88-8323-086-8
TraduttoreMaria Pia Felici
LettoreElisabetta Cavalli, 2005
Classe biografie , chimica , medicina , storia della scienza












 

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Indice


Introduzione                        5

La pillola                         29

Il passato e il futuro             69

Dalla pillola alla penna           71

Dalla pillola all'arte             94


 

 

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Pagina 5

Introduzione


Cinquant'anni dopo aver lasciato la Vienna occupata da Hitler, sono tornato nella mia città d'origine, dove trascorsi l'infanzia e l'adolescenza. I pensieri tornano sempre a mia madre, scomparsa dalla mia mente al momento della sua morte. I miei genitori divorziarono quando avevo sei anni e riuscirono a nascondermi il fatto fino verso i tredici; ci sono strane lacune in quello che so di loro. Mia madre era la più misteriosa, anche se durante l'infanzia e la giovinezza ho visto molto più lei che mio padre, che viveva in Bulgaria, dove ho trascorso bellissime estati in compagnia dei miei cugini bulgari.

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Tra cactus e caffè

Un fattore importante nella mia carriera, soprattutto all'inizio, è stato il fatto che ero un chimico ebreo. Negli anni '40 molti dipartimenti di chimica delle più importanti università americane non avevano neanche un professore ordinario ebreo. A tutt'oggi, conosco parecchi colleghi ebrei della mia generazione che rifiutano di ammettere la loro origine.

Per molti anni ho vissuto con il peso di chiedermi come evitare la domanda "Sei ebreo?", senza dover mentire. Anche se non ho smesso di chiedermi se le altre persone sono ebree, mi accorgo che oggi, tra i colleghi, non mi nascondo più. È forse perché sono diventato infine impermeabile all'antisemitismo o perché riconosco che non sarei mai stato un chimico se non fossi nato ebreo a Vienna? Se non fossi stato ebreo, non avrei mai lasciato Vienna e sarei senz'altro diventato un medico austriaco. Ma sono ebreo e non lo dimentico. In quegli anni la mia coscienza attenta a ogni possibile traccia di antisemitismo mi causò un'ossessione curiosa, anche se gli americani mi facilitarono la strada.

All'inizio della mia carriera, quando la gente mi chiedeva che tipo di chimico fossi, rispondevo che ero "un chimico medico". Capivano così che mi occupavo di antistaminici, antispasmodici, corticosteroidi, contraccettivi orali, anabolizzanti e approvavano. Qualche anno dopo avrei precisato di essere "un chimico organico". La distinzione più importante è tra chimica organica teorica e sperimentale; quest'ultima è la mia disciplina. Delle sue varie suddivisioni, ne prenderò in considerazione solo due: sintesi e determinazione della struttura.

I migliori chimici di sintesi sono sia architetti che costruttori e la letteratura scientifica spesso esalta il loro lavoro con termini come bello, elegante o affascinante. Come architetto, il chimico stabilisce, per sintetizzare una molecola complessa, una strategia che può comprendere permutazioni di dozzine e dozzine di passaggi chimici diversi. Come costruttore-ingegnere, il chimico elabora nuove reazioni chimiche e scopre nuovi reagenti sintetici. Sia gli architetti che i costruttori sanno con precisione come dovrebbe essere l'edificio una volta ultimato.

La determinazione della struttura è un processo di vaglio, attraverso il quale è possibile crearsi un quadro della costituzione chimica della sostanza. È come entrare in una stanza completamente buia con lo scopo di determinarne il contenuto, la posizione precisa di ogni mobile, il colore e la composizione di ciascun elemento. Qualcuno può entrare bruscamente nella stanza, urtare una sedia o un tavolo, e poi toccarlo per farsi un'idea della sua dimensione o composizione. Altri sono più cauti e sistematici: iniziano sfiorando i muri per cercare una strada, forse contando anche i passi per determinare le dimensioni dello spazio, attraversando la stanza a intervalli fissi per determinare, grosso modo, la posizione degli oggetti uno per uno, prima di fermarsi su di essi. Alcuni possono avere una torcia capace di illuminare solo una piccola area; o una potente lampada con cui farsi un quadro dell'intera stanza e del suo contenuto. Ancora, con una macchina fotografica e il flash e un grandangolo, qualcuno può registrare con una sola fotografia il contenuto della stanza, compreso il suo colore.

