Copertina
Autore Marcus du Sautoy
Titolo L'enigma dei numeri primi
SottotitoloL'ipotesi di Riemann, il più grande mistero della matematica
EdizioneRizzoli, Milano, 2005 [2004], BUR Saggi , pag. 608, ill., cop.fle., dim. 130x180x38 mm , Isbn 978-88-17-00843-3
OriginaleThe Music of the Primes [2003]
TraduttoreCarlo Capararo
LettoreCorrado Leonardo, 2006
Classe matematica , storia della scienza
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Indice


1.  Chi vuol essere milionario?                     7
2.  Gli atomi dell'aritmetica                      39
3.  Lo specchio matematico immaginario di Riemann 110
4.  L'ipotesi di Riemann:
    da numeri primi casuali a zeri ordinati       155
5.  La corsa matematica a staffetta:
    parte la rivoluzione riemanniana              187
6.  Ramanujan, il mistico matematico              242
7.  Esodo matematico: da Gottinga a Princeton     271
8.  Macchine della mente                          321
9.  L'era dell'informatica: dalla mente al PC     375
10. Scomporre numeri e decifrare codici           413
11. Dagli zeri ordinati al caos quantistico       474
12. L'ultima tessera del puzzle                   535


Ringraziamenti                                    585
Bibliografia                                      589
Indice dei nomi                                   599

 

 

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cen 1
Chi vuol essere milionario?



    «Sappiamo di che sequenza di numeri si tratta? D'accordo,
    vediamo, possiamo arrivarci con la nostra testa...
    cinquantanove, sessantuno, sessantasette... settantuno...
    Non sono tutti numeri primi?» Un brusio di eccitazione si
    diffuse per la sala di controllo. Il volto di Ellie rivelò
    per un istante il fremito di un'emozione intensa, che fu
    però rapidamente sostituito da un'espressione sobria, da
    un timore di lasciarsi sopraffare, da un'inquietudine di
    apparire sciocca, non scientifica.
                                           Carl Sagan, Contact
Una mattina calda e umida dell'agosto 1900, David Hilbert dell'università di Gottinga prese la parola al Congresso internazionale dei matematici in una gremita sala per le conferenze della Sorbona, a Parigi. Hilbert, che già allora era riconosciuto come uno dei più grandi matematici dell'epoca, aveva preparato un discorso ardito. Si proponeva di parlare non di ciò che era già stato dimostrato ma di ciò che era ancora ignoto. Questo andava contro tutte le regole, e quando Hilbert cominciò a esporre la propria visione del futuro della matematica il pubblico percepì il nervosismo nella sua voce. «Chi di noi non sarebbe felice di sollevare il velo dietro al quale si cela il futuro; di gettare uno sguardo ai progressi venturi della nostra scienza e ai segreti del suo sviluppo nel corso dei prossimi secoli?» Per annunciare il nuovo secolo, Hilbert proponeva come sfida ai suoi ascoltatori un elenco di ventitré problemi che secondo lui avrebbero dovuto tracciare la rotta per gli esploratori matematici del XX secolo.

I decenni che seguirono videro le risposte a molti di quei problemi, e coloro che ne scoprirono le soluzioni formano un illustre gruppo di matematici noto con il nome di «The Honours Class». Il gruppo comprende personaggi del calibro di Kurt Gödel e di Henri Poincaré, insieme a molti altri pionieri le cui idee hanno mutato radicalmente il paesaggio della matematica. Ma c'era un problema, l'ottavo nell'elenco di Hilbert, che sembrava destinato a sopravvivere al secolo senza che si trovasse un campione in grado di sconfiggerlo: l'ipotesi di Riemann.

Di tutte le sfide che Hilbert aveva approntato, l'ottava occupava un posto speciale nel suo cuore. Esiste un mito germanico su Federico Barbarossa, un imperatore molto amato dai tedeschi. Dopo la sua morte, avvenuta durante la Terza Crociata, si diffuse la leggenda che in realtà Federico fosse ancora vivo, e che giacesse addormentato in una caverna nel monte Kyffhäuser. Si sarebbe risvegliato solo quando la Germania avesse avuto bisogno di lui. Si dice che qualcuno chiese a Hilbert: «Se lei, come il Barbarossa, dovesse rinascere fra cinquecento anni, quale sarebbe la prima cosa che farebbe?». «Domanderei se qualcuno ha dimostrato l'ipotesi di Riemann» fu la sua risposta.

Mentre il XX secolo stava per chiudersi, la maggior parte dei matematici si era rassegnata al fatto che fra tutti i problemi proposti da Hilbert quella gemma preziosa non solo aveva grandi probabilità di sopravvivere al secolo, ma forse non sarebbe stata ancora risolta quando Hilbert si fosse risvegliato dal suo sonno di cinquecento anni. Con quel suo rivoluzionario discorso carico di un senso di mistero, egli aveva provocato sconcerto al primo Congresso internazionale del XX secolo. Tuttavia, per quei matematici che avevano in programma di partecipare all'ultimo Congresso del secolo c'era in serbo una sorpresa.

Il 7 aprile 1997 una notizia eccezionale balenò sugli schermi dei computer dell'intera comunità matematica mondiale. Sul sito web del Congresso internazionale che si sarebbe tenuto l'anno seguente a Berlino comparve l'annuncio che la conquista del Santo Graal della matematica era stata finalmente rivendicata. Qualcuno aveva dimostrato l'ipotesi di Riemann. Quella notizia era destinata ad avere effetti profondi. L'ipotesi di Riemann è un problema centrale per l'intera matematica. Mentre leggevano la loro posta elettronica, i matematici fremevano d'eccitazione alla prospettiva di comprendere uno dei più grandi misteri della matematica.

