Copertina
Autore Catherine Dunne
Titolo La metà di niente
EdizioneGuanda, Parma, 2000, Narratori della fenice , pag. 295, dim. 140x220x27 mm , Isbn 978-88-7746-975-5
OriginaleIn the Beginning [1997]
TraduttoreEva Kampmann
LettoreRenato di Stefano, 2000
Classe narrativa irlandese
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Pagina 7

Prologo

In principio c'è una famiglia. Non è niente di eccezionale, è una famiglia normalissima, proprio come la vostra e la mia.

Questa famiglia è composta da cinque persone. Il padre si chiama Ben. Ha quarantacinque anni, è pelaticcio e ha un accenno di pancetta. Lavora in proprio e porta a casa il pane. Vuole bene ai figli e non picchia la moglie.

Rose è la madre. Ha quarantadue anni, ed è un po' affaticata da vent'anni di guerra con il giro vita. È una madre affettuosa, una massaia efficiente e non tradisce Ben.

I figli sono tre. Hanno un'età compresa tra i sei e i diciassette annni. Si danno grande importanza, ma, per quanto ci riguarda, per il momento saranno semplicemente I Figli.

Questa famiglia anonima tira avanti vivendo alla giornata. Spesso Ben e Rose si chiedono: tutto qui? Però non se lo chiedono a vicenda.

Un giorno Ben entra in cucina. Sta cercando Rose, che è occupata a bollire le uova.

«Rose.»

Ultimamente non l'ha quasi mai chiamata per nome, perciò ei alza lo sguardo sorpresa.

«Dobbiamo parlare.»

Il mondo crolla, anni e anni precipitano turbinando, vite vengono distrutte. Adesso Rose sa che tutte le venture sono state annunciate da quella frase. Dobbiamo parlare.

«Devo andar via per un po'. Penso che abbiamo bisogno di stare ognuno per conto proprio, solo per un periodo. Mi dispiace farlo così, ma è che non sono felice.»

Rose fissa le uova. È affascinata dal modo in cui salgono gorgogliando in superficie, sospinte da un getto d'acqua bollente. Uno si è appena rotto e trasuda un candore gelatinoso nell'acqua agitata. Ora sa che sarà tutto acquoso dentro.

Questa è una mattina fatta per i cliché. Dobbiamo parlare. Mi sono sentita le gambe tremare. Non credevo alle mie orecchie. Abbiamo deciso di separarci per un periodo di prova.

Rose scruta la faccia di Ben alla ricerca di risposte, di qualche indizio che spieghi la borsa bell'e pronta ai suoi piedi.

«Adesso?» gli chiede stupidamente.

Lui alza le spalle.

«Non vedo perché dovremmo aspettare. La cosa era nell'aria da parecchio. Lo sai.»

Lo sa? È questo che Ben voleva dire con i suoi lunghi silenzi, la sua insoddisfazione crescente nei riguardi del lavoro, la sua irrequietezza? Rose è consapevole che da un po' di tempo qualcosa covava sotto la superficie, ma magari, chissà, una vacanza, un week-end fuori insieme senza i figli ... ? Adesso, a quanto pare, non è così facile da definire, qualunque cosa sia.

Si sente estremamente calma. Spegne il fomello e toglie gli spruzzi con un panno, sforzandosi di non guardare Ben.

È convinta che sia così per tutte le grandi crisi della vita delle persone. Il momento in sé passa senza grandi drammi. I drammi vengono dopo.

È consapevole del momento, di lui, di se stessa, della casseruola che ormai fuma placidamente. Sa che tutti questi dettagli si stanno imprimendo in fondo ai suoi occhi, per poi, in seguito, essere riproiettati all'infinito. Scosta gli occhi dalle cose rassicuranti, familiari, e li fissa su Ben.

«Non possiamo parlare? Devi andare proprio adesso, senza darci nemmeno la possibilità di discuterne?»

Lui fa un gesto di impazienza.

«Sono anni che cerco di parlarti. Devo andare via per chiarirmi le idee. Ti chiamo quando torno.»

Rose sa che Ben è deciso, e anche esasperato.

«Non sei nemmeno arrabbiata?» le chiede. «Lanciami qualcosa, picchiami se vuoi, ma Cristo, reagisci.»

«No, non sono arrabbiata» risponde Rose. «Non so che cosa provo, ma non ho certo voglia di picchiarti.»

Di colpo Ben si dirige verso la porta.

«È per sempre, non è vero? Non è solo per un periodo.»

Ben si volta verso di lei, la faccia pallida.

«Credo di si. Non ti amo più.»

Ed ecco che se n'è andato. La porta si chiude alle sue spalle senza far rumore. Rose grida ai figli che è ora di andare.

