Copertina
Autore Umberto Eco
Titolo La Bustina di Minerva
EdizioneBompiani, Milano, 2000, Overlook , pag. 353, dim. 150x210x22 mm , Isbn 978-88-452-4383-7
LettoreRenato di Stefano, 2000
Classe media , scienze sociali , libri
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Indice


  INTRODUZIONE                                5

  IL LATO OSCURO DELLA GALASSIA
  Tra razzismo, guerra e politically correct  9

Migrazioni                                   11
La guerra, la violenza e la giustizia        13
L'esilio, Rushdie e il Villaggio Globale     15
Quanto costa il crollo di un impero?         17
Impiccagione in diretta, ora di cena         19
New York, New York, what a beautiful town!   21
Sinagoga di Satana e Protocolli dei
    Savi di Sion                             23
Ancora sulla Sinagoga di Satana              25
Il corpo e l'anima                           27
Politicamente corretti o intolleranti?       29
Su un processo                               31
Kosovo                                       38

  AMATE SPONDE
  Cronache italiane                          43

Matteotti in Piazza Fontana                  45
Chi votava per Andreotti?                    47
Perché scannarsi per la Tv?                  49
Le sfumature della Resistenza                51
Tutti di destra                              53
I miei temi sul Duce                         55
Alcune buone ragioni per mettere una bomba   57
Spie                                         59
Quelli che elogiano la Vandea stanno
    pensando a Salò                          61
La Vandea, Cardini e la Primula Rossa        63
Ultimissime dell'ultimissima ora             65
Vittoria di Napoleone a Waterloo             67
Corrado e il paese reale                     69
Il ritorno dello spettro, o yeah!            72
Ma da che parte sta Corto Maltese?           74
Che vergogna, non abbiamo nemici!            76
Noterelle su una vacanza off shore           78
Chi erano questi celti?                      80
Bossi non è un gallo come me                 82
Ultimissime: Prezzolini fugge all'estero     84
Ricordo di Ginger Rogers                     86
Indietro Savoia!                             88
Gli anni ottanta sono stati grandiosi        90
Capire la cronologia                         92
Di Bella, la scienza e la maggioranza        94
Attenzione: questa Bustina è delirante       96

  SUBLIME SPECCHIO DI VERACI DETTI
  Linguaggi e comportamenti                  99

Come dire brutte parole in un attimino      101
Come dire parolacce in società              103
Professionalità                             105
Ragazze, state al vostro posto              107
Neokhomeinismo nelle università americane   109
Mettere in scena L'ebreo di Malta           111
Scrivere in modo politicamente corretto     113
La perversione calcistica                   115
Derrick, o la passione della mediocrità     117
Il pettegolezzo era una cosa seria          119
Come far cadere una valigetta con le ruote  121
Il sigaro come messaggio                    123
Perché manifestare contro i pedofili?
    Un messaggio da non sottovalutare       125
Brevi cenni di psicologia urbana            127
Saggio sulla decadenza dei costumi          129
La domenica andando alla messa...           131
È importante fotografare le persone celebri?133
Come naufragare con successo                135
Ma in che parrocchia ha studiato Clinton?   137
Educare alla privacy                        139
Come la democrazia danneggia la democrazia  141
Privacy e arresti domiciliari               143
Chi assomiglia a Gérard Philipe?            145
Sul cazzeggio                               147
Stare insieme per pregare                   149

  QUEL CHE NELL'UNIVERSO SI SQUADERNA
  Dal libro all'ipertesto, via Web          151

De Mauro, sei pazzo!                        153
Libri da consultare e libri da leggere      155
Leggere i libri coi polpastrelli            157
Betzeller                                   159
Non preoccupatevi per l'ipertesto           161
Come buttar via mezzo Windows               163
MAC vs DOS                                  165
Cronaca di una notte di peccato             167
Il colon di mister X                        170
Appunti sulle icone dei computer            172
La verità, solo la verità                   174
Dell'importanza delle lettere maiuscole     176
E-mail, l'inconscio e il Superego           178
Lo strano caso delle palle del topo         180
La vera storia dei pali del Papa            182
Come giocare con Altavista                  184
Ricordate tutti i sette nani?               187
Ma ne abbiamo inventate davvero tante?      189
Viaggiare su Intemet                        191
Storie già fatte e storie da fare           193

  BENCHÉ IL PARLAR SIA INDARNO
  Polemiche sui mezzi d'informazione        195

Giornali, siete diventati schiavi della Tv  197
È attentato alla Costituzione il
    processo ripreso in TV                  199
Se l'imputato è d'accordo, chi
    garantische il testimone?               201
Vetero-stalinismo?                          203
I giornali somigliano sempre di più
    ai bambini                              205
Roro, Craxi, e il ruolo del portinaio       209
In TV non si prova l'innocenza.
    Si delegittima l'accusa                 211
Un sondaggio sui sondaggi?                  213
Il sedere dell'onorevole                    215
Come dare notizia della notizia che
    non si riciclano le notizie             217
La messa in scena dell'esitazione           219
L'Opus Dei smentisce che io sia
    l'Anticristo!                           221
Una ghiotta notizia: Giulio Cesare è
    stato pugnalato in Senato               223
XXXXXXXXXXXX Non avete letto male:
    xxxxxxxx                                225

  ZANZAVERATA DI PEDUCCI FRITTI
  Spigolature di lettere e arti             227

I folli letterari                           229
Perché i libri allungano la nostra vita     231
A prescindere da Totò è meglio Chaplin      233
Allegria! M'illumino d'immenso              235
Andate al Louvre, c'è l'antenato
    dello zapping e di Blob                 237
Libri sgangherati                           239
Nozionismo e nozioni                        241
Elogio dei classici                         243
Un trattato sugli stuzzicadenti             245
Quella schifezza della Quinta               247
Era una notte buia e tempestosa.
    Ma in quale data?                       252
L'intellettuale come fiore all'occhiello?   254
Gog                                         256
Cerchiamo, nel redarre, di transare         258
Perché mai il poeta deve oziare?            260
Chi scrive gratis è sempre su un libro paga 262
Il primo dovere degli intellettuali         264
Cosa pensava Leopardi delle ragazze
    di Recanati?                            266
Quanti libri non abbiamo letto?             268
Etica, estetica e Aerosol                   270
Giovanni il Battezzatore?                   273
Opere e flussi                              275
Ma che cos'è questo postmodemo?             277
Trionfo e tramonto della stroncatura        279

  LASCIATEMI DIVERTIIRE
  Raccontini                                281

Ti faxo un memo e ricompatto                283
Il generale, Saddam Hussein e Maometto      286
Bruno                                       288
La supposta e i limiti dell'interpretazione 290
Storia di Angelo Orso                       292
La prima notte della mia vita               294
Il cormorano delle Shetland                 296
Juan Félix Sánchez                          298
Le figlie di madama Doré                    300
Riflessioni sui viaggi nel tempo            302
Come si scopre un complotto                 304
Cappuccetto Rosso, USA 1997                 306
Come scrivere bene                          308
Perché?                                     311
La peste dello straccio                     313

  LE MAGNIFICHE SORTI E PROGRESSIVE
  Anticipazioni sul Terzo Millennio         317

Quanto è bella giovinezza                   319
Quanti alberi butto via in un anno?         321
È nato prima l'uomo o la gallina?           323
Mi dia del tu, ho solo cinquant'anni        325
Mamma, che cosa vuol dire "fratello"?       327
Il trionfo della tecnologia leggera         329
Uno scienziato pazzo ha deciso di clonarmi  331
L'eugenetica non è una scienza esatta       333
Cronache del Terzo Millennio:
    finalmente le scuole private            335
Le antiche cronache del 2090                338
Chopin contro Vianello                      340
Come prepararsi serenamente alla morte      343

 

 

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Pagina 53

Tutti di destra


Vittorio Feltri, su L'Indipendente, ha steso una lista di intellettuali italiani "di destra". L'elenco contiene nomi di persone che indiscutibilmente aderirono al fascismo come Gentile, Cione o Marinetti; poi ve ne sono altri definibili come pensatori di destra ma non come fascisti, vedi Del Noce; infine vi appare Croce.

Feltri afferma di aver messo in lista chi è stato fascista 'e' nazionalista. Non doveva scrivere "e', bensì 'o'. Croce era certamente antifascista, ma la sua età e la sua formazione lo hanno indotto, per i superiori interessi della nazione, a dar persino l'oro alla patria. È un interessante dato psicologico e biografico, ma bisogna pur dire in che modo il conservatorismo liberale di Croce, e la sua religione della libertà, sono diversi dalla concezione hegeliana dello stato che troviamo in Gentile. Si potrebbe persino affermare che, a modo proprio, Gentile intendeva essere più "rivoluzionario" di Croce ma, insomma, non sono pappa e ciccia. Se pensare "a dritta" (come dice Feltri) significa perdere il senso delle distinzioni, allora questo sarà pur di destra, ma non è pensiero.

Feltri invita a scoprire l'ordine segreto che presiede al suo elenco. In effetti, di ordini ve ne sono troppi. Per esempio, appaiono personaggi che hanno dato una adesione di comodo al regime, come Marconi che, feluca in testa, onorato dai signori in orbace, pur di poter realizzare la radio si sarebbe fatto anche accademico sovietico. Ma se si arruolano anche coloro che hanno dato adesioni di comodo a qualcosa, allora Togliatti era un intellettuale liberal-capitalista-cattolico perché ha accettato un patto (certamente di comodo) con De Gasperi, con la Chiesa e con l'odiata America.

