Copertina
Autore Alfred Döblin
Titolo Berlin Alexanderplatz
EdizioneRizzoli, Milano, 1998 [1931], BUR La Scala , Isbn 978-88-17-10620-7
OriginaleBerlin Alexanderplatz [1929]
LettoreRenato di Stefano, 1999
Classe narrativa tedesca
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Pagina 15 [ inizio libro ]

Questo libro racconta la vita di Franz Biberkopf di Berlino, ex cementiere e facchino. E' stato dimesso dal carcere dove l'avevano rinchiuso per vecchie colpe, torna a Berlino e si propone di vivere onestamente.

Da principio ci riesce. Ma in seguito, sebbene le cose non gli vadano troppo male, si trova preso in una vera e propria lotta con qualche cosa che viene dal di fuori, che è imponderabile e che ha tutta l'aria di un destino.

Tre volte questo mistero cozza contro di lui, e gli butta all'aria ogni piano. Prima lo assale con inganni ed imbrogli. L'uomo riesce a sollevarsi ed è sempre saldo in piedi.

Lo urta e lo colpisce allora vigliaccamente. A stento lui si rialza, a momenti rimaneva a knock-out.

Da ultimo lo silura con una estrema, mostruosa ferocia.

E cosi il nostro brav'uomo che ha saputo tener saldo fino alla fine, è tirato piatto. Ha perso la partita, non sa più da che parte voltarsi, sembra liquidato.

Prima però che egli giunga a una fine radicale, gli vengono aperti gli occhi in un modo che per ora non voglio indicare. Chiaramente gli viene spiegato dove era la causa di tutto. E cioè in lui stesso, già si incomincia a comprendere in tutta la sua maniera di vivere, che aveva l'aria di niente, ma che all'improvviso assume tutto un altro aspetto, non più semplice e ovvia, ma piena di superbie e di incoscienza, prepotente, e insieme vile e piena di debolezze.

Quella terribile cosa che è stata la sua vita assume un significato. A Franz Biberkopf è stata praticata una cura intensiva. Ed alla fine lo ritroviamo in Alexanderplatz, molto cambiato, arpionato, ma insomma rimesso in piedi.

Per molti non sarà tempo perduto osservare e ascoltare tutto questo, per coloro che, come Franz Biberkopf, abitano in una pelle d'uomo, e ai quali succede, come a Franz Biberkopf, di pretendere dalla vita più che il pane quotidiano.

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Pagina 63

"Si metta nei miei panni. Una buona posizione, ed ecco che mi mandano tutto all'aria."

"Io ero professore. Prima della guerra. Quando scoppiò la guerra ero già al punto di adesso. La bettola era per me quello che è oggi. A fare il soldato non mi hanno preso. Gente come me non ne hanno bisogno, gente che non sa farsi altro che iniezioni. Ossia, per dir meglio mi avevano preso, io pensavo, adesso mi viene un colpo. Naturalmente mi portarono via siringa, morfina, e dentro in caserma! Due giorni ho resistito finché avevo riserve, goccie; ma poi, ciao cari Prussiani, me ne vado al manicomio. Poi mi hanno lasciato andare. E, cosa volevo dirle, anche da scuola mi avevano licenziato; colla morfina, qualche volta si è mezzo allucinati, sul principio; adesso no, non capita più purtroppo. Già, e la moglie? e il bambino? Addio cara patria. Ah, Georg, potrei raccontarle delle belle storie romantiche anch'io!" Il grigio beve, tutte e due le mani al bicchiere, a sorsi lenti, con aria raccolta e guarda dentro il tè: "Una donna, un bambino, pare che siano tutto il mondo. Non che io mi sia pentito o che mi senta in colpa, bisogna accomodarsi con la realtà ed anche con se stessi. Non si deve fare il grande con la propria sorte. Io sono nemico del fato. Non sono greco, io; sono berlinese. Ma perché lascia freddare questo buon tè? Ci metta dentro un po' di rum". Il giovane copre il bicchiere con la mano, ma l'altro gliela allontana e da una bottiglietta che tira fuori di tasca gli versa dentro qualcosa. "Devo andarmene adesso. Grazie tante. Ho bisogno di camminare per smaltire la rabbia." "Rimanga qui calmo, Georg, beva un po' e poi giuochi a biliardo. Mai perdere la calma. Questo è il principio della fine. Quando io non ritrovai più a casa mia moglie e il bambino, ma soltanto una lettera che se ne andava da sua madre in Prussia occidentale, eccetera, esistenza mancata, un marito simile, una vergogna, eccetera, mi feci uno squarcio nel braccio sinistro, che aveva l'aria di un tentativo di suicidio. Non si deve mai trascurare la propria cultura, Georg. Perfino il provenzale sapevo, ma l'anatomia no. Presi un tendine per una vena. Non che oggi sia meglio orientato, ma non mi serve più. Insomma: dolore, pentimento, tutte sciocchezze, io rimasi in vita, mia moglie rimase in vita, il bambino anche, ebbe perfino altri bambini, là in Prussia occidentale, due, io agivo a distanza, e tutti siamo in vita. La Rosenthaler Platz mi riempie di gioia, il metropolitano all'angolo dell'Elsasser anche, e il biliardo anche. Che venga qualcuno a dirmi che la sua vita è meglio della mia e che io non capisco niente delle donne."