La chimica organica ebbe inizio nel XIX secolo come tentativo di determinare le strutture delle sostanze chimiche che, isolate da fonti animali o vegetali, presentavano proprietà biologiche interessanti; solo successivamente poté entrare in campo il chimico di sintesi, l'architetto-costruttore. I primi metodi di determinazione della struttura, toccando e inciampando nella stanza scura, potevano esplorare soltanto strutture chimiche relativamente semplici. Man mano che divennero disponibili piccole torce e poi flash sempre più potenti, fu possibile risolvere problemi di strutture chimiche più complicate, in un tempo inferiore. L'età migliore della chimica delle sostanze naturali fu il periodo tra il 1930 e il 1960, quando furono isolati tutti i più importanti ormoni steroidei, le vitamine e gli antibiotici, insieme a numerose altre molecole biologicamente importanti e ne fu determinata la struttura. Le tecniche più importanti - cioè i flash sempre più potenti - furono la spettroscopia a ultravioletti e quella a infrarossi, la spettroscopia a risonanza magnetica nucleare e la spettrometria di massa. I principi alla base di queste tecniche furono scoperti dai fisici, che svilupparono anche i primi strumenti per utilizzarle. Ma fu il chimico interessato alla determinazione della struttura, piuttosto che alla sintesi, ad applicare per la prima volta questi mezzi.

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La pillola


Non provo alcun imbarazzo a riconoscere la mia natura poligama in campo intellettuale. Non è solo la chimica a stimolarmi ed eccitarmi, ma anche l'arte, che amo collezionare; la musica, che un tempo suonavo; e naturalmente le belles lettres che amo leggere e scrivere.

Ho iniziato la mia vita di poligamo a diciotto anni, anche nell'ambito della mia stessa disciplina, e nell'arco di oltre quarant'anni ho contribuito allo sviluppo di nuovi ingredienti farmaceutici (le antistamine, i contraccettivi orali e i corticosteroidi) ancora largamente utilizzati da milioni di persone; a isolare, strutturare e sintetizzare parzialmente diverse centinaia di sostanze naturali (steroidi, lipidi, terpenoidi, alcaloidi e antibiotici); e, forse l'aspetto più importante della mia attività di scienziato, allo sviluppo di metodi fisici (quali la dispersione ottica rotatoria, il dicroismo circolare ottico e magnetico e le tecniche di intelligenza artificiale al computer) per la soluzione di problemi steroichimici e di struttura.

Eppure, nonostante questo harem di infatuazioni chimiche, ce n'è stata una, costante, fedele, che non mi ha mai abbandonato: gli steroidi. Dai miei studi sugli steroidi nacque quella che viene considerata la mia scoperta principale: la pillola.

L'origine della pillola si collega a due momenti fondamentali della seconda metà del secolo scorso: l'esplosione demografica mondiale e le battaglie per i diritti della donna. Senza di essi la contraccezione orale sarebbe stata solo l'ennesimo progresso medico e non una scoperta dalle conseguenze sociali di immensa portata.

Per quello che mi riguarda, la vera data di nascita della Pilolla è il 15 ottobre 1951, il giorno in cui il nostro laboratorio completò la prima sintesi di uno steroide, destinato in seguito a essere utilizzato per la contraccezione orale. Qualche giorno dopo, i primi preziosi milligrammi di noretindrone erano già stati spediti dai laboratori della Syntex a Città del Messico, alla dottoressa Elva G. Shipley degli Endocrine Laboratories Inc. a Madison nel Wisconsin: la sostanza andava testata per l'attività progestinica orale. Ho citato la dottoressa Shipley soprattutto perché la sua partecipazione alla storia della pillola va contro quanto si è detto spesso, ovvero che gli scienziati che hanno partecipato allo sviluppo dei contraccettivi sono stati tutti uomini. Per bilanciare questo pregiudizio, molti scrittori e giornalisti hanno cercato in lungo e in largo almeno un'eroina da poter annoverare tra i protagonisti della storia della pillola. Tra queste ci sono Margaret Sanger e Katherine McCormick, una ricca filantropa che ha finanziato parte degli studi biologici che hanno contribuito in modo decisivo allo sviluppo della pillola. Il sostegno economico, però, per quanto abbia il suo valore, non potrà mai essere equiparato alla creatività ed Elva G. Shipley è stata il primo biologo in assoluto (uomo o donna) che abbia determinato l'attività progestinica del noretindrone somministrato per via orale. Se i risultati fossero stati negativi, avremmo senz'altro abbandonato il progetto e non avremmo mai inviato il materiale ad altri biologi, in particolare Gregory Pincus, che può a buon diritto essere definito "il padre della pillola". Il personaggio meno noto di tutta questa storia, però, non è affatto una donna, ma Ludwig Haberlandt, professore di fisiologia all'Università di Innsbruck. Già nel 1919, Haberlandt aveva condotto un importante esperimento, nel quale aveva trapiantato le ovaie di un coniglio in stato interessante in un altro coniglio, che, nonostante i frequenti accoppiamenti, era rimasto sterile per molti mesi - un risultato che Haberlandt chiamò "sterilizzazione ormonale temporanea". In numerosi esperimenti successivi e nel corso di dieci anni di pubblicazioni, egli enfatizzò l'ovvia applicabilità di questo esperimento animale alla contraccezione umana. Riconobbe pienamente che il fattore responsabile era un costituente del corpus luteum o "corpo giallo" - un organo cavo lasciato sulla superficie dell'ovaia dopo che è stato rilasciato l'ovulo - che nel 1903 il ginecologo tedesco Ludwig Fraenkel aveva dimostrato essere una ghiandola endocrina che produceva ormoni. Nel 1931, in seguito a numerosi esperimenti, egli espose in un bel libro (Die hormonale Sterilisierung des weiblichen Organismus - La sterilizzazione ormonale dell'organismo femminile) la tesi per cui la somministrazione orale, che aveva dimostrato nei topi, era per scelta e per necessità il metodo migliore per il ritiro periodico dell'ormone che provocava le mestruazioni. Haberlandt auspicava l'utilizzo di tale forma di contraccezione su basi cliniche ed eugeniche, sostenendo che avrebbe permesso ai genitori di avere solo figli desiderati e in salute. A chi obiettava che troppe donne avrebbero tratto vantaggio dalla contraccezione ormonale, egli rispondeva che preparazioni di quel tipo avrebbero avuto bisogno di una prescrizione medica e non sarebbero state di facile acquisto. Haberlandt non limitò le sue pubblicazioni alla letteratura scientifica: pubblicò anche diversi articoli sulla stampa, confermando che gli esperimenti sui topi trattati per via orale con Infecundin avevano dimostrato una temporanea infertilità senza reazioni tossiche. Nel 1966 Infecundin divenne il marchio del primo contraccettivo orale prodotto in Ungheria.