C'è Pirandello. Certamente accettò onori dal fascismo, ma come conciliare la sua radicale messa in questione di tutti i valori col pensiero della destra, che si richiama al valore sacrale della Tradizione?

Poi appare Fermi. Non conosco abbastanza le sue opinioni giovanili, ma un uomo che a un certo punto è costretto a emigrare per le leggi razziali e mette il suo sapere a disposizione delle democrazie occidentali per battere il nazismo - magari in America avrà votato repubblicano, forse avrebbe rifiutato di lavorare per Stalin - non lo vedo accanto a Federzoni e a D'Annunzio.

Negli anni cinquanta bastava che qualcuno avesse firmato un appello contro l'esecuzione dei Rosenberg o per il disarmo nucleare, che il ruspantissimo Partito comunista di allora lo arruolava tra gli intellettuali marxisti; e i confessori dei miei tempi mi citavano come esempio di intellettuale cattolico qualunque mangiapreti al cui letto di morte si fosse precipitato lo zio monsignore facendogli balbettare un atto di dolore tra gli spasimi dell'agonia. Ma per intellettuale cattolico si intende Manzoni, non Carducci - solo perché si è lasciato un giorno commuovere dalla figura di frate Francesco nudo giacente sulla terra sola.

Infatti occorre stare attenti all'effetto zoom. Certi autori, se li si fotografa a distanza ravvicinata quando avevano vent'anni, ci appaiono come fascisti, e poi a cinquanta erano comunisti - vedi Guttuso. Feltri dice che se uno parte da destra e approda a sinistra è un problema suo, ovvero è la prova che si può essere "cretini". Sarei più cauto: Lutero da giovane era monaco; Feltri direbbe che il suo ripudio della Chiesa è stato solo un fatto di cretinismo?

Potremmo dire che un intellettuale si qualifica come reazionario, conservatore o rivoluzionario per il suo pensiero, o per il soggetto o lo stile della sua arte. Prendiamo due personaggi che appaiono insieme nella lista, Boccioni e Guttuso. Di Boccioni, il cui arditismo nazionalista è innegabile (ma quanto a fascismo, poveretto, è morto nel 1916) direi che non solo la sua pittura, ma la sua stessa ideologia, avevano una carica eversiva e innovatrice - certamente maggiore di quella di Guttuso. Allora metteremo Boccioni a sinistra anche se era nazionalista, e Guttuso a destra anche se poi è diventato comunista?

È che le cose non sono cosí semplici. Sironi era fascista per le committenze che accettava e per alcuni dei suoi soggetti, ma se era conservatore o in qualche modo "reazionario" lo era per il suo ritorno ai valori pittorici della tradizione. E tuttavia ci sarebbe qualcuno disposto ad affermare che la sua rivisitazione di Masaccio, suggeriva prospettive nuove all'arte del Novecento, e quindi ecco che anche Sironi diventa progressista, certo molto di più dei pittori realisti sovietici o degli scenografi della rivoluzione culturale cinese (e delle sue parodie italiane).

Le liste di arruolamento son tanto pericolose quanto le liste di proscrizione.

1993

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Pagina 74

Ma da che parte sta Corto Maltese?


Pare che i giovani di AN abbiano deciso di iscrivere Corto Maltese tra gli eroi della destra. Apriti cielo. Giù le mani da Corto.

Capisco che molti temano che possa accadere a Pratt quello che era accaduto a Tolkien, subito arruolato per i campi Hobbit, a tal punto che tutti gli altri si vergognavano di leggerlo - ed è un peccato. Ma non preoccupiamoci. L'anarchico coll'orecchino naviga da tanto tempo per tanti mari che nessuno riuscirà a sequestrarlo sulle rive di un lago a Salò.

Qual era una volta l'atteggiamento culturale delle grandi forze ideologiche del nostro paese, che per comodità identificherò con la fascista, la marxista e la cattolica? Cattolici e marxisti eccellevano nello scaricare i grandi. Ricordo prudenti consigli che giovanissimo ricevevo da ecclesiastici peraltro aperti: anche senza ricorrere all'Indice dei libri proibiti, e senza far cenno del peccabondo Moravia, quanti erano gli autori che esprimevano una visione distorta del mondo, da Balzac a Montale, passando persino per Verne, troppo materialista e Salgari, degustatore di vendette e rancoroso massacri? Al giovane per bene, gratta gratta, nell'ambito letterario non restava da leggere che Ugo Mioni e il Giovane provveduto.

Non parliamo del marxismo. Non dico quello sovietico, per cui non bisognava leggere niente tranne Il placido Don; ma anche da noi, erano tutti araldi del capitalismo, tranne Pratolini; nel cinema andavano bene i neorealisti, ma dopo Senso anche Visconti si era venduto; e basti pensare a Lukacs, pronto a ricordarci che Flaubert, Joyce, Kafka, praticamente tutti tranne Balzac, erano sporchi decadenti.

La destra se ne stava tranquilla: più che ripudiare, non leggeva, se non alcuni spiriti bizzarri che non sottraeva a nessuno, come Evola o Guénon. Qualche levata di cappello per Prezzolini, che ormai era anziano e viveva ritiratissimo, e per il resto si raccoglievano gli scarti della sinistra: non appena i partigiani avevano fatto fuori qualcuno (fisicamente o simbolicamente) via a riscoprire Brasillach, Drieu la Rochelle, qualsiasi collaboratore di Vichy che avesse scritto un diario anche inedito. Mai un colpo di genio, come dire "Dante è dei nostri!" Céline, certo, perché nessuno lo voleva più, ma a un certo punto persino i rossi hanno iniziato a dire che, si, sugli ebrei non è che fosse proprio a posto con la testa, ma che scrittore... La destra non poteva neppure usare Pound, ormai assolto per le sue follie radiofoniche, ed eletto a modello di ogni neoavanguardia progressista ed eversiva.

Poi, lentamente, la Svolta. Il mondo cattolico già sapeva che gli scrittori pericolosi non sono da leggere, ma si sono salvati come anime del purgatorio, pentendosi al letto di morte. Con la Svolta, vengono salvate anche le loro opere. Si sa che ogni scrittore, se proprio non scrive manuali di cucina, tratta della vita, della morte, del male (e di che cosa, se no?). Quanto più lo scrittore è scettico, tanto più di fronte a questi problemi manifesta inquietudine, quanto meno lo scrittore crede, tanto più è ossessionato dal mistero. Mettete Dio al posto di questo buco nero, di questa galassia purpurea, e ogni scrittore (tranne pochi reprobi) diventa religioso.

La sinistra non parliamone. Basta che un autore venga pubblicato da Einaudi e diventa di sinistra. La sinistra ha ricuperato tutti, persino Céline. Quanto più l'ideologia si sfaldava, tanto più la sinistra incassava da ogni parte. Anche Spengler? E come no!

Ed ecco la rincorsa della destra, iniziata col nazimaoismo: ci si appropria di Gramsci, di Pasolini, neppure Marx era da buttar via, sotto sotto era dei nostri, Moravia aveva uno zio fascista, mi attendo tra poco la redenzione di Stalin, in fondo ha studiato in seminario, era autoritario quanto basta, prendeva sul serio i sacrifici umani come De Maistre, guardava al Terzo mondo e ha scritto che la lingua è indipendente dalle strutture economiche.

Chi sta dove? Non lo sappiamo più. Per fortuna. In fondo, e sin dall'inízio, la gente si adeguava pubblicamente alle tabelle ufficiali, ma poi a casa propria ciascuno leggeva di tutto, i giovani marxisti si passavano sottobanco Heidegger come fosse Playboy e Cardini ci racconta che i giovani del Msi si scambiavano al bar i santini di Che Guevara.

Vai tranquillo, Corto Maltese! Le belle storie (persino quelle raccontate dai filosofi) hanno questo di bello: che sono più ricche e ambigue di quanto possa capire chi stende l'indice dei libri da leggere.

1996

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Pagina 103

Come dire parolacce in società


Vedo nel nuovo romanzo di Kurt Vonnegut ( Hocus pocus, Bompiani) che il protagonista decide di non usare parolacce e si limita a espressioni che (nella traduzione di Pier Francesco Paolini) suonano come: "che pezzo di escremento!", "che testa di pene!", "siamo in una bella casa di tolleranza!" L'invito giunge opportuno in un momento in cui i giornali registrano, da parte degli uomini politici, insulti da carrettiere, e sui teleschermi si affacciano signori distinti che si appellano a vicenda con riferimenti espliciti a parti del corpo solitamente coperte da biancheria detta, appunto, intima.

È vero che in questa stessa rubrica io avevo tempo fa rivendicato il diritto di usare la parola stronzo in certe occasioni in cui occorre esprimere il massimo sdegno. Ma l'utilità della parolaccia è appunto data dalla sua eccezionalità. Usare parolacce troppo sovente sarebbe come riscrivere l'intero Signor Bruschino facendo battere soltanto gli archetti contro i leggii, mentre gli altri strumenti tacciono. Mussolini, in un momento tragico della storia d'Italia, disse in parlamento che avrebbe potuto fare di quell'aula sorda e grigia un bivacco per i suoi manipoli, e la frase suonò drammaticamente minacciosa. Se avesse detto (e tale era il senso della sua dichiarazione) "brutte facce di merda, avrei potuto mettervela in culo come niente," o l'avrebbero trattato come un buffo, o si sarebbero accorti che il condizionale era fuori luogo, perché l'evento si era già verificato.