L'annuncio giungeva in una lettera del professor Enrico Bombieri. Non si sarebbe potuta chiedere una fonte migliore, più stimata. Bombieri è uno dei custodi dell'ipotesi di Riemann e risiede al prestigioso Institute for Advanced Study di Princeton, che già ospitò Einstein e Gödel. Parla in modo molto pacato, ma i matematici ascoltano con attenzione tutto quello che ha da dire.

Bombieri è cresciuto in Italia, dove i vigneti della sua ricca famiglia gli hanno fatto acquisire un gusto per le cose belle della vita. I colleghi lo chiamano con affetto «l'aristocratico della matematica». Da giovane la sua eleganza raffinata attraeva sempre l'attenzione ai convegni europei, dove spesso arrivava alla guida di costose automobili sportive. Lui, d'altra parte, era ben felice di alimentare le voci secondo cui una volta si era classificato sesto a una ventiquattrore automobilistica in Italia. Col tempo i suoi successi nel circuito matematico furono più tangibili e negli anni Settanta gli valsero un invito a recarsi a Princeton, dove è rimasto. Ha sostituito l'entusiasmo per le corse con una passione per la pittura, soprattutto per i ritratti.

Ma è l'arte creativa della matematica, e in particolare la sfida posta dall'ipotesi di Riemann, a procurare a Bombieri l'eccitazione più grande. L'ipotesi di Riemann lo aveva ossessionato fin dalla precoce età di quindici anni, quando ne aveva letto per la prima volta. Le proprietà dei numeri non smettevano di affascinarlo mentre sfogliava i libri di matematica che suo padre, un economista, aveva raccolto nella sua vasta biblioteca. Scoprì che l'ipotesi di Riemann era considerata il problema più profondo e fondamentale della teoria dei numeri. E la sua passione per quel problema crebbe ancor di più quando suo padre si offrì di compragli una Ferrari se l'avesse risolto, un tentativo disperato di fargli smettere di guidare la sua Ferrari.

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Come l'eroina di Sagan che ascolta il battito dei numeri primi cosmici e Sacks che spia il misterioso dialogo numerico dei gemelli, da secoli i matematici si sforzavano di percepire un ordine in quel caos. Nulla sembrava aver senso: era come ascoltare della musica orientale con orecchie occidentali. Poi, a metà del XIX secolo, vi fu una svolta decisiva. Bernhard Riemann prese a osservare il problema in un modo completamente nuovo. Da quella prospettiva inedita, Riemann cominciò a capire qualcosa della struttura che era all'origine del caos dei primi. Sotto il rumore apparente si celava un'armonia sottile e inattesa. Ma a dispetto di quel grande passo avanti, molti dei segreti della nuova musica rimanevano ancora fuori portata. Riemann, il Wagner del mondo matematico, non si scoraggiò. Fece un'audace previsione sulla musica misteriosa che aveva scoperto. Quella previsione sarebbe diventata nota con il nome di ipotesi di Riemann. Chiunque riuscirà a dimostrare che l'intuizione di Riemann sulla natura di quella musica era corretta, sarà in grado di spiegare perché i numeri primi danno un'impressione così convincente di casualità.

L'intuizione di Riemann fece seguito alla sua scoperta di uno specchio matematico che gli consentiva di scrutare i primi. Quando Alice attraversò il suo specchio, il mondo si capovolse. Nello strano mondo matematico che si trova oltre lo specchio di Riemann, invece, il caos dei primi sembrava trasformarsi in una struttura ordinata più salda di quanto qualsiasi matematico avrebbe potuto sperare. Egli congetturò che, per quanto lontano si fosse spinto lo sguardo nel mondo senza fine oltre lo specchio, quell'ordine si sarebbe mantenuto. L'esistenza ipotizzata da Riemann di un'armonia interna dall'altro lato dello specchio spiegherebbe perché esteriormente i numeri primi sembrano tanto caotici. Per moltissimi matematici la metamorfosi prodotta dallo specchio di Riemann, in cui il caos si tramuta in ordine, è una cosa quasi miracolosa. L'impresa che Riemann affidò al mondo matematico fu di dimostrare che l'ordine che lui pensava di essere riuscito a discernere esisteva davvero.

L'e-mail di Bombieri del 7 aprile 1997 prometteva l'inizio di una nuova era. La visione di Riemann non era stata un miraggio. L'aristocratico della matematica aveva prospettato ai suoi colleghi l'allettante possibilità che esistesse una spiegazione all'apparente caos dei numeri primi. I matematici non vedevano l'ora di fare razzia dei tanti altri tesori che, come ben sapevano, la soluzione di quel grande problema avrebbe portato alla luce.

Una soluzione dell'ipotesi di Riemann avrà infatti conseguenze enormi per molti altri problemi matematici. I numeri primi sono così fondamentali per l'attività del matematico che l'impatto di un qualsiasi progresso nella comprensione della loro natura sarà fortissimo. L'ipotesi di Riemann sembra un problema impossibile da eludere. Quando ci si muove attraverso il terreno matematico, si ha l'impressione che tutti i percorsi conducano necessariamente alla stessa veduta dell'ipotesi di Riemann, una veduta che incute timore.