Mette sul tavolo le merende da portare a scuola e un altro giorno ha inizio.

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Pagina 62

Mercoledì 5 aprile; ore 8.45

Brian e Lisa si erano messi a borbottare sull'ingiustizia della vita. Brian voleva essere accompagnato a scuola in macchina e Lisa, sospettava Rose, voleva semplicemente stare con lei. Rose promise di farsi trovare a casa al loro ritorno, riorganizzandosi mentalmente la giornata.

Arrivò davanti al supermercato prima che aprisse. Diede una rapida scorsa alla lista in macchina. Puro e semplice pilota automatico. Ripensò a quando era appena sposata. La fatica di dover decidere che cosa comprare, che cosa preparare da mangiare, come variare i pasti: le sembrava una grande impresa. Ben aveva sempre delegato a lei; odiava i supermercati.

Vent'anni dopo, ancora la spesa. Era questo l'unico aspetto duraturo di tutti i rapporti umani? L'acquistare e il cucinare il cibo erano l'unica costante? La routine dava sicurezza. Se non altro, era familiare.

Ma oggi c'era qualcosa di diverso. Non era solo il fatto che comprava con maggiore attenzione, cercando di risparmiare di più. Faceva la spesa da una posizione diversa. La solida normalità delle donne con carrozzine e passeggini, e bambini piccoli pigiati nei sedili dei carrelli sembrava diversa. Le donne truccate di tutto punto, piene di anelli e con le unghie laccate già alle nove del mattino sembravano diverse. Agli occhi di Rose tutto cominciava ad assumere un'aria molto più fragile. Guardò più attentamente le facce che la circondavano. Quello che le era sempre parso un solido, rispettabile muro borghese di stabilità economica e vita agiata ora cominciava a incrinarsi.

Nella sua immaginazione Rose scorse il panico dietro le facce ben truccate e le mani abbronzate e inanellate. Fiutò un'aria di disperazione sotto la maschera discreta di rossetto e fondo tinta. Sicuramente, in quella fase della vita, con tutti i probabili figli bell'e cresciuti, non c'era bisogno di andare al supermercato tanto presto. Il vizio mattutino del supermercato era forse una boa, qualcosa cui aggrapparsi per evitare che i giorni si confondessero gli uni con gli altri senza alcun segno distintivo? L'andare a fare la spesa era una dipendenza necessaria, per dare una forma alla giornata, per evitare la sensazione di non aver combinato niente nella vita?

Rose senti un prurito di sudore freddo alla nuca. Era questo che l'aspettava tra dieci anni?

Le giovani erano diverse. Perfino il loro modo di camminare era deciso, rivelava la mancanza di tempo. Rose ricordava la velocità e la precisione necessarie per lasciare un figlio a scuola, un altro all'asilo, andare al supermercato, tornare a casa, sistemare la spesa, riandare a prendere il piccolo all'asilo, tornare a casa, metterlo a dormire, pranzare, andare a prendere il più grande a scuola, preparare il pasto della sera, fare il bucato, lavarli, cambiarli, raccontare le favole della buonanotte. Riusciva quasi a leggere il programma delle cose da fare sulle facce delle donne.

Ma lei non era più legata a una cosí rigida suddivisione dei tempo. Tutt'a un tratto, quando Ben l'aveva lasciata, si era resa conto che anche i figli se ne sarebbero andati, e che ormai tutto stava cambiando. Presto non sarebbe più stata nemmeno una mamma nel tradizionale, fondamentale senso della parola.

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Pagina 281

Martedì 25 luglio; ore 9.10

«Allora, che alternative ho?»

Era la mattina presto di martedì. Rose stava parlando con David O'Brien.

«Praticamente nessuna, immagino» si rispose da sola.

«Rose, se non riusciamo a rintracciarlo, possiamo fare ben poco. Hai idea di dove possa essere andato?»

«No, adesso come adesso, no. Forse se continuo a pensare mi verrà qualche idea. Ma in tutta sincerità, dovrò organizzarmi dando per scontato che non lo troveremo mai. Anzi, spero proprio di non rivederlo più. Sarebbe tutto molto più semplice se fosse morto.»

Ci fu un momento di silenzio. «Posso solo cercare di im- maginare come ti senti, Rose. Mi dispiace veramente.»

Rose scosse la testa con forza per trattenere le lacrime. Questo non era il momento per l'autocommiserazione, né per la commiserazione di nessuno.

«Mandami quelle cinque lettere» le disse David. «Ne farò delle copie e poi le spedirò. Ma da quello che mi hai detto, mi sembra che Ben non abbia lasciato garanzie economiche di sorta. Non parlasse con nessuno, non prendere iniziative fìno a quando non mi rifarò vivo con te. Lo so che Barry Herbert è un tuo amico, ma non dirgli ancora niente. Mi hai sentito?»