Si è perduta quell'arte dell'ingiuria celebrata da Borges ("Signore, vostra moglie, col pretesto di tenere un bordello, vende stoffe di contrabbando!"), e pazienza. Ma almeno si dovrebbe ritrovare un'arte della perifrasi. Ed ecco perché, a uso dei protagonisti della politica e dello spettacolo, seguono alcune espressioni indubbiamente eleganti e forbite, sotto il velame della cui elaborata stranezza gli esperti potranno riconoscere l'espressione originaria, ben più volgare e consueta, che esse celano, senza peraltro eliminarne la forza perlocutoria.

"Taccia, Lei, il cui viso avrebbe potuto essere definito da un noto maresciallo dell'Impero nelle ultime ore della battaglia di Waterloo!" "Ella ha una scatola cranica che più che alla speculazione sarebbe atta alla riproduzione." "La invito a recarsi là dove potrebbe opportunamente qualificarsi come partner passivo di un rapporto tra maschi adulti consenzienti!" "La smetta, o segmento fusiforme del prodotto finale di un complesso processo metabolico!" "Il tale, nel suo giorno natale, era unito da cordone ombelicale a una signora che aveva saputo condurre la poliandria a manifestazioni quasi frenetiche."

"Verga sicula, che gran bella porzione di ghiandole di Bartolino e tube di Falloppio!" "Quello? Dalla paura è pronto a secernere preterintenzionalmente, e senza aver prima abbandonato i propri abiti, cellulosa, cheratina, residui biliari, muco, cellule epiteliali desquamate, leucociti e batteri assortiti!" "Gustavo è solo un cinquanta per cento di deliquio dei sensi ottenuto manualmente." "Silenzio, non imitate un luogo in cui si faccia mercimonio di grazie della seconda metà del cielo!" "Indigenza scrofa, l'ho ricevuta in vaso indebito!" "La prego, non mi deteriori quelli che l'etimologia latina vuole quali testimoni!" "Come dice Dante, usava la parte terminale dell'intestino retto come strumento per segnalazioni militari." "Ragazzí, che operazione serramentaria!"

"La baronessa? Ma si dedica alla raccolta e accumulazione di gettoni che testimoniano della sua operosità e a fronte dei quali riceverà un corrispettivo in denaro allo scadere della seconda settimana di attività!" "Guardi, io di Lei e della sua opinione sottopongo a ripetute succussioni l'unica borsa in pelle fornitami da natura, con tutto ciò che essa contiene!" "Ma la smetta di adularmi! Lei è un soggetto le cui papille gustative hanno perduto ogni dimestichezza con il cibo prima che esso abbia subito tutte le trasformazioni a cui viene sottoposto dal nostro organismo onde far fronte alla curva generale dell'entropia!" "Se non la smette sono disposto a interfacciare la parte inferiore delle mie Timberland con la sua zona perineale, imprimendo all'intero suo corpo una forza propulsiva atta a farle percorrere un ampio tragitto senza che Ella debba ricorrere ai consueti mezzi di deambulazione!" "Ha tutta la mia riprovazione, o persona la cui parte posteriore inferiore del tronco necessiterebbe di un intervento plastico a fini di restauro!" "Organo esterno dell'apparato genito-urinario maschile a forma di appendice cilindrica inserita nella parte anteriore del perineo! Ho perso il portafoglio!"

1992

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Pagina 155

Libri da consultare e libri da leggere


Giorni fa, lavorando distrattamente di zapping, sono caduto su un canale dove andava in onda una sorta di lungo spot, o di annuncio di una trasmissione a venire. Ho l'impressione che fosse sulla Quattro o sulla Cinque, ma non ne sono sicuro (e questo conferma quanto sia più ideologicamente indifeso il telespettatore rispetto al lettore di giornali, il quale sa sempre con esattezza chi gli sta parlando). Si stavano pubblicizzando i prodigi del Cd-rom, e cioè di questi dischetti ipermediali che ci possono dare l'equivalente di una intera enciclopedia, con colori, suoni, e possibilità di istantanei collegamenti tra argomento e argomento. Siccome sto facendo qualche esperienza in questo campo, e quindi conosco l'argomento, seguivo distrattamente. Sino a che, a un certo punto, ho udito fare anche il mio nome: si stava dicendo che io affermerei che questi dischetti sostituiranno definitivamente i libri.

Nessuno, a meno che non sia paranoico, può pretendere che gli altri leggano tutto quello che scrive, ma almeno può sperare che non gli facciano dire il contrario, specie se lo stanno usando, illecitamente, come "testimonial" di qualcosa. Sta di fatto che vado ripetendo ai quattro venti che il Cd-rom "non" potrà sostituire il libro.

Ci sono due tipi di libro, quelli da consultare e quelli da leggere. I primi (il prototipo è l'elenco telefonico, ma si arriva sino ai dizionari e alle enciclopedie) occupano molto posto in casa, sono difficili da manovrare, e sono costosi. Essi potranno essere sostituiti da dischi multimediali, cosí si libererà spazio, in casa e nelle biblioteche pubbliche, per i libri da leggere (che vanno dalla Divina Commedia all'ultimo romanzo giallo).

I libri da leggere non potranno essere sostituiti da alcun aggeggio elettronico. Sono fatti per essere presi in mano, anche a letto, anche in barca, anche là dove non ci sono spine elettriche, anche dove e quando qualsiasi batteria si è scaricata, possono essere sottolineati, sopportano orecchie e segnalibri, possono essere lasciati cadere per terra o abbandonati aperti sul petto o sulle ginocchia quando ci prende il sonno, stanno in tasca, si sciupano, assumono una fisionomia individuale a seconda dell'intensità e regolarità delle nostre letture, ci ricordano (se ci appaiono troppo freschi e intonsi) che non li abbiamo ancora letti, si leggono tenendo la testa come vogliamo noi, senza imporci la lettura fissa e tesa dello schermo di un computer, amichevolissimo in tutto salvo che per la cervicale. Provate a leggervi tutta la Divina Commedia, anche solo un'ora al giorno, su un computer, e poi mi fate sapere.

Il libro da leggere appartiene a quei miracoli di una tecnologia eterna di cui fan parte la ruota, il coltello, il cucchiaio, il martello, la pentola, la bicicletta. Il coltello viene inventato prestissimo, la bicicletta assai tardi. Ma per tanto che i designer si diano da fare, modificando qualche particolare, l'essenza del coltello rimane sempre quella. Ci sono macchine che sostituiscono il martello, ma per certe cose sarà sempre necessario qualcosa che assomigli al primo martello mai apparso sulla crosta della terra. Potete inventare un sistema di cambi sofisticatissimo, ma la bicicletta rimane quel che è, due ruote, una sella, e i pedali. Altrimenti si chiama motorino ed è un'altra faccenda.

L'umanità è andata avanti per secoli leggendo e scrivendo prima su pietre, poi su tavolette, poi su rotoli, ma era una fatica improba. Quando ha scoperto che si potevano rilegare tra loro dei fogli, anche se ancora manoscritti, ha dato un sospiro di sollievo. E non potrà mai più rinunciare a questo strumento meraviglioso.

La forma-libro è determinata dalla nostra anatomia. Ce ne possono essere di grandissimi, ma per lo più hanno funzione di documento o di decorazione; il libro standard non deve essere più piccolo di un pacchetto di sigarette o più grande de L'Espresso. Dipende dalle dimensioni della nostra mano, e quelle - almeno per ora - non sono cambiate, con buona pace di Bill Gates.

È vero che la tecnologia ci promette delle macchine con cui potremmo esplorare via computer le biblioteche di tutto il mondo, sceglierci i testi che ci interessano, averli stampati in casa in pochi secondi, nei caratteri che desideriamo - a seconda del nostro grado di presbiopia e delle nostre preferenze estetiche - mentre la stessa fotocopiatrice ci fascicolo i fogli e ce li rilega, in modo che ciascuno possa comporsi delle opere personalizzate. E allora? Saranno scomparsi i compositori, le tipografie, le rilegatorie tradizionali, ma avremmo tra le mani, ancora e sempre, un libro.

1994

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Pagina 157

Leggere i libri coi polpastrelli


Una biblioteca di casa non è solo un luogo in cui si raccolgono libri: è anche un luogo che li legge per conto nostro. Mi spiego. Credo che sia capitato a tutti coloro che hanno in casa un numero abbastanza alto di libri di vivere per anni con il rimorso di non averne letti alcuni, che per anni ci hanno fissato dagli scaffali come a ricordarci il nostro peccato di omissione.

Poi un giorno accade che prendiamo in mano uno di questi libri trascurati, incominciamo a leggerlo, e ci accorgiamo che sapevamo già tutto quel che diceva. Questo singolare fenomeno, di cui molti potranno testimoniare, ha solo tre spiegazioni ragionevoli. La prima è che, avendo nel corso degli anni toccato varie volte quel libro, per spostarlo, spolverarlo, anche soltanto per scostarlo onde potesse afferrare un altro, qualcosa del suo sapere si è trasmesso, attraverso i nostri polpastrelli, al nostro cervello, e noi lo abbiamo letto tattilmente, come se fosse in alfabeto Braille. Io sono seguace del CICAP e non credo ai fenomeni paranormali, ma in questo caso si, anche perché non ritengo che il fenomeno sia paranormale: è normalissimo, certificato dall'esperienza quotidiana.