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Il 24 maggio 2000, in occasione del centenario della sfida lanciata da Hilbert, matematici e giornalisti si riunirono al Collège de France di Parigi per ascoltare l'annuncio di una nuova raccolta di sette problemi con cui si sfidava la comunità matematica per il terzo millennio. A proporli era un piccolo gruppo di matematici di fama mondiale. Ne facevano parte, fra gli altri, Andrew Wiles e Alain Connes. I sette problemi erano tutti inediti tranne uno, che aveva già fatto parte dell'elenco di Hilbert: l'ipotesi di Riemann. In omaggio agli ideali capitalistici che avevano caratterizzato il XX secolo, queste nuove sfide, l'ipotesi di Riemann e gli altri sei problemi, erano rese più appetibili dall'aggiunta di un premio di un milione di dollari ciascuna. Un sicuro incentivo per il giovane fisico inventato da Bombieri, qualora la gloria non fosse sufficiente a soddisfarlo.

L'idea dei «Problemi del Millennio» è stata concepita da Landon T. Clay, un uomo d'affari di Boston che ha fatto fortuna grazie alla compravendita di fondi comuni d'investimento in un periodo in cui la Borsa andava a gonfie vele. Benché abbia abbandonato gli studi di matematica a Harvard, Clay ha una passione autentica per la disciplina, una passione che vuole condividere. Sa che per i matematici non è il denaro la forza motivante: «Sono il desiderio di verità e la sensibilità alla bellezza e al potere e all'eleganza della matematica che spronano i matematici». Ma Clay non è un ingenuo, e come uomo d'affari sa bene che un milione di dollari potrebbe indurre un nuovo Andrew Wiles a unirsi alla caccia alle soluzioni di questi grandi problemi irrisolti. In effetti, il sito web del Clay Mathematics Institute, dove i Problemi del Millennio sono esposti al pubblico, è stato sommerso da un tal numero di contatti che non ha retto alla pressione.

I sette Problemi del Millennio sono differenti nello spirito dai ventitré problemi scelti da Hilbert un secolo prima. Hilbert aveva stabilito una nuova agenda per i matematici del Novecento. Molti dei suoi problemi erano inediti e incoraggiavano un significativo cambio di atteggiamento nei confronti della disciplina. A differenza dell'ultimo teorema di Fermat, che induceva a concentrarsi sul particolare, i ventitré problemi di Hilbert spronavano la comunità matematica a pensare in modo più concettuale. Hilbert offriva ai matematici l'opportunità di compiere un volo in mongolfiera a grandi altezze sopra la loro disciplina, incoraggiandoli a comprendere la configurazione globale del terreno invece di esaminare una a una le singole rocce presenti nel paesaggio matematico. Questa impostazione nuova deve molto a Riemann, il quale cinquant'anni prima aveva dato inizio alla rivoluzionaria transizione dalla matematica come una disciplina di formule ed equazioni a una disciplina di idee e teoria astratta.

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Tuttavia, il più grande incentivo che spinge un matematico ad andare a caccia di uno dei Problemi del Millennio non è la ricompensa in denaro ma la prospettiva inebriante di raggiungere l'immortalità che la matematica può conferire. È vero che risolvendo uno dei problemi di Clay ti metti in tasca un milione di dollari, ma questo non è niente paragonato al fatto di scolpire il tuo nome sulla mappa intellettuale della civiltà. L'ipotesi di Riemann, l'ultimo teorema di Fermat, la congettura di Goldbach, lo spazio di Hilbert, la funzione tau di Ramanujan, l'algoritmo di Euclide, il metodo del cerchio di Hardy-Littlewood, le serie di Fourier, la numerazione di Gödel, uno zero di Siegel, la formula della traccia di Selberg, il crivello di Eratostene, i numeri primi di Mersenne, il prodotto di Eulero, gli interi gaussiani: sono tutte scoperte che hanno reso immortali i matematici responsabili di aver dissepolto quei tesori nel corso dell'esplorazione dei numeri primi. I loro nomi sopravvivranno quando ci saremo ormai dimenticati da tempo di quelli di Eschilo, Goethe e Shakespeare. Come spiegava G.H. Hardy, «le lingue muoiono ma le idee matematiche no. "Immortalità" forse è una parola ingenua, ma un matematico ha più probabilità di chiunque altro di raggiungere quello che questa parola designa».

Quei matematici che si sono impegnati a lungo e con fatica in quest'avventura epica per comprendere i numeri primi sono più che semplici nomi incisi sulla stele della matematica. Il percorso tortuoso che ha seguito la storia dei numeri primi è il prodotto di vite vere, di un gruppo ricco e variegato di dramatis personae.

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La più antica, incerta prova del fatto che gli uomini erano a conoscenza delle speciali qualità dei numeri primi è un osso risalente al 6500 a.C. L'osso di Ishango, come è chiamato, fu scoperto nel 1950 fra i monti dell'Africa equatoriale centrale. Vi sono incise quattro serie di tacche disposte su tre file. In una delle file si contano 11, 13, 17 e 19 tacche, cioè un elenco completo dei numeri primi compresi fra 10 e 20. E anche le altre file di incisioni sembrano essere di natura matematica. Non è chiaro se quest'antico osso, conservato all'Istituto reale di scienze naturali di Bruxelles, rappresenti davvero uno dei primi tentativi da parte dei nostri antenati di comprendere i numeri primi oppure se le incisioni siano una selezione casuale di numeri che per caso si trovano a essere primi. Ma non si può escludere che esso costituisca un'affascinante prova della prima incursione umana nella teoria dei numeri primi.