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La pillola maschile e altri aspetti associati alla riproduzione umana

Sono in molti a pensare che la pillola maschile - o qualunque altro nuovo contraccettivo maschile - sia stata chiesta con sollecitudine da tre diverse direzioni: le femministe, naturalmente, che vorrebbero spostare il fardello della contraccezione sulle spalle degli uomini; i governi di Cina e India, che la sollecitano per ragioni demografiche; e l'OMS, che investe le sue limitate risorse nella ricerca in questo campo. Scrittori e giornalisti ritengono che tutte queste influenze abbiano alla fine convinto alcune aziende farmaceutiche a partire in quarta, promettendo una pillola maschile entro il 2005.

Sono certamente d'accordo che lo sviluppo di una pillola maschile sarebbe un obiettivo sociale molto desiderabile. Ma desiderarla non significa ottenerla. Per avere una qualche utilità, dovrebbe essere un prodotto disponibile in farmacia, per uomini desiderosi di assumersi le proprie responsabilità contraccettive, in una relazione basata sulla fedeltà. Sfortunatamente, i farmaci non arrivano al pubblico attraverso i ricercatori universitari, le agenzie governative o gli enti internazionali come l'OMS. Sono necessari dollari, sterline ed euro. Ed è dunque triste scoprire che nessuna delle venti maggiori società farmaceutiche mondiali è attiva in questo campo.

Non esistono nuovi stanziamenti nella contraccezione maschile, perché non ce ne sono neanche in quella femminile. Come già ricordato, il principale interesse dell'industria farmaceutica in campo ormonale è la terapia ormonale sostitutiva, per una popolazione femminile in via d'invecchiamento. È un mercato assai più grande e remunerativo rispetto a quello della contraccezione orale. Ma oggi, nel momento in cui diamo corpo a questo libro-dialogo, quando persino la terapia ormonale sostitutiva è diventata una parolaccia, perché le società farmaceutiche dovrebbero iniziare tali ricerche per gli uomini, avendo intenzione di abbandonarle per le donne?

E inoltre, la ricerca sulla contraccezione femminile è stata concertata e tenace ed è stata condotta dalle società farmaceutiche attraverso la strada delle approvazioni a livello ministeriale, mentre il corrispondente lavoro sulla controparte maschile è stato condotto sporadicamente, con finanziamenti insignificanti, per brevi periodi, da parte delle università. La ricerca è stata pertanto più volte abbandonata e interrotta. Scientificamente sappiamo da trent'anni come sviluppare una pillola maschile: quello che è mancato, e che tuttora viene a mancare, è una componente economica sufficientemente persuasiva, che spinga le società farmaceutiche a perseguire uno scopo, spendendo centinaia di milioni di dollari, invece delle scarse somme a disposizioni delle organizzazioni no-profit.