Sarebbe stato perfettamente inutile spiegare a David che Barry era un uomo per bene, un uomo d'affari dotato di principi morali. Sarebbe stato perfettamente inutile spiegargli che l'istinto le diceva che se c'era qualcuno in grado di salvare qualcosa dalle disastrose operazioni commerciali di Ben, era proprio lui. David era sospettoso per natura e per professione.

Rose acconsentì. «Okay, aspetterò di sentirti. Riuscirai a fare presto?»

Rose stava imparando che la legge era molto lenta. Alla gente comune e ai suoi problemi, al divorzio all'irlandese, non aveva nulla da offrire. Rose sentiva che non aveva diritti. Non era più la metà di una rispettabile, solida coppia borghese.

Era la metà di niente. Ora tutto dipendeva da Ben: bisognava rintracciarlo, riordinare quel caos, ottenere il suo consenso. Senza quello, Rose si trovava nella terra di Nessuna. E ancora una volta, aspettava. Non voleva spendere altro tempo della sua vita aspettando.

«Mi rifarò vivo con te entro venerdì. Intanto, resisti. Devi darmi la possibilità di fare indagini.»

Indagini. Che bella parola. La sua vita sarebbe stata plasmata dalle indagini. Il futuro dei suoi figli, della sua casa, il suo. Aveva il presentimento che quelle indagini sarebbero durate a lungo.

Rose fece il caffè e si sedette nella quiete della cucina. Le sarebbe piaciuto abbandonarla - quella cucina dove, a quanto sembrava, era successo tutto - e trasferirsi in un'altra, di cucina, dove gli avvenitnenti sarebbero stati determinati solo da lei.

L'avrebbe dipinta di un colore diverso. I pensili e i cassettí avrebbero contenuto soltanto oggetti semplici. Avrebbe liberato la sua casa delle complesse macchine della cucina da cordon bleu. Per quelle avrebbe trovato un altro posto, un posto chiamato lavoro, non casa. Cominciò a progettare un altro spazio, un'altra cucina dove avrebbe potuto cominciare a guadagnarsi da vivere. Cucinare: per amore o per soldi.

Rose tirò fuori il taccuino dalla borsetta e stese un elenco delle possibili fonti di reddito. C'era la Bonne Bouche, per quattro ore al giorno, per esempio, tutte le mattine dalle sei alle dieci. C'era la cena per dodici una volta al mese. C'era il servizio di catering per le feste, magari avrebbe potuto sforzarsi e portarlo a una volta alla settimana.

Con un improvviso lampo di intuizione, a Rose venne in mente un'altra cosa che poteva fare. Perché no? Perché non avrebbe dovuto prendere l'iniziativa e credere in se stessa? Immaginava che Jack Morrissey sarebbe stato disposto a tutto pur di riprendersi i suoi soldi.

La mente di Rose mulinava. Preparò da mangiare per le sei, come se avesse inserito il pilota automatico. La cena fu turbolenta, le vacanze estive erano al culmine. Brian e Lisa, in particolare, erano pieni di lentiggini e salute. Come poteva dirgli che il padre se ne era andato per sempre?

Per un momento fu colta dal panico. Era pazza? Come poteva far fronte a tutto questo da sola? Poi il momento passò.

Dopo cena si rinchiuse nell'ufficio di Ben e lavorò fino a notte fonda. Alle quattro aveva finito. L'ufficio era cosparso di carte. Riposti al sicuro, in una cartellina azzurra, c'erano quattordici fogli scritti con una grafia nitida. Doveva imparare a usare il computer.

Rose era talmente su di giri che non riusciva a dormire. Decise di portarsi avanti sulle ordinazioni della Bonne Bouche. Per le quattro ore successive si affaccendò davanti al forno, provando due nuovi impasti mediorientali. Poteva farcela, sapeva che poteva farcela. E ce l'avrebbe fatta.

Mentre aspettava che gli impasti lievitassero, ripensò alla sua vita. Da ragazza desiderava solo le cose che credeva avesse la madre. E sua sorella Ellen diceva che si era sbagliata perfino in questo. Poi aveva desiderato solo quello che desiderava Ben. Non si era mai data il tempo di capire che cosa voleva veramente, indipendentemente dagli altri. Ma questo avrebbe davvero fatto di lei una persona diversa a diciannove anni, e come avrebbe potuto esserlo? Rose si domandò come avrebbe potuto un bambino cercare di diventare un adulto diverso. Come si può imparare a plasmare se stessi?

Per la prima volta nella sua vita, Rose si senti adulta.

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