Alcuni ritengono che la civiltà cinese sia stata la prima a sentire il ritmo del tamburo dei numeri primi. I cinesi attribuivano caratteristiche femminili ai numeri pari e maschili ai numeri dispari. Ma oltre a fare questa separazione netta, consideravano quei numeri dispari che non sono primi, come per esempio 15, effeminati. Ci sono prove del fatto che prima del 1000 a.C. i cinesi avessero elaborato un modo molto fisico per comprendere che cos'è che rende i primi, fra tutti i numeri, speciali. Se prendete 15 fagioli, li potete disporre in un perfetto rettangolo composto da tre file di cinque righe. Se però prendete 17 fagioli, l'unico rettangolo che potete costruire è quello formato da una sola riga di 17 fagioli. Per i cinesi, i numeri primi erano numeri virili che resistevano a ogni tentativo di scomporli in un prodotto di numeri più piccoli.

Anche gli antichi greci amavano attribuire qualità sessuali ai numeri, ma furono proprio loro a scoprire, nel IV secolo a.C., la reale potenza dei numeri primi come elementi di base per costruire tutti gli altri numeri. Compresero che ogni numero poteva essere creato moltiplicando fra loro dei numeri primi. Se fecero l'errore di credere che il fuoco, l'aria, l'acqua e la terra fossero gli elementi costitutivi di base della materia, colsero nel segno quando si trattò di identificare gli atomi dell'aritmetica. Per molti secoli i chimici tentarono invano di identificare i costituenti di base nella loro disciplina, finché la ricerca iniziata dagli antichi greci non culminò nella tavola periodica degli elementi di Dmitrij Mendeleev. Invece, nonostante il vantaggio di cui godono grazie al fatto che già i greci avevano identificato gli elementi di base dell'aritmetica, i matematici si stanno ancora dibattendo nel tentativo di trovare la loro tavola dei numeri primi.

Per quanto ne sappiamo fu Eratostene, gran bibliotecario di quell'importantissimo centro culturale dell'antica Grecia che fu Alessandria, la prima persona ad aver prodotto delle tavole di numeri primi. Come una sorta di antico Mendeleev della matematica, nel III secolo a.C. Eratostene scoprì una procedura ragionevolmente indolore per determinare quali fossero i numeri primi compresi, per fare un esempio, fra 1 e 1.000. Per cominciare scriveva per esteso l'intera sequenza dei mille numeri. Poi prendeva il numero primo più piccolo, cioè 2, e a partire da quello depennava dall'elenco un numero ogni due. Essendo divisibili per 2, tutti quei numeri non erano primi. Quindi passava al numero successivo che non era stato eliminato, ovvero 3, e a partire da quello depennava dall'elenco un numero ogni tre. Dato che tutti questi numeri erano divisibili per 3, anch'essi non erano primi. Continuava così, prendendo il numero successivo che non era stato ancora eliminato dall'elenco e depennando tutti i suoi multipli. Adottando questa procedura sistematica Eratostene compilò delle tavole di numeri primi. In seguito il suo metodo fu battezzato crivello di Eratostene. Ogni nuovo numero primo crea un «crivello», un setaccio che Eratostene utilizza per eliminare una parte dei numeri non primi. A ogni nuova fase del processo le dimensioni delle maglie del setaccio cambiano, e quando Eratostene arriva a 1.000, i soli numeri che sono sopravvissuti al processo di selezione sono primi.

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La dimostrazione è la storia del viaggio e la mappa che ne registra le coordinate. È il libro di bordo del matematico. Coloro che leggeranno una dimostrazione sperimenteranno lo stesso emergere della comprensione che ha sperimentato il suo autore. Non solo vedranno finalmente la strada che conduce alla vetta, ma capiranno anche che nessuno sviluppo futuro potrà compromettere quel nuovo percorso. Molto spesso una dimostrazione non cerca di mettere tutti i puntini sulle i. È una descrizione del viaggio e non necessariamente la ricostruzione di ogni singolo passo compiuto. Le argomentazioni che i matematici forniscono come dimostrazioni si propongono di produrre un afflusso di sangue nella mente del lettore. Hardy usava descrivere le argomentazioni che noi matematici forniamo come «gas, svolazzi retorici ideati per colpire la psicologia, figure sulla lavagna durante la lezione, strumenti per stimolare l'immaginazione degli allievi».

Il matematico è ossessionato dalla dimostrazione, e la semplice prova sperimentale di un'ipotesi matematica non lo soddisfa. Questo atteggiamento è spesso oggetto di stupore e persino di scherno in altre discipline scientifiche. La congettura di Goldbach è stata verificata per tutti i numeri fino a 400.000.000.000.000 ma non è stata accettata come teorema. In quasi tutte le altre discipline scientifiche si sarebbe felici di considerare questi dati numerici schiaccianti come un argomento più che convincente e si passerebbe a qualcos'altro. Se poi un giorno dovessero spuntare nuovi dati che impongono di riconsiderare quel canone matematico, allora lo si farà. Se per le altre scienze va bene così, perché non per la matematica?

Moltissimi matematici rabbrividirebbero al pensiero di una tale eresia. Per dirla con le parole di André Weil, matematico francese, «il rigore è per i matematici quello che la moralità è per gli uomini». Ciò è dovuto in parte al fatto che in matematica spesso gli indizi sono molto difficili da valutare. Rivelare la vera natura dei numeri primi, poi, prende molto tempo, più di quanto accada in qualsiasi altra area della matematica. Persino Gauss si lasciò ingannare dall'enorme quantità di dati a sostegno di un'intuizione che aveva avuto sui numeri primi, ma una successiva analisi teorica svelò l'abbaglio di cui era stato vittima. È per questo che una dimostrazione è essenziale: le prime impressioni possono essere ingannevoli. Mentre l'ethos di tutte le altre scienze stabilisce che le prove sperimentali sono la sola cosa a cui ci si può affidare davvero, i matematici hanno imparato a non fidarsi mai dei dati numerici in assenza di una dimostrazione.