Il biondo lo guarda con ripugnanza: "Lei è un rudere, Krause, e lo sa da sé. Bell'esempio! Mi si presenta proprio nella sua miseria, Krause! Me l'ha detto lei. Come se non sapessi che è un disgraziato che non riesce a levarsi la fame con le sue lezioni private. Non voglio mica finire così io". Il grigio ha vuotato il suo bicchiere, si lascia andare indietro sulla seggiola di ferro e sbircia per un momento con aria ostile il giovane, poi esplode in una risata convulsa: "Macché! esempio, no. Ha ragione! Non l'ho mai preteso. Non posso essere un esempio per lei. La mosca può avere il suo punto di vista, si mette sotto il microscopio e crede di essere un cavallo. Ma la mosca deve venire una volta sotto la mia lente. Chi è lei, signor Georg? Si presenti un po'. Piazzista della ditta X Y, reparto calzature. Basta con gli scherzi. A me mi viene a raccontare le sue disgrazie, disgrazie: sillabi, la prego, la parola, 'd' come debiti, 'i' come idiota, 's' come suicidio, 'g' come galera! Se ne vada. Se ne vada, ha sbagliato indirizzo, lei, completamente sbagliato".

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Pagina 100

Era lui. Lui è già fuori, ma la poesia è bella. Siede solo al suo tavolo; Henschke dietro al lavandino e gli altri ascoltano, non entra più nessuno di nuovo, la stufa scricchiola. E Franz, con la testa appoggiata alla mano recita una poesia che ha fatto Dohms, ed ecco lì la cella, il cortile; adesso può sopportarlo tranquillamente, tutto questo; chi sa chi ci sarà dentro adesso: lui stesso ora passeggia nel cortile e questo è qualcosa di più di quello che possono fare questi qui, cosa ne sanno loro della vita.

Egli recita: "O uom, se vuoi diventare a questo mondo un uomo vero a tutto tondo, pensaci bene, pensaci un bel po', prima che la levatrice ti faccia veder la luce, puoi sempre dir di no! Il mondo è un buco pieno d'affanni e di momenti persi, puoi credere al cantor di questi versi, che troppo spesso mangia 'sto pane duro e senza sale, e se ti fa impressione, becco dal Faust di Goethe questa citazione: che l'uomo nella vita sta benone solitamente solo come embrione!... Ma c'è il buon padre Stato che ti cura, fin da bambino ti tien per la cintura. Ti pizzica e ti pela ben lo Stato coi paragrafi, coi commi e col vietato! Dice il primo comandamento dello Stato: o uomo, sgancia! E il secondo: tieni chiuso il becco! Così tu vivi in un crepuscolo smagato nella parte di chi sempre è fregato. E se cerchi d'affogare all'osteria gli affanni nella birra oppur nel vino, subito in un momento diventi sbronzo e ti saluto Nino! E intanto gli anni passano, ti mangiano le tigne, ti scricchiolano gli ossi, le gambe molli e flosce; si scioglie il sale in zucca, di sotto più non tira. Siamo all'autunno ormai, tu metti giù il cucchiaio e all'altro mondo vai. Ora ti chiedo o amico, e tremo, ma cos'è dunque l'uomo, la vita che cos'è? Già il nostro grande Schiller disse che fra i beni il maggiore essa non è. Ma io credo che dubbio non ci sia: è come la scala d'un pollaio, da cima a fondo e così via».