La seconda spiegazione è che non è vero che quel libro non lo abbiamo letto: ogni volta che lo si spostava o spolverava vi si gettava uno sguardo, si leggeva la bandella di copertina, si apriva qualche pagina a caso, e cosí poco per volta se ne è assorbita gran parte. La terza spiegazione è che mentre gli anni passavano leggevamo altri libri in cui si parlava anche di quello, cosí che senza rendercene conto abbiamo appreso che cosa dicesse (sia che si trattasse di un libro celebre, di cui tutti parlavano, sia che fosse un libro banale, dalle idee cosí comuni che le ritrovavano continuamente altrove).

In verità credo che siano vere tutte e tre le spiegazioni che interagiscono tra loro. Si leggono altri libri, senza accorgercene leggiucchiamo anche quello, e anche soltanto a toccarlo qualcosa nella grafica, nella consistenza della carta, nei colori, ci parla di un'epoca, di un ambiente. Tutti questi elementi messi insieme "quagliano" miracolosamente e concorrono tutti insieme a renderci familiari quelle pagine che, legalmente parlando, non abbiamo mai letto.

Se pertanto una biblioteca serve per conoscere il contenuto di libri mai letti, quello di cui ci si dovrebbe preoccupare non è la sparizione del libro bensì quella delle biblioteche di casa.

1998

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Pagina 165

MAC vs DOS


Non si è mai riflettuto abbastanza sulla nuova lotta di religione che sta sotterraneamente modificando il mondo contemporaneo.

Il fatto è che ormai il mondo si divide tra utenti del computer Macintosh e utenti dei computer compatibili col sistema operativo Ms-Dos. È mia profonda persuasione che il Macintosh sia cattolico e il Dos protestante. Anzi, il Macintosh è cattolico controriformista, e risente della "ratio studiorum" dei gesuiti. È festoso, amichevole, conciliante, dice al fedele come deve procedere passo per passo per raggiungere - se non il regno dei cieli - il momento della stampa finale del documento. È catechistico, l'essenza della rivelazione è risolta in formule comprensibili e in icone sontuose. Tutti hanno diritto alla salvezza.

Il Dos è protestante, addirittura calvinista. Prevede una libera interpretazione delle scritture, chiede decisioni personali e sofferte, impone una ermeneutica sottile, dà per scontato che la salvezza non è alla portata di tutti. Per fare funzionare il sistema si richiedono atti personali di interpretazione dei programma: lontano dalla comunità barocca dei festanti, l'utente è chiuso nella solitudine dei proprio rovello interiore.

Mi si obietterà che, col passaggio a Windows, l'universo del Dos si è avvicinato alla tolleranza controriformistica del Macintosh. È vero: Windows rappresenta uno scisma di tipo anglicano, grandi cerimonie nella cattedrale, ma possibilità di subitanei ritorni al Dos per modificare un sacco di cose in base a bizzarre decisioni: in fin dei conti si può conferire il sacerdozio anche alle donne e ai gay.

Naturalmente cattolicesimo e protestantesimo dei due sistemi non hanno nulla a che fare con le posizioni culturali e religiose degli utenti. Ho scoperto un giorno che il severo e tormentato Fortini usa il Macintosh, cose da non credere. Però c'è da chiedersi se alla lontana, col tempo e con le nespole, l'uso di un sistema piuttosto che l'altro non porti anche a profonde modificazioni interiori. Davvero si può usare il Dos e tifare per la Vandea? E inoltre: Céline avrebbe scritto con Word, Word Perfect o Wordstar? Cartesio avrebbe programmato in Pascal?

È il linguaggio macchina, che decide al di sotto del destino di entrambí i sistemi o ambienti che dir si voglia? Eh, quello è veterotestamentario, talmudico e cabalistico. Ahi, sempre la lobby ebraica...

1994


Questa Bustina è di sei anni fa. Nel frattempo le cose sono cambiate. I vari releases hanno portato Windows 95 e 98 a diventare decisamente cattolico-tridentini, insieme a Mac. La fiaccola del protestantesimo è passata nelle mani di Linux. Ma l'opposizione rimane valida. (1999)

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Pagina 229

I folli letterari


Esiste un genere saggistico che si può definire come storiografia dei folli letterari, e che si occupa di autori "matti", non solo nell'ambito della letteratura ma anche delle scienze. Cito per esempio L'historie littéraire des fous di Delepierre, 1860, o opere che si occupano di una sola area geografica, come Les fous littéraires du Quercy di Louis Greil, 1866. Per non dire del celebre Quérard, Supercheries littéraires, 1845, che però si occupa di folli che ci marciano e cioè di plagiari, apocrifi e organizzatori di beffe editoriali. Potrei citare alcune opere di Isaac D'Israeli, libri più recenti come quello di Martine Bigeard sui folli letterari in Spagna dal 1500 al 1650, il vasto studio tedesco sulla patologia del genio di Lange-Eichbaum, o l'imponente Les fous littéraíres di André Blavier (Veyrier, 1982). Qui si trovano opere voluminosissime che dimostrano l'immobilità della terra, o il lavoro di un tal Tardy che prova come il nostro globo giri su se stesso in quarantott'ore. L'indice comprende tra l'altro etimologi a ruota libera, cosmologi, profeti e messia, quadratori del circolo, inventori, filantropi, poeti.

Ho trovato recentemente un libretto molto citato nelle bibliografie, Les fous littéraires, di Philomneste Junior (pseudonimo di Gustave Brunet), pubblicato a Bruxelles nel 1880. Vuoi per gioco, vuoi per polemica, vuoi per carenza di metodo, il nostro Brunet non fa una chiara distinzione tra opere folli e opere (anche sensatissime) di autori che nella vita privata soffrivano di disturbi psichiatrici. Ma certamente egli ritiene che l'opera di un folle sia folle, e che un'opera che a lui pare folle presuppnga un autore folle.

Appare pertanto ovvio che, accanto a un Attardi che nel 1875 ha pubblicato un libro sulla possibilità dell'abolizione della morte sia violenta che naturale, o a un Henrion che nel 1718 aveva presentato una memoria sulla statura di Adamo, Brunet ponga vari mistici, visionari, alchimisti e cabalisti, da Paracelso a Fludd, da Cyrano di Bergerac a Sade e a Fourier. Talora Brunet gioca su casi indubbiamente singolari, come quando presenta Wronski, un signore che ha pubblicato migliaia di pagine di matematica, scienze naturali, politica, scrivendo lettere allo Zar di Russia e ad altri reggitori di stati europei per proporre una Riforma Assoluta del Sapere Umano e della Meccanica Celeste, onde combattere il Sinistro Disordine Rivoluzionario e le società segrete. Un tal banchiere Arson, che aspirava anch'egli al sapere assoluto, lo aveva a lungo finanziato, poi c'era stata una rottura violenta tra i due e Wronski aveva scritto pagine e pagine contro Arson, intentandogli anche una causa, mai vinta, con richiesta di duecentomila franchi di allora, per furto di verità filosofiche. Si noti che Wronski ogni tanto azzeccava alcune idee, che non erano da buttar via, e per esempio Jakobson lo cita con molto rispetto.

Quello che però fa saltare sulla sedia è che troviamo in questa compagnia Socrate, Newton, Poe e Walt Whitman, e non solo loro. Bisogna dire che Brunet ha una sua logica: trova in Whitman un principio di orgoglio e di rivolta, l'esaltazione della propria individualità e frasi come "io rendo divino tutto ciò che tocco". E commenta: "Non ci sono forse qui tutti i sintomi della demenza?" Per Socrate, anzitutto, Brunet si chiede se bisogna considerarlo scrittore perché il poveretto non ha mai scritto, e ha qualche dubbio se classificare tra i matti un signore che afferma di avere un demone familiare. Conclude che si trattava in ogni caso di monomania. Per Newton è presto detto: genio immortale si, ma visionario che si è occupato di cabale e interpretazioni dell'Apocalisse. E via di seguito.

Anche Gustave Brunet, come ogni folle letterario, può suggerire qualcosa di buono, e cioè che la nozione di follia può cambiare molto secondo le epoche e le prospettive filosofiche. Non più di un mese fa mi trovavo a parlare con un insigne matematico che mi ha rivelato stupefatto che Leibniz era matto. "Figurati", mi ha detto, "ho scoperto che quest'uomo, che ha scritto opuscoli di logica e di matematica veramente geniali, ha anche scritto alcune opere minori con fantasie deliranti sulle monadi e sull'armonia prestabilita!"

1990

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Pagina 231

Perché i libri allungano la nostra vita


Quando oggi si leggono articoli preoccupati per l'avvenire dell'intelligenza umana di fronte a nuove macchine che si apprestano a sostituire la nostra memoria, si avverte un'aria di famiglia. Chi ne sa qualcosa riconosce subito quel passo del Fedro platonico, citato innumerevoli volte, in cui il faraone, al dio Toth inventore della scrittura, chiede preoccupato se quel diabolico dispositivo non renderà l'uomo disadatto a ricordare, e quindi a pensare.

Lo stesso moto di terrore deve aver colto chi ha visto per la prima volta una ruota. Avrà pensato che avremmo disimparato a camminare. Forse gli uomini di quei tempi erano più dotati di noi per compiere maratone nei deserti e nelle steppe, ma morivano prima e oggi sarebbero riformati al primo distretto militare. Con ciò non voglio dire che quindi non ci dobbiamo preoccupare di nulla e che avremo una bella e sana umanità abituata a far merende sull'erba a Chenobyl: caso mai la scrittura ci ha fatto più abili a capire quando dobbiamo fermarci, e chi non sa fermarsi è analfabeta, anche se va su quattro ruote.