C'è però un'altra e ben più importante questione. Se le donne, da un lato, non hanno ancora ricevuto risposte chiare a domande del tipo: "Che cosa mi accadrà se prendo la pillola per vent'anni?", un ventenne potrebbe chiedere: "Che cosa mi accadrà se prendo la pillola per quarant'anni?" Con l'età, la funzione erettile dell'uomo si deteriora e aumentano le difficoltà della prostata. Tenendo presente il clima di conflitto che regna ai nostri giorni, perché le società farmaceutiche dovrebbero ignorare le potenziali responsabilità verso milioni di uomini, che dopo decenni di pillola potrebbero reputarla la causa dei loro inesorabili problemi riproduttivi? E se la donna può interrogarsi sulla propria fertilità dopo 5-10 anni di ricorso alla pillola, anche un uomo ha ben il diritto di porsi questa domanda dopo trent'anni e più. Si tratta di domande sensate e senza risposta, ma i costi di test a lungo termine come questo sarebbero enormi e divorerebbero praticamente tutta l'esclusività del brevetto di un eventuale farmaco, anche se tutto procedesse senza problemi. Naturalmente, ci si potrebbe spingere nella direzione di una pillola da prendersi solo per un paio d'anni, ma ciò basterebbe a sollevare la bandiera rossa del sospetto che scoraggerebbe molti uomini a considerarla come primo approccio alla contraccezione. È vero che Cina e India hanno mostrato un certo interesse nella contraccezione maschile e che l'OMS ha fornito fondi per un programma di sintesi di nuovi androgeni e progestinici, negli anni Ottanta, ma da questo lavoro non è emerso nulla di pratico, perché nessuna azienda farmaceutica potrebbe essere persuasa a utilizzare i composti sintetizzati nel corso di quel programma. Il lavoro cinese sulla possibile contraccezione maschile è stato un prodotto secondario di un buon lavoro epidemiologico, alla ricerca, alla fine degli anni '60, della causa di infertilità in una provincia. Fu scoperto che tale infertilità era associata al consumo di olio di semi di cotone non raffinato, che conteneva gossypol. Negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta, test clinici effettuati su migliaia di cinesi "volontari", inizialmente promettenti, hanno infine portato alla conclusione che gli effetti collaterali quali eccessiva ipocalernia (livelli di potassio eccezionalmente bassi nel sangue) e infertilità a lungo termine dopo la sospensione, rendevano il gossypol inaccettabile per la contraccezione maschile.

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Quando mi resi conto della collocazione che Il dilemma di Cantor aveva ricevuto, optai per un rischio letterario: proseguire con la narrativa scrivendo per ragioni didattiche. Nonostante fossi uno scienziato, abituato dunque a scrivere con questo intento, sapevo che un romanzo etichettato come "didattico" da un critico era destinato agli scaffali polverosi dei mercatini di seconda mano. Ma perché non seguire la famosa prescrizione di Orazio nell' Ars Poetica: "Lectorem delectando pariterque monendo" (deliziare il lettore e al contempo istruirlo)? Immaginai che ciò che andava bene per Quinto Orazio Placco duemila anni fa potesse funzionare anche per Carl Djerassi.

Piuttosto, avevo in mente un altro obiettivo, un tentativo di affrontare un problema che nel mio recente passaggio dalla scienza all'arte si era fatto per me sempre più chiaro e personale - e sempre più urgente. L'abisso tra le scienze e il mondo delle lettere, delle scienze sociali e della cultura di massa, diventa sempre più profondo, eppure gli scienziati passano poco tempo prezioso a cercare di comunicare con queste altre culture. Ciò è dovuto in larga misura all'ossessione degli scienziati a cercare l'approvazione dei colleghi. Inoltre, la tribù in cui vivono offre loro pochi incentivi alla comunicazione verso un pubblico più vasto, e ben più di un ostacolo.

Ho raggiunto ormai un'età in cui la disapprovazione, o in verità l'approvazione dei miei colleghi, farebbe assai poca differenza per la mia carriera scientifica o per la mia autostima. Di certo non mi cacceranno dall'Accademia Nazionale delle Scienze per aver scritto un romanzo. Eppure, come scienziato e come insegnante, sento che la cultura scientifica debba essere illuminata ad uso di un pubblico più vasto che altrimenti poco se ne cura.

Per questo ho chiamato il mio genere letterario "scienza narrata". Per me è importante differenziare ciò che scrivo dalla fantascienza, il più chiaramente possibile. Secondo me, la differenza più importante è che nella scienza narrata tutta la scienza o il comportamento idiosincratico degli scienziati in essa descritto è plausibile. Nessuna di queste restrizioni si applica alla fantascienza. Non sto in alcun modo suggerendo che i voli di fantasia scientifica della fantascienza siano inappropriati. Ma se davvero si vuole usare la narrativa per contrabbandare fatti scientifici nella coscienza di un pubblico scientificamente analfabeta, allora è cruciale che essi vengano descritti con accuratezza. Altrimenti, come farà il lettore scientificamente uniformato a distinguere tra la scienza di intrattenimento e quella di informazione?

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