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Pagina 108

STATURA DI FRANZ BIBERKOPF.
PUO' MISURARSI CON GLI EROI ANTICHI


Questo Franz Biberkopf già cementiere, facchino eccetera, ora venditore di giornali, pesa quasi un quintale. E' forte come un cobra e di nuovo membro di un club atletico. Porta fascie verdi alle gambe, scarpe coi chiodi, giacca a vento. Soldi addosso non gliene trovereste molti, da lui il denaro va e viene, sempre in piccole quantità, ma tuttavia è sempre meglio girargli un poco al largo.

Se lo assillano ancora, dai tempi di prima, Ida e il resto, rimorsi di coscienza, incubi, sonno inquieto, angosce, erinni del tempo delle nostre lontanissime ave? Niente da fare. Si pensi quant'è cambiata la situazione. L'assassino, ai suoi tempi, un uomo maledetto da Dio (come lo sai, figliolo?), Oreste, ha ucciso presso l'altare Clitennestra, un nome che appena puoi pronunziare, ma che ad ogni modo era sua madre. (Di quale altare intende parlare? Qui da noi avete un bel cercare, una chiesa che sta aperta di notte.) Ma vi dico, tempi cambiati. Ohi, ohi, bestie orribili, femmine con serpi in testa, cani senza museruola, un serraglio tutt'altro che simpatico, tendono il muso verso di lui, vogliono morderlo, ma non gli si avvicinano, perché è vicino all'altare, questa è una antica rappresentazione, tutta la canaglia gli danza attorno inviperita, e i cani in mezzo. Senz'arpa, come dice la canzone, prosegue la danza delle erinni, si stringono attorno alla vittima, allucinazioni, turbamento degli organi sensori, preparazione per il manicomio.

Franz Biberkopf, però, non lo perseguitano. Diciamolo pure, buon appetito, egli va a bere da Henschke o altrove, la fascia in tasca, un boccone dopo l'altro, e in mezzo un grappino che gli solleva lo spirito. Così il facchino eccetera, ora giornalaio Franz Biberkopf di Berlino N.O., alla fine del 1927, si distingue dal famoso antico Oreste. E chi non vorrebbe essere piuttosto nella pelle dell'altro?

Franz ha ucciso la sua fidanzata, Ida, il cognome non importa, nel fiore degli anni. Questo è successo in seguito ad una discussione avvenuta tra Franz e Ida, in casa della sorella di lei, Minna, in conseguenza della quale furono dapprima lievernente danneggiati i seguenti organi della donna: la pelle del naso presso alla radice, e l'osso che c'è sotto con la cartilagine, la qual cosa però fu notata soltanto all'ospedale ed ebbe poi una certa parte negli atti giudiziali, inoltre la spalla destra e la sinistra che riportarono leggere contusioni con uscita di sangue. A questo punto però le parole diventarono vivaci. Le espressioni "ruffiano" e "sfruttatore" eccitarono terribilmente Franz Biberkopf, un poco decaduto moralmente, sì, ma sensibilissimo nell'onore, il quale era eccitato anche per altri motivi. Tutti i muscoli gli fremevano. Egli afferrò allora un piccolo frullino di legno, nient'altro, perché aveva una mano ferita, già allora si allenava nei suoi esercizi di atletica. E questo piccolo frullino con la sua spirale di fil di ferro egli portò a contatto con il petto di Ida, sua interlocutrice, con potente, duplice slancio. La cassa toracica di Ida era rimasta, fino a quel giorno, assolutamente intatta - il resto della sua piccola e graziosa persona, no - c'era anche questo: l'uomo da lei mantenuto sospettava, non a torto, che essa volesse dargli un passaporto in favore di un tale di Breslavia, spuntato fuori da poco. Ad ogni modo la cassa toracica della fanciulla non era preparata al contatto con quel frullino. Già al primo colpo essa gridò ahi! e non disse più ruffiano, ma soltanto: oh Dio! Il secondo contatto col frullino avvenne per la fermezza del contegno di Franz, mentre Ida aveva fatto un quarto di giro su se stessa. Questa volta Ida non disse niente, ma spalancò la bocca in un modo strano e alzò in alto le braccia.

Quel che era successo un momento prima nella cassa toracica della giovane donna sta in relazione con le leggi della rigidità e dell'elasticità, del colpo e del contraccolpo, e non si può intendere senza la conoscenza di queste leggi. Ci serviremo delle formule seguenti:

La prima legge di Newton (Niuton) che dice: "Ogni corpo rimane in stato di quiete finché nessuna forza lo solleciti a cambiare di stato". (Si riferisce alle costole di Ida.) La seconda legge del moto di Niuton dice: "Il cambiamento di moto è proporzionale alla forza agente ed ha la stessa direzione" (la forza agente è Franz e più particolarmente il braccio e il pugno con il suo contenuto).