Il disagio verso nuove forme di cattura della memoria si è presentato in ogni tempo. Di fronte ai libri a stampa, su cartaccia che dava l'idea che non avrebbe resistito per più di cinque o seicento anni, e con l'idea che quella roba poteva ormai andare per le mani di tutti, come la Bibbia di Lutero, i primi acquirenti spendevano una fortuna per far miniare i capilettera a mano, onde avere l'impressione di possedere ancora manoscritti su pergamena. Oggi quegli incunaboli miniati costano un occhio della testa, ma la verità è che i libri a stampa non avevano più bisogno di essere miniati. Che cosa ci abbiamo guadagnato? Che cosa ha guadagnato l'uomo con l'invenzione della scrittura, della stampa, delle memorie elettroniche?

Una volta Valentino Bompiani aveva fatto circolare un motto: "Un uomo che legge ne vale due." Detto da un editore potrebbe essere inteso solo come uno slogan indovinato, ma io penso significhi che la scrittura (in generale il linguaggio) allunga la vita. Sin dai tempi in cui la specie incominciava a emettere i suoi primi suoni significativi, le famiglie e le tribù hanno avuto bisogno dei vecchi. Forse prima non servivano e venivano buttati quando non erano più buoni per la caccia. Ma con il linguaggio i vecchi sono diventati la memoria della specie: si sedevano nella caverna, attorno al fuoco, e raccontavano quello che era accaduto (o si diceva fosse accaduto, ecco la funzione dei miti) prima che i giovani fossero nati. Prima che si iniziasse a coltivare questa memoria sociale, l'uomo nasceva senza esperienza, non faceva in tempo a farsela, e moriva. Dopo, un giovane di vent'anni era come se ne avesse vissuti cinquemila. I fatti accaduti prima di lui, e quello che avevano imparato gli anziani, entravano a far parte della sua memoria.

Oggi i libri sono i nostri vecchi. Non ce ne rendiamo conto, ma la nostra ricchezza rispetto all'analfabeta (o di chi, alfabeta, non legge) è che lui sta vivendo e vivrà solo la sua vita e noi ne abbiamo vissuto moltissime. Ricordiamo, insieme ai nostri giochi d'infanzia, quelli di Proust, abbiamo spasimato per il nostro amore ma anche per quello di Piramo e Tisbe, abbiamo assimilato qualcosa della saggezza di Solone, abbiamo rabbrividito per certe notti di vento a Sant'Elena e ci ripetiamo, insieme alla fiaba che ci ha raccontato la nonna, quella che aveva raccontato Sheherazade.

A qualcuno tutto questo dà l'impressione che, appena nati, noi siamo già insopportabilmente anziani. Ma è più decrepito l'analfabeta (di origine o di ritorno), che patisce di arteriosclerosi sin da bambino, e non ricorda (perché non sa) che cosa sia accaduto alle Idi di Marzo. Naturalmente potremmo ricordare anche menzogne, ma leggere aiuta anche a discriminare. Non conoscendo i torti degli altri l'analfabeta non conosce neppure i propri diritti.

Il libro è un'assicurazione sulla vita, una piccola anticipazione di immortalità. All'indietro (ahimè) anziché in avanti. Ma non si può avere tutto.

1991

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Pagina 239

Libri sgangherati


Ho seguito le settimane scorse alcune discussioni sul fatto se Hesse possedesse qualità letterarie tali da giustificare il suo continuo successo. Hesse a parte, ho l'impressione che in questa occasione si sia riproposto un equivoco duro a morire, e cioè che non solo ci sia un rapporto tra il valore artistico e il successo di un'opera, ma addirittura si tratti di un rapporto inverso. Questo modo di pensare si è ulteriormente sviluppato di fronte alla diffusione della cultura di massa (da metà Ottocento ai giorni nostri), dove il prodotto tende a strizzare l'occhio al pubblico e a vellicarne sovente le propensioni meno nobili. Ma per quanto riguarda le arti e le lettere, il modello dell'artista grande, ma incompreso e sfortunato in vita, è di stampo romantico ed è stato ampliato dalle avanguardie novecentesche, le quali si proponevano programmaticamente la sfida dei gusti correnti, e quindi il rifiuto da parte del pubblico era indice di riuscita. Il che era vero per Picasso, ma ha permesso a molti sventurati di credersi l'Anti-Artusi solo perché i loro manicaretti davano il voltastomaco.

Però in passato era altrettanto vincente il modello dell'artista vezzeggiato dai potenti e idolatrato dal popolo. Dante aveva avuto degli insuccessi politici, ma non letterari, prova ne sia che la leggenda lo vuole irritato col fabbro che storpia i suoi versi, segno che già in vita era ammirato persino dagli analfabeti. Artisti grandissimi hanno avuto immediato e vasto successo (Virgilio, Giotto, Shakespeare, Manzoni e Tolstoj); altri altrettanto grandi furono disprezzati, o amati solo da pochi eletti (Nerval o Joyce), e parimenti hanno galvanizzato le folle opere di scarso valore artistico, come i romanzi di Sue o Via col vento.

L'umanità si arrovella da secoli per definire le condizioni del valore artistico, ma ha dedicato poche riflessioni alle condizioni del successo, che non sono mai casuali. Le più ovvie sono quelle per cui un'opera incarna in qualche modo sentimenti e ideali in cui la società, o una parte di essa, desidera riconoscersi: Corneille, Hesse appunto (almeno per una frangia giovanile), Berchet o Manzoni, la Marsigliese, il Topolino del New Deal e il Virgilio del secolo aureo. Non è una questione di valore, ma di adeguatezza rispetto a un sistema di attese.

Altre volte il successo è dovuto a una certa "cantabilità", e anche questa qualità è indipendente dal valore artistico (ovvero costituisce condizione di artisticità elementare che può apparire sia in un'opera grandissima che in un prodotto artigianale). Verdi è cantabile, ed è cantabile Pippo non lo sa; le storie di Nero Wolfe sono cantabili come i telefilm del tenente Colombo, ma cantabilissimo è sempre apparso Petrarca. Invece uno dei più grandi gioielli della letteratura di tutti i tempi, Sylvie di Nerval, sembra cantabile, mentre ha in realtà una struttura armonica cosí complessa che si può solo rileggerlo, non solfeggiarlo a memoria. Vivaldi è cantabile e Debussy no.

Ma tempo fa, cercando di spiegare perché Casablanca fosse diventato oggetto di culto, ho avanzato l'ipotesi che una condizione del successo e del culto sia la "sgangheratezza" dell'opera. Casablanca è stato costruito a pezzi e a bocconi mettendoci dentro tutti i cliché possibili, e ne è venuto fuori un manuale di cinefilia. Proprio per questo può essere usato, per cosí dire, a pezzi smontabili, ciascuno dei quali diventa citazione, archetipo. Ma oltre alla sgangheratezza c'è anche la sgangherabilità. In un saggio memorabile Eliot aveva azzardato che questa fosse anche la ragione del successo di Amleto, la meno compiuta e costruita delle tragedie shakespeariane, fusione non completamente riuscita tra diverse fonti, che diventa bello perché interessante e non interessante perché bello. La Divina Commedia non è per nulla sgangherata, ma risulta però sgangherabile al punto tale che i suoi fanatici giocano persino a fare crittografie dantesche, usando versi singoli e sfusi.

L'immenso millenario successo della Bibbia è dovuto alla sua sgangherabilità, visto che (Dio mi perdoni) è stata scritta a più mani. Amleto rimane un'opera sublime, mentre il Rocky Horror Picture Show (diciamolo) è una immonda schifezza, eppure entrambi sono oggetti di culto, l'uno perché sgangherabile e l'altro perché cosí sgangherato da permettere ogni gioco d'interazione possibile. E poi rimane quell'altro enigmatico oggetto di culto (ma non popolare) che è il Finnegans Wake di Joyce: volutamente concepito proprio affinché potesse essere sgangherato all'infinito.

1992

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Pagina 243

Elogio dei classici


Dicono che in questo periodo di crisi del libro vendono bene i classici. E non solo quelli a mille lire, ma anche quelli in cofanetto. E non solo quelli del girone A come Platone, ma anche quelli del girone B come Cicerone; e siccome vengono letti materialisti come Epicuro e panteisti come Plotino, qui non c'entra né la rinascita delle destre né l'avanzata delle sinistre. Diciamo che gli editori, annusando gli umori del pubblico, si sono resi conto che in un momento di crollo e ristrutturazione di tutti i valori, i lettori cercano qualche cosa di sicuro. Perché i classici danno sicurezza? Perché un classico è un autore che, specie in periodi in cui si copiava a mano, ha indotto molti a ricopiarlo, e lungo i secoli ha sconfitto l'inerzia del tempo e le sirene dell'oblio. Si sono anche salvati autori che non valevano il costo della pergamena, mentre altri, forse grandissimi, sono stati condannati alla dimenticanza perpetua; ma statisticamente la comunità degli uomini ha reagito sulle basi di un sano buon senso, e ci sono forti probabilità che un autore diventato classico abbia ancora qualcosa di buono da dirci.