Sotto certi aspetti, la natura intangibile della matematica come disciplina della mente rende il matematico più propenso a fornire dimostrazioni per assegnare un senso di realtà a questo mondo. I chimici possono serenamente studiare la struttura di una molecola di buckminsterfullerene, che è un'entità reale; il sequenziamento del genoma presenta un problema concreto al genetista; persino i fisici possono avvertire la realtà delle minuscole particelle subatomiche o di un remoto buco nero. Ma il matematico si trova a dover cercare di comprendere oggetti che non possiedono alcuna realtà fisica evidente: forme geometriche in otto dimensioni o numeri primi così grandi che eccedono il numero di atomi esistenti nell'universo. Quando si è di fronte a una tavolozza di concetti astratti di questo tipo, la mente può giocare strani scherzi, e senza una dimostrazione c'è il rischio di creare un castello di carte. Nelle altre discipline scientifiche l'osservazione fisica e l'esperimento rassicurano sulla realtà di un oggetto di studio. Ma se altri scienziati possono usare gli occhi per vedere questa realtà fisica, i matematici si affidano alla dimostrazione matematica, come a un sesto senso, per venire a capo del loro invisibile oggetto di studio.

Cercare di dimostrare l'esistenza di regolarità che sono già state individuate è anche un grande catalizzatore per altre scoperte matematiche. Molti matematici ritengono che sarebbe meglio se i problemi di questo tipo non venissero mai risolti, tenuto conto della matematica nuova e meravigliosa che si incontra mentre si procede verso la loro soluzione. Tali problemi offrono la possibilità di condurre un tipo di esplorazione che obbliga i matematici ad attraversare territori di cui non si sarebbero mai immaginati l'esistenza all'inizio del loro viaggio.

Ma forse l'argomento più convincente per spiegare perché la cultura della matematica dia tanto valore al fatto di dimostrare che un'asserzione è vera è che, a differenza delle altre scienze, essa concede il lusso di poterlo fare. In quante altre discipline esiste qualcosa di paragonabile alla possibilità di affermare che la formula di Gauss per i numeri triangolari non mancherà mai di dare la risposta corretta? Forse la matematica è una materia eterea, circoscritta alla mente, ma la sua mancanza di realtà tangibile è più che compensata dalle certezze che forniscono le dimostrazioni.

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La matematica è un atto di creazione oppure un atto di scoperta? Molti matematici oscillano fra la sensazione di essere creativi e quella di scoprire verità scientifiche assolute. Spesso le idee matematiche possono apparire molto personali e legate alla mente creativa che le ha concepite. Tuttavia quest'impressione è controbilanciata dalla convinzione che la natura logica della disciplina implica che tutti i matematici vivono in uno stesso mondo matematico, un mondo pieno di verità immutabili. Queste verità attendono soltanto di essere dissotterrate, e non c'è quantità di pensiero creativo che possa mettere in discussione la loro esistenza. Hardy esprime perfettamente questa tensione fra creazione e scoperta con cui ogni matematico si trova a combattere: «Ritengo che la realtà matematica si situi al di fuori di noi, che la nostra funzione sia quella di scoprirla o di osservarla e che i teoremi che dimostriamo e descriviamo con magniloquenza come nostre "creazioni" non siano altro che le note delle nostre osservazioni». Ma in altri momenti egli opta per una descrizione più artistica del processo del fare matematica. «La matematica non è una disciplina contemplativa ma creativa» scrisse in Apologia di un matematico, un libro che Graham Greene ha posto accanto ai taccuini di Henry James come la miglior descrizione di che cosa significhi essere un artista creativo.

Sebbene i numeri primi, insieme ad altri elementi della matematica, trascendano le barriere culturali, molta matematica è creativa ed è un prodotto della psiche umana. Spesso le dimostrazioni, le storie che i matematici raccontano della loro disciplina, possono essere narrate in modi diversi. È probabile che a orecchie aliene la dimostrazione di Wiles dell'ultimo teorema di Fermat suonerebbe tanto misteriosa quanto il ciclo dell'Anello di Wagner. La matematica è un'arte creativa soggetta a regole rigide, come scrivere poesie o suonare il blues. I matematici sono vincolati ai passi logici che devono compiere nel dar forma alle loro dimostrazioni. E tuttavia all'interno di tali rigide regole rimane ancora una grande libertà. In effetti, la bellezza di creare obbedendo a un sistema di regole è data dal fatto che sei spinto in nuove direzioni e trovi cose che non ti saresti mai aspettato di scoprire se fossi stato lasciato a te stesso. I numeri primi sono come le note di una scala musicale, e ciascuna cultura ha scelto di suonare queste note nel proprio modo specifico, rivelando più di quanto ci si potrebbe aspettare sulle influenze sociali e storiche. La storia dei numeri primi è uno specchio sociale quanto lo è la scoperta di verità eterne. Nel XVII e nel XVIII secolo l'amore traboccante per le macchine si rispecchiò in un approccio molto pratico, sperimentale allo studio dei numeri primi; al contrario, l'Europa delle rivoluzioni produsse un'atmosfera che favorì l'applicazione di idee astratte, nuove e audaci, alla loro analisi. La scelta di come narrare il viaggio attraverso il mondo matematico è qualcosa di peculiare di ogni singola cultura.