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Pagina 152

Nei lunghi capannoni ci sono delle porte, aperture nere per l'ingresso degli animali, numerate, 26, 27, 28. Stalle per bovini, stalle per maiali, locali del mattatoio, esecuzione capitale degli animali, ascie vibrate in alto, tu non esci più vivo di qui. Strade tranquille sboccano qui, Strassmannstrasse, Liebigstrasse, Proskauer, giardini in cui passeggia la gente. Abitano vicino uno all'altro, ben caldi, e se uno si ammala e ha il mal di gola viene di corsa il medico.

Dall'altra parte corrono i binari della circolare, 15 chilometri. Dalle provincie arriva il bestiame, esemplari della famiglia degli ovini, dei suini, dei bovini, dalla Prussia orientale, Pomerania, Brandeburgo, Prussia occidentale. Dalle rampe belano, muggiscono, i maiali grugniscono e grufolano per terra, non vedono dove vanno e i guardiani dietro, col bastone. Poi nelle stalle si sdraiano per terra, tutti bianchi, uno pigiato accanto all'altro, russano, dormono. Li hanno spinti per lunghe vie, poi scaraventati nei carri e ora finalmente non c'è più niente che vibra sotto a loro, solo le piastrelle sono fredde e loro si svegliano e si pigiano uno contro l'altro. Sdraiati uno sopra l'altro. Due si azzuffano, c'è posto nell'angolo, testa contro testa, cercano di morsicarsi il collo, gli orecchi, girano in cerchio, rantolano, ogni tanto rimangono fermi e silenziosi, si mordono soltanto. Impaurito, uno si arrampica sui corpi degli altri, l'altro dietro, cerca di mordere, quelli di sotto si rivoltano, i due rotolano giù e si cercano.

Per il corridoio cammina un uomo con una tunica di lino, apre la stalla, entra con un bastone in mezzo a loro, la porta è aperta, le bestie si pigiano per uscir fuori, strillano, non si sentono che urla e grugniti. Adesso tutti per i corridoi. Vengono spinti per i cortili, fra i capannoni, bestie bianche e ridicole, coi fianchi grassi e lucenti, e quelle allegre codine attorcigliate e striscie verdi rosse sulla schiena. Questa è luce, questa è terra, maialini cari, fiutate ancora una volta, per quanti minuti ancora? No, avete ragione, non si deve lavorare con l'orologio alla mano, ma annusare e grufolare. Sarete ammazzati, ecco, guardate il mattatoio, il mattatoio dei maiali. Ci sono vecchi edifici, ma a voi tocca il modello nuovo. Pieno di luce, tutto di mattoni rossi, a vederlo di fuori si potrebbe prenderlo per l'officina di un fabbro, un'officina o un ufficio o una sala di montaggio. Io entrerò da un'altra parte, cari maialini, perché sono un uomo, io, entrerò da quella porta; ci ritroviamo dentro fra poco.