Una seconda ragione è che in un periodo di crisi si rischia di non sapere più chi siamo. Ora un classico non solo ci dice come si pensava in un tempo lontano, ma ci fa scoprire che e perché oggi pensiamo ancora in quel modo. Leggere un classico è come psicanalizzare la nostra cultura attuale, si ritrovano tracce, ricordi, schemi, scene primarie... Ecco, si esclama, io ora capisco perché sono cosí - o perché qualcuno si sforza di volermi cosí: la faccenda è cominciata da questa pagina che ora sto leggendo. E ci si ritrova ancora a essere aristotelici, o platonici, o agostiniani, nel modo in cui organizziamo la nostra esperienza - e persino nel modo in cui sbagliamo a farlo.

La lettura dei classici è un viaggio alle radici. Spesso non si cercano le radici per nostalgia di qualcosa che si è conosciuto, ma per il vago sentimento di essere cresciuti da un ceppo ignoto. L'americano di nascita, che improvvisamente avverte il bisogno di tornare (andandoci per la prima volta) al paese in cui sono nati i suoi nonni, sta facendo un viaggio motivato da una nostalgia virtuale. Ogni lettore che scopre i classici è un americano, naturalizzato da infinite generazioni, che avverte il bisogno di sapere qualcosa sui propri antenati, per ritrovarne la presenza nei propri pensieri, gesti, tratti del volto.

L'altra bella sorpresa che spesso i classici ci riservano è di accorgerci che erano più moderni di noi. Rimango sempre esterrefatto di fronte a certi pensatori d'oltre oceano, culturalmente sradicati, dalle bibliografie che non riportano se non libri pubblicati nell'ultimo decennio, che elaborato una certa idea, e spesso la sviluppano male, senza sapere che una idea analoga era stata sviluppata meglio mille anni fa (o che già mille anni fa si era dimostrata sterile).

Ho tra le mani in questi giorni Il maestro e la parola di sant'Agostino (Agostino per gli intimi), pubblicato da Rusconi, testo a fronte, a cura di Maria Bettetini. Contiene quattro trattatelli di cui consiglierei di leggere il De magistro. Si potrebbe dire che ricorda il miglior Wittgenstein, se Wittgenstein non ricordasse il miglior Agostino. Si veda come, da una semplice passeggiata con Adeodato, il proprio figlio naturale (eh si, prima di diventar santo il mascalzoncello ne aveva combinata qualcuna), il padre-maestro sappia trarre una serie di folgorazioni su cosa voglia dire parlare. Dico "da una passeggiata", non semplicemente "nel corso di una passeggiata", perché è la stessa esperienza corporale del camminare che talora suggerisce ad Agostino di spiegar meglio l'uso che facciamo delle parole, attraverso gesti, movimenti, arresti e accelerazioni del passo... Quando un classico è così vicino a noi, ci si rammarica di non averlo letto prima.

L'altro giorno è venuto da me uno studente di filosofia, che mi ha chiesto che cosa deve leggere per imparare a ragionar bene. Gli ho suggerito il Saggio sull'intelletto umano di Locke. Mi ha chiesto perché proprio quel libro, e gli ho risposto che se quel giorno fossi stato di umore diverso avrei potuto benissimo suggerirgli in cambio un dialogo di Platone, o il Discorso del metodo. Ma siccome bisogna pur cominciare da qualche parte, con Locke avrebbe avuto l'esempio di un signore che ragionava bene, chiacchierando amabilmente con gli amici, e senza bisogno di usare parole difficili. Mi ha chiesto se quella lettura gli sarebbe servita per una certa ricerca che stava facendo. Gli ho detto che gli sareebbe servita anche se poi avesse fatto il venditore di macchine usate. Avrebbe semplicemente conosciuto un uomo che valeva la pena di conoscere. A questo serve la lettura dei classici.

1993

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Pagina 245

Un trattato sugli stuzzicadenti


Forse non sapete quanto sia saporosa la lettura dei cataloghi di libri antichi. Non solo per il collezionista, interessato alla bellezza o antichità della copia, ma anche per il curioso a caccia di stravaganze.

Ho ora tra le mani il catalogo Cabinet de curiosités II della libreria parigina Intersigne e sfogliando l'elenco di questi 535 titoli sono tentato di leggerli tutti. Lascio perdere squisite pubblicazioni mediche dell'epoca positivistica: analisi sulla follia di Rousseau o di E.T.A. Hoffinann e un Maometto considerato come alienato del 1842; esperimenti di trapianto di testicoli dalla scimmia all'uomo; protesi testicolari in argento; le opere del celebre Tissot sulla masturbazione (come causa di cecità, sordità, demenza precoce e così via); un'operetta in cui si denuncia la pericolosità della sifilide come possibile causa di tubercolosi; un'altra del 1901 sulla necrofagia. Mi limito a titoli decisamente meno scientifici, e per lo più li tradurrò in italiano, anche se si tratta di opere francesi.

Vorrei avere un certo Andrieu, Dello stuzzicadenti e dei suoi inconvenienti, 1869. Mi attrae Ecochoard, sulle varie tecniche d'impalamento, nonché Fournel, Della funzione dei colpi di bastone (1858), dove si fornisce una lista di scrittori o artisti celebri che sono stati bastonati, da Boileau a Voltaire e Mozart. Tale Berillon (indicato come esempio di uomo di scienza accecato dal nazionalismo) in piena guerra mondiale (1915) scrive un La polychésie de la race allemande dove dimostra che il tedesco medio produce più materia fecale del francese, e di odore più sgradevole.

Un signor Chesnier-Duchene (1843) elabora un complesso sistema per tradurre il francese in geroglifici di nuovo conio, in modo di renderlo comprensibile a tutti i popoli. Tal Chassaignon (ma questo ce l'ho) scrive nel 1779 quattro volumi di cui val la pena di assaporare il titolo: Cataratte dell'immaginazione, diluvio della scribomania, vomiti letterari, emorragie enciclopediche, mostri di mostri. Diciamo - ma chi ha mai avuto il coraggio di leggere tutte queste 1500 pagine? - che questo signore, che i bibliografi definiscono unanimemente come dissennato, gioca su tutta la letteratura universale, da Virgilio agli scrittorucoli più demenzialmente marginali, per trascinare nel giro del proprio delirio, traendone citazioni, episodi curiosi, osservazioni che riempiono pagine e pagine di note, passando dai pericoli della critica della modestia all'elogio della lode, dalle profezie di Ezechiele alle radidci di liquerizia.

Sul catalogo trovo un'operetta del 1626 sull'Ordine dei Cornuti Riformati, che di questi adepti descrive lo statuto, la cerimonia d'iniziazione, e fa risalire l'origine dei cornuti alla Torre di Babele. E sul catalogo Schreiber riappare un libro che ha avuto innumerevoli edizioni dal 1714 all'inizio dell'Ottocento. Si tratta (anche questo ce l'ho, ma non è affatto raro) del Capolavoro di uno sconosciuto di tal Saint-Hyacinthe, che però si firmava Chrisostome Matanasius.

Si deve sapere che un tempo quello che oggi chiamiamo il "paratesto" - e cioè i testi che accompagnano un'opera, dal risvolto alla pubblicità, alle recensioni, ai comunicati stainpa e così via - faceva parte del libro. Il titolo di solito occupava una pagina ed era un vero e proprio soffietto che dell'opera esaltava il contenuto e il valore; e l'opera era preceduta da una serie di poemetti di elogio, saluti, lodi e panegirici composti dagli amici dell'autore.

Il Matanasius costruisce una pirotecnica parodia di questa tendenza, e scrive un libro in cui il materiale prefatorio, per non dire delle postfazioní, e delle risposte alle risposte (in lingue diverse, con maccheroniche traslitterazioni dal francese in ebraico), è quasi più lungo del testo vero e proprio, il quale fa il verso alle opere di erudizione. Infatti d'altro non si tratta che di un elefantiaco commento a una canzone popolare di quaranta versi.

La prima edizione era abbastanza esile, ma via via che l'opera si ristampava, o almeno sino all'ottava edizione prima che l'autore morisse, l'opera aumentava grazie al contributo di altri burloni amici dell'autore. L'edizione che ho io, del 1716, ha trecento pagine, quella del 1754, che trovo ora descritta, ne ha ormai 528.

Mi fermo qui, e spero che questa rapida rassegna serva almeno di consolazione a chi si lamenta che ai giorni nostri si stampino troppi libri inutili.

1993

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Pagina 247

Quella schifezza della Quinta


"Sarò forse duro di comprendonio, ma non riesco proprio a capacitarmi del fatto che un signore possa impiegare trenta pagine per descrivere come si giri e rigiri nel letto prima di prendere sonno." Con questa motivazione un lettore dell'editore Ollendorf aveva respinto la Recherche di Proust. Questo severo giudizio di un lettore professionista non poteva mancare nella divertente raccolta di giudizi di lettura e lettere di rifiuto che André Bernard ha raccolto per Pushcart Press (Rotten Rejections).

La raccolta registra autore, titolo e data, ma non il nome dell'editore che ha respinto il manoscritto. C'è pero a inizio del libro una lista degli editori coinvolti, e ci troviamo proprio tutti, da Faber & Faber a Doubleday, dal New Yorker alla Revue de Paris. Nel 1851 Moby Dick viene respinto in Inghilterra col seguente giudizio: "Non pensiamo che possa funzionare per il mercato della letteratura per ragazzi. È lungo, di stile antiquato, e ci pare che non meriti la reputazione di cui pare godere." A Flaubert nel 1856 viene respinta Madame Bovary con questa lettera: "Signore, avete seppellito il vostro romanzo in un cumulo di dettagli che sono ben disegnati ma del tutto superflui." A Emily Dickinson, viene rifiutato il primo manoscritto di poesie nel 1862 con: "Dubbio. Le rime sono tutte sbagliate."