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La funzione zeta: il dialogo fra musica e matematica


Durante gli anni trascorsi a Parigi prima del 1830, Dirichlet era rimasto affascinato dal grande trattato giovanile di Gauss Disquisitiones arithmeticae. Benché segnasse l'inizio della teoria dei numeri come disciplina indipendente, quel libro era difficile e molti non riuscivano a penetrare lo stile conciso che Gauss prediligeva. Tuttavia Dirichlet era più che felice di battagliare con quella sequela ininterrotta di paragrafi ostici. La notte metteva il libro sotto il cuscino nella speranza che la mattina dopo la lettura avrebbe improvvisamente rivelato un senso compiuto. Il trattato di Gauss era stato descritto come un «libro dei sette sigilli», ma grazie alle fatiche e ai sogni di Dirichlet, quei sigilli furono spezzati e i tesori conservati all'interno ottennero l'ampia diffusione che meritavano.

A Dirichlet interessava soprattutto l'orologio calcolatore di Gauss. In particolare lo intrigava una congettura formulata da Fermat. Se si prendesse un calcolatore a orologio con N ore sul quadrante e vi si inserissero i numeri primi, allora, aveva ipotizzato Fermat, l'orologio segnerebbe l'una un numero infinito di volte. Se, per fare un esempio, prendete un orologio con quattro ore sul quadrante, in base alla congettura di Fermat ci sono infiniti numeri primi che divisi per 4 danno resto 1. L'elenco inizia con 5, 13, 17, 29, ...

Nel 1838, all'età di trentatré anni, Dirichlet aveva lasciato il proprio segno nel campo della teoria dei numeri dimostrando che l'intuizione di Gauss era effettivamente corretta. Ci riuscì mischiando idee provenienti da varie aree della matematica che non sembravano aver nulla a che fare fra loro. Invece di un'argomentazione elementare come quella che aveva permesso a Euclide di dimostrare che esistono infiniti numeri primi, Dirichlet usò una funzione sofisticata che era apparsa per la prima volta nel circuito matematico ai tempi di Eulero. Si chiamava funzione zeta, e la si indicava con la lettera greca [zeta]. L'equazione seguente fornì a Dirichlet la regola per calcolare il valore della funzione zeta in corrispondenza di un numero x:

zeta(x) = 1/1^x + 1/2^x + 1/3^x + ... + 1/n^x + ...


Per eseguire il calcolo, Dirichlet doveva portare a termine tre passaggi matematici. Primo, calcolare i valori delle potenze 1^x, 2^x, 3^x, ..., n^x, ... Poi, prendere gli inversi di tutti i numeri ottenuti nel primo passaggio. (L'inverso di 2^x è 1/2^x.) Infine, sommare tutti i risultati ricavati con il secondo passaggio.

È una ricetta complicata. Il fatto che ogni numero 1, 2, 3, ... contribuisca alla sua definizione, è un indizio dell'utilità della funzione zeta per il teorico dei numeri. Il rovescio della medaglia è che si ha a che fare con una somma infinita di numeri. Pochi matematici avrebbero potuto prevedere quanto potente si sarebbe rivelata questa funzione come strumento per lo studio dei numeri primi. Lo si scoprì quasi per caso.

L'origine dell'interesse dei matematici per questa somma infinita veniva dalla musica e risaliva a una scoperta fatta dagli antichi greci. Era stato infatti Pitagora a individuare per primo il nesso fondamentale che lega matematica e musica. Egli aveva riempito un'urna d'acqua e l'aveva percossa con un martelletto per produrre una nota. Quando aveva rimosso metà dell'acqua e aveva percosso di nuovo l'urna, la nota era salita di un'ottava. Ogni volta che rimuoveva altra acqua in modo da lasciare l'urna piena per un terzo, per un quarto e così via, al suo orecchio le note che si producevano apparivano in armonia con la prima nota che aveva ottenuto. Tutte le altre note create rimuovendo una diversa quantità d'acqua dall'urna apparivano invece in dissonanza con la nota originaria. Queste frazioni contenevano una bellezza che si poteva ascoltare. L'armonia che Pitagora aveva scoperto nei numeri 1, 2, 3, ... lo indusse a credere che l'intero universo fosse controllato dalla musica, ed è per questo che coniò l'espressione «la musica delle sfere».

A partire dalla scoperta pitagorica di un nesso aritmetico fra matematica e musica, le caratteristiche estetiche e fisiche delle due discipline sono sempre state accostate. Scriveva il compositore barocco francese Jean-Philippe Rameau nel 1722: «Nonostante tutta l'esperienza che io possa aver acquisito nella musica per il fatto di essermi associato tanto a lungo con essa, devo confessare che solo con l'aiuto della matematica le mie idee si sono chiarite». Eulero cercò di fare della teoria musicale «una parte della matematica e di dedurre in modo ordinato, da principi corretti, tutto ciò che può rendere piacevole un'unione e una mescolanza di toni». Eulero riteneva che dietro la bellezza di certe combinazioni di note si nascondessero i numeri primi.