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Pagina 155

Un giovanotto pallido, con i capelli biondi appiccicati, tiene un sigaro in bocca. Ecco l'ultimo essere umano che si occupa di voi. Non pensate male di lui, non fa altro che il suo mestiere. Egli ha da regolare semplicemente con voi un fatto di amministrazione. Indosso ha solo stivali, calzoni, camicia e bretelle, gli stivali gli arrivano oltre il ginocchio, è l'abito che richiede il suo ufficio. Si toglie il sigaro di bocca, lo mette da parte su una scansia appesa alla parete e da un angolo prende su una scure: essa è l'insegna della sua dignità, della sua superiorità su di voi, come la targhetta di latta del poliziotto. Ora ve ne darà subito la prova. E' una lunga stanga di legno che il giovane solleva all'altezza della spalla, sui maialini che squittiscono e indisturbati grufolano e grugniscono ai suoi piedi. Con lo sguardo in basso, l'uomo va attorno e cerca, cerca. Si tratta di un processo penale riguardo una certa persona, un processo penale di x contro y. Zac, e uno gli casca davanti ai piedi, zac, ed eccone un altro. L'uomo è svelto, si è già legittimato, ha lasciato piombare giù la scure dalla parte senza lama in mezzo alla calca, su una testa, poi su un'altra. E' stato un momento. Ai suoi piedi il colpito si dimena, sgambetta un poco, poi si volta su un fianco e non ha più niente da dire, rimane steso per terra. Ma cosa fanno le gambe, cosa fa la testa? Non è più il maiale che si muove, sono le gambe che si muovono, per così dire, privatamente. Ma già dalla stanza delle caldaie due uomini hanno visto a che punto sono le cose, aprono uno sportello nella parete del mattatoio, tirando fuori la bestia, e, in ginocchio, zic, zic, gli ficcano il coltello nel collo, riss, gli fanno un lungo taglio, tutto il collo è aperto, come la bocca di un sacco, con altri tagli profondi gli penetrano nel corpo, l'animale sussulta, zampetta, si dibatte, è senza coscienza, per ora senza coscienza e basta, tra poco avrà di peggio, squittisce, ed ecco che gli aprono le vene del collo. Ormai ha perduto completamente coscienza, siamo nella metafisica, è cominciata la teologia, bestiola mia, tu non sei più in terra, ma ormai spaziamo al disopra delle nubi. Svelti, portate qua la catinella, il sangue nero e caldo ci spilla dentro, spumeggia, forma bolle, sù, bisogna agitarlo. Nel corpo il sangue si coagula, bisogna fare dei tappi, chiudere le ferite. Ormai è già fuori del corpo e vorrebbe sempre coagularsi. Come un bambino grida mamma mamma, mentre sta disteso sul letto d'operazione, e non è ormai il caso di parlare della mamma e la mamma non vuol venire, ma lì sotto la maschera con l'etere c'è da soffocare e il bimbo grida ancora mamma, fin che non può più. E il sangue scorre, le vene di destra, le vene di sinistra. Bisogna agitarlo subito. Così va bene. Alla fine cessa il crampo convulso. E tu giaci là immobile. Finita la fisiologia e la teologia, comincia la fisica.

L'uomo inginocchiamo si alza. Le ginocchia gli fanno male. Bisogna scottare il maiale, sventrarlo, tagliarlo, una cosa dopo l'altra. Il capo, ben pasciuto, va in giro in mezzo al fumo con la sua pipa in bocca e di tanto in tanto getta un'occhiata dentro una pancia aperta. Alla parete vicino alla porta c'è un manifesto: Festa da ballo dei primi speditori del Mattatoio, Saalbau, Friedrichshain, orchestra Kermbach. Fuori sono annunziati incontri di boxe. Sala Germania, Chausseestrasse 110, ingresso da un marco e cinquanta fino a dieci marchi. Quattro gare di qualificazione.

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Pagina 181

        Libro quinto

        Un rapido migliora-
        mento, l'uomo è di
        nuovo dov'era prima,
        non ha imparato nien-
        te, non ha capito nien-
        te. Adesso il primo
        colpo duro si abbatte
        su di lui.  E' trascinato
        in un delitto, resiste,
        si difende, ma proprio
        deve.
        Si difende, valoroso e
        selvaggio, con le ma-
        ni e coi piedi, ma non
        serve a niente, è più
        forte di lui, deve, deve.


CI SI RIVEDE NELL'ALEX, FREDDO CANE.
L'ANNO PROSSIMO, 1929,
FARA' ANCORA PIU' FREDDO


Brum, brum: davanti a Aschinger nell'Alex strepita il battipalo a vapore. E' alto quanto il piano di una casa e come niente infila i pali di ferro per terra.

Aria di neve. Febbraio. La gente va attorno infagottata. Chi ha una pelliccia la porta, chi non l'ha va senza. Le donne hanno le calze sottili e devono aver freddo, ma sono carine. Dinanzi al freddo sono scappati a rintanarsi anche i lazzaroni. Quando poi fa caldo tornano a mettere fuori il naso. Intanto tirano giù una grappa doppia, ma che razza di grappa, non ci si vorrebbe nuotare dentro nemmeno cadaveri.

Brum brum, pesta il battipalo in Alexanderplatz. Molta gente ha tempo e si ferma a guardare come lavora la macchina. Un uomo sta in cima, tira una catena, e in alto qualcosa scatta, zac, e il palo si piglia un colpo sulla testa. Tutt'intorno uomini e donne con viso allegro stanno a vedere come tutto fila svelto: zac e il palo riceve un colpo sulla testa. Alla fine diventa piccolo come la punta di un dito ed eccco che gli arriva un altro colpo e adesso può fare quel che vuole: è sparito sottoterra. Perbacco, l'hanno condito bene. E la gente se ne va soddisfatta.

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