Per quanto riguarda il nostro secolo, ecco alcuni esempi. Colette, Claudine a scuola, 1900: "Non riuscirebbe a vendere neppure dieci copie." Henry James, La fonte sacra, 1901: "Dà decisamente sui nervi... Illeggibile. Il senso dello sforzo diventa esasperante al massimo grado. Non c'è storia." Max Beerbohm, Zuleika Dobson, 1911: "Non credo ci interessi. L'autore è più stimato da se stesso che da chiunque altro e non ha mai raggiunto livelli notevoli nel suo lavoro letterario." James Joyce, Dedalus, 1916: "Alla fine del libro tutto va in briciole. Sia la scrittura che le idee esplodono in frammenti umidicci, come polvere pirica bagnata." Francis Scott Fitzgerald, Al di qua del Paradiso, 1920: "La storia non arriva a una conclusione. Né il carattere né la carriera del protagonista sembrano arrivare a un punto che giustifichi il finale. In breve, mi pare che la storia non concluda." Faulkner, Santuario, 1931: "Dio mio, Dio mio, non possiamo pubblicarlo. Finiamo tutti in prigione."

George Orwell, La fattoria degli animali, 1945: "Impossibile vendere storie di animali negli USA." Su Molloy di Beckett, 1951: "Non ha senso pensare a un pubblicazione: il cattivo gusto del pubblico americano non coincide col cattivo gusto dell'avanguardia francese." Per il Diario di Anna Frank, 1952: "Questa ragazza non sembra avere una speciale percezione ovvero il sentimento di come si possa portare questo libro al di sopra di un livello di semplice curiosità." William Golding, Il signore delle mosche, 1954: "Non ci pare che lei sia pienamente riuscito a sviluppare una idea che avrebbe potuto essere promettente." Nabokov, Lolita, 1955: "Dovrebbe essere raccontato a uno psicoanalista, e probabilmente è stato fatto, ed è stato trasformato in un romanzo che contiene alcuni passi di bella scrittura, ma è eccessivamente nauseante, anche per il più illuminato dei freudiani... Raccomando di seppellirlo per mille anni." Malcolm Lowry, Sotto il vulcano, 1947: "I flashbacks sulle vite dei personaggi, cosí come i pensieri passati e presenti, e le emozioni, sono noiosi e poco convincenti... Il libro è troppo lungo e troppo elaborato per quel che cerca di dire." Joseph Heller, Comma 22, 1961: "Proprio non riesco a rendermi conto di cosa quest'uomo volesse fare. Si tratta di un gruppo di soldati americani in Italia che vanno a letto con le mogli l'uno dell'altro e con qualche prostituta italiana, ma senza che la cosa appaia interessante. Certamente l'autore vorrebbe riuscir divertente, forse fa della satira, ma non ce la fa a divertire a nessun livello intellettuale. Ha due trovate, entrambe pessime, e ci torna sopra senza sosta... Una noia senza fine."

H.G. Wells, La macchina del tempo, 1895: "Poco interessante per il lettore comune e non abbastanza approfondito per il lettore scientifico." Quanto alla Guerra dei mondi dello stesso autore, esso viene respinto nel 1898 con: "Un incubo senza fine. Non può fimzionare. Mi pare che il verdetto dovrebbe essere: per carità non leggete questo libro orribile." La buona terra di Pearl Buck, 1931: "Mi spiace, ma il pubblico americano non è per nulla interessato in alcunché riguardi la Cina." The Ipcress file di Len Deighton, 1963: "Non solo s'impantana a mezza strada, ma tende a perdere tempo con cose inessenziali. Sembra non avere alcuna idea di ritmo narrativo, si compiace delle parole, delle finezze stilistiche, e questo mi fa star male." Le Carré, La spia che venne dal freddo, 1963: "Diamogli il benservito. Le Carré non ha futuro."

Leggendo questi giudizi mi sono ricordato di Experts speak di Christopher Cerf e Victor Navasky, tradotto nel 1985 da Frassinelli come La parola agli esperti. Questo libro registrava gaffes megagalattiche in tutti i campi, dalla scienza alla nolitica, conteneva ovviamente anche una sezione su letteratura, arti, cinema e teatro, e i vari giudizi, anche quelli editoriali, erano corredati dalla fonte. Tralascio i rifiuti editoriali (il tono è sempre quello del libroi di Bernard) e passo a recenzioni o a giudizi critici in qualceh modo pubblicati.

Honoré de Balzac: "Nei suoi romanzi non c'è niente che riveli particolari doti immaginative, né la trama, né i personaggi. Balzac non occuperà mai un posto di rilievo nella letteratura francese" (Eugène Poitou, Revue des deux mondes, 1856). Emily Bronté: "In Cime tempestose i difetti di Jane Eyre [della sorella Charlotte] vengono moltiplicati per mille. A pensarci bene, l'unica consolazione che ci resterà è il pensiero che il romanzo non diventerà mai popolare" (James Lorimer, North British Review, 1849). Emily Dickinson: "L'incoerenza e la mancanza di forma delle sue poesiole - non saprei definirle altrimenti - sono spaventose" (Thomas Bailey Aldrich, The Atlantic Monthly, 1982).

Thomas Mann: "I Buddenbrook non sono altro che due volumoni in cui l'autore racconta storie insignificanti di gente insignificante in uno stile insignfflcante" (Eduard Engel, 1901). Herman Melville: "Moby Dick è un libro triste, squallido, piatto, addirittura ridicolo... Quel capitano pazzo, poi, è di una noia mortale" (The Southern Quarterly Review, 1851). Walt Withman: "Walt Withman ha lo stesso rapporto con l'arte che un maiale con la matematica" (The London Critic, 1855).

[...]

1993

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Pagina 268

Quanti libri non abbiamo letto?


In occasione del salone del libro di Torino è stata condotta una inchiesta presso vari intellettuali per sapere quali libri non avessero mai letto. Come era prevedibile le risposte sono state variate ma tutti gli interrogati sembrano aver risposto senza false vergogne. Così abbiamo scoperto che alcuni non hanno letto Proust, altri Aristotele, altri ancora Hugo e Tolstoj, o Virginia Woolf, compreso un illustre biblista che non ha mai letto per intero dal principio alla fine la Summa Theologica di san Tommaso - il che è più che naturale, perché opere del genere le legge puntigliosamente dalla prima pagina all'ultima solo chi ne fa l'edizione critica. Alcuni non si rammaricano di non aver letto Joyce, altri ostentano di non aver mai letto la Bibbia, non rendendosi conto che queste lacune non li distinguono ma li massificano. Giorgio Bocca ha asserito di aver abbandonato dopo poche pagine sia il mio ultimo romanzo che il Don Chisciotte, e trabocco di gratitudine per questo immeritato apparentamento. D'altra parte a leggere troppo, come Don Chisciotte, va il cervello in acqua.

Questa inchiesta è stata secondo me di grande interesse per i lettori comuni. Essi infatti (se sono lettori e non analfabeti di ritorno) vivono sempre nell'angoscia di non avere letto qualcosa che secondo la voce comune è essenziale avere letto; e scoprire che tanti nomi illustri confessano carenze abissali non poteva che confortarli.

Tuttavia mi rimane un sospetto, e un timore. Che i lettori comuni attribuiscano queste dichiarazioni a snobismo (pensando che di fatto gli interrogati abbiano letto di nascosto quello che fanno finta di non aver letto). Se così fosse i lettori comuni non solo non avrebbero superato il loro complesso di inferiorità, ma anzi lo avrebbero accresciuto, perché si scoprirebbero esclusi dal numero di quegli eletti che possono dire senza vergogna di non aver mai letto D'Annunzio, senza essere per questo considerati come trogloditi.

Ebbene, vorrei confortare i lettori comuni provando come sia vero che tutti quegli intervistati non hanno letto davvero quei libri (e molti altri ancora) aggiungendo che se io avessi dovuto rispondere a quella domanda avrei strabiliato me stesso elencando le opere immortali con le quali non ho mai avuto commercio di amorosi sensi.

Prendete in mano quello che rimane il più ricco repertorio di opere letterarie, il Dizionario Bompiani delle Opere, trascurando i volumi dedicati ad Autori e a Personaggi. Nell'edizione attualmente in commercio le Opere contano 5450 pagine. Calcolando a occhio che vi siano in media tre opere per pagina, abbiamo 16.350 opere. Rappresentano tutti i libri mai scritti? Per nulla. Basta infatti sfogliare un catalogo di libri antichi (o gli schedari di una grande biblioteca) per vedersi sopraffatti da titoli di ogni genere e sulle più varie materie che il Dizionario Bompiani non registra, altrimenti sarebbe non di cinquemila ma di cinquantamila pagine. Un repertorio del genere registra le opere che costituiscono il Canone, quelle che la cultura ricorda e che considera fondamentali per l'uomo di buona cultura. Le altre rimangono (meritatamente o immeritatalnente) riserva di caccia per studiosi specializzati, eruditi, bibbofili.

Quanto tempo ci vuole per leggere un libro? Parlando sempre dal punto di vista del lettore comune, che dedica alla lettura solo alcune ore del giorno, azzarderei per un'opera di medio volume almeno quattro giorni. È vero che per leggere Proust o san Tommaso occorrono mesi, ma ci sono capolavori che si leggono in un giorno. Atteniamoci dunque alla media di quattro giorni. Ora quattro giorni per ogni opera registrata dal Dizionario Bompiani farebbe 65.400 giorni: dividete per 365 e avete quasi 180 anni. Il ragionamento non fa una grinza. Nessuno può aver letto o leggere tutte le opere che contano.