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L'ipotesi di Riemann:
da numeri primi casuali a zeri ordinati



        L'ipotesi di Riemann è un enunciato matematico secondo
        cui è possibile decomporre i numeri primi in musica.
        Affermare che i numeri primi abbiano della musica in sé
        è un modo poetico di descrivere questo teorema matematico.
        Tuttavia, quella è una musica decisamente postmoderna.
                              Michael Berry, università di Bristol
Riemann aveva scovato un passaggio che conduceva dal mondo familiare dei numeri a una matematica che sarebbe parsa assolutamente aliena ai matematici greci che avevano studiato i numeri primi duemila anni prima di lui. Egli aveva innocentemente mescolato i numeri immaginari con la sua funzione zeta, scoprendo, come un alchimista della matematica, il tesoro che emergeva da quella miscela di elementi, un tesoro che generazioni di matematici avevano cercato invano. Riemann aveva stipato le sue idee in un saggio di dieci pagine, ma era del tutto consapevole del fatto che quelle idee avrebbero aperto vedute radicalmente nuove sui numeri primi.

La capacità di Riemann di liberare tutta la potenza della funzione zeta trae origine dalle scoperte cruciali che egli fece durante gli anni trascorsi a Berlino e nel corso dei successivi studi di dottorato a Gottinga. Ciò che aveva impressionato tanto Gauss mentre esaminava la tesi di Riemann era il forte intuito geometrico che il giovane matematico dimostrava di possedere quando inseriva numeri immaginari nelle funzioni. Dopo tutto Gauss stesso aveva tratto profitto da una propria immagine mentale privata per tracciare i contorni dei numeri immaginari, prima di smontare quell'impalcatura concettuale. Il punto da cui era partito Riemann per elaborare la sua teoria delle funzioni immaginarie era stato il lavoro compiuto da Cauchy, e per Cauchy una funzione era definita da un'equazione. Adesso Riemann aveva aggiunto l'idea che anche se l'equazione era il punto di partenza, era la geometria del grafico definito dall'equazione a essere davvero importante.

Il problema è che non è possibile disegnare il grafico completo di una funzione in cui si inseriscono numeri immaginari. Per illustrare il suo grafico, Riemann aveva bisogno di lavorare in quattro dimensioni. Quale significato danno i matematici a una quarta dimensione? Chi ha letto i libri scritti da cosmologi come Stephen Hawking potrebbe legittimamente rispondere «il tempo». La verità è che noi matematici usiamo le dimensioni per seguire l'andamento di qualsiasi cosa ci possa interessare. In fisica ci sono tre dimensioni per lo spazio e una quarta dimensione per il tempo. Gli economisti che desiderano indagare le relazioni che legano tassi d'interesse, inflazione, disoccupazione e debito nazionale possono interpretare l'economia come un paesaggio in quattro dimensioni. Così, mentre risalgono lungo la direzione dei tassi d'interesse, possono esplorare ciò che accade all'economia nelle altre tre direzioni. Anche se in realtà non è possibile disegnare un'immagine di questo modello quadridimensionale dell'economia, esso rimane pur sempre un paesaggio di cui possiamo analizzare le alture e gli avvallamenti.

Per Riemann la funzione zeta era descritta da un analogo paesaggio in quattro dimensioni. Due dimensioni servivano a tracciare le coordinate dei numeri immaginari inseriti nella funzione zeta. La terza e la quarta dimensione si potevano poi utilizzare per registrare le due coordinate che descrivono il numero immaginario prodotto dalla funzione.

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Molti dei matematici che hanno contribuito alla nostra comprensione dei numeri primi sono stati ricompensati con una lunga vita. Jacques Hadamard e Charles de la Vallée-Poussin, che nel 1896 avevano dimostrato il teorema dei numeri primi, vissero entrambi per più di novant'anni. La gente iniziava a pensare che l'aver dimostrato questo teorema li avesse resi immortali. La credenza in una connessione fra la longevità e i numeri primi è stata ulteriormente alimentata da Atle Selberg e Paul Erdós, che dopo la loro dimostrazione elementare alternativa del teorema dei numeri primi, negli anni Quaranta, hanno superato entrambi la soglia degli ottant'anni. Scherzando, i matematici hanno avanzato una nuova congettura: chiunque riuscirà a dimostrare l'ipotesi di Riemann conquisterà l'immortalità. Stando a un'altra congettura scherzosa, invece, da qualche parte qualcuno ha già dimostrato che l'ipotesi di Riemann è falsa, ma nessuno ne ha avuto notizia perché quello sfortunato matematico è morto sul colpo appena terminato il suo lavoro.

Ci sono diverse opinioni su quanto siamo effettivamente distanti da una soluzione. Andrew Odlyzko, che ha calcolato numerosissimi punti a livello del mare nella mappa del tesoro di Riemann, ritiene che non siamo assolutamente in grado di prevederlo: «Potrebbe essere la prossima settimana, così come potrebbe essere fra un secolo. Il problema sembra troppo complicato. Dubito che la sua soluzione sarà qualcosa di molto semplice, se non altro perché moltissime persone veramente preparate vi hanno dedicato il loro impegno per tantissimo tempo. Ma, del resto, è anche possibile che qualcuno avrà un'idea particolarmente brillante già la settimana prossima». Altri ritengono che, per raggiungere una soluzione, ci manchino ancora almeno un paio di buone idee.

Basandosi sulla sua conversazione a Princeton con il fisico quantistico Freeman Dyson durante la pausa per il tè, Hugh Montgomery è convinto che la nostra scalata al monte Riemann sia ormai decisamente a buon punto. Ma c'è una nota in calce che rende assai più sobrio il suo ottimismo: «Se non fosse per un'unica lacuna, la nostra dimostrazione dell'ipotesi di Riemann sarebbe completa. Sfortunatamente, quella lacuna è proprio all'inizio». Come sottolinea Montgomery, è un gran brutto posto per una lacuna. Una lacuna nel mezzo significherebbe almeno che abbiamo fatto qualche progresso nel nostro cammino. Ma se si trova all'inizio significa che, a meno di non trovare un modo per superare quel primo ostacolo, il resto del percorso che abbiamo tracciato per raggiungere la vetta del monte Riemann è del tutto inutile. «È per via di un ostacolo a livello teorico che non riusciamo a dimostrare questo primo teorema.»