Ed è inutile dire che, dovendo scegliere, almeno Cervantes bisognava leggerlo. E perché? E se per un lettore fossero stati molto più importanti e urgenti Le mille e una notte (tutte) o il Kalevala? Inoltre non si considera che, per i lettori di tempra migliore, quando si ama un'opera la si rilegge più volte lungo il tempo, e coloro che abbiano riletto quattro volte Proust hanno sottratto una infinità di ore alla lettura di altri libri, probabilmente meno essenziali per loro.

E quindi si rassicurino i lettori. Si può essere colti sia avendo letto dieci libri che dieci volte lo stesso libro. Dovrebbero preoccuparsi solo coloro che di libri non ne leggono mai. Ma proprio per questa ragione essi sono gli unici che non avranno mai preoccupazioni di questo genere.

1997

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Pagina 300

Le figlie di madama Doré
(Racconto postmoderno e intertestuale)


Fu il tempo che l'ambasciatore volle andare a rendere omaggio al più grande illustratore del suo tempo, Gustave Doré. A quanto si può desumerne l'ambasciatore rappresentava un paese orientale, perché arrivò alla dimora dell'artista a cavallo di un cammello; non portava, a quanto si sa, un turbante, ma doveva essere una concessione alla civiltà europea: si pavoneggiava con una piuma sul cappello.

Come l'ambasciatore incontrò l'artista, questo gli presentò la sua signora, e le sue figlie. "Oh quante belle figlie, madama Doré," disse l'ambasciatore, "oh quante belle figlie!" E aggiunse che avrebbe voluto maritarle - da cui si rafforza l'idea che egli appartenesse a un paese del lontano Oriente, perché a volerle maritare tutte insieme, voglio dire sposarle a lui o qualche suo amico, lascia pensare che pensasse a un contratto poligamo, tutte le figlie in un colpo solo, e allo stesso marito.

Non sappiamo come reagì la moglie dell'artista. Sappiamo di certo che le figlie, che poi erano probabilmente tre, erano delle dannate civette. Civette - e questo passi - ma ninfomani, forse, e certamente lesbiche - il che ai giorni nostri non scandalizzerebbe più nessuno, ma a quei tempi (dico a quelli in cui Doré illustrava la Divina Commedía) era cosa da gironi infernali.

Com'è come non è, sta di fatto che proprio nel bel mezzo della festa le tre figlie (civette) furono trovate sul comò che facevano all'amore con la figlia del dottore. Di questo dottore sappiamo pochissimo, ma sappiamo certo che la signora Doré si senti molto imbarazzata per l'incidente, a tal segno che cercò di richiamare le figlie. Al che esse - è notissimo - fecero spallucce, irridendo alla mite signora con un oltraggioso "ambarabà ciccì coccò".

Si profìla a questo punto l'ipotesi che la signora fosse non francese, ma di origini longobarde, perché risulta che abbia apostrofato le figlie con "Aliulé che t'amusé che 'tan profiti a lusinghé" (che potremmo tradurre come "Evvia, credi forse di divertirti mentre ti approfitti della figlia del dottore lusingandola"). Le figlie, sempre più provocatoriamente civette, hanno risposto, per tranciare la questione: "Tulilem blem blu, tulilem, blem blu!" Cose che a una madre non si dovrebbero rispondere, specie se ti sta rimproverando perché fai giochi a dir poco opinabili con la figlia del medico di famiglia - di cui, si noti, l'età non è nota alla tradizione, e avrebbe potuto essere minorenne - dopo di che si potrebbe essere cosí politically correct da accettare le propensioni sessuali delle figlie della moglie del noto artista, ma non da giustificare la corruzione di minorenni.

Infatti è lecito supporre che la figlia del dottore appartenesse a una comunità di volontari che si occupavano dell'assistenza agli indigenti, tanto che era definita la bella lavanderina che lava i fazzoletti per i poveretti della città. Di colpo, sottrarre la giovinetta al suo volontariato (che inoltre rivitalizzava una antica tradizione, di gioiose lavatrici sul bordo di canali periferici), per iniziarla a giochi erotici sul comò, è cosa che non potrebbe essere approvata neppure dagli spiriti più liberali e aperti.

E infatti, come reagisce la sventurata fanciulla: con salti. Fa un salto, ne fa un altro, ma sono salti di gioia o sussulti d'orrore?

Non mi pronuncio. Infatti l'esempio ha dato pessimi risultati. Pinocchietto va al palazzo con tre libri sotto il braccio, ma la lezione non la sa, ed è facile predire quanti punti prenderà. La signora Doré cerca di distrarre gli ospiti proponendo dei giochi di società, e presenta una scarpa (di chi?) chiedendo "Din din din scarpetta rossa, din din din che colore è?" La risposta è ovvia (un filosofo direbbe che si trattava di una proposizione analitica) ma le figlie della signora Doré (eh, canagliette) cercano di confondere le idee ai presenti. Azzardano: "Color pisolin, color canarin..." E che succede?

Esce fuori un garibaldin. Da dove? Credo dal Gattopardo. E che fa? Mistero. Rapisce la figlia del dottore? Una delle figlie di madama Doré? Qui bisogna trovare un colpevole. Uno, due, tre, quattro, dite basta.

1995

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Pagina 311

Perché?


Perché le banane crescono sugli alberi? Perché se crescessero raso terra sarebbero subito mangiate dai coccodrilli. Perché il mercurio si chiama cosí e non uranio? Perché altrimenti l'uranio dovrebbe chiamarsi Amordidio Brambilla e tutti lo prenderebbero in giro. Perché gli sci scivolano sulla neve? Perché se scivolassero solo sul caviale gli sport invernali sarebbero troppo costosi.

Perché Cesare prima di morire ebbe tempo di dire "Tu quoque, Brute"? Perché a vibrargli la pugnalata fatale non fu Marcelino Menendez y Pelayo. Perché la nostra scrittura va da sinistra a destra? Perché altrimenti i periodi incomincerebbero con un punto. Perché le parallele non s'incontrano mai? Perché se s'incontrassero chi ci fa gli esercizi sopra si spaccherebbe le gambe.

Perché san Paolo non era sposato? Perché con tutti i viaggi che ha fatto, se avesse dovuto scrivere lettere anche alla moglie, il Nuovo Testamento avrebbe dimensioni proibitive. Perché le lampadine si accendono e non bruciano subito malgrado l'intenso calore del filamento di tungsteno? Perché se si bruciassero subito all'accensione non avrebbe avuto senso inventarle.

Perché le dita sono cinque? Perché se fossero sei, i comandamenti sarebbero dodici. Perché Dio è l'essere perfettissimo? Perché se fosse imperfettissimo sarebbe mio cugino Gustavo. Perché il whisky è stato inventato in Scozia? Perché se fosse stato inventato in Giappone sarebbe sakè e non si potrebbe berlo con la soda. Perché il mare è cosí vasto? Perché ci sono troppi pesci e sarebbe irrazionale metterli sul monte Bianco. Perché centocinquanta la gallina canta? Perché se la gallina cantasse a 33 sarebbe il Gran Maestro della Massoneria.

Perché i bicchieri sono aperti in alto e chiusi in basso? Perché se fosse il contrario i bar andrebbero in fallimento. Perché la mamma è sempre la mamma? Perché se talora fosse anche il papà i ginecologi non saprebbero più dove andare a sbattere. Perché Allah è Allah e Maometto il suo profeta? Perché dopo il caso Rushdie su tali questioni è meglio non mettere becco. Perché le unghie crescono e i denti no? Perché altrimenti i nevrotici si mangerebbero i denti. Perché il sedere è in basso e la testa in alto? Perché in caso contrario sarebbe faticosissimo disegnare una stanza da bagno. Perché Napoleone è nato in Corsica? Perché si.

Perché le gambe si piegano in dentro e non in fuori? Perché sugli aerei sarebbe pericolosissimo in caso di atterraggio forzato. Perché Cristoforo Colombo ha navigato verso Ponente? Perché se avesse navigato verso Levante avrebbe scoperto Messina. Perché le dita hanno unghie? Perché se avessero pupille sarebbero occhi. Perché il fuoco brucia? Perché se bagnasse sarebbe acqua. Perché i cani hanno la coda? Perché altrimenti per manifestare gioia dovrebbero dimenare il pene.

Perché l'alto si oppone al basso? Perché se si opponesse a Trebisonda perderemmo la medesima. Perché quando è buio non è chiaro? Perché è buio. Perché le pastiglie di aspirina sono diverse dagli iguana? Provate a immaginare che cosa accadrebbe in caso contrario. Perché il cane muore sulla tomba del padrone? Perché lì non ci sono alberi contro cui fare pipi e dopo tre giorni gli scoppia la vescica.

Perché chi la fa l'aspetti? Si tratta di un problema mal posto: è già lì. Perché i migliori cuscini sono fatti di piume? Perché altrimenti i migliori uccelli sarebbero fatti di lana. Perché Nord è sopra e Sud è sotto? Perché altrimenti Est sarebbe a sinistra.

Perché le sirene hanno la coda di pesce? Perché se avessero le gambe sarebbero casalinghe di Voghera. Perché un angolo retto misura novanta gradi? Domanda mal posta: lui non misura niente, sono gli altri che misurano lui.

1997

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