Molti matematici sono ancora troppo intimoriti per avvicinarsi a questo problema notoriamente difficile, anche se c'è l'incentivo del milione di dollari in palio per chi trova la soluzione. Tanti sono stati i grandi nomi che hanno tentato e fallito: Riemann, Hilbert, Hardy, Selberg, Connes... Ma ci sono ancora dei matematici abbastanza coraggiosi per provarci, e fra i nomi da tenere d'occhio in futuro ci sono Christopher Deninger in Germania e Shai Haran in Israele.

Molti predicono che l'ipotesi di Riemann raggiungerà il suo bicentenario senza esser stata dimostrata. Alcuni, invece, credono che la sua ora sia ormai giunta, e che con tutte le scoperte che abbiamo fatto su dove dovremmo cercare una soluzione, non potrà resistere ancora a lungo. Alcuni credono che il suo destino sia nelle mani di Gödel: alla fine, cioè, scopriremo che essa è vera ma indimostrabile. Altri ancora ritengono invece che sia falsa. Alcuni, poi, ipotizzano che sia già stata dimostrata ma che l'establishment matematico non abbia il coraggio di rinunciare a questo enigma. Alcuni, infine, sono impazziti cercando una soluzione.

Forse ci siamo talmente fissati a voler osservare i numeri primi dalla prospettiva di Gauss e Riemann, che ciò che ci manca è semplicemente un diverso modo di comprendere questi numeri enigmatici. Gauss propose una stima del numero dei numeri primi, Riemann previde che nella peggiore delle ipotesi il margine d'errore – in eccesso o in difetto – sarebbe stato pari alla radice quadrata di N, e Littlewood mostrò che non è possibile fare di meglio. Forse c'è un punto di vista alternativo che nessuno è stato in grado di trovare per via del nostro attaccamento culturale all'edificio costruito da Gauss.

Come gli investigatori sulla scena di un misterioso delitto, abbiamo preso in esame i diversi sospettati matematici. Chi o che cosa ha messo gli zeri sulla retta critica di Riemann? La scena è disseminata di prove, ci sono impronte dappertutto, abbiamo un fotofit del possibile colpevole. E tuttavia la risposta continua a sfuggirci. A consolarci resta il fatto che, se anche i numeri primi non ci riveleranno mai i loro segreti, ci stanno comunque guidando nella più straordinaria delle odissee intellettuali. Essi hanno acquisito un'importanza che va ben oltre il loro ruolo fondamentale di atomi dell'aritmetica. Come abbiamo scoperto, i numeri primi hanno messo in comunicazione aree della matematica fra le quali non si conoscevano legami. Teoria dei numeri, geometria, analisi, logica, teoria della probabilità, fisica quantistica: sono venute tutte a congiungersi nella nostra ricerca di una soluzione all'ipotesi di Riemann. E questa ricerca ha posto la matematica sotto una nuova luce. Oggi ci meravigliamo di fronte alla sua straordinaria interconnessione: la matematica si è trasformata da una disciplina che si occupa di strutture a una disciplina che indaga le connessioni.

Questi collegamenti non esistono soltanto all'interno del mondo matematico. Un tempo i numeri primi erano considerati come il concetto più astratto, entità che al di fuori della torre d'avorio della matematica avrebbero perso ogni significato. Un tempo i matematici – e G.H. Hardy ne è stato forse il miglior esempio – si rallegravano all'idea di poter esaminare gli oggetti del loro studio in perfetto isolamento, senza farsi distrarre dai problemi del mondo esterno. Ma ormai i numeri primi non offrono più una via di fuga dalle pressioni del mondo reale, come ancora potevano fare per Riemann e altri. I numeri primi rivestono un'importanza centrale nel quadro della sicurezza dell'odierno mondo elettronico, e le loro risonanze con la fisica quantistica potrebbero dirci qualcosa sulla natura stessa del mondo fisico.

Anche se riusciremo a dimostrare l'ipotesi di Riemann, ci sono molte altre questioni e congetture che ci attendono al varco, molte nuove aree entusiasmanti della matematica che aspettano soltanto la dimostrazione dell'ipotesi per poter occupare la scena. La soluzione sarà soltanto un inizio, il dischiudersi di un territorio vergine, finora inesplorato. Per riprendere le parole di Andrew Wiles, la dimostrazione dell'ipotesi di Riemann ci darà la possibilità di orientarci in questo mondo proprio come la soluzione del problema della longitudine aiutò gli esploratori del XVIII secolo a navigare nel mondo fisico.

Fino ad allora, dovremo accontentarci di ascoltare affascinati questa musica matematica imprevedibile, incapaci di controllare il suo andamento. I numeri primi ci hanno sempre accompagnato nella nostra esplorazione del mondo matematico, rimanendo tuttavia i più enigmatici fra tutti i numeri. Per quanto le più grandi menti matematiche abbiano dato il meglio di sé nel tentativo di spiegare le modulazioni e i mutamenti di questa musica mistica, i numeri primi rimangono tutt'oggi un enigma senza risposta. Siamo ancora in attesa della persona il cui nome vivrà per sempre come quello del matematico che ha fatto cantare i numeri primi.

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